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Autore: saitou catcher    27/08/2018    3 recensioni
"Se qualcuno gli chiede della sua avventura, Bilbo racconta e racconta, fino a farsi venire roca la voce, fino a credere di essere di nuovo sulla strada, la strada che non finisce mai e che può portarti dove non avresti mai creduto, se non dirigi bene i piedi. Bilbo racconta e racconta, ma ci sono cose che tiene per sé, perché il momento di dirle è passato da un pezzo, se mai c’è stato, e lui non ha la forza di rievocare i fantasmi di qualcosa che non è mai stato davvero vivo."
[Movieverse-Bagginshield come se piovesse-lettore avvisato, mezzo salvato]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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"C'erano cose che volevo dirgli. Ma sapevo che gli avrebbero fatto male. Così le seppellii e lasciai che facessero male a me."
Jonathan Safoer

 
 
Se gli chiedono del suo viaggio, sono molte le cose che Bilbo racconta.
Ai bambini che gli si radunano intorno, con gli occhi scintillanti e i pugnetti tesi ad afferrare i racconti con cui accende la notte, racconta dei troll, e rievoca le voci gutturali che masticano sillabe e carne con la stessa cadenza. Racconta di come il cielo sembri infinito, a osservarlo dalla cima di una montagna, di come le stelle siano così vicine da poterne sentire il sapore frizzante sulla punta delle dita. Racconta dei nani, cari, sciocchi, indomabili nani, il mormorio delle loro voci profonde tra le mura di casa Baggins, i loro abbracci spaccaossa (e caldi, così caldi, come la famiglia che ancora lo aspetta, sotto una montagna) e nel farlo sorride.
 
(I bambini sono come era lui, quando Gandalf è entrato da quella porta- non c’è bisogno che sappiano delle notti gelide come non lo sarà mai nessuna notte della Contea, non c’è bisogno che sappiano del freddo e della fatica e della fame, l’oscurità marcescente di Bosco Atro, e quella tombale di Erebor, non c’è bisogno che sappiano che colore ha il sangue quando si secca sulle mani, il terrore che afferra quando hai il vuoto sotto la schiena e le dita di qualcuno di cui ti fidavi attorno alla gola. I bambini sono come lui, sognano l’avventura- e Bilbo non è mai riuscito a rimpiangere la sua, quindi certe cose è bene che le sappia solo lui.)
 
Racconta di Gollum e del drago, contraffacendo ora il biascicare acquoso dell’uno, ora il sibilo dell’altro. Dipinge con le parole le mille sfumatura cangianti delle gemme nel mare di monete, le immense colonne che si stagliano fino al soffitto come giganti di pietra, la corsa affannosa per sfuggire alla bestia che planava sopra le loro teste, il grattare dei suoi artigli contro i rimasugli di vecchie ossa. Richiama il senso di trionfo bruciante quando l’occhio dorato di Smaug si è fatto un globo vuoto, fisso e dorato, quando la freccia di un arciere ha trasformato il suo sibilare in un ansito strozzato per seppellirne la carcassa in fondo a un lago (della paura fetida e tutta denti che gli ha tranciato il cuore quando ha scorto il riflesso di quell’occhio e di quel sibilo in un’altra voce e in altri occhi, di quella non c’è bisogno di parlare-ci pensano già i suoi incubi a rinnovare la storia ogni notte.)
 
Se qualcuno gli chiede della sua avventura, Bilbo racconta e racconta, fino a farsi venire roca la voce, fino a credere di essere di nuovo sulla strada, la strada che non finisce mai e che può portarti dove non avresti mai creduto, se non dirigi bene i piedi. Bilbo racconta e racconta, ma ci sono cose che tiene per sé, perché il momento di dirle è passato da un pezzo, se mai c’è stato, e lui non ha la forza di rievocare i fantasmi di qualcosa che non è mai stato davvero vivo.
 
Quindi non parla mai di Thorin, a meno che qualcuno non lo chieda, e anche lì, lo fa a spizzichi e bocconi, buttando fuori il suo nome come se scottasse sulla lingua. Era mio amico, ha risposto, il giorno in cui qualcuno gliel’ha chiesto, perché amico è una parola facile, semplice, buona, amico è una parola che basta a spiegare i pugni che si contraggono nelle tasche, al solo suono di un nome, le lacrime che a volte salgono agli occhi senza richiesta (Amico, è la parola che Thorin aveva usato mentre stava morendo, e Bilbo si era morso a sangue il cuore per trattenersi, perché non era quello che avrebbero dovuto-voluto-dirsi, ma Thorin gli stava scivolando via dalle dita, Thorin stava morendo, e le parole non sarebbero bastate a salvarlo).
 
Amico è una delle poche parole che lui e Thorin hanno mai usato con facilità, perché tutte le altre erano troppo scomode e troppo grandi e non era mai il momento giusto per tirarle fuori. Bilbo aveva pensato, certe volte, che fosse meglio così, perché ci sono parole che fanno male quando vengono pronunciate, quindi è meglio che restino per sempre non dette (ma c’erano stati momenti, notti, seduti vicino al falò, a un respiro di distanza l’uno dall’altro, in cui Thorin l’aveva guardato, con un bagliore negli occhi che non era il bagliore del fuoco e Bilbo era stato sul punto di chiederglielo-cosa sei tu per me e io per te, cosa siamo noi insieme, perché mi sembra che le nostre vite combacino fino in fondo, quando i nostri mondi sono a mille miglia di distanza-ma poi Thorin aveva detto qualcosa, e Bilbo aveva detto qualcosa, qualcosa di innocuo e inutile e vacuo, e le parole non dette erano rimaste sospese tra loro, come gli anelli di una catena che nessuno poteva spezzare).
 
C’erano sempre pochi centimetri, tra lui e Thorin, e Bilbo aveva creduto che ci sarebbe stato il tempo, per riempirli, una volta passata la foresta e i draghi e gli orchi, una volta passata la follia e passato il sangue, tempo di riempire quello spazio minuscolo (meno di un fiato, meno di una stretta di mano) di parole e di fiori da piantare e case da ricostruire. O forse, in un angolo della sua mente, l’aveva sempre saputo che uno di loro non sarebbe tornato, ma non aveva immaginato come e non aveva immaginato chi.
 
Ci sono parole che non fanno male, a dirle, e Bilbo le incide su fogli e fogli di pergamena, le stipa con cura fra pagine infinite che vanno riempendosi di montagne, di foreste, di laghi, di stelle così vicine da poterle toccare e di abbracci caldi che a ripensarci lo fanno ancora sorridere. Ci sono parole che fanno male anche senza dirle, male solo a pensarle, e Bilbo le ha seppellite tempo fa, le ha lavate via dalle sue mani insieme col sangue ormai secco, ma non dal suo cuore- Andata e Ritorno, recita il titolo del suo libro, ed è una menzogna, perché una volta corso fuori dalla porta non c’è modo di tornare, non com’eri prima, almeno, ma Bilbo è il solo a saperlo e saperlo fa male soltanto a lui. Ci sono parole che è doloroso anche solo pensare, ma il tempo per dirle è passato da un pezzo, se mai c’è stato, quindi è come se non fossero mai esistite.
 
 (E se di tanto in tanto quelle parole vengono fuori comunque, tra un singhiozzo e l’altro, tra un sogno e l’altro, tra un ricordo e l’altro, beh, Bilbo è il solo che possa udirle- Thorin non può udire nulla da tempo, ormai- e fa male soltanto a lui.)

 

 Buonsalve a tutti, uomini, donne e vie di mezzo!
Intanto, una domanda. Nel'improbabile caso che qualcuno dei vecchi lettori di Ghost arrivi fino a questa storia: vi ricordate che, nell'angolo d'autore del prologo, io e mia sorella affermammo, con assoluta e incrollabile convinzione che, a dispetto delle apparenze, non shippavamo Bagginshield?
Beh, era una menzogna. E bella grossa, anche.
Passando alle cose "serie", c'è poco da dire su questa storia, se non che è nata dal mio desiderio di scrivere qualcosa di triste riguardo a questi due, e dal fatto che io e suddetta sorella abbiamo fatto letteralmente nottata, in più di un'occasione, a disquisire su quanto la dinamica fra Thorin e Bilbo com'è nei film abbia un carattere innegabilmente ambiguo (oltre che a progettare millemila AU, una più strampalata dell'altro, ma questa è una storia da riservare per un altro giorno).
Ad ogni modo, specifico che niente di tutto ciò è mio, e che al massimo ci guadagno qualche oncia di soddisfazione personale. Ah, il titolo è pressoché osceno, ma ormai ho compreso che si tratta di una battaglia perduta.
Ah, e se a qualcuno dovesse interessare, la citazione l'ho scovata su Tumblr proprio in riferimento alla Bagginshield, ma non ricordo assolutamente dove o come.
I remain, gentlemen, your obedient servanti
Catcher

 
  
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