La nascita degli Yamamoto
Ieyasu teneva con fermezza le redini
del cavallo. La luce
del sole faceva brillare i suoi occhi, azzurrini come i capelli, di
riflessi
color ghiaccio.
Man mano che si avvicinava
all’accampamento sentiva il martellare
ritmico di un fabbro farsi sempre più prossimo, coprendo il
mormorio di voi.
Davanti a lui si profilavano innumerevoli banchetti di legno e diversi
carretti.
Ieyasu notò che lo stavano
tutti osservando e ghignò,
mostrando i denti candidi. La spada di legno alla sua cintola
ondeggiava,
circondata da anelli di fiamme di pioggia.
Sulla sua guancia spiccava un
tatuaggio a forma di lacrima.
Frenò il cavallo che
nitrì, scalciando innervosito. Con un
colpo di coda raggiunse una mosca che precipitò priva di
vita sul terreno
lercio.
“Eccovi qui,
feccia” dichiarò Ieyasu. Uno degli uomini
estrasse una pistola, se la ritrovò tagliata a
metà da un fedente.
Ieyasu guardò il proprio
riflesso nella lama in cui si era
tramutato il legno della sua arma.
“Voi Tekiya, con la vostra
merce truffaldina e scadente, visto
che non sapete nemmeno rubare in maniera intelligente quello che dovete
rivendere, dovreste essere più gentili con chi è
più potente” sibilò.
“Quello è il
marito della figlia dell’imperatore” disse uno
dei venditori, stringendo un carretto colmo di verdure.
“Si dice che Takumi sia
l’unica a riuscire a domare il figlio
di un demone”. Gli fece eco un altro, intento a coprire una
serie di oggetti di
finto argento rubati, ripiegati su loro stessi e anneriti.
“Demone?”
domandò un terzo.
“Sì,
è per metà straniero. Si dice venga da una terra
chiamata ‘Italia’”. Rispose un terzo, che
aveva intorno a sé i rimasugli dei
mobili di una camera da letto.
“Fino ad ora abbiamo
sopportato tranquillamente foste
fuorilegge, ma ora…
Non credete di star abusando delle
libertà che vi abbiamo
lasciato?” chiese Ieyasu.
“Cosa intendi fare? La
nostra società ha bisogno di noi
venditori ambulanti” gridò il capo della
combriccola. Estrasse due grosse lame
ricurve e le agitò davanti al ventre rigonfio.
“Vi
propongo un buon
patto” sussurrò Ieyasu.
“Rifiutare un patto
demoniaco è un cattivo presagio.
Potrebbe richiamare forze maligne e divine che ci
distruggerebbero”. Una donna
dal fisico slanciato aveva sussurrato all’orecchio
dell’omone.
Il gigante si deterse le labbra,
ondeggiando, con
espressione tentennante.
“Ho intenzione di fondare
una ‘famiglia’… Che si diverta ad
agire nell’ombra. Non perfettamente nella legalità
e voi… Potreste essere riforgiati
come una spada ormai spuntata per divenire la mia legione.
Avreste soldi, ricchezza, potere e
nessuno saprebbe mai di
voi” propose Ieyasu.
“Ci chiedi
lealtà?” domandò la donna.
“Siamo già
ricchi. Che altro potremmo ricavarne?” domandò il
grassone.
“La possibilità
di compiere qualsiasi efferatezza, crudeltà
o atto di sangue, non solo non venendo poi puniti, ma addirittura
venendo
premiati per questo.
Vi chiedo di essere fedeli a una
ferocia ben ottimizzata.
Se credete di essere liberi e
mostruosamente ricchi adesso,
vedrete in pochi anni cosa vi renderò” rispose
Ieyasu. I suoi occhi brillarono
e la sua fisionomia fu circondata dalle fiamme di ghiaccio della Terra.
Il ciccione ghignò.
“Ora parli la mia lingua,
demone” sibilò.
Il brusio si fece un vociare
indistinto e il fabbro si
fermò, smettendo di martellare.
La donna accarezzò il
pugnale al proprio fianco.
“Come si
chiamerà questa famiglia?” domandò.
“Vooooi! Si
chiamerà Yamamoto” rispose Ieyasu con tono
esaltato.