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Autore: AnonymousBashful    04/08/2018    1 recensioni
Comincio con il dire che non sono molto brava a scrivere le trame. Questa storia parla di una persona che ha una relazione con una ragazza, ma la suddetta storia potrebbe finire a causa del vizio della protagonista a parlare troppo ma non agire mai. Fino alla conclusione della storia lei cerca di recuperare questa relazione. Ci riuscirà o finirà in modo drammatico?
P.S.: Questa storia era già stata caricata due volte, però non mi sentivo completamente soddisfatta del risultato finale. Perciò vi chiedo scusa, per la ripetitività. Spero di riuscire a pubblicare qualcosa di nuovo al più presto. Grazie per la vostra pazienza. Come al solito se avete consigli, critiche costruttive ecc.. siete liberissimi di farle :)
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era notte fonda, stavo dormendo nel mio letto quando ad un tratto squillò il telefono di casa. Mi alzai, andai nel salotto e mi avvicinai al telefono. Indugiai un momento ponendomi chi potesse essere. Tirai su la cornetta e risposi con il solito "Pronto?". Dall'altro lato mi rispose una voce femminile che conoscevo perfettamente, era Agnese la mia ragazza. Stavamo insieme ormai da cinque anni, erano molti ma io l’amavo, come se ci fossimo appena conosciute. Dal tono con cui mi parlava, mi diede l'impressione di essere molto tesa e turbata. Voleva aspettare a parlarmi. Voleva parlarmi faccia a faccia, per rispetto nei miei confronti e nei confronti della nostra relazione. Voleva davvero aspettare finché non ci saremmo riviste, ma non riusciva ad attendere oltre; non ce la faceva più. Con la sua bellissima e leggiadra voce comunicò di volermi lasciare, di voler chiudere la nostra storia. Al suono delle sue parole rimasi pietrificata. Non mi aspettavo certamente di sentirle; ne ora, ne mai. Appena mi ripresi le chiesi il perché di questa sua scelta. Mi rispose, singhiozzando, di non sopportare più il mio saper solo parlare, le  mie promesse mai mantenute. Non reggeva più tutte le bugie che le avevo raccontato in quei lunghissimi cinque anni. Non si limitò a quelle parole, volle anche darmi ulteriori spiegazioni. Continuò dicendo che era ancora innamorata di me, ma l'amore dopo tutto quel tempo ad aspettare e a sentire menzogne su menzogne non bastava per restare insieme. Il dolore che c'era in lei era troppo forte per resistere oltre. Tentai di persuaderla a rimanere al mio fianco, ma non volle sentir ragioni. Erano le ennesime parole, parole che non avrebbero mai trovato fatti reali. Stavamo ancora dscutendo al telefono e lei scoppiò a piangere. Con la voce spezzata aggiunse che non voleva perdere altro tempo con me, con una persona incapace di agire. Non sapevo cosa fare, chiederle di darmi un'altra possibilità sarebbe stato sicuramente inutile perché avrebbe sentito ancora parole, simili a quelle che aveva già ascoltato più e più volte. Ingenuamente provai lo stesso a domandarle, anzi a supplicarla di darmi un'altra possibilità. Ma lei (come immaginavo) non si fece persuadere e non cambiò idea. Con un filo di voce mi sussurrò che era finita, senza se e senza ma; poi riagganciò senza lasciarmi il tempo di aggiungere niente. Ora mi ritrovavo lì, con la cornetta del telefono in mano che continuava ripetutamente ad emettere lo stesso identico bip, bip, bip...e dai miei occhi fissi iniziarono a scendere delle lacrime. L'avevo persa. Per colpa della mia stupidità, della mia codardia, l'avevo persa per sempre. E dire che sarebbe bastato poco per poter tenerla con me, che le dedicassi le giuste attenzioni, che la invitassi a stare qualche giorno con me nel mio appartamento o che le chiedessi di convivere. Dio, qualche volta avevo pensato alla convivenza ma credevo di avere tutto il tempo di questo mondo. Tuttavia non avevo pensato ai suoi sentimenti, che anche lei ne avesse. Ora mi sentivo così orribile. Avrei potuto benissimo evitare tutto questo, avrei potuto evitarle tutta questa sofferenza. Composi il suo numero e lei non rispose. Scattò la segreteria, così le lasciai un messaggio. "Scusami per il mio comportamento, so di averti delusa troppe volte, di averti fatta soffrire e non mi perdonerò mai per questo. Non sono in grado di accettare questa tua decisione perché ti amo troppo, ma ti lascerò andare, non ti obbligherò a continuare a stare con me, ne ti supplicherò di tornare. Ricordati solo che ti amo infinitamente e so di essere stata veramente stupida a comportarmi come ho fatto. Spero che in futuro tu possa essere più felice. Addio mia piccola, preziosa rosa". Quando ebbi finito di pronunciare quelle parole, con mano tremante, riattaccai la cornetta, poi tornai nel letto e mentre affondavo la faccia nel cuscino scoppiai in lacrime. Il dolore era troppo forte, incontenibile e incontrastabile. Non avevo più niente. La persona che mi appoggiava e mi sosteneva in tutto, mi ha inesorabilmente abbandonata. Ora che non mi restava più niente, cosa potevo fare? Niente, non potevo fare nulla..... 
Tentai di riaddormentarmi, ma senza successo. Il resto della nottata fu un inferno tra continui pianti, crisi respiratorie e disperazione. Giunto il mattino decisi che non avrei lavorato; nonostante avessi delle date di scadenza, il lavoro me lo gestivo io. Sono una scrittrice emergente e ho già pubblicato un romanzo, un paio di storie brevi ed ora ne stavo scrivendo un altro con una data di scadenza per consegnarlo. A causa di quello che era successo la notte precedente non avevo la benché minima voglia di mettermi a scrivere. Avevo dello scotch e della vodka in casa e nonostante fosse mattina presto, presi un bicchiere, ci versai per primo lo Scotch. Bevvi tutto d'un fiato e ne versai ancora. Anche questo bicchiere lo buttai giù con un sorso. Nonostante fosse mattina presto, presi un bicchiere ed inizia a versarmi da bere, fino a svuotare completamente entrambe le bottiglie. Ero palesemente ubriaca, cosa non da me; mai avevo alzato il gomito in vita mia. Tutto intorno a me girava, mi doleva la testa e sentivo lo stomaco in subbuglio. Provai a stendermi ma dovetti alzarmi di corsa e scappare in bagno a vomitare. Rimisi tantissimo. Finii per svenire in bagno di fianco al water. Credo stetti senza sensi per ore. Feci fatica a rimettermi in piedi, dovetti appoggiarmi al muro per non cadere. Andai in cucina a bere dell'acqua ed il mio sguardo finì sull'orologio, vidi essere le sette di sera. Ero rimasta senza sensi per tutto il giorno. Notai che la lucina del telefono stava lampeggiando, così nonostante avessi un gran mal di testa, ascoltai i messaggi. Uno era del mio editore dove mi ricordava la data di scadenza per la consegna del libro e mi invitava a cena, un altro da parte di un'amica che mi chiedeva come mai non rispondevo né alle chiamate né ai messaggi, e poi un’altro ancora era sempre del mio editore dove mi chiedeva di fargli sapere prima delle otto se andavo a cena con lui o no. Con mala voglia; chiamai per primo l’editore. Gli dissi che non mi sentivo molto bene, inventai la scusa di star covando l'influenza e di conseguenza non potevo andare con lui fuori a mangiare. Poi risposi anche alla mia amica con un "Pronto, che vuoi?". Subito lei mi chiese se stavo bene, non era da me dare certe risposte così fredde. Non sapevo se usare anche con lei la scusa dell'influenza o se raccontarle la verità. Ero molto indecisa. Raccontare tutto voleva dire ammettere un fallimento, provare ancora più dolore ed espormi; Cosa che non mi piace fare. Che avrei dovuto fare? Alla fine decisi di espormi e lei tentò di tirarmi su il morale ma sapevo perfettamente ciò che era successo era solo tutta colpa mia. Per quanto si impegnasse, non poteva togliermi il dolore della colpa. 

"Giulia, perdonami, ma le tue parole non mi aiutano. L'amavo troppo ed ora lei se n'è andata via, per sempre"

"Purtroppo non riesco a comprendere il tuo dolore. Però non devi farti abbattere da quel che è successo. Magari non era destino che continuaste a stare insieme"

"Destino? A me non interessa del destino! Lei era la mia donna è l'ho persa! La rivoglio!" Le urlai nella cornetta.

"Per favore calmati adesso. Senti, cerca di riposarti e tranquillizzarti un po'. Ci sentiamo domani mattina, ok?"

"Va bene. Ciao, Giulia"

"Ciao"

Erano solo le otto di sera e non avevo assolutamente appetito Non avrei mangiato, ma sentivo il desiderio di bere ancora. Mi spaventava come cosa, non ero mai stata il tipo da bere eccessivamente. Proprio gli alcolisti in generale non li avevo mai sopportati. Eppure, qualcosa era cambiato in me, avevo questo forte desiderio di distruggermi e volevo farlo bevendo. Stetti a pensarci un po', poi aprii una bottiglia di birra ma la bevvi con calma. Cercavo di resistere ai miei impulsi. Non sapevo se ci sarei riuscita. Finita la bottiglia il desiderio di continuare c'era ancora e quindi pensai che fosse meglio uscire a fare due passi. Mentre stavo camminando feci un tentativo chiamando Agnese. Chiamai diverse volte e proprio quando stavo per arrendermi, lei rispose. La sua voce era fredda, veramente glaciale. Mi faceva soffrire, tuttavia non potevo biasimarla. Anche lei doveva aver sofferto molto in tutti quegli anni. Le dissi che volevo parlare e non ne era sorpresa. Ma lo fu quando, per una volta, andai dritta al punto. 

"Agnese, ti supplico, dammi un'ultima possibilità. Un'ultima occasione per redimermi e se non riuscirò a cambiare ti lascerò andare senza fare storie. Ti lascerò libera"

"La risposta è no. Mi dispiace, ma non posso farlo. Non posso anche solo pensare di dover soffrire nuovamente, di correre il rischio di scottarmi per l'ennesima volta"

"Ti prego io..."

"No e no" Mi interruppe bruscamente lei.

"Non posso vivere senza di te..."

"Ormai è tardi, ho fatto la mia scelta e non ho intenzione di tornare sui miei passi. Tra di noi è finita ed è meglio che te ne faccia una ragione. Ora per favore, lasciami in pace. Ciao"

Riattaccò senza neanche darmi il tempo di salutarla; rimasi paralizzata. Ora avevo perso ogni più piccola speranza; la speranza di averla al mio fianco, di vederla con i suoi indumenti elegantemente femminili e quelle rare volte dove indossava vestitini, toccare la sua pelle, le sue labbra. Insomma mi ero giocata la possibilità di vivermi lei. Ero più desolata di prima. Per quanto amassi rimanere fuori nelle giornate estive, il sole incominciava a calare e mi trovavo ancora fuori casa, in mezzo ad un parco tetro. Era poco raccomandato negli orari serali, perciò mi alzai e me ne andai prima che gente losca potesse importunarmi. A questo punto non potei fare altro che tornare a casa. Percorsi le scale evitando di fare rumore per non disturbare gli altri. Una volta nuovamente nel mio appartamento, il caos dentro di me si fece mille volte più intenso. La notte scorreva lenta e tormentata. Non riuscivo più a sopportare tutti quei sentimenti e tutto quel tormento. Così...presi un coltello dalla cucina e tornai nel letto. 
Lo appoggiai sugli avambracci; la lama era fredda e ben affilata. Mi tagliai le braccia e mi distesi aspettando pazientemente la morte. Le mie vene si svuotavano più o meno lentamente, il letto si riempiva di sangue e io iniziavo a perdere i sensi. Tutto si faceva sempre più sfocato e buio. Anche il mio respirare era sempre più lento e debole. Passò qualche settimana, nessuno era venuto a trovarmi e nessuno mi aveva cercata al telefono, soltanto un paio di chiamate da operatori telefonici. Dopo sei settimane, qualcuno bussò alla porta del mio appartamento. Non vedendosi aprire e né sentendo risposta, una voce femminile iniziò a chiamarmi, cercando di capire se fossi in casa o meno. Era già capitato che fossi in appartamento ma che non rispondessi e non aprissi a nessuno. Mentre seguitava a chiamarmi non davo alcuna risposta. Al ché la voce femminile iniziò a lamentarsi del cattivo odore che sentiva provenire da dentro casa. Si sentì un tintinnio di chiavi e poi lo scattare della serratura. Solo Agnese aveva le chiavi del mio appartamento. Le usava principalmente quando non le aprivo perché non ero in casa o perché ero sotto la doccia. Andò avanti a chiamarmi guardando in ogni stanza. Infine giunse nella camera da letto. E fu lì che lanciò un urlo di terrore e disperazione. Trovò il mio corpo senza vita, sul letto inondato di sangue. Si avvicinò, mi prese tra le sue braccia e scoppiò a piangere implorando il mio perdono. Però non aveva nulla di cui essere perdonata. Non aveva fatto nulla. Avevo fatto tutto io. Uno dei vicini che aveva sentito l'urlo accorse a vedere cosa fosse successo e quando vide la scena, chiamò soccorso, anche se era palese che far venire un'ambulanza era del tutto inutile. In quel letto pieno di sangue, sul mio corpo senza vita, Agnese dichiarò di essere ancora innamorata di me e che, anche se non eravamo più una coppia, non avrebbe mai voluto che morissi. Parole che in un certo senso mi mettevano l'anima in pace, anche se era troppo tardi. I paramedici portarono via il mio corpo; con tutto il vicinato, che ovviamente, era venuto a curiosare, con i giornalisti venuti a fotografare come degli avvoltoi alla ricerca di cibo. Anche se fosse finita sui giornali sapevo che la mia storia sarebbe stata dimenticata molto presto. Non molto tempo dopo si tenne il mio funerale; pagato ed organizzato da Agnese. Mi dispiacque farle nuovamente del male ma sapevo, almeno, che sarebbe stato per l'ultima volta.
La morte mi donò un po' di pace. Tuttavia, meno di quanta me ne sarei aspettata.
  
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