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Autore: AidenGKHolmes    01/08/2018    2 recensioni
“Quelle luci nel cielo sono tutte le persone che non ci sono più” Gli aveva spiegato Stoick, tenendo in braccio Hiccup ed indicando il cielo con una delle sue tozze dita “In estate viene concesso loro di alzarsi dal tavolo degli Dèi e di lasciare il Valhalla durante la notte, in modo che possano tornare sulla Terra a far visita ai propri cari”
[1716 parole]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Stoick, Valka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NORTHERN LIGHTS

 
"Will you come home and stop the pain tonight?
Stop this pain tonight"

I miss you
 Blink-182

 

***

 
Da sempre, Hiccup era stato definito da chiunque come un bambino piuttosto… particolare, per così dire. Nel bene e nel male, quel ragazzino magrolino e dai capelli ravvivati da lievi riflessi ramati aveva qualcosa di diverso e di unico rispetto agli altri suoi coetanei, coi quali trascorreva la maggior parte delle sue giornate, nel periodo della sua infanzia. Eppure, nonostante il suo carattere esuberante e fuori dagli schemi, nessuno pensava che Hiccup potesse aver celato un qualche tipo di segreto, prima che addomesticasse il Furia Buia all’età di quindici anni.

Inutile dire che si sbagliassero di grosso.

In tutta Berk non vi era pressoché nessuno che fosse a conoscenza di una sua particolare abitudine, una specie di rito che portava avanti di anno in anno, con estrema riservatezza. Forse perché nessuno gli aveva mai prestato sufficiente attenzione o forse perché erano convinti che se quel singhiozzo di bambino avesse mai anche solo pensato di mantenere un segreto di qualunque tipo, lo avrebbero scoperto nel giro di pochi minuti.
 
Durante tutte le sere d’estate, il piano era sempre lo stesso: dopo essere stato messo a letto, Hiccup attendeva di udire quel famigliare cigolio, segno che suo padre fosse finalmente andato a dormire, per poi infilarsi i suoi stivali e sgattaiolare silenziosamente fuori dalla porta posteriore, l’unica che potesse essere aperta dalle sue esili braccine senza far troppo baccano.

Hiccup amava l’odore della salsedine che andava a mischiarsi al delicato aroma della foresta di pini a pochi passi di distanza dalla sua casa, oltre che al delicato profumo dell’erba fresca sotto di lui. Nonostante ciò, quello non era il vero motivo che si celava dietro a quelle escursioni notturne.

Cercando di essere furtivo come un felino, Hiccup spariva nella foresta, seguendo un percorso che ormai aveva imparato a menadito. Sapeva riconoscere perfettamente quali biforcazioni del sentiero imboccare, quali fossero gli alberi da tenere a mente come punti di riferimento ed aveva addirittura inciso un paio di rune sul tronco di alcuni di essi, giusto per essere sicuro di riuscire a trovare la via di casa più facilmente.

Quella passeggiata notturna aveva però vita breve: il suo cammino terminava sul bordo di una scogliera non lontana da Capo Corvo. Là Hiccup si sedeva ed aspettava che quelle luci nel cielo facessero la loro comparsa, nel cuore della notte. Aurora boreale, così la chiamava suo padre.

Era stato proprio il burbero capotribù a raccontargli una leggenda su di essa, un paio di anni prima.

“Quelle luci nel cielo sono tutte le persone che non ci sono più” Gli aveva spiegato Stoick, tenendo in braccio Hiccup ed indicando il cielo con una delle sue tozze dita “In estate viene concesso loro di alzarsi dal tavolo degli Dèi e di lasciare il Valhalla durante la notte, in modo che possano tornare sulla Terra a far visita ai propri cari”

Hiccup, affascinato da quella storia, non la riteneva una semplice favoletta per bambini: in quei fasci di luce dai mille colori che si agitavano davanti ai suoi occhi e che parevano allungarsi fino ai confini del mare, quel bambino di sette anni non vedeva semplici bagliori, ne era del tutto convinto. Quella era sua madre, che regolarmente tornava ogni sera a salutarlo, per accertarsi che stesse bene.

E lui non avrebbe perso quell’appuntamento quotidiano con lei per nessuna ragione al mondo. Sapeva bene cosa le fosse accaduto, suo padre gliene aveva parlato non molto tempo prima. Coi dovuti modi, ovviamente, per quanto fosse un uomo tutto d’un pezzo, Stoick non voleva certo traumatizzarlo con i dettagli di quella terribile serata che cambiò per sempre le loro vite. Si era limitato a rivelargli il meno possibile, cercando al contempo di fargli capire che fossero stati i draghi a portar via Valka dalla loro famiglia.

Quello era dunque l’unico modo che Hiccup avesse a disposizione per poter trascorrere del tempo con sua madre.

Ogni volta, il piccolo vichingo dagli occhi color smeraldo arrivava di fronte allo strapiombo, si sedeva a gambe incrociate sulla ruvida pavimentazione di roccia sotto di lui, guardava il cielo… e raccontava.

“Non potresti dire a Moccicoso di smetterla coi suoi stupidi scherzi? Oggi mi ha versato un secchio d’acqua addosso. Perfino Astrid mi ha visto e ha pure ridacchiato. Non fanno altro che prendermi in giro!”

“Sai, non mi ricordo come cucinassi tu, mamma, ma… non credo che potresti fare peggio di papà. Oggi si è dimenticato di togliere il merluzzo dal pentolone del focolare. L’odore di bruciato è rimasto in casa fino a sera”

“Sei davvero sicura sicura di non poter tornare da noi neanche per un giorno? Ultimamente i draghi sono tornati molte volte a Berk e papà è sempre arrabbiato per questo, magari tu potresti abbracciarlo, secondo me si sentirebbe meglio”

“Skaracchio ha promesso di insegnarmi come costruire armi ed armature, quando sarò più grande! Finalmente potrò costruire qualcosa con cui poi andrò a caccia di draghi!”

“Gli Dèi sono davvero così simpatici come raccontano alcuni al villaggio? Dicono che Loki sia quello che combina più disastri di tutti, non mi sorprende che sia l’idolo di Testaditufo e Testabruta”


Sebbene sua madre non potesse rispondergli, Hiccup era sicuro che lo stesse ascoltando con attenzione e che le sue parole non venissero semplicemente disperse dal vento del nord, ecco perché tornava là ogni sera. I draghi gliel’avevano portata via, ma in qualche modo la sua mamma riusciva sempre a rifarsi viva, anche se per poche settimane all’anno.

Alcune volte, dopo giornate particolarmente stressanti, Hiccup attendeva di essere finalmente da solo con lo spirito di sua madre, prima di lasciarsi andare a silenziosi singulti senza lacrime che cessavano non appena sentisse la fresca brezza marittima sfiorargli le gote lentigginose.

Era come se Valka, nel vedere il proprio bambino soffrire per qualche presa in giro, si chinasse di fronte a lui, in modo da mettersi alla sua altezza, per poi mormorargli ad un orecchio poche, rassicuranti parole.

“Non piangere, Hiccup. Sono qui.”

Col passare del tempo, Hiccup cominciò a portarle anche qualcuno dei suoi primi disegni. Alcuni raffiguravano epiche battaglie stilizzate tra il villaggio e i draghi, altri invece erano semplici raffigurazioni fanciullesche di Berk e delle isole dell’arcipelago. In un’occasione tentò addirittura di raffigurare la sua famiglia al completo. Loro tre, di nuovo insieme. Fu allora che si accorse di non avere idea di come disegnare il viso di sua madre. Non ne rammentava i lineamenti, né il colore degli occhi o dei capelli… tentò di ovviare a questo problema facendo ricorso alla sua sconfinata immaginazione.

“Ecco qua…” Disse, una volta concluso il disegno, sistemandolo al contrario di fronte a sé, in modo che il cielo potesse ammirarlo “Scusa se non ti ho disegnata per bene, ma purtroppo non mi ricordo come sei. Se tornassi potrei farti un disegno migliore” Pigolò, quasi a chiedere perdono per le imperfezioni della sua opera, venendo rincuorato da una delicata folata di vento – che Hiccup scambiò per una carezza da parte di sua madre – la quale andò a scompigliare la sua chioma bruna. Per fortuna non sembrava essersi arrabbiata!

Quelle sue capatine notturne sarebbero passate del tutto inosservate, se una notte, nel tornare a casa, non si fosse dimenticato il suo drago di peluche sulla scogliera. Era stato un errore di poco conto, all’apparenza: Hiccup voleva solo mostrare a sua madre come tenesse con cura i propri giocattoli, mostrandole quello a cui era più affezionato, in quanto creato proprio dalle mani di Valka, alcuni anni prima. Quel draghetto di tessuto nero e dalle cuciture grossolane, per quel che ne sapeva, era l’ultimo ricordo che aveva della sua mamma.

La mattina seguente, il peluche era stato trovato da un paio di vichinghi di pattuglia, che avevano riconosciuto quasi subito il giocattolo, in quanto già visto più volte tra le braccia del figlio di Stoick.
I due si erano recati di volata presso la casa del capotribù, timorosi che potesse essere accaduto qualcosa di male a suo figlio.
In quel momento, l’imponente vichingo dalla barba rossa era già diretto verso la Grande Sala, dove avrebbe dovuto valutare le proposte di ricostruzione a seguito dell’ultimo attacco dei draghi, ma venne intercettato a metà strada dalle guardie che, dopo avergli riconsegnato il peluche del figlio, tentarono di spiegargli sommariamente la situazione.

Lì per lì, Stoick venne preso dal panico: congedati i due vichinghi, si lanciò a perdifiato in direzione della propria dimora. Per un attimo credette che i draghi avessero portato via anche l’ultimo membro della sua famiglia. Non poteva essere vero, non poteva… non se lo sarebbe mai perdonato.
Tuttavia il suo passo rallentò senza un apparente motivo, fino a fermarsi del tutto appena prima di fare capolino in camera di Hiccup, in quel momento addormentato profondamente nel suo letto.

Tirando un sospiro di sollievo, Stoick ripensò attentamente alle parole pronunciate dalle due sentinelle, soffermandosi in particolare sul luogo del ritrovamento. Durante il giorno – ne era sicuro – Hiccup non si sarebbe mai avventurato in quelle zone, ai bambini era proibito addentrarsi nella foresta senza la supervisione di un adulto, ma di notte…  

Fu allora che si ricordò della leggenda dell’Aurora Boreale e di quella sera in cui Stoick gli aveva parlato dei loro cari scomparsi e di sua madre.

E in quel momento capì.

Stoick mal tollerava i misteri, ma amava suo figlio. E non avrebbe rovinato il primo segreto di Hiccup in quel modo. Lo sapeva bene: rivoleva sua madre con sé e lui non poteva far niente per restituirgliela. Se quello fosse stato l’unico modo per evitare che il suo bambino ne soffrisse la mancanza… beh, lo avrebbe accettato. Conoscendolo, chissà quante altre volte si era dato a quelle fughe notturne prima di allora.

Lo avrebbe fatto sorvegliare a distanza da due dei migliori guerrieri di Berk, in modo che non gli accadesse nulla, ma non gli avrebbe proibito di parlare con sua madre.

Sistemando il suo draghetto di peluche tra le braccia del ragazzino, Stoick gli posò un bacio sulla tempia e gli rimboccò le coperte, osservando il sorriso che si venne a creare sulle labbra del bambino, il quale d’istinto avvicinò il pupazzo imbottito al petto, rannicchiandosi contro di esso com’era solito fare.

Per la prima volta in più di sei anni, Stoick dovette smettere di mentire a se stesso. Valka gli mancava e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di riaverla al suo fianco.


 
***

 
Note dell'autore: Salve a tutti! Era da un po' che non scrivevo sul fandom, quindi ho pensato bene di rimediare non appena mi è venuta l'ispirazione. Dunque, l'idea per questa FF mi è venuta totalmente a caso, rileggendo alcuni vecchie bozze su altre storie di Dragon Trainer che probabilmente non vedranno mai la luce. Non è stato facile metterla giù, specialmente in alcuni punti, ma spero che ci sia comunque il giusto grado di fluffaggine, malinconia, con una leggera spruzzata di lentiggini ed iridi verdi. Un grazie anche alla splendida fan art ad inizio capitolo (Potete trovare il suo Deviantart dell'autore/autrice a questo indirizzo: https://www.deviantart.com/livori/art/I-m-here-437855811), non sapete quanti giorni abbia impiegato per trovarne una adatta. Haiwan lo può confermare, dato che ho sclerato con lei a causa dell'assenza di artwork adatti da piazzare in cima alla storia (Anzi, grazie per la pazienza, my dear v.v). 

Che dire, spero vi sia piaciuta! In caso contrario, scrivetemi in privato, così vi do le coordinate su cui lanciare missili nucleari ^^"

Ci rileggiamo presto!


GK




 
   
 
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