Not to disappear.
1978
La Spree era più tranquilla, di
notte. Era un leggero movimento di onde, era un’ondeggio calmo e tranquillo,
come se il fiume, assieme ai ragazzi, si stesse riposando. Lisbeth amava
guardarlo, specialmente nelle ore più buie, quando tutti dormivano e lei era
sola. Si accarezzò la pancia, sorridendo. Era tornata così vitale ed energica,
era tornata la vecchia Lisbeth. Quella ragazza forte e gentile che tutti
adoravano e a cui tutti erano affezionati, che avrebbe fatto di tutto per far
sì che, a Berlino, in mezzo a tutti quei casini e problemi, ci fosse rispetto,
regnasse la pace. Le mancava tanto, Michael. Avrebbe voluto che lui fosse lì
con lei e con Abel, che ora dormiva insieme a Timo, a quel ragazzo così
speciale che per lei e per Michel era una specie di fratello. Quel ragazzo che
era cresciuto tanto, inizialmente prepotente e menefreghista che era diventato
responsabile e razionale, disponibile seppur duro e serio. Che, proprio in quel
momento, era dietro di lei, con Abel tra le braccia. La ragazza si voltò per
caso nella sua direzione, trasalendo nel vederlo dietro di lei.
- Timo! Dio, che colpo. Potevi
avvisare. Che ci fai con Abel? – chiese, mentre il biondino si sedeva al suo
fianco.
- Be’, il ragazzino non ha intenzione
di dormire. E, a quanto pare, di non far dormire neanche me. – rispose Timo,
accarezzando la testa del piccolo e sbadigliando. Era stanchissimo, si intuiva
dalla voce impastata e dai cerchi neri che gli si erano formati sotto agli
occhi. Lisbeth sorrise, prendendo Abel dalle braccia di Timo e facendogli
prendere il suo dito indice nel piccolo pugno.
- Dai, vieni qui. – disse a Timo,
facendogli spazio tra le sue ginocchia. Il ragazzo la guardò con aria
interrogativa, e lei gli fece segno di stendersi. Timo scosse la testa. – Hai
già Abel in braccio, e poi, lo spirito di Michael non sarebbe tanto d’accordo.
Lisbeth rise, scuotendo la testa. –
Ma dai, sei come un fratello. Sbrigati, sdraiati. Stai morendo di sonno.
Timo mise le mani davanti -
Obbedisco. – si accovacciò come un bambino sulle gambe dell’amica, sospirando e
chiudendo gli occhi scuri. Lisbeth gli accarezzò i capelli biondi, spostandogli
un ciuffo fastidioso dalla fronte. Fece un respiro profondo: non sapeva cosa
fare. Era felice per il bambino che aveva in grembo e che la teneva in vita, ma
si sentiva in colpa. Sarebbe dovuto crescere da solo, senza lei e Michael. Sapeva
che avrebbe potuto contare su Timo, ma anche il ragazzo prima o poi lo avrebbe
lasciato. Era un mondo inaccettabile e ingiusto, e i suoi bambini sarebbero
dovuti crescere lì, probabilmente anche soli.
- Lis.
Lisbeth abbassò lo sguardo verso il
ragazzo, che teneva gli occhi aperti e aveva una mano sotto la testa, l’altra a
ciondolare dal ponte. La ragazza annuì, carezzandogli i ciuffi biondi. – Sì?
- Io e Claudia… Stiamo attraversando
un brutto momento.
Lei annuì, sospirando. – Lo so, Timo.
- Lo accarezzò ancora, come a infondergli tranquillità e sicurezza.
- E’ che… Non è facile, ecco… Non mi
era mai capitato, di stare male per qualcuno. E non mi era mai capitato di star
male per amore. E’… Strano. Mi sento fuori posto. Come se mi mancasse qualcosa.
– il ragazzo fece un respiro profondo, sistemandosi meglio sulle gambe di
Lisbeth. L’amica sorrise, guardandolo. – Stai diventando grande, Timo. I
dispiaceri fanno parte della vita, della crescita. Sono le cose che ci fanno
star male, a volte, a farci crescere, a renderci più forti e più maturi. Basta cadere
e rialzarsi, cadere e rialzarsi. Fino a che, un giorno, non imparerai a
rimanere in piedi. E’ come quando un bambino impara a camminare. Cade, si fa
male, può anche ferirsi, nel cadere. Però, prima o poi, impara. E gli viene
naturale farlo.
Timo lasciò che una lacrima gli
sfuggisse dalla palpebra, deglutendo. – M-me lo diceva sempre.
- Babette? – chiese Lisbeth, accarezzandogli
il braccio.
- Sì.
Lo strinse più forte, baciandolo
sulla testa. Abel si lamentò per il movimento brusco della mamma, scuotendo la
testa. Lisbeth lo accarezzò, cullandolo.
- Lei ti… Ti avrebbe adorata, Lis. –
mormorò Timo, con voce rotta.
La ragazza sorrise dolcemente. – Per aver
messo al mondo una persona così… Be’, avrebbe avuto tutto il mio rispetto. Mi fa
piacere che tu dica questo. – asciugò una lacrima che era scesa sulla guancia di
Timo. – Sei un ragazzo raro. Anche Michael lo era. Eravate così simili.
- Ehi, non insultarmi, Lis! – scherzò
il ragazzo, beccandosi una pugnetto sulla spalla da Lisbeth. Sorrise. – Sto scherzando.
Lisbeth imitò la sua voce. – Io non credo
che lo spirito di Michael sarebbe d’accordo!
Timo alzò gli occhi al cielo. –
Divertente.
- Come siamo permalosi, eh?
- Già, e tu sei petulante.
- No, io sono Lisbeth.
- Quanto cazzo sei originale! Potresti
vincere un Nobel, se fosse ancora possibile.
Lisbeth accarezzò i capelli di Timo,
che sospirò, prendendole la mano. – Non… Non te ne andare.
Il cuore di Lisbeth sprofondò. La ragazza
era sul punto di piangere, ma non lo fece. Doveva essere forte, per il suo
migliore amico, nonché unica persona vera che le era rimasta. Gli strinse la
mano, accarezzandogliela. Non sapeva cosa dire, era come se la sua voce fosse
andata via del tutto.
- Lis.
- Sì, Timo?
- Sei tutto ciò che mi rimane, tu… Tu
non poi andare via! – si alzò, le braccia lungo i fianchi, le lacrime agli
occhi. – Sei la mia migliore amica… Chi ci sarà con me? Chi mi farà ridere? E Abel…
Io non sono come te e Michael, non sarò mai in grado di esserlo. Gli voglio
bene, è come se lui fosse te, ma come farò? Roberto, Claudia… A Gropius non si
fidano di me, a Tegel tutti odiano tutti. Mi sei rimasta solo tu. Ti prego,
Lis. Io…
Lisbeth sospirò, abbassando lo
sguardo. – Timo, calmati.
- No, Lis. Non ci riesco. Impazzirò,
cazzo.
- Tu sei forte, non è vero che
impazzirai.
- Io non sono forte! – l’urlo
riecheggiò per tutta la Spree. Una lacrima scese dagli occhi di entrambi. – Io…
Io ho paura, Lisbeth. Se ne sono andati tutti. Mamma, Rolf, quello stronzo codardo
di mio padre, Michael… Gregor. – pronunciare quel nome gli fece ancora più
male. – Non puoi sparire anche tu. Non sparire…
Il ragazzo tornò a sedersi, le
ginocchia al petto, la testa tra di esse. – Io non sono forte. Siete voi a
credere che io lo sia.
- Timo se tu… Se tu non fossi forte,
dopo tutto ciò che ti è successo, ora saresti chiuso in una camera a deprimerti.
Da tre anni. Tu sei andato avanti sempre. Alle bugie, alla morte di persone che
ti amavano e che amavi. Se fossi debole… Invece di aver fatto passi avanti, li
avresti fatti indietro. – disse Lisbeth, ferma, seria. Timo alzò lo sguardo su
di lei. – Non… Non puoi.
Lisbeth lo prese forte per le spalle,
appoggiandosi Abel in grembo. – Finiscila, Timo! Non è da te. Hai Verme, Timo. E
adesso io sono qui, per ora non ho intenzione di andarmene. Ma dovrò, un
giorno, e non voglio andare via con il pensiero che tu… Che tu non sia più tu. Voglio
che tu sia il ragazzo forte e sicuro che conosco, che ho conosciuto. Per il
bene di tutti. Soprattutto di Abel e di Verme. Sei l’unico con cui potranno
crescere.
- Jurgen è grande abbastanza.
- Non è questo il
punto! – sbottò la ragazza, stringendogli più forte le spalle. – Timo io… Io ti
voglio bene. Perciò… Sii forte. Sii Timo. – lo lasciò andare, sorridendogli
dolcemente. Vide una lacrima, l’ultima, cadere dagli occhi scuri di Timo, e
gliela asciugò. Riprese Abel tra le braccia, avvolgendolo nella copertina che gli
era caduta. – Ho bisogno che tu me lo prometta.
- T-Te… Te lo giuro. –
sussurrò Timo. Lisbeth sorrise. Posandogli un dolce bacio sulla fronte che
diceva ogni parola che nessuno dei due avrebbe potuto esprimere a voce. Lo fece
appoggiare di nuovo sulle sue gambe, restando in silenzio con lui, continuando
però ad accarezzargli dolcemente i capelli.
- Ti voglio bene, Lis.
- Te ne voglio anche
io.
Il ragazzo sorrise,
chiudendo gli occhi, mentre sentiva la voce di Lisbeth intonare una dolce ninna
nanna tedesca per Abel e, gli sembrò, anche per lui. E, tra una nota e l’altra,
si assopì. L’amica gli accarezzò la fronte, vedendolo finalmente addormentato. Vedendoli,
finalmente addormentati. Il suo bambino, ed il suo giovane uomo. E lì, con lo
sguardo sul fiume, si addormentò anche lei.