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Autore: KuraCchan    13/08/2018    1 recensioni
«Que estàs haciendo, Berlìn?»
«Alguien tiene que darse la trincera, Nairobi»
«No»
«Sì nos estan pisando los talones!»
«Pues, nos vamos todos juntos! »
«Tú quedaste en que yo era un machista, no? Pues las mujeres y los maricas primero»
(La Casa Di Carta // La Casa de Papel // Money Heist ~ Nairobi x Berlìn)
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Berlino, Nairobi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Que estàs haciendo, Berlìn?»
«Alguien tiene que darse la trincera, Nairobi»
«No»
«Sì nos estan pisando los talones!»
«Pues, nos vamos todos juntos! »
«Tú quedaste en que yo era un machista, no? Pues las mujeres y los maricas primero»
Quando avevo urlato quel "Te odio", a pieni polmoni, mentre le mani ruvide di Helsinki mi stringevano il braccio e non mi facevano tornare indietro, mi rendevo sempre maggiormente conto che non l'avrei mai più rivisto. Dentro quel tunnel, io procedevo in direzione di una libertà che a posteriori posso definire solo lontanamente soddisfacente, perché dentro di me si era formato un vuoto incolmabile. Impossibile pensare come, adesso, i miei occhi si fossero spenti alla consapevolezza che qualcosa in me era venuto a mancare, un fermo dettaglio che porterò con me per tutta la vita e per il quale non potrò assolutamente fare nulla.
Io quel "Te odio" non volevo dirlo.
Mi fa male pensare che le ultime parole che mi sono trovata a dirgli sono state l'esatto contrario di quel connubio di sentimenti che adesso violano il mio stomaco: in un modo o nell'altro, mi ero affezionata anche io ai miei amici col nome di città. Tutti siamo usciti dalla Fábrica Nacional de Moneda y Timbre con un vuoto incolmabile, c'è chi ha perso un padre, chi un fratello, chi un caro amico. Ma io? Cosa avevo perso? Effettivamente nulla, nulla di sentimentale, nulla di affettivo. Ero entrata ed uscita così come sono sempre stata. Ma cosa mi provoca quel dolore così profondo? Quel vuoto incolmabile?
Ogni tanto mio figlio mi guarda, toccandomi il viso con quelle manine che finalmente posso prendere e baciare tutte le volte che voglio, risvegliandomi da momenti persi ad osservare il vuoto nel tentativo di far passare davanti a me immagini che si sono sbiadite sempre di più. I ricordi di quel momento così complesso, pericoloso ma allo stesso tempo estremamente e spaventosamente bello da ricordare. Perché faceva male? Un'inconscia sensazione di malessere che mi faceva collegare rapidamente tutti i miei sentimenti ad una sola ed unica faccia: Andrès de Fonollosa. Perché sentivo che il vuoto che stavo provando fosse imputabile a lui ed a lui soltanto? Ma dopotutto, sono sempre stata così: attirata dal maldito. Nessuno, nemmeno la me stessa di qualche istante dopo quell' Te odio urlato a voce piena si era reso conto di quanto estremo fosse il mio concetto di maldito e di quanto forte fosse quella specie di legame malato che si era formato fra me e lui. Era un gioco di potere e di sguardi, di supremazia, di desiderio e violenza. Tutto il contrario di tutto e forse proprio per questo motivo che adesso - che tutto era finito - sentivo anche a distanza di tempo quel vuoto profondo dentro di me.
Andres de Fonollosa era morto in seguito alla sparatoria avvenuta alla Fábrica Nacional de Moneda y Timbre da parte della squadra speciale che, per grande e somma fortuna, è riuscita a liberare gli ostaggi senza ulteriori danni. Non era stata l'unica vittima di quell'attacco, ma solo adesso mi rendo conto di quanto fosse l'unica persona che avrei desiderato salutare a dovere prima di dover salire sul jet privato che tanto sognavo di acquistare per far colpo su mio figlio - al quale, alla fine, sono semplicemente bastata io, non tutti i soldi che ho guadagnato con questo atraco -.
Non è potuto succedere, ci siamo abbandonati come ci siamo incontrati: dandoci addosso come due bambini di terza media, ed adesso mi chiedo che senso abbia avuto il nostro incontro, che significato abbia cercato di darmi il Destino, o la Dea Bendata o qualsiasi puto diablo fosse interessato a farmi impazzire per questo arcano legame. I soldi, el dinero, a conti fatti, non sono altro che l'unica e sola cosa che mi ricorda Berlìn. Col suo profondo istinto machista e la sua faccia da prendere a schiaffi a mano contraria.
Come può qualcosa di così labile e flebile come il denaro ricordare una persona che non esiste più. È come cercare di tenere stretto un cavallo selvaggio con dei fili d'erba: di essi se ne può cibare, ma non può di certo da essi essere domato. Così il ricordo di Berlìn nella mia testa: indomabile, fastidioso, irritante.
Irritante, come l'innaturale pensiero che gli ultimi attimi della sua vita li abbia passati al fianco di quella donna. Ma cosa vado a pensare? Cosa vado a credere? Mi sono ritrovata spesso a pensare cosa sarebbe successo se al fianco di Berlìn non ci fosse stata quella donna ma ci fossi stata io: un pensiero giovanile, puerile ed ingenuo, forse con quella punta di gelosia adolescenziale che solo il ricordo di quei pochi giorni passati dentro la Fábrica mi riportano alla mente. E mi chiedo spesso cosa poteva succedere se la mano di Helsinki non mi avesse bloccata per quella seconda volta, se la voce del Prof fosse stata più convincente, se ci fosse potuta essere quella manciata di secondi in più che gli avrebbero permesso di salvarsi la vita.
Ma poi, cosa significava per lui salvarsi la vita? Vivere qualche mese di più, qualche anno, al massimo e poi? Poi morire di tremiti e torpori incurabili. Se da un lato capisco fortemente il bisogno di decidere della propria vita, dall'altro mi chiedo in che modo io non sia riuscita ad imporre - per una seconda ed ultima volta - el matriarcado. Non comandava lui, poteva tenere testa a Tokio, poteva fare in modo di terrorizzare abbastanza Rio da poterlo sottomettere al suo volere, ma io non ero mai stata in grado di sottomettermi alle sue regole, e proprio questo lui lo sapeva.
Ne sono sicura, voglio sperare ed immaginare che si tratti di questo, che l'unico motivo per il quale io non sia riuscita a trascinarlo con me fu per un inconscio desiderio di dargliela vinta, un'ultima volta. Mi dico e ripeto, continuamente, che si sarebbe potuto salvare.
Me lo ripeto egoisticamente, guardandomi allo specchio da sola nella mia casa scadente, con del cibo scadente ed una vita interamente scadente: l'avrei potuto salvare per rendere la mia vita per pochi mesi meno scadente di quanto non fosse stata. Poi sono riuscita a riavere mio figlio, e quel peso è sembrato essersi alleviato.
Quando ritornai a casa, la prima cosa che volli sentire fu la voce dei telegiornali che parlava di noi, in tutta la Spagna, in tutto il mondo. Vidi il corpo esanime di Berlìn coperto da un telo di plastica nero, mentre veniva portato al di fuori della Fábrica Nacional de Moneda y Timbre senza troppe speculazioni, vidi con attenzione il volto trasfigurato dall'emozione della libertà di ogni persona che fuoriusciva da quel luogo eppure il mio, che di felicità doveva sprizzare da tutti i pori, era non triste ma inespressivo.
Ero solo io, Ágata Jiménez, nulla di più e nulla di meno che una semplice madre single alla quale avevano tolto tutto, dal figlio al vero amore.
Ed era in quel momento che la voce di Berlìn faceva capolino nella mia mente, rendendomi consapevole che da quel momento in poi, mentre poggiavo il mio corpo stanco sul divano sporco di casa mia, sarei stata solo Nairobi.
Ed era in quel momento che per me sarebbe iniziato il matriarcado.
  
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