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Autore: Angel30    26/08/2018    1 recensioni
Essere un Avenger vuol dire molto di più che essere un semplice super eroe: vuol dire essere un amico, una squadra, una persona fidata... chiunque può diventarlo, anche il Soldato d'Inverso. Forse, ha solo bisogno di qualcuno di cui fidarsi o qualcuno per cui vivere.
La seconda chance di Bucky Barnes, un uomo che ritroverà molto più di ciò che ha perso e anche qualcosa che non ha mai avuto.
Genere: Avventura, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“E quando la mattina non ti sveglia nessuno.
 E quando la sera non ti aspetta nessuno.
 E quando puoi fare quello che vuoi.
 Come la chiami?
 Libertà o solitudine?”
 
Quando Margaret mi chiese di coprire il suo turno alla mensa la notte di Natale, sapevo di non potermi rifiutare; tra tutte le colleghe del volontariato, io ero l’unica senza una famiglia con la quale stare la sera di festa.
 
Una nuvola di vapore appannò la porta vetrata della mensa mentre le mie dita tremanti tentavano di infilare la chiave nella serratura. Per strada non c’era nessuno, il tempo gelido aveva costretto tutti alle loro dimore e lungo il viale illuminato solo dai lampioni e dalle decorazioni natalizie non si era ancora creata la solita fila di senzatetto che aspettavano un pasto caldo.
Aperta la porta entrai di fretta, liberandomi del cappuccio e della sciarpa che mi avvolgeva il volto, pronta a cominciare la serata.
 
In piedi dietro al bancone, cominciai a metter via. Il turno era passato velocemente e quella sera, solo pochi posti erano occupati. Osservai la sala pranzo semi deserta, sorridendo. Il fatto che ci fossero così poche persone quel giorno, voleva dire che anche i più sfortunati avevano una famiglia da cui tornare per Natale. Mentre ero assorta da quei pensieri, un uomo aprì la porta, restando sull’uscio e guardandosi attorno. Indossava un pesante cappotto nero, aveva gli occhi nascosti dal cappuccio e sembrava reggersi a stento, accasciato com’era allo stipite.
“Hey! Ma la vuoi chiudere quella dannata porta?!”
“Va tutto bene, Jim, ora ci penso io” dissi togliendomi il grembiule mentre raggiungevo a gran fretta il nuovo arrivato.
“Ciao, posso aiutarti?” provai a sorridergli, cercando di guardarlo negli occhi. Gli porsi una mano, ma dalle labbra dell’uomo uscì solo un grugnito. Si spostò dalla porta, trascinandosi verso un tavolo vuoto in un angolo della sala. Lo raggiunsi cautamente, speranzosa di finire il turno senza problemi. Capitava che alla mensa venissero anche alcolizzati o tossicodipendenti, e capitava che dessero di matto rovesciando qualche sedia o rompendo qualche bicchiere, ma quella sera c’ero solo io, e il mio nuovo ospite sembrava poter essere in grado di stendermi con un dito. Era ben più alto di me e l’imbottitura del cappotto non riusciva a nascondere le sue possenti braccia. Feci un respiro profondo, schiarendomi appena la voce per attirare la sua attenzione.
“Posso portarti qualcosa?” chiesi piano, ma notai che non mi stava ascoltando. Ancora incappucciato, lo vidi digrignare i denti e stringersi la testa fra le mani, borbottando qualcosa.
Mi allontanai verso il bancone, senza aggiungere altro. Sistemai su di un vassoio una porzione della cena di quella sera, per poi tornare al tavolo l’uomo dal cappotto nero. Aspettai qualche secondo, ed in assenza di una sua reazione parlai.
“Tieni…prova a mangiare questo.” Posai il vassoio sul tavolo davanti a lui prima di frugare nella mia tasca. I suoi occhi scattarono nella mia direzione e mi osservò con ferocia, sospettoso.
Gli mostrai immediatamente la bustina verde e bianca che avevo tirato fuori dai miei jeans.
“Qui ho…ho un’aspirina se vuoi. Per il mal di testa” posai anche quella sul tavolo e me ne andai, sentendo i suoi occhi puntati sulla mia schiena.
Dopo quella sera, non mi capitò più di rivederlo.
 
 
 
Era la notte di capodanno e, ovviamente, ero di turno io. Non che mi dispiacesse particolarmente, mi piaceva servire ai bisognosi, inoltre, molti erano diventati a me cari. Quando finii il turno, diedi un’occhiata all’orologio, mancavano dieci minuti alla mezzanotte. Spensi e chiusi tutto di fretta, eccitata all’idea di riuscire a vedere i fuochi d’artificio. C’era un parco lì vicino, con una panchina sopra una collinetta, da lì la vista era spettacolare. In cinque minuti, ero arrivata. Mi sedetti sulla panchina a riprendere fiato, accovacciandomi e stringendo le gambe al petto. Dai locali poco lontani sentivo le persone festeggiare, sorrisi tristemente. Mi ero trasferita da poco in quella città, lasciando amici e famiglia dall’altra parte del mondo. Dovevo andarmene, non potevo più restare lì, eppure c’erano momenti nei quali desideravo tornare, vivere come prima, ma la persona che ero costretta ad essere mi sembrava talmente diversa da quella che ero diventata, eppure, nessuna delle due versioni di me sembrava completarmi.
Sentii da lontano un countdown generale, alzai speranzosa gli occhi al cielo.
Tre…
Il rumore di bottiglie di vetro che si infrangevano mi fece sobbalzare.
Due…
Mi guardai freneticamente attorno, cercando nella penombra la fonte del rumore.
Uno…
Fontane di luci colorate illuminarono il cielo ed il mio volto, vidi solo allora due uomini barcollare verso di me. Mi alzai di scatto ed indietreggiai, feci per correre, ma uno di loro si buttò su di me, facendoci cadere entrambi e rotolare giù dalla collina. Arrivata in fondo, sentivo la terra sotto di me ruotare mentre le risate dell’altro uomo si facevano sempre più vicine. La testa mi bruciava terribilmente, mi toccai la fronte sopra l’occhio sinistro. Sanguinava. Tentai di alzarmi e correr via, barcollando per le vertigini, quando mi sentii strattonare per il braccio destro. L’assalitore che non era caduto ci aveva raggiunti, rideva ancora e il tanfo di alcool mi dava alla testa. Mi avvicinò a lui, mettendomi a fuoco e sogghignando.
“Non porta bene cominciare l’anno senza un bacio, non credi?” sghignazzò rivolgendosi al suo amico che, barcollando, ci aveva raggiunti.
“Lasciami andare…schifoso!” gli sputai addosso, facendogli allentare la presa.
Mi scagliò a terra con un pugno, sentii che aveva cominciato pestarmi la caviglia destra, quasi volesse romperla. Gridai di dolore, di frustrazione. Tentai di sollevarmi, ma un calcio sul viso mi rispedì a terra. Strinsi fra le mie mani l’erba, il dolore al viso mi stava accecando. Sentivo rivoli di sangue scendermi dal naso, tossii forte, in bocca non avevo che il suo sapore metallico.
Aspettai a terra, aspettai che finissero con me, ma li sentii gemere di dolore e cadere in due grandi tonfi. Respiravo a fatica, non mi mossi per parecchi secondi, ma quando non sentii più le voci dei due assalitori cominciai a tirarmi su, piano.
“Hey, tu! Va tutto bene?” un ragazzo ed una ragazza corsero verso di me.
“Io…sì, io…” i miei occhi erano puntati sui due uomini a terra, avevo paura potessero alzarsi. La ragazza si accovacciò al mio fianco, porgendomi un fazzoletto e guardando sprezzante i due.
“Che bastardi…”
“Nat, linguaggio!” la ragazza sogghignò, alzandosi ed aiutandomi ad alzarmi.
“Sì, nonno…” il ragazzo si avvicinò a me, guardandosi attorno, scrutando fra gli alberi del parco.
“Sono stati solo loro a farti del male?” chiese preoccupato, annuii. Lui sospirò, sollevato. Mi porse la mano, abbozzando ad un sorriso.
“Io sono Steve Rogers e lei è…”
“Natasha” concluse lei, ammiccando.
“Hai un posto dove stare?” chiese dolcemente, annuii nuovamente. Non riuscivo a proferire parola.
“Molto bene, ti ci porteremo noi” disse Steve, cominciando ad incamminarsi e guardandosi ripetitivamente attorno. Lo seguii piano, affiancata da Natasha, scavalcai uno dei due corpi a terra quando notai in mezzo all’erba la carta verde di una bustina d’aspirina. Rimasi ad osservarla per un po’, facendo voltare i due verso di me.
“E’ tutto okay?” mi chiese Natasha, risvegliandomi dai miei pensieri. Mi schiarii la gola, abbozzando un mezzo sorriso.
“Sì…”

 
  
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