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Autore: Le Due Impronte    02/08/2018    0 recensioni
Un vecchio nella sua villa.
Un rebus.
Un sonno tranquillo.
Impronta Rossa
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una strana scultura

Parte 1

Gerald prese posto sulla poltrona proprio mentre il sole scompariva all'orizzonte. La villa era vuota e silenziosa intorno a lui. Si chiese quanto mancasse al rientro di Monica.

Il vecchio raccolse la settimana enigmistica dal portariviste e si mise a sfogliarla, in cerca del rebus che aveva lasciato a metà. Rifece la punta alla matita e inforcò gli occhiali da vista.

Come ogni sera, Pimple lo raggiunse e gli si accoccolò in grembo. Il gatto era vecchio e il suo pelo, una volta tanto morbido, si sfoltiva ogni giorno di più.

Gerald soffiò via un ciuffo bianco che gli si era adagiato sul dorso della mano. Tornò al suo rebus.

Accarezzando l'animale, segnò altre cinque lettere. Gli mancava solo una parola e mezza per completare il gioco.

Proprio allora arrivò Sammy, il suo altro gatto, che gli si sistemò tra i piedi facendo le fusa. Gerald gli concesse una carezza, prima di rimettersi a scrivere.

L'età avanzata non gli permetteva di tenersi sveglio fino a tardi; la stanchezza spesso lo coglieva subito dopo cena. Così, prima che gli fosse possibile scrivere l'ultima lettera, Gerald si ritrovò con le palpebre abbassate, il capo chino sul petto e la matita ferma ancora sopra al foglio.

Minuscoli passettini cominciarono a udirsi nella stanza.

 

 

Parte 2

Monica arrivò finalmente nel vialetto di casa. La serata con le ex compagne di università l'aveva stressata più del previsto. Era stata costretta a lasciare suo padre da solo a casa per tutte quelle ore, senza la possibilità di chiamarlo. Voleva accertarsi che fosse tutto a posto.

Si fermò sullo zerbino.

"No, non posso averlo fatto un'altra volta", pensò. "Diamine, sono una cretina!"

Non solo si era scordata di chiudere a chiave, ma aveva lasciato il portone semiaperto. Si pulì le scarpe e fu sul punto di entrare, quando qualcosa le sfilò veloce tra le gambe ed entrò nella villa.

Monica varcò la soglia e accese la luce. Niente di niente; la cosa doveva aver salito le scale. Turbata, sistemò il cappotto sull'appendiabiti e chiamò suo padre.

«Papà, tutto bene?»

Nessuna risposta o movimento dal piano di sopra. Dal portone d'ingresso, invece, saettò all'interno un secondo intruso. Questa volta lo vide: era un gatto. Anche lui corse rapido su per le scale e sparì dalla vista.

«Cos'è, ospitiamo una cucciolata?»

Con un pizzico di nervosismo, Monica salì a sua volta i gradini che la separavano dal piano di sopra. Voltò l'angolo e si strofinò gli occhi, per accertarsi che quello a cui stava assistendo non fosse frutto della propria fantasia.

Una fila ordinata di decine di gattini si snodava per tutto il corridoio in direzione del salotto. La successione avanzava e si bloccava a brevi intervalli, i piccoli membri a leccarsi le zampe e miagolare in una cacofonia quasi insopportabile. Altri felini si aggiungevano alla coda in continuazione.

Monica proseguì lungo il corridoio, seguita dagli sguardi scrutatori dei curiosi micetti. Le loro teste si muovevano in sincronia per starle dietro.

Entrò nel salotto. Lì la scena era la stessa, se non addirittura più assurda. La fila continuava, svolgendosi a zig zag tra le gambe del tavolino e delle sedie poste attorno, fino a raggiungere la sua meta: la poltrona di pelle.

Su di essa, immobile e innaturale, se ne stava un oggetto simile a un'enorme palla di neve o ad un gomitolo dalle dimensioni spropositate.

Monica vi si avvicinò. I gattini, fermi in una perfetta fila indiana, aspettavano il proprio turno di saltare sul bracciolo della poltrona per strofinarsi su quell'opera improbabile che, adesso lo vedeva, era composta da chili e chili di strati di pelo, compressi l'uno sull'altro.

Scossa da brividi improvvisi lungo la spina dorsale, Monica guardò con attenzione attraverso la superficie semi-trasparente di quel coso.

Una matita, pollice e indice di una mano e il capo chino di un uomo poco più su.

Monica si lanciò in avanti sopra all'enorme groviglio, a braccia spalancate, sprofondando di qualche centimetro nel manto soffice prima di riemergere. Non riusciva ad arrivare al braccio immobile di suo padre, né tantomeno alle sue gambe o al petto; la materia elastica la respingeva a ogni tentativo. Allora si limitò a stringersi forte, abbracciata al grande accumulo di pelo.

Il contatto con la matassa calda e morbida a poco a poco la tranquillizzò. Monica si lasciò dondolare avanti e indietro come in una culla, sempre più calma e serena. Non badò ai micini, che adesso avevano cominciato a strusciarsi su di lei, e non si accorse del tenero peso che andava accumulandosi sulla propria schiena.

Alla fine non fu più in grado di muoversi. Ma non le importava; per nulla al mondo avrebbe abbandonato quel nuovo, comodo letto.

Monica continuò a sorridere finché non si addormentò, completamente inglobata dal batuffolone.

   
 
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