Perché ho ricominciato a drogarmi:
Ci
sono due cose che odio: i viaggi, e i viaggiatori. Ed ecco il resoconto del
viaggetto che ho fatto nel parco dietro casa.
Ricordo
perfettamente quando sentii la necessità: era uno di quei periodi
particolarmente brutti. Sia meteorologicamente che emotivamente. Il mio
mettermi in discussione e tentare di risolvere i problemi continuando a
rimuginarci su fino a che la soluzione non appariva di fronte ai miei occhi mi
aveva portato a passare dei giorni in stato catatonico per la mia inabilità di
portare a termine qualsiasi cambiamento effettivo e perdurante.
La
sera prima guardai il meteo. Ci sarebbe stata la prima giornata di sole dopo un
lungo inverno.
La mattina quindi mi alzai alle sette, di domenica. Feci il caffè, guardai la
dispensa vuota, presi le chiavi di casa e scesi le scale. Girai a sinistra,
feci 700 metri in direzione nord. Arrivato davanti al parco presi un respiro,
mi allacciai la felpa e cominciai a correre.
Feci
due km, un intero giro del laghetto del parco, ma nel farli capii due cose
molto importanti:
·
Io odio correre
·
Io adoro correre
Intendiamoci: correre mi fa proprio
schifo. Sì, tento di mangiare sano e non fare una vita completamente sedentaria,
faccio almeno sei mila passi al giorno, non mangio dolci e raramente mi
abbuffo, ma le gambe le uso solo per fare gli scalini delle scale mobili a due
a due, mica le avevo mai usate per correre. E tutt’ora, che è un po’ che corro,
arriva un momento mentre corro che mi fa chiedere chi me l’abbia fatto fare.
Che mi fanno male le gambe, mi fa male la milza, mi fa male lo stomaca, mi
fanno male gli addominali, che fa freddo, che fa caldo, che le cuffie mi
cadono, che fa tutto schifo. Ma in quell’esatto momento son riuscito a trovare
una lucidità mentale comune solo ad alcune droghe sperimentali. Agonismo,
adrenalina e disidratazione ti portano a pensare, ma non a rimuginare in modo
catatonico.
Dopo
un mesetto, quando ho notato che correre non mi bastava più, ho cominciato ad
andare in università in bicicletta. Era una bici senza freno posteriore che
incarnava quel one liner di Mark Twain: Get
a bycicle. You won’t regret it, if you survive.
Allungava il tempo di percorrenza da casa all’università, era faticoso, era
poco pratico e rischiavo di farmi male: erano perfetti motivi per non provare
neanche ad andare in università in bici. Ma tenere il telefono in tasca invece
che davanti al naso, dover fare i conti con centinaia di imprevisti in una sola
giornata e perdersi per Milano mentre si è in ritardo ti insegnano a farti
andar bene i pensieri che hai in testa, ti insegnano a conviverci. D’altronde,
se sei troppo impegnato a non farti investire non puoi avere una crisi
d’identità.
Ad
un ceerto punto della primavera del 2018, un mio collega di università mi
propose di partecipare a una “critical
mass”, in modo molto bonario. Non mi spiegò esattamente cosa fosse una
critical mass, in realtà, mi disse solo di presentarmi in piazza Mercanti con
la mia bici.
Quando
arrivai capii perché non mi disse nulla. Definirlo un ritrovo di persone in
bicicletta significherebbe sminuire e svalutare il significato dietro a
quell’insieme disunito di 500 bicilette e relativi proprietari. Era una sorta
di messa a cui ognuno partecipava per motivi differenti, con mezzi di trasporto
differenti (non c’erano solo biciclette, ma pattini, longboard, tricicli,
risciò) in una sorta di corteo acefalo in cui il sogno anarchico della forza e della
responsabilità collettiva si affermavano per quattro ore la settimana. Era a
tutti gli effetti quella scena di Fast&Furious Tokyo Drift dove c’è il
protagonista nel parcheggio e si vedono tutte le macchine modificate, una più
stravagante dell’altra.
In
quel momento, ma soprattutto quando mi resi conto della potenza creatrice che
un atto del genere può causare, mi sentii non solo vivo, ma parte di un
insieme, parte di un collettivo che, per motivi diversi, voleva pedalare per 4
ore in pace senza macchine che disturbavano: ma anche così si rischia di non
capire il valore di un qualcosa che è destinato a morire dopo quattro ore, ma che
rinasce con intensità sempre crescente la settimana dopo senza alcun tipo di
obbligo se non la propria voglia di appagamento di tante motivazioni diverse
quante persone compongono una critical mass.
Credo
che la funzione delle droghe sia proprio questo: evitare di rimuginare per
avere una chiarezza utile alla vita, o rimuginare in modo non letale per
tentare di avere un corretto funzionamento, o trovare il modo di non rimuginare
per poter vivere senza costanti voci.
Ma questo causa non poche ripercussioni. Se io eseguo azioni come correre,
pulire casa o andare in bicicletta per evitare di rimuginare, non è
un’anestesia alla quale mi sottopongo per evitare di rimanere da solo con me
stesso? Se è così, non vado a plasmare delle meta strutture che vanno a rifarsi
ad altre meta strutture in cui io penso per evitare di pensare?
Fino
a che non trovo la risposta a quest’utima domanda, penso continuerò a drogarmi.