Gerald
prese posto sulla poltrona proprio mentre il sole scompariva all'orizzonte. La
villa era vuota e silenziosa intorno a lui. Si chiese quanto mancasse al
rientro di Monica.
Il
vecchio raccolse la settimana enigmistica dal portariviste e si mise a
sfogliarla, in cerca del rebus che aveva lasciato a metà. Rifece la punta alla
matita e inforcò gli occhiali da vista.
Come
ogni sera, Pimple lo raggiunse e gli si accoccolò in grembo. Il gatto era
vecchio e il suo pelo, una volta tanto morbido, si sfoltiva ogni giorno di più.
Gerald
soffiò via un ciuffo bianco che gli si era adagiato sul dorso della mano. Tornò
al suo rebus.
Accarezzando
l'animale, segnò altre cinque lettere. Gli mancava solo una parola e mezza per
completare il gioco.
Proprio
allora arrivò Sammy, il suo altro gatto, che gli si sistemò tra i piedi facendo
le fusa. Gerald gli concesse una carezza, prima di rimettersi a scrivere.
L'età
avanzata non gli permetteva di tenersi sveglio fino a tardi; la stanchezza spesso
lo coglieva subito dopo cena. Così, prima che gli fosse possibile scrivere
l'ultima lettera, Gerald si ritrovò con le palpebre abbassate, il capo chino
sul petto e la matita ferma ancora sopra al foglio.
Minuscoli
passettini cominciarono a udirsi nella stanza.
Parte 2
Monica
arrivò finalmente nel vialetto di casa. La serata con le ex compagne di
università l'aveva stressata più del previsto. Era stata costretta a lasciare
suo padre da solo a casa per tutte quelle ore, senza la possibilità di
chiamarlo. Voleva accertarsi che fosse tutto a posto.
Si
fermò sullo zerbino.
"No,
non posso averlo fatto un'altra volta", pensò. "Diamine, sono una
cretina!"
Non
solo si era scordata di chiudere a chiave, ma aveva lasciato il portone
semiaperto. Si pulì le scarpe e fu sul punto di entrare, quando qualcosa le
sfilò veloce tra le gambe ed entrò nella villa.
Monica
varcò la soglia e accese la luce. Niente di niente; la cosa doveva aver salito
le scale. Turbata, sistemò il cappotto sull'appendiabiti e chiamò suo padre.
«Papà,
tutto bene?»
Nessuna
risposta o movimento dal piano di sopra. Dal portone d'ingresso, invece, saettò
all'interno un secondo intruso. Questa volta lo vide: era un gatto. Anche lui
corse rapido su per le scale e sparì dalla vista.
«Cos'è,
ospitiamo una cucciolata?»
Con
un pizzico di nervosismo, Monica salì a sua volta i gradini che la separavano
dal piano di sopra. Voltò l'angolo e si strofinò gli occhi, per accertarsi che
quello a cui stava assistendo non fosse frutto della propria fantasia.
Una
fila ordinata di decine di gattini si snodava per tutto il corridoio in
direzione del salotto. La successione avanzava e si bloccava a brevi
intervalli, i piccoli membri a leccarsi le zampe e miagolare in una cacofonia
quasi insopportabile. Altri felini si aggiungevano alla coda in continuazione.
Monica
proseguì lungo il corridoio, seguita dagli sguardi scrutatori dei curiosi
micetti. Le loro teste si muovevano in sincronia per starle dietro.
Entrò
nel salotto. Lì la scena era la stessa, se non addirittura più assurda. La fila
continuava, svolgendosi a zig zag tra le gambe del tavolino e delle sedie poste
attorno, fino a raggiungere la sua meta: la poltrona di pelle.
Su
di essa, immobile e innaturale, se ne stava un oggetto simile a un'enorme palla
di neve o ad un gomitolo dalle dimensioni spropositate.
Monica
vi si avvicinò. I gattini, fermi in una perfetta fila indiana, aspettavano il
proprio turno di saltare sul bracciolo della poltrona per strofinarsi su
quell'opera improbabile che, adesso lo vedeva, era composta da chili e chili di
strati di pelo, compressi l'uno sull'altro.
Scossa
da brividi improvvisi lungo la spina dorsale, Monica guardò con attenzione
attraverso la superficie semi-trasparente di quel coso.
Una
matita, pollice e indice di una mano e il capo chino di un uomo poco più su.
Monica
si lanciò in avanti sopra all'enorme groviglio, a braccia spalancate,
sprofondando di qualche centimetro nel manto soffice prima di riemergere. Non
riusciva ad arrivare al braccio immobile di suo padre, né tantomeno alle sue
gambe o al petto; la materia elastica la respingeva a ogni tentativo. Allora si
limitò a stringersi forte, abbracciata al grande accumulo di pelo.
Il
contatto con la matassa calda e morbida a poco a poco la tranquillizzò. Monica
si lasciò dondolare avanti e indietro come in una culla, sempre più calma e
serena. Non badò ai micini, che adesso avevano cominciato a strusciarsi su di
lei, e non si accorse del tenero peso che andava accumulandosi sulla propria
schiena.
Alla
fine non fu più in grado di muoversi. Ma non le importava; per nulla al mondo
avrebbe abbandonato quel nuovo, comodo letto.
Monica
continuò a sorridere finché non si addormentò, completamente inglobata dal
batuffolone.