First Burn
La luce aranciata
delle fiamme illuminava
il viso della donna, che se ne stava in ginocchio davanti al camino. Le
gambe lisce
adagiate sul pavimento, e le spalline del vestito che le ricadevano
sotto le
spalle muscolose.
Con la fede graffiava
una mattonella del
pavimento accanto alle epistole. Sciolse il laccio che teneva ferma la
pila di
lettere e ne prese una, portandosela davanti al viso, in parte coperto
da una
ciocca castana, sfuggita alla sua lunga coda di cavallo.
I suoi occhi
arrossati scivolavano lungo i
caratteri scritti in bella calligrafia sul foglio di carta. La donna
avvertiva
delle fitte al petto. Allungò la mano verso il fuoco,
sentendo il calore sulla
propria pelle.
Le fiamme danzavano,
e la giovane
assottigliò gli occhi.
Il giovane
fece un inchino, le sorrise, e le porse il braccio.
La ragazza
arrossì, chiuse il proprio ventaglio e vide che lui le
porgeva una mano,
coperta da un guanto candido. Appoggiò le dita tremanti su
quelle di lui, il
ragazzo l’afferrò per il fianco e le fece fare una
giravolta.
La ragazza
udì dei passi avvicinarsi e
abbassò la lettera.
< Dal momento
in cui ti ho visto ho
saputo che saresti stato mio...
Pensavo tu fossi
mio… >. Guardò la
propria fede brillare di riflessi aranciati al chiarore del fuoco.
“Makoto…”
si sentì chiamare.
Si voltò
lentamente e vide Nephrite sulla
porta, la barba incolta e i capelli legati, leggermente gonfi e
arruffati.
Kino si
alzò lentamente, indurendo
l’espressione e stringendo le labbra fino a farle sbiancare.
“Sai
cos’ha detto mia sorella Minako
quando le ho detto cosa mi hai fatto?” domandò.
Strinse così forte la lettera
da spiegazzarla. “Ha detto: “Hai sposato un Icaro.
Ha volato troppo vicino al
sole”.
Nephrite fece un
passo in avanti, una mano
tesa verso la moglie.
“NO!
Non fare un altro
passo nella mia
direzione” intimò Makoto. I suoi occhi erano
diventati liquidi e le bruciavano
sempre più forte.
Si voltò
di scatto, mentre Nephrite la
guardava smarrito, le sue iridi color metallo erano stinte.
Kino
giocherellò spasmodicamente con
l’orecchino a forma di rosa che portava al lobo, dimenando la
lettera davanti a
sé, continuando a dare le spalle al marito.
“Non posso
fidarmi di te. Quindi non
cercare di dire niente sulla faccenda, non c’è
niente con cui puoi scusarti,
non tentare neanche di raccontare l’accaduto a modo
tuo” lo liquidò. Strinse
gli occhi e si avvolse le braccia intorno al corpo, spiegazzando la
lettera
completamente.
< Non
c’è niente che puoi dirmi per
tornare tra le mie braccia… >.
Nephrite socchiuse le
labbra, ma impallidì
vedendo che Makoto gettava la lettera nel fuoco.
Kino si
piegò in avanti, prese il resto
del blocco e lo sollevò.
“Aspetta…
Cosa fai?” domandò lui,
riconoscendole.
“Puoi
guardare anche lo spettacolo da lì,
se vuoi. Io non so più chi sei.
In fondo, ho ancora
tanto da imparare” rispose
lei.
< Cosa mi
aspettavo? Che uno bello come
lui potesse amare una donna mascolina come me? Sono alta, goffa, e per
niente
attraente > pensò.
“Cosa
dici?” gemette Nephrite. Aprì e
chiuse un pugno, scuotendo il capo. “Cosa vuoi fare con le
‘nostre’ lettere?”.
“Le guardo
bruciare” rispose Makoto,
gettandole nelle fiamme. Il fuoco crepitante si fece più
alto e luminoso,
divorandole.
Nephrite
cercò di afferrarne una, ma si
scottò le dita, indietreggiò con un gemito. I
suoi capelli si sciolsero e gli
ricaddero arruffati dietro le spalle, il nastrino che li teneva fermi
precipitò
a terra.
Makoto si strinse le
braccia intorno al
corpo così forte da arrossarsi la pelle, tenendole sotto al
seno. Nelle sue
iridi verde scuro si rifletteva il fuoco del camino, mentre scorgeva la
carta
divenire cenere. Un ‘cara Makoto’ arrossarsi e
scomparire pian piano, arso insieme
alla lettera su cui era vergato.
“Quelle
erano important…”. Iniziò
Nephrite.
“Lo sono di
più le lettere che Rei ha
trovato! Hai portato ‘quella’ in casa nostra, nel
nostro letto.
Hai cancellato il tuo
buon nome, tutto ciò
che avevi fatto di giusto nella tua vita e così facendo hai
distrutto le nostre
esistenze!” gridò Makoto, sgranando gli occhi.
Un fulmine si
abbatté fragorosamente nel
giardino della casa, illuminando la stanza attraverso la finestra.
Azzurro e
arancio si fusero.
Nephrite
chinò il capo.
Beryl gli
passò la mano sul corpo candido, sfiorandolo con le unghie,
mentre con l’altra
mano gli teneva il mento. Socchiuse le sue labbra piene, si
piegò in avanti, il
suo corpo prosperoso era coperto solo dai voluminosi capelli rossi. Le
ciocche
vaporose sfioravano il fisico di Nephrite.
< Quelle
fiamme sono rosse, come gli
occhi di Beryl… > pensò l’uomo.
“Tutti
quelli che conosciamo non fanno
altro che bisbigliare, per colpa tua. Pensano che io sia solo una delle
tante e
che scrivere lettere ‘faccia parte di un qualche
schema’ per sedurre le
stupide…” lo accusò Makoto.
Nephrite
cercò di sfiorarle il braccio, ma
lei gli colpì la mano.
“COLPA
TUA!” sbraitò a pieni polmoni, gli
occhi sgranati.
Innumerevoli
ombre li circondavano, le labbra piegate in un ghigno. Li indicavano,
le risa
di scherno si facevano sempre più forti.
“Io te
l’avevo detto… Ti avevo avvertito. Avresti dovuto
ascoltarmi”. La voce di
Mamoru risuonava sulle altre.
Gli occhi di lui
divennero bianchi.
< Non li
sopporto più quei sussurri! Li
sento ovunque… Urlo per coprirli. Che il cielo vieti i
sussurri! > pensò
Kino, le gambe le tremavano e si ritrovò ad ondeggiare. Si
portò le mani alla
testa, continuando a gridare.
Nephrite
l’afferrò per le spalle.
“I-io…
non è così… Non è come
credi!”
gridò a sua volta.
Kino lo
spintonò via con forza, le labbra
le tremavano.
“Come se
non le vedessi tutte le altre
donne intorno a te. Come sorridi alla mia sorellina
Usagi…” ringhiò. Lo
spintonò ancora, costringendolo ad arretrare.
“Davvero
credevi che fossi così
ingenua?!”.
“Qua-quali…
altre?” chiese Nephrite, la sua
voce si spezzò.
Makoto
mise a terra suo figlio, il bambino ridacchiò saltellando
sul posto. I capelli
castani gli ricadevano arruffati davanti al viso, lei glieli
rassettò con
entrambe le mani, sorridendogli. Si raddrizzò e lo vide
correre dietro una
sedia.
Si voltò e
impallidì. Nephrite rideva, la mano tra i capelli. Davanti a
lui c’erano Usagi,
che lo guardava rapita, ed Ami, intenta a ridacchiare con le guance
imporporate.
“Sono tutte
lì che cadono nella rete del
tuo fascino” ringhiò Makoto, voltandosi di scatto.
Serrò i pugni al petto e
guardò ciò che rimaneva delle lettere, la carta
ancora intenta ad ardere.
“Non ce ne
sono altre… Non ce ne sono mai
state.
Makoto, ti prego,
ascoltami…” supplicò
Nephrite. Le lacrime iniziarono a solcargli il viso affilato,
scivolandogli
lungo la pelle pallida.
“Ascoltarti?!
Oh no, sarai tu ad ascoltare
me. Voglio che tutto il mondo, compresi gli storici del futuro,
sappiano come
ho reagito quando mi hai spezzato il cuore.
Ho buttato via tutto
e l’ho guardato
bruciare”. La voce di Kino era altera e sprezzante, resa roca
dal rancore.
Nephrite
passò lo sguardo da lei alle
fiamme, la testa gli doleva e sentì salire un forte senso di
nausea.
Makoto si
serrò il petto con la mano,
scossa da tremiti sempre più forti, le spalle curve. Le
sfuggì un singhiozzo
fragoroso, mentre iniziava a piangere.
“Quando
verrà il momento… Spiegalo ai tuoi
figli! AI TUOI FIGLI!
Ti rendi conto di
avere quattro bambini?! E li hai
maledetti… Saranno esposti alle
malelingue, ai bisbigli, allo scherno e chissà a che
altro!” ululò, fino a
sentire la gola raschiare.
“Lascia
stare i bambini fuori da questa
storia!” gridò il marito.
“Sei tu che
non li hai lasciati fuori! Non
li hai messi in conto quando hai tradito loro madre?!
Lo sai qual
è era la tua eredità? Noi!
Questa famiglia!
Ora, invece, di te si
ricorderà solo
questo tradimento!”. Makoto cadde in ginocchio, esausta, il
viso arrossato e le
lacrime che le erano scivolate fino al seno, gocciolando sul pavimento.
< Anche io
pensavo di essere tuo… >
pensò Nephrite.
< …
Mio… pensavo tu fossi mio… >. I
pensieri di Kino erano confusi.
Fuori dalla finestra
si era scatenata una
pioggia di fulmini.
Nephrite si
piegò in avanti verso di lei,
si trovò una mano posizionata davanti al viso.
“NO!”
concluse Makoto secca.