In abissi
profondi noi ci perderemo
ATTO I
L’ASTUTO
DIO DELL’INGANNO
“Adesso
mi vedi, fratello?”
Thor
si sporse quel tanto che bastava per osservare gli occhi folli e
allucinati di
Loki oltre il pesante reticolo delle grate. Il dio
dell’inganno sorrideva,
sfoggiando un ghigno folle e disperato assieme su cui spiccavano i
denti
bianchi e perfetti. Era diventato pazzo, dicevano. La risata fresca e
allegra
che aveva quando erano ragazzi era sparita, nascosta inevitabilmente
sotto
l’amarezza di una pena insopportabile di cui anche
lui, il nobile Thor, il possente dio del tuono, era
l’artefice. In ceppi, brutalmente costretto contro la parete
umida della cella,
suo fratello lo fissava divertito assottigliando appena gli occhi
offesi dalla
luce cui non era più abituato.
Non
gli erano mancate le battute salaci e arroganti neppure quando il
tonante lo
aveva trafitto con la spada. Loki si era guardato la ferita orrenda
quasi con
soddisfazione, come se quell’ultimo colpo fosse
nient’altro che il tassello di
un piano più grande ingegnato con cura. Eppure, le dita
affusolate e sporche di
sangue avevano tremato, così come tutto il suo corpo agile e
nervoso. Il sorriso
sghembo si era spento insieme al
suo sguardo. Aveva provato a trattenere con le mani le viscere e il
sangue,
balbettando l’ultima battuta all’indirizzo
dell’erede di Odino, ma senza poter mettere
a fuoco gli occhi azzurri di Thor bagnati di pianto. Non era riuscito
nemmeno a
sentire le sue suppliche. Era caduto, invece, con le orecchie che gli
fischiavano e lo sguardo di smeraldo cieco, perso, distante.
Come
adesso. Piegò leggermente il capo di lato,
increspò le labbra in una smorfia
carica d’amarezza. “Perché sei qui,
figlio di Odino?” cantilenò. “Per
osservare
il tuo trofeo?”
C’era
una nota di risentimento, nella sua voce. Un impercettibile tremore che
aveva
incrinato il sarcasmo beffardo del fratello e non era sfuggito a
nessuno dei
due, di cui Loki stesso probabilmente si pentì,
perché contrasse la mascella
affilata con dispetto. Gli aveva mostrato la crepa, il dolore, la
sofferenza, e
lo aveva fatto con quella sola nota stonata, sbagliata. Eppure, anche
Thor era
rimasto turbato dall’accusa per niente velata
perché, come spesso accadeva,
Loki aveva ragione. Il punto è che per ingannare occorre
convincere, essere
ambigui, far leva sulle speranze della propria vittima riuscendo a
instillare
nel suo cuore la fiducia. Per tessere una simile tela,
l’essenziale è confessare
una verità plausibile, accettabile, anelata persino. E
coprirla delle menzogne
necessarie, ovviamente.
Thor
sapeva tutto questo, ma lo dimenticò quando vide il profilo
elegante di Loki e
riconobbe la sfumatura verde e trasparente dei suoi occhi. Fu tradito
dal
proprio lancinante senso di colpa. Durante il loro ultimo
combattimento, lo
aveva colpito con l’intento preciso di ucciderlo, strapparlo
alla vita, e suo
fratello lo sapeva, lo aveva capito, perché prima di essere
avversarsi erano
stati alleati per una vita intera – secoli addirittura
– e questo non si poteva
cancellare. Sì, Thor aveva alzato la lama senza dosare la
forza né calibrare il
peso del colpo, e quando la spada aveva attraversato la carne di suo
fratello
era stato scosso da un brivido d’orrore e
qualcos’altro. Soddisfazione.
“Non
sei un trofeo, Loki, ma mio fratello.”
Il
dio dell’inganno si guardò le mani bianche, dalle
lunghe dita di mago, un tempo
rosse. “Curioso cambio di prospettiva,”
osservò, come se non gli importasse
nulla della cicatrice che gli offendeva il fianco e quasi lo aveva
spedito in
Hel.
La
reazione del tonante fu violenta. Diede un pugno al muro tale che le
grate
vibrarono, masticò una bestemmia. “Ti
ho
inseguito per i Nove Regni e ti ho dato la caccia perché tu lo hai voluto. Hai tradito la mia
fiducia su Svartlfheim e hai
rubato il trono di nostro padre.”
Una
pausa. “Tuo padre,” puntualizzò Loki
inclinando leggermente il capo,
assottigliando gli occhi chiari. “Un re spietato che mi ha
usato, un sovrano
dispotico, un pirata. Dove ha trovato l’oro che ricopre ogni
parete di Asgard,
fratello? Dove ha nascosto i generali che di certo l’hanno
aiutato a compiere
il suo disegno?”
In
piedi di fronte al prigioniero, immobile nella penombra del
sotterraneo, Thor
avvampò. “Che cosa stai insinuando?”
Ghignando,
Loki si sporse verso il fratello accompagnato dal clangore metallico
dei ceppi.
“Che sei ingenuo e folle, Thor. Che credi a tutto –
a lui in particolare – e
pendi dalle sue labbra bugiarde come ho fatto io per troppo,
decisamente troppo
tempo.” Amarezza e compiacimento avevano colorato la sua
voce, come se il suo
rammarico per quello che era stato fosse reale, vero.
L’erede
di Odino strinse i pugni fino a sentire dolore. In un altro tempo, una
simile
accusa lo avrebbe spinto a spaccare con Mjollnir le grate e a scaricare
tutto
il disgusto che nasceva da quell’accusa su Loki. Ma il
tonante non era più un
ragazzo irruento e impulsivo. Era un uomo, un eroe, il difensore dei
Nove
Regni. Il peso del suo ruolo gli gravò sulle spalle, senza
tuttavia poter
lenire la ferita per il tradimento che credeva, una volta di
più, di aver
subìto. Scosse il capo. “Tu osi accusare lui? Lingua d’Argento, non ho
sentito una sola parola vera uscire dalla
tua bocca da quando sono qui e anche prima. Non crederò
più alle tue bugie.”
Non
Loki, non fratello. Lingua d’Argento. Appellativo affibbiato
un tempo lontano con
ammirazione e dispetto, che ora fece increspare le labbra del diretto
interessato in un sorriso sottile, soddisfatto. Loki alzò il
braccio e, di
nuovo, le catene tintinnarono.
“Allora
vattene, che aspetti? Che ci fai ancora qui? Sei venuto per
schernirmi?”
Stavolta
fu Thor, a esitare. Non trovò le parole. Il discorso che si
era preparato
mentre scendeva con passo sicuro le scale che conducevano alle prigioni
svanì
dalla sua mente, e il dio dell’inganno lo vide, colse il
disappunto e lo
smarrimento. E la cosa gli piacque. Il tonante si inumidì le
labbra. “Volevo
avvisarti che lei se
n’è andata.”
Loki
puntò lo sguardo a terra, osservò la
sommità leggermente consunta dei suoi bei
stivali di pelle, serrò la mascella affilata. Non poteva
dire di essere
sorpreso. Nella sua mente, aveva già vissuto quella scena
infinite volte, perso
com’era nel suo continuo disegnare ipotesi e illazioni volte
a modificare il passato,
distorcere il presente, predire il futuro. Calò il silenzio,
rotto solamente
dal ticchettio distante di un gocciare lontano. Forse Loki non era
disposto ad
ammettere che lei era stata un balsamo per le sue ferite. Una ragazza
che era
scesa per disinfettare e cambiare le bende di quel fianco offeso e
aveva finito
per arrossire sotto le sue occhiate furbe e ammiccanti, di
nuovo.
“No.
Me l’ha portata via.” Una puntualizzazione
necessaria, una smentita decisa.
Thor, i cui occhi azzurri non riuscivano a mascherare il senso di colpa
atroce
per la brutalità di quel colpo antico inferto con rabbia e
soddisfazione,
scosse la testa.
“Ti
amava, un tempo,” gli ricordò lentamente.
“Le si spezzò il cuore quando cadesti
dal Bifrost. Pianse la tua morte a lungo.”
E
la piange ancora. Loki avrebbe
voluto dirlo, gridarlo,
sbattere la verità in faccia al suo fratello quasi perfetto
che ancora si
struggeva per aver desiderato – una volta, una soltanto
– colpirlo per
ucciderlo. Solo che Sigyn apparteneva alle cose cui Loki aveva scelto
di rinunciare
per inseguire la gloria e il potere; era e sarebbe rimasta per sempre
l’eco
dolorosa di un amore perduto, smarrito, dimenticato. Che in lei si era
riacceso
all’improvviso di fronte a uno sguardo e a una ferita quasi
mortale – bugia,
non si era mai spento, limitandosi a rimanere per anni a covare sotto
la cenere
– e che lo scaltro Odino, per il presunto bene di Asgard, si
era affrettato a
soffocare. Così, Sigyn aveva perso due volte
l’uomo che le Norne avevano deciso
dovesse amare in maniera ostinata e disperata.
L’ingannatore
si tormentò le dita con un gesto nervoso. “Mi
rimarrà fedele per sempre. È
nella sua natura.”
“Come
lo è nella tua tradire.”
“Tuo padre. È stato
lui.” L’ingannatore
masticò le parole con lentezza, per accertarsi che si
incuneassero nel cuore
troppo nobile del fratello, cariche di tutto il loro significato.
“Non ha
sopportato che mi sorridesse,” aggiunse con un ghigno.
“Si libererà anche di
te, sai? Un giorno scuoterà il capo e ti dirà che
non sei più degno. Come
quando ti esiliò su Midgard.”
“L’ha
fatto perché dovevo comprendere, maturare. La sua punizione
fu giusta.”
“Ma
davvero?! Interessante teoria.” Loki parve animarsi, il suo
sguardo si
rischiarò immediatamente. “Dunque, tutto quello
che dice il buon vecchio Odino
è giusto, assolutamente coerente, lungimirante,
inappellabile, perfetto.”
Assottigliò gli occhi come per scrutarlo meglio e sorrise
stirando le labbra
sottili, ironiche, bugiarde. “E dimmi, quando nostra madre
è morta e sei andato
a implorarlo di non combattere una guerra inutile, ti è
parso giusto? Mi hai
tirato fuori da una cella ben più grande e luminosa di
questo buco, hai
disobbedito a una sua precisa direttiva
perché…”
“Basta,
Loki.” Un altro colpo sul muro, un ringhio malcelato che Thor
non riuscì a
trattenere tra i denti.
L’altro
non si turbò affatto per quel repentino cambio
d’umore. “No, non basta.”
“Cercavo
la vendetta.”
“Una
che lui ti negava.”
“Che
cazzo vuoi da me?” Di nuovo, Thor era esploso.
Gli
rispose una risata breve e cattiva. “Ti ho fatto
già perdere le staffe,
fratello?”
“Trai
il tuo divertimento da eventi orribili, ti approfitti di tragedie come
la morte
di nostra madre,” lo accusò Thor con una voce roca
e terribile. “Provo pena per
te. Avresti potuto essere qualcosa di più che un truffatore
rinchiuso in una
cella dove non riesci nemmeno a stendere le gambe, Loki. Eri
il dio degli inganni e del caos, ma la tua abilità di
convincere e creare avrebbe potuto
regalare ad Asgard e ai Nove Regni tutti nuove possibilità e
ricchezze.”
L’altro
non batté ciglio. “L’ho fatto, in
passato. E qual è stato il prezzo? Cosa ho
ottenuto? Disse che non ero degno.”
“Ci
hai
traditi,” gli ricordò il dio del tuono con aria
offesa, il viso contratto in
una smorfia di disgusto e rancore.
“Mi
avete ingannato.”
“Io
no! Non l’ho mai fatto! Eri mio fratello!”
L’erede di Odino si sentiva
esasperato e sconfitto dalle labbra ghignanti e sinistre dello suo
scaltro interlocutore.
La prigionia non lo aveva né piegato né,
tantomeno, spezzato. Loki era lo
stesso Ase arrogante e superbo che era entrato in quella cella
complimentandosi
con lui per la sua cattura. Steso su una barella, nemmeno in quel
frangente era
riuscito a trattenersi dal concedere agli astanti una battuta pungente
delle
sue. L’immagine del fratello sofferente gli tornò
alla mente con vivida e
dolorosa precisione e fece male, faceva sempre male.
“Lo ero, Thor?” I ceppi
cigolarono
nuovamente. “Quando mi hai colpito al fianco con quella lama lo ero?”
“Chi
mi ha costretto a farlo, chi?” Thor vide Loki ritrarsi
nell’ombra, fissarlo con
malizia.
“Era
l’unica maniera. Non capisci? Dovevo liberarmi di lui. Non mi
avrebbe graziato
nemmeno dopo essere tornati da Svartlfheim,”
ricordò il dio degli inganni
lasciando che lo sguardo corresse di nuovo altrove, sulle mura umide e
spesse
che lo circondavano. I suoi occhi verdi, altrimenti sempre vivaci e
acuti,
avevano a volte un’espressione vacua, disorientata, persa. Il
dio del tuono se
ne rese conto con amarezza e un’altra stilettata gli
graffiò il petto, perché
non aveva potuto fare niente per suo fratello. Era andato a cercarlo in
giro
per i mondi nella speranza di recuperarlo, farlo ragionare, riportarlo
a casa;
aveva fallito. L’unica cosa che era stato capace di fare
spiccava ancora sul
fianco dell’altro ed era stata infliggergli quella ferita
quasi mortale che lo
aveva lasciato boccheggiante e sconfitto, grondante sangue. Per
soffocare
quell’azione indegna e il ricordo doloroso, parlò
ancora e lo fece con voce
grave, solenne, un filo ironica, persino.
“E
ora dimmi: sei libero, Loki? Adesso che non hai più una
patria, un nome, una
casa da proteggere, ora che sei bandito dall’unico luogo che
ti era caro – non
negarlo, non osare, non mentire, per le Norne – adesso ti
senti libero? Hai
perso ogni cosa, persino Sigyn. Sei un reietto, ma sei
libero?”
Il
dio degli inganni non rispose immediatamente. Si leccò le
labbra secche,
ragionò sulla risposta giusta da dare. Forse,
pensò persino a quello che aveva
perso.
“Sono
libero, sì,” ammise infine con fermezza, la voce
trasognata eppure vibrante.
“Libero dall’illusione di poter decidere per mio
conto, dalla menzogna di
un’esistenza passata a combattere per una causa
più grande. Per Asgard.
Così dicono i tuoi ridicoli
amici. Uccidono e conquistano, per Asgard.
Non lo trovi ironico e buffo fratello? Sono il dio
dell’inganno. Manipolo la
realtà e gli eventi, li piego per costringerli a seguire la
mia volontà, eppure
quello che faccio davvero è semplicemente mostrarvi
l’altra faccia della
medaglia.” Fece una pausa e guardò Thor da sotto
le sopracciglia scure. Il dio
del tuono continuava nonostante tutto ad ascoltarlo, incapace di
andarsene,
sempre meno in grado di smentirlo.
“Perché
sei ancora qui, Thor? Perché mi credi,” sorrise.
Labbra stirate in un ghigno di
lupo che avrebbe dovuto mettere in guardia il dio del tuono, ma non lo
fece,
non abbastanza, almeno. “Una parte di te, una piccolissima,
infinitesimale zona
del tuo cervello sa che Odino ha molte ombre, forse troppe.”
“Bada
a quello che dici, Loki. Stai parlando di nostro padre.”
L’ammonizione
del dio del tuono ebbe in risposta solo un ghigno feroce e una battuta
amara.
“Ricorda Hela. Ricorda dov’è finita la
più potente arma del dio delle forche.”
Fu
allora che Thor rabbrividì. Fu un sussulto improvviso che
salì dalla parte più
profonda del suo essere scatenandogli un senso di repulsione imprevisto
o forse
taciuto per troppo tempo: dal giorno nefasto in cui aveva scoperto la
tragedia
di Loki, dal momento terribile in cui si era reso conto di aver
infilato la
spada nel fianco di suo fratello, per le Norne, suo
fratello e di aver affondato la lama con tutta la sua forza
lacerandogli la carne, gli organi, l’anima.
Perché? Per far rispettare la
giustizia dei Nove Regni, per l’equilibrio che sempre
dovevano mantenere tra
loro i mondi che si reggevano all’Yggdrasill. Thor aveva
sempre creduto che suo
padre fosse dotato di una saggezza che aveva i tratti della
preveggenza, ma di
fronte alla scelta di adottare Loki e nascondergli la verità
per tutta la vita
si era chiesto se davvero Padre Tutto fosse così
lungimirante come gli era
sempre sembrato.
La
verità è che le insinuazioni di Loki, le sue
spiegazioni efficaci e pungenti, i
suoi racconti, avevano già iniziato ad attecchire da tempo
nel cuore del
tonante. Del resto, per ingannare bisogna confondere, irretire,
convincere
giocando con la realtà e con la menzogna e arrivando a
mescolarle insieme. Così,
in quella sera separata dal tempo, in quel sotterraneo lugubre e
sporco, lentamente,
inesorabilmente, crudelmente, le bugie di Loki avevano iniziato a
insinuarsi
come delle verità, assiomi, formule magiche esatte capaci di
legargli il cuore
e la mente. Sì, suo fratello aveva parzialmente ragione, su
certi argomenti:
oltre i ghigni sghembi, dietro le occhiate gelide e taglienti, sepolta
dal tono
ora irriverente ora mortalmente serio della sua voce incantata,
c’era la verità
nuda e cruda. E una parte di Thor lo aveva sempre saputo.
Odino
li aveva usati da quando erano nati, anteponendo senza remore il bene
di Asgard
al loro, sostenendo che gli interessi del regno dovessero combaciare
per forza
con i desideri che animavano lui e suo fratello. Non era solo Loki, la
più
tragica delle reliquie rubate di Asgard, ad essere stato ingannato e
manipolato
come una marionetta nelle mani del suo burattinaio. Lo era anche lui,
Thor, cui
non spettava nemmeno la primogenitura. Suo fratello aveva insinuato di
aver
scoperto, una volta, un varco segreto dov’era nascosto un
esercito di scheletri
e un lupo enorme, di aver scorto, in affreschi mai visti, la figura di
una
guerriera di nero vestita. Non fidandosi, il prode dio del tuono era
andato a
indagare seguendo l’eco delle sue frasi bugiarde, e aveva
scoperto una realtà
amara, nascosta, seppellita sotto nuovi affreschi, ma non per questo
meno
reale, presente, vera. Quello che era toccato a Hela e stava capitando
a Loki,
sarebbe stato anche il suo destino, un giorno. Le Norne avevano filato
per loro
un fato amaro: quello di essere armi ormai inutili, rinchiuse in
prigioni umide
e buie o esiliate nel regno che apparteneva ai morti. Eppure, le parole
di Loki
non avevano ancora avvelenato del tutto il cuore di Thor. Erano
riuscite a
infilarsi negli interstizi dei suoi pensieri come delle gocce di
pioggia che
penetrano e si insinuano nella terra e scavano la roccia lentamente,
inesorabilmente, crudelmente.
Così
si chiuse il primo atto. Con una
verità distorta, osservata da una prospettiva diversa,
impossibile da
cancellare o ignorare. Come la voce, roca e suadente, di Loki Lingua
d’Argento.
ATTO II
LO SPIETATO DIO
DELLE FORCHE
Loki rideva
nella sua cella stretta e
senza luce e la sua risata, secca e priva di gioia, si infrangeva
contro le
mura umide della prigione, suscitando nelle guardie un misto di
rammarico e
tensione. Thor attraversò i corridoi sotterranei che
conducevano alla sua cella
a passo svelto, il viso contratto in un’espressione di
stupore e sgomento. La
voce di suo fratello echeggiava sinistra, carica di una nota folle e
dolorosa
assieme.
Sarebbe bastato
che parlasse. Che
confessasse i legami presunti con il Titano Folle, che ammettesse di
aver
cercato il Tesseract per suo conto e svelasse il segreto della gemma
scintillante che, quand’era su Midgard, adornava il suo
scettro. Non lo aveva
fatto. Dalle sue labbra non era uscita una sola sillaba,
così come non era
stata pronunciata, a suo tempo, una delle scuse che Brokk il Nano
meritava. Come
allora, la pena scelta da Odino era stata severa, forse troppo. Loki
avrebbe
confessato a qualsiasi costo. Il
dio
del tuono giunse di fronte alle grate spesse, avvicinò la
torcia per vedere
meglio, maledicendosi per non essere intervenuto prima. La luce tremula
illuminò malamente la stretta cella gettando ombre cupe di
fronte a sé.
Loki era altero,
elegante e aveva il
portamento di un re. Non poteva essere lui, quella cosa che giaceva
abbandonata
come una bambola rotta, incatenata a due ceppi che scintillavano
sinistri nella
semioscurità. Thor si avvicinò lentamente, come
se stesse camminando su una
lastra di vetro, continuando a fissare l’uomo imprigionato:
la testa gli
penzolava sul petto nudo, il viso era coperto da una massa scura e
scarmigliata
di capelli che avrebbero potuto essere simili a quelli del fratello. Il
prigioniero non alzò il capo, sentendolo avvicinarsi; era
troppo concentrato ad
ascoltare il rantolo affannato del proprio respiro. Forse si trattava
del suo ennesimo
scherzo. Ancora un paio di passi e un fascio di luce verde avrebbe
attraversato
la sua figura, l’illusione sarebbe sparita e Loki, sano come
un pesce, lo
avrebbe canzonato per la sua dabbenaggine con occhi vivaci e una
battuta salace
sulle labbra sottili. Del resto, solo pochi giorni prima era sceso in
quello
stesso sotterraneo e si era divertito a stuzzicarlo e a provocarlo.
Si
avvicinò ancora, e vide che il muro
dietro il mago era coperto di minuscoli segni, piccole rune complicate
che Thor
riconobbe, ma che non era in grado di sciogliere né di
evocare: il loro scopo
era impedire che l’ingannatore si liberasse grazie a qualche
incantesimo. Gli
venne in mente, all’improvviso, Loki bambino, col suo sorriso
furbo e lo
sguardo di smeraldo, che tracciava simboli su un foglio e tentava di
spiegarli
a lui. Mentre glieli indicava, imitava involontariamente Odino,
replicandone la
postura regale, il modo di scandire le parole grave e posato, il
sopracciglio
corrucciato, persino. E lui si distraeva, non lo stava a sentire e,
tirandogli
la manica della veste, lo invitava ad andare a giocare. Il ricordo del
passato
sfumò via con amara nostalgia. Il biondo Ase
abbassò lo sguardo azzurro e
limpido verso il dio degli inganni incatenato.
Non poteva
essere suo fratello, il
fiero figlio che Odino aveva adottato, la lingua d’Argento di
Asgard, l’uomo di
fronte a lui. Seguì con occhi umidi le dita gonfie,
contratte, spezzate e
ridotte in una posa innaturale, volte al cielo impossibile da vedere,
verso Midgard,
forse, stella lontanissima e indimenticata. Loki aveva mani belle, dita
agili,
con cui maneggiava pugnali affilati e sferrava colpi letali,
rapidissimi. “Che
importa,” diceva altezzoso, “se gli spacchi la
testa in due con la tua spada a
o gli infili un coltello in pancia? Il risultato è lo stesso
e, nel tempo che
tu impieghi ad abbattere col tuo possente braccio un nemico, io coi
miei
coltelli ne faccio fuori due.”
Pietà
e rancore gli mordevano il cuore,
eppure una voce nella testa – quella della ragione, forse
– gli gridava
disperata che di Loki non ci si poteva fidare. Mentiva, tramava,
ingannava,
manipolava la realtà, confondeva chi lo ascoltava. Era la
sua specialità e lui
traeva divertimento dalla confusione che generava, gli piaceva. Era il
signore
del caos, in fondo. Aveva finto di essere morto non una, ma due volte e
non gli
era importato del dolore che il suo scherzo idiota aveva causato nel
cuore di
chi ancora lo amava. L’ultima malefatta che stava scontando,
era quella di aver
cercato di prendere il trono del loro padre in persona, e solo un caso
fortuito
aveva permesso che il suo orrendo inganno fosse scoperto. Thor si
ripeté queste
parole e molte altre, mentre si chinava sul fratello adagiato contro la
parete
come fosse una bambola rotta.
“Loki,
mi senti? Mi riconosci?”
La gracchiante e
secca risata del prigioniero
aumentò d’intensità, forse in risposta
alle parole del dio del tuono,
trasformandosi in qualcosa a metà strada tra un singulto e
il rantolo soffocato
di chi non ha più aria nei polmoni. Thor allungò
la mano e toccò la spalla del
fratello. Sotto le dita, sentì il muscolo tendersi,
scattare: Loki alzò di
colpo la testa con uno scatto repentino, fissando un punto indefinito
della
cella e poi lui.
“Alla
fine sei tornato, fratello.”
“Mi
hanno detto cosa ti è successo,”
disse senza mezzi termini il dio del tuono.
L’altro
parve rianimarsi. “Davvero? E
cosa mi è successo, Thor?”
“Mi
hanno raccontato che sei stato
interrogato da nostro padre. Voleva che gli spiegassi nel dettaglio il
tuo
rapporto con Thanos. Ti sei rifiutato.” L’erede di
Odino aveva parlato con
difficoltà, cercando di sintetizzare in poche battute voci e
dicerie oscure che
gli avevano fatto aggrottare le sopracciglia.
Il dio degli
inganni scosse con
veemenza il capo e rise di nuovo in quel suo modo terrificante e triste
insieme. “Mi ha torturato,” precisò
ilare, ma i suoi occhi verdi erano carichi
di un rancore gelido e terribile. Contrasto che non poté
sfuggire all’altro.
Del resto, certe cose diventano vere solo quando si dà loro
il giusto nome.
Thor tentò di inghiottire il disagio che
quell’affermazione detta con voce
sicura gli provocava.
“Non
è vero. Qualcosa è andato storto,
tutto qui,” spiegò senza crederci davvero.
Come se potesse
leggergli nel pensiero
senza nemmeno sfiorarlo, l’ingannatore stirò le
labbra in un sorriso sbieco e
crudele. “Ha sbagliato dose, il nostro dio
delle forche. Ha messo troppo seiðr. Ci
crederesti?”
“Se tu
avessi raccontato immediatamente
la verità lui…”
“La
conosceva,” lo interruppe Loki con
rabbia. “Non gli ho mentito. Mi ha torturato
perché desiderava farlo. Per
punirmi.”
“È
stato un incidente, fratello.”
L’altro
scosse la testa e scoprì i
denti come fosse una fiera pronta ad azzannare. “Non
è questo quello che si
dice in giro, non è vero, Thor?”
“Sei
un mago potente,” glissò il
tonante. “Voleva solo essere sicuro di ottenere la
verità. Una bruciante,
scomoda, terribile verità che ti tenevi dentro da mesi,
anni. Cosa aspettavi a
dircelo?”
Silenzio. Loki
scosse lentamente la
testa, deciso a riportare il discorso sulla strada che gli interessava:
quella
della punizione ingiusta inflittagli da un vecchio crudele.
“Io sono un mago
potente, certo, ma lui è il dio della magia. Come ha potuto
confondersi e
sbagliare? Forse è troppo vecchio per il trono?”
“Il
trono, certo. La tua ossessione.”
Ora Thor ricordò, comprese dove voleva andare a parare il
fratello con le sue
insinuazioni oscene. “Dicono che sei diventato pazzo, Loki,
che la magia di
nostro padre ti ha fatto perdere definitivamente il senno. È
una menzogna: lo
hai perso da tempo, da quando ti sei lasciato infettare il cuore dalla
gelosia
e dalla brama di diventare re. Su cosa regnerai, Loki, quando Thanos
verrà qui
con le sue truppe? Credi che risparmierà il luogotenente che
ha perso un’armata
intera di Chitauri su Midgard? Davvero è così
misericordioso, il Titano folle?
La tua mente non si è persa per un incantesimo di nostro
padre. Se n’è andata
molto tempo fa.”
Sentendo
pronunciare il nome del suo
passato alleato – padrone? – il dio degli inganni
inarcò un sopracciglio. Forse
dovette fare uno sforzo tremendo, affinché non trasparisse
nessuna emozione sul
suo bel viso affilato. Solo un’ombra preoccupata gli
velò lo sguardo, ma Thor
era troppo offeso e fuori di sé per accorgersene. Del resto,
a volte ci
sforziamo di fare caso ai dettagli importanti e poi, quando questi si
manifestano, li ignoriamo, non li osserviamo.
“Interessante,
il tuo sfogo, davvero.”
Loki pareva ammirato, divertito. C’era, in lui,
un’inquietudine perenne, ben visibile
nel gesto continuo di tormentarsi le belle dita eleganti. Era vero,
l’incantesimo di Odino aveva lasciato su di lui pesanti
strascichi. Qualcosa,
in lui, si era spezzato, quando Padre Tutto aveva pronunciato le sue
rune. “Lascia
che ti rifaccia la domanda, Thor, ti prego. Su cosa regnerai, quando
Thanos
verrà qui con le sue armate? Credi che
risparmierà il sovrano che gli ha ceduto
lo scettro?”
Thor
illividì, mentre l’ombra di un
sospetto ingiusto gli gelava il cuore. “Di cosa stai
parlando?”
“Tratterà,
Thor. Come ha sempre fatto.
Io ho tentato di allontanare lo sguardo di Thanos da Asgard per tutto
questo
tempo e lui, invece, premerà per un accordo,”
rivelò l’altro con un candore
maligno, compiaciuto, divertito.
“Tu
menti.”
“Chiediglielo
allora, avanti. E
domandagli come mai ha sbagliato. Fatti dire come è stato
possibile. Riporta la
giustizia ad Asgard e salva l’onore degli Asi evitando di
ridurre il popolo in
schiavitù,” insistette Loki sicuro.
“Tu
sei pazzo.”
“Possibile,
probabile,” ammise l’ingannatore
con un sorriso furbo. “In fondo, dopo quello che ho passato
sarebbe persino auspicabile,
presumo. Ma questa ipotesi
non cambia la realtà delle cose. Odino non
cercherà uno scontro diretto con
Thanos. Come con gli Elfi Neri, ti ritroverai nella spiacevole
condizione di
dover necessariamente contravvenire apertamente ai suoi ordini, con il
rischio
di finire come me.”
“Non
temo la prigionia, fratello,” fu
la risposta orgogliosa.
“Nemmeno
io l’ho mai temuta,” disse
Loki fiero, alzando il mento con fare regale. “A
terrorizzarmi, è quello che
avverrà quando il Titano si presenterà
qui.”
“E tu,
in quel caso, cosa suggeriresti
di fare, fratello?”
Loki si
inumidì le labbra soddisfatto e
spiegò ogni cosa, raccontando, con voce bassa e suadente,
una storia che
parlava di una manciata di gemme perdute dotate di un potere infinito,
illimitato, spaventoso. E Thor rimase ad ascoltarlo credendo fino
all’ultima
delle sue parole, perché era più facile lasciarsi
incantare da Lingua d’Argento
che pensare di aver perso completamente la propria famiglia. Il seme
del
sospetto, già piantato nel suo cuore, crebbe e si
sviluppò mangiando ogni cosa,
lasciando aperta la spirale del dubbio, trascinando con sé
considerazioni come
la fedeltà e molte altre cose. E poi le parole di Loki
sembravano vere, anzi lo
erano: rappresentavano semplicemente la prospettiva diversa da cui
guardare le
cose. Seguendo il suo suggerimento, Thor avrebbe potuto evitare che
Asgard si
piegasse al volere di un mostro in cerca di un equilibrio inesistente e
impossibile da raggiungere. Come? Combattendo come era giusto che un
Ase come
lui facesse.
“Prendi
il comando, Thor. Io so cosa
vuole il Titano, e ora lo sai anche tu. Ti ribellerai comunque al
volere di
Odino. Segui me, ascoltami. Liberami. Rintracciamo insieme le gemme.
Noi Asi
siamo pirati, in fondo. È così che abbiamo creato
il nostro impero. Cercando,
depredando e saccheggiando tesori e reliquie. Non permettere a un
vecchio
stanco e crudele di condannare Asgard alla distruzione. Se tanto
dobbiamo
morire, non è forse meglio farlo lottando? Perché
noi moriremo, Thor, se
l’ombra di Thanos coprirà la terra di
Asgard.”
Poi rise ancora
con quella sua risata
agghiacciante, disperata e sorda, carica di un dolore che forse nemmeno
Lingua
d’Argento poteva raccontare. Eppure c’era davvero
una gioia liberatrice, in
quella specie di grido ferino. Una felicità malsana che
nasceva dalla
consapevolezza di avere finalmente piegato Thor al suo pensiero. Il
prode dio
del tuono, il salvatore di Asgard e dei Nove Regni, sarebbe uscito da
quel
sotterraneo per correre da Odino in cerca di risposte, spiegazioni e
vendetta.
Tutte cose che Padre Tutto non era ancora disposto a concedere,
sconvolto
com’era dalla morte di Frigga, dalla vecchiaia e dal
tradimento. Loki rise
nella sua cella stretta e senza luce guardando ogni cosa e nessuna, la
mente
arrotolata in pensieri contorti e ricordi falsi e bugiardi come la sua
lingua
affilata e salace.
Così
si chiuse il secondo atto: con un eroe caduto nell’abisso.
ATTO III
IL FURIOSO DIO
DEL TUONO
Odino
scosse la testa e rise, ma senza gioia. Lo avrebbe dovuto prevedere,
immaginare, sospettare. La conoscenza ottenuta grazie alla fonte di
Mimir glielo
aveva suggerito quando, incerto sul da farsi e molto più
giovane di adesso,
aveva posto la domanda fatale.
“Cosa
sarà, Loki? Quale potrà essere
il destino del principe che gli Jotnar hanno scartato e lasciato morire
su un
picco di ghiaccio, che io ho raccolto in un misto di pietà,
avidità e bisogno?
Un ostaggio rubato, un futuro alleato, un avversario
riottoso?”
Heimdall
gli aveva confessato che Thor era sceso nelle prigioni e
c’era rimasto a lungo,
troppo. Aveva parlato con Loki, era rimasto ad ascoltare le sue storie
affascinanti e bugiarde, seguito i suoi ragionamenti falsi e acuti.
Padre Tutto
pensò che aveva avuto altri figli, ma il suo brillante erede
a loro aveva
sempre preferito quello sottratto alla morte e al ghiaccio e a lui solo
si era
legato. Loki, figlio condannato dal momento della nascita, sbagliato e
contorto
eppure perfetto e amato come gli altri, più
degli altri. Perché Odino aveva sempre saputo che il dio
dell’inganno avrebbe
portato Asgard verso il Ragnarok. Lo aveva appreso dalle labbra dipinte
di una
profetessa cieca che gli aveva raccontato una storia fatta di supplizi
e veleni
e della pietà di una donna coraggiosa.
Le
profezie non vanno interpretate alla lettera. Occorre sviscerarle,
comprenderle, sezionarle nei quattro significati che posseggono i testi
sacri: allegorico, anagogico, metaforico e letterale. Odino, che era il dio degli
eserciti e della poesia, conosceva le rune e i suoi molti significati e
sapeva
comporre i poemi, ispirava i bardi. Forse per questo era rimasto
affascinato
dalle parole di Loki e lo aveva amato come se fosse suo figlio. Per
l’intelligenza intuitiva e brillante, per il modo sapiente
con cui sapeva
legare tra loro le rune e gli incantesimi – orgoglio di
Frigga – per l’astuzia
puntuta ed efficace, per gli occhi verdi e il sorriso laterale e breve,
per gli
scherzi buffi, privi, un tempo, del maligno compiacimento che li
avrebbe
colorati poi.
Le
profezie non devono essere contrastate. Chi ci prova è uno
sciocco, un incauto,
un uomo privo di discernimento. Le cose per ora non si erano svolte
esattamente
come profetizzato nella Voluspa. Loki aveva catturato e quasi fatto
uccidere
Balder, era stato sconfitto e ferito gravemente da Thor e, agonizzante,
era
stato salvato dalla morte solo grazie alle cure solerti di una
guaritrice dagli
occhi grigi, Sigyn. Una donna seria e compita che, un giorno, mentre
medicava
lo squarcio causato da Thor – che
aveva
spezzato il cuore di Thor – aveva sfiorato con le
dita improvvisamente
tremanti l’addome scolpito dell’ingannatore ferito
e, mordendosi le labbra, si
era affrettata ad abbassare lo sguardo sincero. L’ennesima
vittima del fascino
obliquo del dio degli inganni.
“Cosa
sarà Loki?” aveva chiesto Odino
alla fonte di Mimir.
Le
acque avevano gorgogliato appena. “Tuo
figlio.”
Il re
degli Asi scosse la testa e rise, ma senza gioia. La tragedia della sua
esistenza e del suo regno gli si dipanò davanti con nitida
chiarezza. Alzò
l’unico occhio sul suo erede designato che, ansante e
sconvolto, lo fissava con
dolore e astio. Forse, l’origine di tutto – del
Ragnarok e della fine di Asgard
– non avrebbe dovuto essere rintracciata
nell’incauta adozione di Loki, ma
nella promessa che lo stesso Padre Tutto aveva fatto a due bambini
ambiziosi e
fieri come ogni Ase che si rispetti. Aveva chiesto alla fonte cosa
sarebbe
diventato Loki, ma si era dimenticato di domandare – o forse
non lo aveva fatto
volutamente – quale destino avrebbe avuto Thor,
l’orgoglio di Asgard.
Ora
lo sapeva. Mjollnir non sarebbe diventato altro che una reliquia
perduta, che
suo figlio non avrebbe più avuto la forza di sollevare. Il
magico martello troneggiava
davanti a loro, nella penombra di uno studio invaso dalle carte.
Strano, che le
Norne avessero scelto un luogo così intimo per quello
scontro verbale atroce e
straziante, e non la sala del trono. In realtà, il sovrano
degli Asi pensò che
fosse giusto che il tradimento di suo figlio avvenisse nelle sue stanze
private. Anche la condanna di Loki avrebbe dovuto svolgersi nel
medesimo modo,
ma così non era stato.
“Oh
Thor, mio fiero e
valoroso figlio, cos’hai fatto? Ti sei lasciato corrompere da
tuo fratello,”
mormorò con voce roca, distante. “Un
bugiardo.”
Il dio del tuono
strinse
i pugni. “Non ha forse imparato dal migliore?”
A Padre Tutto
tornarono
in mente le volte in cui i suoi figli si erano protetti le spalle
l’un l’altro,
da bambini. “Non mi sono alleato con Thanos, Thor.
È una menzogna, una
distorsione offensiva,” spiegò solenne.
“Ma
hai trattato con
lui.”
L’unico
occhio ceruleo
fissò con implacabile durezza la figura possente del dio del
tuono. “Ho
ottenuto che i Nove Regni fossero risparmiati.”
Eccola,
finalmente, l’ammissione.
Padre e figlio rimasero in silenzio per un minuto troppo lungo a
fissare la
crepa, la distanza che si era formata tra loro e che si era allargata a
dismisura,
fino a divenire un baratro di cui non si vedeva il fondo, un abisso di imperscrutabile
profondità. Il
vecchio re astuto e il giovane principe col cuore gonfio di audacia. La
confessione di Odino non era volta a mitigare la portata
dell’alleanza stipulata.
Era un’informazione, la puntualizzazione di un despota di
fronte al suo suddito.
Non ci sarebbe mai stata nessuna spartizione del potere, ad Asgard,
finché
Odino fosse stato re, perché Padre Tutto non ha
né esecutori né bracci destri
né consiglieri: dispone solo di una serie di marionette di
cui si stanca troppo
facilmente, e chi tenta di ribellarsi – chi, come Loki,
reclama per sé un
destino differente – viene tacciato di pazzia e finisce
rinchiuso sottoterra, a
respirare muffa.
Thor non
riuscì a
trattenere la rabbia e lo sgomento. “Come? Consegnandogli il
Tesseract? Oggi
siamo salvi, ma domani?”
Si aspettava una
smentita. Aveva già deciso di seguire Loki nella sua folle
corsa, ma pensava
che detronizzare Odino non fosse ancora
necessario, che rappresentasse solamente la vendetta invocata da un
figlio che
non si era mai sentito parte della famiglia. Il dio del tuono non
riusciva a
capire che la corruzione, la dannazione dello spirito, la conversione a
quella
parte oscura di cielo che aveva sempre combattuta, avviene in maniera
lenta,
insidiosa, implacabile. Forse aveva davvero ragione Loki. Il bene e il
male non
erano che insignificanti punti di vista, capaci di variare in base a
prospettive e idee. Una parte del suo animo, restava ancora saldamente
aggrappata alla promessa di servire sempre non solo Asgard, ma Odino,
suo
padre. Genitore severo, crudele, spietato, ma amato e ammirato sopra
ogni cosa.
Troppo vecchio e crudele per regnare, in ogni caso, e Thanos non era
che la
conferma di questo pensiero sporco e ingiusto. Ecco il punto, il dubbio
prima
solo insinuato che ora si era rivelato una certezza spietata. Cosa gli
aveva
detto, Loki? Che Odino ascoltava solo se stesso, che puniva e bandiva
con
spiazzante leggerezza. Che avrebbe condannato Asgard a una fine
ingloriosa
perché si sarebbe rifiutato di combattere.
“Povero
figlio mio,” lo
interruppe il sovrano in un misto di commiserazione e rimpianto.
“Credi di
essere nel giusto, pensi che Loki ti abbia raccontato la storia delle
gemme per
salvare l’Universo? Vuole vendetta, desidera salvarsi la
pelle e farla pagare
al Titano. Come fai a essere così cieco, come puoi non
vedere una cosa così
chiara e lampante? Ti ha corrotto al punto di renderti indegno di
Mjollnir e
vuole trascinarti con sé in una guerra folle contro Thanos
per un suo
tornaconto personale, nient’altro.”
“Non
parlarmi di mio
fratello; lo hai privato della consolazione dell’unica donna
che gli sarebbe
rimasta accanto in ogni caso.” Erano frasi sue, di Thor? O
non si trattava,
invece, della tragedia del dio degli inganni che lui aveva fatto ormai
propria
e che ripeteva con convinzione? Non riuscì a rispondersi, e
il ghigno beffardo
di Odino interruppe il flusso di pensieri.
“Credi
davvero che Loki
ti abbia raccontato la verità sul suo rapporto con Sigyn?
Beh, te lo dico io.
Ha mentito. Su tutto.” Il vecchio re scosse la testa contrito
e strinse le
labbra. “Le ha rovinato la vita non una, ma due
volte,” sentenziò implacabile,
pensando a tutti i risvolti sfortunati di quella storia
d’amore forse intensa,
ma sbagliata.
Thor non colse
il
riferimento o fece finta di ignorarlo, perché
l’idea di tornare a combattere
con Loki, il pensiero di aver recuperato l’alleato di una
vita intera, era consolante,
rassicurante e giusta, come l’avventura che Lingua
d’Argento gli proponeva. Una
spedizione che lo avrebbe portato in mondi sconosciuti e distanti alla
ricerca
di un potere che avrebbe salvato ogni cosa, vivente e non. E poi, Odino
non
solo mentiva, ma ometteva, nascondeva, confondeva. Copriva le sue
azioni
indegne con la retorica. Il dio del tuono ormai ne era cosciente e
consapevole.
Lo incalzò ancora, deciso a svelare ogni impurità
e bassezza del genitore. “E
l’incantesimo? Lo hai torturato.”
Padre Tutto si
aspettava una
battuta simile. “Quello è l’errore cui
Loki si è appigliato per dannarti, Thor.
Ho perso il controllo, ho infierito, è vero. Ma ti sei
chiesto che parte ha
avuto lui in tutto questo? Tuo fratello mi assomiglia più di
quanto vorrei. Sa
dove colpire per provocarmi e lo ha fatto anche in quel momento, ma
questo
credo che non abbia ritenuto importante dirtelo,”
commentò con un filo di
amarezza nella voce.
“Quello
e Hela, tua
figlia, mia sorella.”
Il riferimento
all’errore
più grande fece illividire il sovrano di Asgard.
“Sciocco ragazzo arrogante! Tu
non sai niente! Un re spesso si trova davanti a delle scelte
complicate: come
con Thanos. Il Titano non può essere fermato, in nessun
caso! Quella di Loki
non è una guerra giusta. È solo una fuga
disperata in cui ti userà e ti
manovrerà per farti compiere altre azioni indegne, come
questa,” ammise infine,
mentre una stanchezza infinita gli avviluppava le membra stanche e
piegate. Il
vecchio re tremò.
“Cos’hai
fatto, Thor? Tu…
Lo hai liberato?” Odino boccheggiò e si mise una
mano alla gola, cadde in
ginocchio. “Baratterà la tua vita alla prima
occasione utile,” predisse tetro,
annaspando come se stesse sprofondando in un lago nero e tetro.
Thor,
incapace di rimanere a osservare immobile la scena, si
lanciò contro il padre
che aveva appena tradito, il re che si era messo in testa di
spodestare. Gli
sorresse la testa canuta, cercò il suo sguardo altrimenti
implacabile. Gli
sembrò improvvisamente vecchio, un anziano re debole e
stanco che aveva perso
ogni cosa – la sposa amata, i figli di cui era stato
orgoglioso, il potere –
compreso il senno. Perché Loki aveva ragione, Odino era
crudele: durante il suo
regno non si era fatto alcuno scrupolo nel rubare, tramare, ingannare,
esasperando eventi e situazioni al solo scopo di ottenere un beneficio
maggiore
per Asgard, per se stesso, per il suo
fottuto trono. Le parole di Loki gli danzarono nuovamente in
testa, colme
della loro verità. Ascoltandole, riconobbe, una volta di
più, la spettacolare
aderenza tra ciò che gli era stato raccontato e quello che
ora si trovava
davanti. Quella sorella perduta e dimenticata, che aveva tentato di
ribellarsi a
suo padre, era solo una delle tante chiavi tramite cui era possibile
aprire lo
scrigno che conteneva tutte le menzogne di Odino. Dilaniato da quella
considerazione, sconvolto per l’improvviso malessere del
genitore, Thor gridò
con quanto fiato aveva in gola, senza sapere che anche suo fratello, in
un
altro luogo, in un altro tempo, si era ritrovato nella medesima posa
disperata.
“Non
avere paura, non voglio ucciderlo,” lo rassicurò
Loki apparendo all’improvviso
nella stanza con il suo solito ghigno sbieco. Si guardò
attorno soddisfatto e si
avvicinò a Padre Tutto con il suo passo altero, regale. Un
lento movimento
della mano fasciata che ancora recava i segni della prigionia, e il
vecchio re
tornò a respirare quasi con regolarità.
“Desidero
solo renderlo innocuo,” spiegò il mago con voce
soddisfatta, “e regalargli
degli ultimi anni sereni, privi del peso e delle
responsabilità che si porta
dietro il reggere un regno intero. Non ti fidi di me, padre?
La mia unica volontà è questa.”
“Cos’hai
fatto, cosa avete fatto. Vi perderete in abissi profondi e spaventosi e
non
riemergerete mai più. Asgard brucerà a causa
vostra e verrà il Ragnarok. E
quando quello sarà finito, nel momento in cui della nostra
terra non rimarrà
più niente, allora Thanos vi troverà.”
Di
più, Odino figlio di Bor non riuscì a dire. Venne
intrappolato da una serie di magie,
dal seiðr, da una debolezza che non riusciva a contrastare.
Loki continuò a
pronunciare le rune con voce chiara e vibrante, senza nascondere la
soddisfazione nel vedere il complicato incantesimo riuscire: aveva
imprigionato
suo padre, finalmente, lo aveva sconfitto. La vendetta del dio degli
inganni si
era compiuta in una maniera sottile e crudele e, allo stesso tempo,
eclatante e
spaventosa.
Thor
si guardò le mani grandi e forti, senza riuscire a cogliere
del tutto la
gravità del suo gesto o forse guardando ogni cosa dalla
prospettiva sbagliata e
distorta in cui lo aveva trascinato Loki. Mjollnir non gli apparteneva
più, non
era altro che una reliquia perduta, inaccessibile, capace solo di
ricordargli,
con la sua atroce immobilità, con cosa aveva avvelenato il
suo cuore: con il
rancore e una sete di giustizia in cui credeva, ma che forse era tale
solo per
via di un inganno, come pareva suggerire l’occhio grifagno
ormai spento di
Odino, ancora steso tra le sue braccia.
“Ci
perderemo in abissi profondi,” disse con lentezza,
rivolgendosi a suo fratello
in silenzio accanto a lui. “È una maledizione,
questa. La sua verso di noi, che
lo abbiamo tradito.”
“Sì,
lo abbiamo fatto” concesse Loki sorridendo appena,
“per essere fedeli a noi
stessi, per vendicarci dei torti inflitti. In fondo, siamo gli eredi di
un popolo
di predoni e pirati, non è vero Thor?”
Fine
Shilyss
Nome
su EFP/forum: shilyss/Shilyss
Titolo: In
abissi profondi noi ci perderemo
Fandom: Thor
Coppia di personaggi bonus (se usata): non
presente.
Altro bonus (se usato): scena
del cambiamento (Thor si confronta con Odino/Atto III).
Note Autore:
Questa one-shot,
scritta per il contest “Come to the
dark side” indetto da
Elisaherm sul forum di Efp
è un gigantesco ed enorme What if:
cosa sarebbe successo se l’inganno di Loki che abbiamo visto
in Thor: the dark world fosse stato
scoperto immediatamente? Loki, signore del caos, sarebbe stato
incarcerato di
nuovo. E, come sempre, avrebbe tentato di liberarsi. Come? Convincendo
Thor a venire
dalla sua parte ed estorcendo a Odino il regno, ovviamente.
Così si danna un
cuore puro, così si trascina il dio del tuono…
nel lato oscuro. Come si evince
dalla lettura, questo testo è dunque una sorta di Thor: Ragnarok alternativo, dato che
viene citata Hela, personaggio
che fa il suo ingresso nel terzo film.
Come sempre
accade nelle mie storie, ho inserito alcune delle
battute del film, tra cui la riconoscibilissima “adesso mi vedi, fratello?” La
battuta di Loki “se tanto dobbiamo
morire…” è invece ripresa da La Storia
Infinita, un film del 1984 che so semplicemente a memoria.
Ben presenti
sono anche i riferimenti all’Edda Poetica e in prosa. Le
Norne erano la
versione norrena delle Parche elleniche. Brokk il Nano chiese e ottenne
che a
Loki fossero cucite le labbra (il motivo ve lo lascio immaginare), la
Voluspa è
la profezia che racconta del Crepuscolo degli dèi.
A differenza di
molti altri miei scritti, Sigyn qui è
solamente una presenza appena accennata. Nel mito la dea della
fedeltà è
accanto a Loki nel momento del supplizio per alleviare le sue
sofferenze. Se
nell’Edda l’ingannatore è imprigionato
sotto la bocca di un serpente che gli
versa addosso la sua bava urticante, qui il supplizio è
rappresentato dalla
ferita inflitta a Loki da Thor, che non trova altro corrispettivo che
in questa
storia, ovviamente. È un elemento che ha il solo scopo di
drammatizzare ulteriormente
l’incontro tra i due fratelli. Allo stesso modo, il
riferimento a Balder
presente nel testo è un mio tentativo di dare
profondità agli eventi immaginati
riscrivendo gli eventi che portano alla cattura di Loki, modificando
leggermente quanto narrato nell’Edda a proposito della morte
di Balder,
appunto.
Quando ho
immaginato questa storia, ho pensato che dovesse
avere 3 atti. Perché? Non ve lo so dire. Forse per un
parallelismo tra la
recita di Loki e il teatro, forse in onore delle tragedie. Spero che la
soluzione narrativa vi sia piaciuta.
Grazie per essere arrivati
fin qui.