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Autore: Josephine_    27/08/2018    4 recensioni
Cosa accade quando il Numero Due di tutti gli eroi diventa improvvisamente il Numero Uno?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: All Might, Endeavor
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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the RUNION





 
Well I met an old man dying on a train.
No more destination, no more pain.
Well he said one thing, before I graduate
"Never let your fear decide your fate."

Awolnation - Kill your heroes





Il conto ultimo gli era arrivato venerdì mattina alle 11:00, proprio quando pensava di averla fatta franca: la sua segretaria era piombata in ufficio con un’audacia che non mostrava da anni, e con tono preoccupato gli aveva detto di aver appena ricevuto una chiamata dalla U.A. riguardo ai colloqui genitori-insegnanti.
Alla sua replica spicciola “Digli di lasciare un messaggio.” la signora Fujiyama aveva risposto con un cauto “Ma a telefono era il suo professore, e ha detto che non potete più rimandare.”
Enji non aveva avuto bisogno di chiederle di quale professore si trattasse: dopotutto, sapeva già la risposta -nessuno degli altri insegnanti di Shoto conosceva il numero diretto del suo ufficio privato.  
E così adesso si trovava alla U.A., la mitica scuola di eroi che lui stesso aveva frequentato e di cui rammentava alla perfezione ogni angolo, corridoio, e pure le scritte sconce negli armadietti degli spogliatoi. Anche la stanza in cui lo avevano messo ad aspettare, la sala professori, non era poi così diversa da come la ricordava. Avevano cambiato il distributore per l’acqua e il caffè, gli infissi alle finestre erano stati rinnovati, ma per il resto era uguale a vent’anni prima: le pareti bianche perennemente scrostate, l’armadio metallico che aveva la serratura difettosa; persino il tavolo e le sedie gli parevano essere rimasti nella stessa identica posizione in cui li aveva lasciati l’ultima volta, ma era certo che si trattasse solo di un’impressione, uno di quei giochi psicologici che ogni mente umana finiva prima o poi col subire -una persona più sensibile di lui l’avrebbe forse chiamata nostalgia.  
Eppure, Enji sapeva che fin troppe cose erano cambiate da vent’anni a quella parte -fin troppe cose erano cambiate nel giro di pochi mesi, e nel peggior modo possibile.  
Aveva perso il conto delle settimane che erano trascorse dall’ultima volta che l’aveva visto, tuttavia era sicuro che non fosse passato poi così tanto tempo; ma forse era solo una sensazione dettata dal quotidiano, dove ormai vedeva la sua faccia su qualsiasi giornale, programma televisivo o sito internet. Era sempre al centro dell’attenzione, sulla cresta dell’onda nonostante tutto -per un momento pensò di rinfacciarglielo, ma poi si figurò il pigro sorriso condiscendente che avrebbe ricevuto indietro, e allora cambiò idea.
Toshinori entrò a passo strascicato, le braccia, sottili come spaghetti, abbandonate miseramente lungo i fianchi. Era la prima volta che si incontravano dal giorno in cui tutto il mondo aveva assistito alla vera forma di All Might, o di Toshinori Yagi, che poi erano la stessa persona. Per tutto il tempo Enji non aveva fatto altro che rimuginare, ponendosi domande e tentando di darsi risposte -nessuna che lo convincesse mai davvero-, immaginando e riscrivendo nella propria testa la conversazione che avrebbero avuto al loro incontro, eppure riuscì comunque a trovarsi senza niente da dire: nessun attacco legittimo verso l’omuncolo esile e pallido che aveva davanti, magro e ricurvo come un vecchio, e che tuttavia avanzava nella stanza con il passo placido e svogliato di un ragazzino, fluttuante a un metro da terra, come lo ricordava -a un metro da tutti,  a un metro da lui.  
Enji si alzò dalla sedia e gli rivolse un breve cenno del capo.  
“Non sono venuto prima perché sono stato impegnato.” voleva essere arrogante, ma sembrò solo una giustificazione.
“Certo. Interrogatori, sopralluoghi…?”
“Lavoro d’ufficio, per di più.”
“Ah. Odio il lavoro da ufficio.”
Un inizio così vuoto che Enji sentì montare  l’irritazione, e non fece niente per ammorbidire il tono quando disse “Volevi parlarmi, no? Eccomi qui.”
Toshinori cambiò appena espressione “Non ti interessa la carriera scolastica di tuo figlio, Endeavor?”
“E a che scopo?” rispose, in automatico “Da ciò che so, Shoto è sempre il primo della classe, e il più dotato nell’intera sezione eroi.”
Toshinori prese posto sulla sedia davanti, poggiò sul tavolo i gomiti spigolosi e unì le mani in un rompicapo di nocche e dita sovrapposte “Lunedì avrà luogo l’esame per la Licenza Provvisoria. Sai cosa vuol dire, no?”
“Certo.” fiatò Enji “Un altro trampolino di lancio per le sue capacità.”
“Dovrà scontrarsi con studenti da tutto il paese.” disse Toshinori, e poi aggiunse “In quanto a studio e rendimento, è vero, Shoto è il primo della classe, e proprio per questo le altre scuole potrebbero decidere di prenderlo di mira. Ma io sono qui proprio per ricordarti che il percorso di un giovane eroe non è fatto solo di prove o esami.”  
Enji alzò gli occhi al cielo “Questa è solo una delle tue solite stronzate, Toshinori.”
Ebbe un’epifania, o forse si trattò semplicemente della riesumazione del cadavere di un ricordo, vecchio, sbiadito e malaticcio come l’uomo che aveva di fronte.
“Questa è solo una delle tue solite stronzate, Toshinori-senpai.”
Giusto, un tempo lo avrebbe chiamato ‘senpai’. E avrebbe aggiunto, con arroganza accentuata, che lui non aveva di certo bisogno degli insegnamenti saccenti di un povero scemo che viaggiava sempre con la testa tra le nuvole e che si illudeva di poter diventare il simbolo della pace.    
“Dico sul serio.” proseguì Yagi, incosciente del bordello in corso nel suo cervello “Dovresti sforzarti di essere più collaborativo, Todoroki.”
“Devi sforzarti di mantenere la concentrazione, Todoroki-kun.”
“E smettila con questo -kun, cosa sei, una ragazzina?”
“Preferisci ‘Todoroki-chan’? Todoroki-san? Todoroki-sama, forse?”
“Ti spezzo le braccia, se continui.”
“Devi mantenere la concentrazione, o la traiettoria del tuo fuoco diventerà approssimativa, e a quel punto per me sarà un gioco da ragazzi raggiungerti e spedirti a terra.”
“Lo dice uno stupido pazzo che non sa neanche usare il proprio quirk. Forza, fatti sotto, se hai il coraggio.”

Ricordava di averlo detto, fatti sotto, Toshinori, e non solo una volta, ma di averlo ripetuto costantemente durante tutti quegli anni come un mantra, un motto o un ammonimento che ora si rendeva conto di aver continuato a rivolgere più a sé stesso che a lui -e adesso? Adesso a chi avrebbe detto forza, fatti, sotto? Perché di sicuro non poteva sfidare la creatura debole e patetica che aveva davanti, solo l’ombra piccola e annerita dell’eroe che conosceva, opaco come la cenere che restava nel camino una volta che anche l’ultimo tizzone ardente si era spento.  
“A che stai pensando?” gli chiese Toshinori.  
“A tutte le stronzate che dici.” (si erano accumulate, negli anni, e avevano finito per riempirgli il cervello senza lasciare neanche un angolo vuoto, cosicché anche l’ossigeno aveva difficoltà a filtrare, e il sangue a girare, e i pensieri a mantenere un filo rigido di apparente razionalità).     
“Sai, Shoto è un ragazzo molto silenzioso, e appunto per questo posso solo immaginare quanto si senta tormentato.”  
Enji schioccò la lingua sul palato in un gesto di stizza “È ancora un ragazzino, e per giunta testardo. Ma tra qualche anno capirà.”
“Cosa?”
“Che tutto ciò che ho fatto è stato per portare a termine una mia responsabilità, che poi è la responsabilità di ogni eroe.”  
“Intendi quella di avere un erede?”  
Lo disse quasi con sdegno, con l’aria di guardarlo dall’alto in basso, e allora Todoroki non riuscì a trattenersi “Perché questo fottuto tono di superiorità? Non è forse quello che stai facendo anche tu con quel ragazzino?”
Ma lo sguardo del suo interlocutore si fece immediatamente serio “Il giovane Midoriya non esiste soltanto in funzione del suo quirk, e il mio compito è proprio quello di ricordarglielo, quando mi rendo conto che per colpa mia potrebbe finire per trascurarsi o farsi del male. Tra mentore e discepolo dovrebbe esistere una solida e imprescindibile relazione di fiducia, non credi? Per questo, se continui a comportarti come se non ti importasse niente di lui, Shoto potrebbe anche non perdonarti mai.”
“Cos’è, un cazzo di interrogatorio? Peggio, mi stai facendo la morale?”
L’uomo davanti a sé si aprì in un sorriso mesto, ma non per questo meno sincero “Cerco solo di renderti le cose più facili, o comunque, meno difficili. Sono il suo professore, dopotutto.”
Sono solo il suo professore. Sono solo un professore, ormai. Si ripeté nella testa Enji, e gli servì tutto l’autocontrollo di cui disponeva per non ascoltarsi.  
“Ho da fare, te l’ho detto. Non ho il tempo di stare dietro ai capricci di un adolescente.”
“Parli come se tu, invece, fossi nato già adulto.”
Todoroki sbuffò “Non sono mai stato così viziato, e impertinente.”  
“Shoto non è un ragazzo viziato. È molto intelligente, si dà sempre da fare. E sotto certi aspetti ti somiglia in maniera impressionante.”
Enji sgranò appena gli occhi -si concesse solo quello.  
“Non credo proprio.”
“Certo.” replicò Toshinori, con l’ombra di un sorriso “È orgoglioso come te. E molto arrabbiato, ma non vuole che gli altri se ne accorgano. Spesso, quando lo guardo, penso proprio che abbia ereditato la tua stessa tenacia.”
“Tenacia?” gli fece eco, alzando la voce “Tenacia è dire poco. Quel ragazzino è ostinato oltre ogni limite ragionevole.”
“Appunto.” adesso la sua espressione era diventata quella sfacciata di sempre -Enji trovò strano che un sorriso così infantile comparisse su un volto tanto scheletrico e cinereo, e di fatti la piega troppo accentuata delle labbra andava a incastrarsi malamente sotto gli zigomi mangiati, facendo sembrare gli occhi ancora più piccoli di quanto fossero “Mi ricorda davvero te, quando avevi la sua età.”
Disse “Smettila di sparare stronzate.” ma quel maledetto sorriso non vacillò e si fece addirittura più ampio, minacciando di inglobare tutto il volto, il tavolo, le sedie, l’intera stanza in cui si trovavano. Enji pensò, alla luce dei fatti recenti ma anche di quelli passati, che esistevano davvero poche cose al mondo in grado di rimanere per sempre uguali a sé stesse. La Coca-cola. La freschezza dolce e ristoratrice del primo cucchiaino di kuzumochi. L’orribile pista da pattinaggio del quartiere in cui era nato. Il sorriso di Toshinori Yagi, abbagliante nella propria sfrontatezza, che era lo stesso in qualsiasi occasione -che avesse appena sconfitto un cattivo e salvato il mondo, o che fossero solo loro due e volesse prenderlo in giro, sfidarlo, incoraggiarlo, riprenderlo. Toshinori sorrideva sempre, sorrideva ancora, ed era un vero fastidio.
“Si può sapere che cazzo hai da ridere?” sbottò, alzandosi in piedi “Se hai finito il tuo delirio, io me ne vado.”  
“Certo. Immagino tu abbia parecchio da fare, e che adesso la situazione nelle varie agenzie non sia delle migliori.”
E di chi pensi sia la colpa? avrebbe voluto dirgli, ma tacque quando pensò che anche in quel caso Yagi avrebbe sorriso e chinando appena il capo avrebbe detto è vero, mi spiace, è colpa mia -e non era pronto a sentire altre scuse da parte sua, perché non erano delle fottute e banalissime scuse ciò che voleva.  
“Abbiamo da fare.” disse soltanto, alla fine “Ma non è niente che la mia rete non possa gestire.”
“Bene. Sono davvero sollevato.” anche lui si alzò, ma invece di accompagnarlo alla porta andò verso il cucinotto e prese un vassoio su cui erano sistemate due tazze e una teiera “Lascia che ti offra una tazza di tè, è il minimo che possa fare. Mi dispiace di averti lasciato in una situazione così scomoda, e per giunta senza preavviso.”
Enji ebbe la tentazione di voltargli le spalle e andarsene, lasciandolo lì appeso come un idiota, in mezzo all’aula insegnanti, ma una vocina nel retro del cervello gli disse di non farlo, perché se ne sarebbe pentito per tutta la vita. Poi il suo sguardo si posò per sbaglio sulle braccia sottili di Toshinori, con i gomiti appuntiti che sporgevano di lato e le nocche nodose contratte attorno al legno del vassoio. A stento riusciva a trattenere il tremore alle mani -avrebbe potuto schiacciarlo, quel vassoio, avrebbe potuto sovrastarlo, avrebbe potuto opprimerlo e distruggerlo. Enji si mosse ancora prima di rendersene conto, e l’istante successivo aveva preso il vassoio e lo aveva posato sul tavolo.
“Non dire stronzate. Mi hai dato tutto il preavviso di cui avevo bisogno.”
Di nuovo, Toshinori piegò le labbra leggermente all’insù.   
“Vorrei strappartelo dalla faccia questo tuo sorriso del cazzo.”
“Anche se è l’unica cosa che mi rimane?”
Todoroki chiuse entrambi i pugni, ma li lasciò immobili ai lati del corpo. Pensò di rispondergli ‘non è vero che è l’unica cosa che ti rimane’, eppure aveva il fermo presentimento che Yagi gli avrebbe detto che era sbagliato dire bugie, e che non era cambiato affatto rispetto a vent’anni fa.  
“Dove sei stato, dopo la quarta ora?”
“Dovevo restituire un libro in biblioteca.”
“Bugia, Todoroki: tu non sai leggere.”
“Ma se ho la media più alta della classe, coglione.”
“Ehi, ehi. Ti pare il modo di parlare ad uno studente senior? Il tuo preferito?”
“E chi l’ha detto, che sei il mio preferito…”
“Dicevo, Todoroki. È sbagliato dire bugie. Non ti si addice, ad essere onesto non ti riesce neanche così bene. Allora, dove sei stato, dopo la quarta ora?”
“…Al reparto di supporto. Hanno avuto dei problemi con le funzioni ignifughe della tuta.”
“Ah! L’ho saputo, infatti. Con quei tuoi muscoli hai fatto girare la testa a tutte le ragazzine del primo anno… Sono sicuro che il tuo livello di popolarità sia aumentato in maniera esponenziale!”
“Non mi interessa essere popolare in mezzo a questi idioti.”
“Lo so, lo so. A te importa solo del torneo, giusto? Sappi che tiferò dagli spalti e non ti perderò di vista neanche un secondo.”  

Il torneo ovviamente lo aveva vinto: era riuscito ad arrivare primo senza nessuna fatica, e quella stessa sera Toshinori lo aveva chiamato e gli aveva detto ’dai, voglio offrire qualcosa da bere al vincitore’ ed erano finiti ai giardini davanti alla stazione della metro, seduti su una vecchia panchina metallica, a bere caffè in lattina e mangiare patatine -un ricordo così distante e nascosto che Enji fu sorpreso di vederlo in maniera tanto nitida.  
Poi la voce di Yagi si sovrappose alla scena, dissipandone i contorni fino a farla sparire del tutto.  
“Non avevo intenzione di lasciare a te tutta la responsabilità.”
“Perché? Credevi che non sarei stato all’altezza?” sibilò d’impulso, ma quello scosse piano la testa.  
“Affatto. L’Eroe Numero Uno non può non essere all’altezza, e non deve cercare l’approvazione di nessuno, tantomeno di un ex-collega ufficialmente ritirato. A proposito, avrei voluto dirtelo prima, ma dopo gli ultimi eventi ho dovuto mantenere un basso profilo, e allora ho deciso di aspettare finché non ci fossimo trovati faccia a faccia. Congratulazioni, Enji.”
Enji, che una frase del genere l’aveva tanto temuta e odiata, ma comunque non l’aveva vista arrivare, si ritrovò incapace di mantenere il cinismo distaccato che si era imposto: spostò invece la sedia all’indietro e batté un pugno sul tavolo, facendo tremare le tazze che con tanta solerzia Yagi aveva continuato a riempire fino a quel momento -un po’ di tè traboccò e finì sulla tovaglia già logora.
Congratulazioni?!? Immagini fottutamente male, se pensi che avrei voluto che finisse così. Se credi che avrei voluto vederti rachitico e malaticcio, mentre non riesci a sollevare neanche una teiera, e se pensi che fin dall’inizio io volessi arrivare al primo posto senza neanche uno scontro, una legittimazione, ma solo perché il simbolo della pace ha deciso di ritirarsi.”  
Ma la risposta di Yagi era già lì da un pezzo.  
“E per me non è forse lo stesso?” un sorriso mesto, incorniciato da due occhi opachi che parevano guardare nel vuoto “Non pensi che anche io volessi che le cose andassero in maniera diversa? Non pensi che avrei voluto avere più tempo?”
“Se adesso mi vieni a dire che stai per morire…”
Toshinori rise, e fu una risata soffice e spontanea che ben presto sfuggì al suo controllo, facendolo tossire “Spero proprio di no. Ma il mio tempo come eroe ormai è finito. Non mi resta davvero che sostenere tutti voi da dietro le quinte, come meglio posso.”
“Finché non ti farai ammazzare, vuoi dire.”
“Beh, sai che sono piuttosto ottimista.”
“E lo odio.” disse tra i denti “Odio questo lato di te. Quello che si comporta come se niente lo toccasse e tutto gli scivolasse addosso. Il lato di te che non fa che sorridere come un idiota.”
Vide Toshinori aggrottare appena le sopracciglia e alzare il mento, e questo voleva dire che almeno un po’ era riuscito a scalfirlo -non seppe perché, ma non provò comunque la minima soddisfazione.  
Le sue mani, chiuse attorno alla tazza di porcellana, adesso non tremavano più; ma la sua espressione era velata di una strana incertezza, e d’improvviso pareva tornata quella di quando, da ragazzo, si scervellava sugli interrogativi più astratti. Per Enji fu un’epifania, come vedere per la prima volta sotto una luce diversa qualcosa che aveva sempre avuto sotto agli occhi: per tanto tempo, seppur silenziosamente e controvoglia, aveva pensato che il grande All Might stesse inevitabilmente invecchiando. Era diventato meno veloce e reattivo, ma anche più ottuso, troppo assorbito dalle proprie stesse trame: come risultato di ciò, quel sorriso sgranato aveva finito col sembrargli soltanto la falsa espressione di un’allegria superficiale. Tuttavia, la persona che ora aveva davanti non aveva il minimo attributo in comune con quel vecchio eroe -era, in pratica, tutta un’altra cosa, di fatto molto più simile a quel diciassettenne iperattivo e anche logorroico che ricordava di aver conosciuto anni e anni prima. Non erano gli occhi a ricordarglielo, o forse sì, nell’avanzo di iride celeste che resisteva tra il nero brillante della pupilla e quello più opaco della cornea bruciata, così scura che il marcio pareva aver corrotto tutto il bulbo oculare ad eccezion fatta per quell’unica porzione di azzurro sibillino. Anche i capelli erano molto simili a come li portava al liceo, solo un po’ sbiaditi, senza dubbio scialbi; ma conservavano la stessa piega ribelle di quegli anni, senza neanche l’ombra di un capello bianco -proprio così: non aveva un capello bianco, eppure parlava come se il tempo avesse potuto ucciderlo da un giorno all’altro.  
“Homo faber fortunae suae. Siamo gli artefici del nostro destino.” La voce di Toshinori, bassa e strascicata come quella di un vecchio, bastò a riempire in un istante la distanza tra ciò che Enji vedeva e ciò che invece era “Sono arrivato a questo punto perché le mie azioni non avrebbero potuto condurmi da nessun’altra parte. Sapevo cosa stavo facendo e perché, ma cosa vuoi sentirmi dire, Enji? Che sapere non cambia niente? Che essere coscienti del proprio suicidio, lo rende una mossa ancora più stupida? Che tutti i giorni penso a come e quanto vorrei continuare ad essere un eroe, un qualsiasi eroe, ma ogni mattina e ogni sera provo pietà e ribrezzo per la creatura che mi guarda dall’altra parte dello specchio, piccola e debole, piccola e patetica, e che lo sguardo che rivolgo a me stesso è identico a quello che mi rivolgono gli altri: uno sguardo che vorrebbe essere di ammirazione, ma che alla fine risulta solo dispiaciuto e compassionevole. Vuoi che ti dica che spesso dormo in ufficio, perché nel tragitto da scuola fino a casa qualche criminale potrebbe riconoscermi? Cosa diresti, Todoroki? Come ti sentiresti, a sapere che All Might ha paura persino di un ladro o di uno spacciatore? Posso ancora essere All Might, per dieci secondi al giorno, che poi diventeranno nove, otto, sette, sei, cinque…”
Enji adesso sentiva la voce di Toshinori completamente ovattata, e a bucargli i timpani era invece il rumore vuoto e sordo che le sue dita producevano nel battere sulla superficie del tavolo ad ogni numero elencato. Toc toc toc. Sette, toc, sei, toc, cinque, toc, quattro, toc, tre, toc.    
Pensò che sarebbe impazzito, se avesse continuato ad ascoltare quel rumore infernale, e in un gesto di totale esasperazione afferrò entrambe le mani di Toshinori e le chiuse nei propri pugni, stringendole finché non sentì le ossa scrocchiare. Il conto alla rovescia si interruppe a due, e nello stesso momento Todoroki si rese conto che All Might, l’eroe più forte di tutti, davanti a lui non si sarebbe concesso neanche un lamento. Allora spinse le sue mani via da sé, e poi fece un gesto che non compiva da anni, un’abitudine che pensava giacere perduta insieme ad ampia parte della propria umanità: all’improvviso estinse il tripudio di fiamme che abitualmente gli fregiavano le spalle, i capelli e il profilo della mandibola; spense tutto come se si fosse trattato di un interruttore, un semplice accendi-spegni, e la stanza cadde subito in un silenzio pesante e spettrale, perché adesso il crepitio del suo fuoco non sovrastava più tutti gli altri suoni.
Perciò Enji sentì benissimo i propri stivali borchiati echeggiare aspri sul pavimento di parquet in ciascuno dei quattro passi che compì verso Toshinori, che rimase fermo al proprio posto e tuttavia non riuscì a restare in silenzio -non ci riusciva mai.
“Oi, Enji. Se fai così, penserò che stai per abbracciarmi.”
“Stai zitto, coglione.”
Lo abbracciò davvero, a quel punto, perché avrebbe odiato l’idea di tirarsi indietro e sentirsi un codardo per tutta la vita -uno di quelli che si vantavano di non esitare davanti a niente, e poi traballavano davanti a delle semplici emozioni. E si stupì nel sentire quanto piccolo e fragile risultasse il corpo di Yagi rispetto al proprio, e quanto potesse quasi percepire le sue ossa gracili cercare di sopravvivere tra le proprie braccia, e come era spigoloso, più di ciò che si vedeva, più di ciò che si immaginava.  
“Non mi farai male, se stringi un po’ di più.”
E invece Enji aveva proprio paura di questo, paura di fargli male, perché davvero pareva essere fatto di creta, o peggio ancora, di carta, e poteva accartocciarsi tra le sue mani in qualsiasi momento: alla fine sarebbe stato lui a distruggere il simbolo della pace, a inglobarlo in sé stesso come l’eroe egoista che era, l’eroe cattivo -avrebbe ucciso lui All Might, o forse lo aveva già ucciso, perché aveva avuto almeno un centinaio di occasioni per salvarlo e non ne aveva azzeccata neanche una, mai una, e per colpa sua quell’uomo adesso aveva spalle incurvate, braccia sottilissime e un tronco così rinsecchito che poteva distinguerne le costole anche attraverso la stoffa della maglietta. Allora Enji si sentì di una tristezza immensa, per niente eroica, che lo spinse a stringere un po’ di più, nonostante tutto. Fu bello scoprire che se aderiva col torace al suo e sporgeva la testa fino a sfiorargli l’orecchio con il proprio, le sue sinapsi riconoscevano quell’odore all’istante -lo appurò chiudendo gli occhi, che scoprì appannati, lucidi e vuoti, perduti tra i capelli di Yagi, biondo caldo come campi di frumento vastissimi in un pomeriggio estivo, come distese di paglia e fili d’oro tessuti da un diavolo in catene.
“Non credevo che alla fine ti avrei fatto piangere.”
“Vaffanculo, non sto piangendo.” una mano di Yagi si posò placida sul suo braccio destro, e quel contatto fu abbastanza da permettergli di dire “Stasera vieni a cena da me.”  
Toshinori ridacchiò; Enji quasi poté sentire ogni singola costola vibrare sotto quel misero strato di pelle.
“Non credi che tuo figlio avrà qualcosa da ridire, quando vedrà il suo insegnante andare a cena a casa sua?”
“E fermarsi a dormire.”
“… e fermarsi a dormire.”
“Non mi importa.”  
Per la prima volta da quando era entrato in quella stanza, aveva detto ciò che pensava davvero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 




















 
- 28 anni prima -  
 
 
 
L’intervallo era iniziato con cinque minuti di ritardo, e questo perché il prof aveva avuto la brillante idea di indire un compito in classe a sorpresa, uno di quei test a risposta multipla che non piacevano a nessuno -né agli studenti né ai professori. Era uscito dall’aula con un diavolo per capello, e non perché le domande del compito fossero particolarmente difficili: piuttosto erano troppo facili, così banali e elementari che anche uno scemo sarebbe stato in grado di rispondere correttamente.
Così era uscito dall’aula ed era andato verso i distributori automatici, e lì aveva incontrato quella piaga di Toshinori, che come sempre non gli aveva dato tregua.
“Allora, quel test com’è andato?”
“Bene, come sempre.” aveva risposto, senza risparmiarsi l’arroganza.  
“Visto che hai finito di studiare, dammi una mano.”
Enji, che di nuovo non aveva la minima idea di come fosse finito in quel girone infernale ma di certo non aveva intenzione di rimanervi tutta la vita, disse soltanto “Ho di meglio da fare.”
“Non è vero.”  
“E non ho intenzione di farmi trascinare nei tuoi soliti disastri.”
“Che c’è, Todoroki, adesso hai paura persino dei professori?”
E quella semplice provocazione fu abbastanza per convincerlo -bastava così poco, a volte, e il senpai doveva proprio essersene accorto: di fatti adesso si trovavano negli uffici del reparto di supporto a spiare il registro contenente le ultime innovazioni della scuola, con particolare occhio alla voce pregi & difetti.
“Ehi, che ne dici di allenarci insieme?”
Non alzò nemmeno gli occhi dal documento che stava controllando “Che ne dici di… no.”
“Sei il solito pezzo di legno.”
“Che hai detto??”
“Hai sentito.” sbuffò lui  “E avrei potuto finire la frase in maniera molto meno educata.”
“Ripetilo, se hai il coraggio.”
“Perché non mi sfidi sul campo, visto che ti ho fatto tanto arrabbiare?”
Enji drizzò la testa ed era già pronto a ringhiargli contro che era un vero idiota, se pensava di poterlo convincere con un mezzuccio tanto stupido, una blanda provocazione peraltro nemmeno studiata, quindi uno schifo di provocazione, e che il suo stupido allenamento del cazzo poteva farselo da solo o non farlo del tutto, visto che comunque il più delle volte gli esiti erano disastrosi; aveva tutto già pronto sulla punta della lingua, ma le parole rimasero lì bloccate quando davanti agli occhi gli si parò la solita espressione sorridente e sfrontata.  
Toshinori era, Enji lo ammetteva a malincuore, uno dei pochi ragazzi in tutta la scuola a ricevere per San Valentino almeno una decina di confezioni regalo diverse. Era alto e aveva un fisico agile e asciutto, con i muscoli delle braccia che emergevano sotto la stoffa della divisa scolastica. Ma a colpire di più era la forma delle sue spalle, larghe e definite, con le scapole che si allargavano come due ali seguendo il ritmo della respirazione. Enji pensava che quelle spalle da sole avrebbero potuto reggere il peso di tutto il mondo -ma col cazzo che glielo avrebbe detto davvero. Comunque, oltre a quello aveva un mucchio di capelli, biondi, biondissimi, dalla radice fino alla punta; si sforzava di tenerli in ordine con un po’ di gel, ma l’unico traguardo che aveva raggiunto in merito era stato quello di renderli leggermente più morbidi e meno crespi, cosicché adesso per la maggior parte del tempo gli incorniciavano il volto in ampie onde che si arrampicavano le une sulle altre in maniera non troppo disordinata. Poi c’erano i suoi occhi, grandi e azzurri, dal taglio occidentale, perennemente intenti a studiare il qualcosa o il qualcuno di turno: gli occhi di Toshinori, come Toshinori stesso, non si fermavano mai. A comparire invece nei momenti più inaspettati, sempre inopportuno e a tradimento, era quel suo sorriso largo e sfacciato che non coinvolgeva solo la bocca, ma investiva e modificava ad arte tutto il volto. Un sorriso strafottente che sembrava non conoscere paura o esitazione, o pentimento, o mortificazione -gli sarebbe piaciuto poterlo odiare per quel sorriso finto e ipocrita, ma di fatto sapeva che entrambi quegli aggettivi erano un’enorme bugia. Nessuno sorrideva in maniera più sincera di Toshinori, nessuno si sforzava tanto per infondere negli altri un po’ di sé -nessuno si era mai sforzato tanto con lui.  
Enji sospirò tutta la propria frustrazione quando si rese conto di essersi dimenticato tutto -qual era la domanda? Aveva mai avuto una risposta?  
“Allora Todoroki, ce la sbrighiamo in palestra?”
“La palestra è occupata da quelli del primo anno.”
“Non la cinque. La cinque l’ho prenotata per tutto il pomeriggio.”
Stava per dirgli di andarsene cinque volte a quel paese, ma il rumore di passi fuori dalla porta lo convinse a zittirsi. Poi tutto accadde in maniera fin troppo veloce, e nel giro di tre secondi netti Enji si ritrovò seduto a terra dietro la scrivania, con una mano di Toshinori a coprirgli la bocca e la schiena pericolosamente vicina al suo petto.  
La segretaria doveva aver finito di pranzare prima del previsto, e adesso era a pochi metri da loro che distribuiva i fascicoli sulle varie scrivanie; Enji trattenne il fiato non tanto per non farsi scoprire, quanto perché davvero non riusciva a prendere aria con la mano di Toshinori così vicina alla propria bocca -non voleva respirare sul suo palmo, non voleva bagnargli i polpastrelli di saliva: così rimase fermo al proprio posto senza emettere suono alcuno, permettendosi di rilassarsi solo quando finalmente la segretaria si fu chiusa la porta alle spalle.  
Toshinori, invece di ringraziare gli dei per la fortuna appena ricevuta, si aprì in una sonora risata.  
“C’è mancato un pelo.” e allo stesso tempo si sporse in avanti e appoggiò il mento sulla sua spalla “Ehi, Todoroki, hai intenzione di restarmi addosso tutto il giorno?”
Non ebbe bisogno di farselo ripetere due volte: scattò in piedi in un istante, ed era sicuro di avere le guance dello stesso colore acceso dei propri capelli, così gli diede le spalle e non lo guardò. Anzi, adesso aveva proprio voglia di picchiarlo, di dargliele di santa ragione e fargli rimpiangere tutto.
“La cinque, hai detto? Ci vediamo lì.”
“Ricordati che l’arroganza uccise il gatto.”
“Era la curiosità, coglione.”
Uscì lasciandolo da solo negli uffici dell’amministrazione, peraltro senza minimamente pentirsi della propria scelta. Adesso che si trovava davanti alla palestra per le esercitazioni numero cinque, però, un po’ pensava di essere finito dritto e consenziente nella trappola che Toshinori aveva accuratamente teso per lui. Tanto va la gatta a lardo che ci lascia lo zampino, pensò Enji, eppure tutti sapevano che le trappole venivano tese per i topi -se lui era il topo e Toshinori era il gatto, per quale cazzo di motivo aveva acconsentito alla sua stupida richiesta? Per quale assurda e incomprensibile ragione non riusciva a dirgli di no?
“Puntuale come sempre.” lo sorprese da dietro.
Todoroki resistette alla tentazione di voltarsi e continuò a fissare quel punto inesistente davanti a sé.
“Non sono mica te.”
“Hai ragione, hai ragione.” Toshinori lo superò con il solito passo leggermente strascicato, quasi svogliato, ed Enji notò un particolare che fino a quel momento gli era sfuggito.  
“Cos’hai nello zaino?” accompagnò la domanda con un cenno del mento.
“Oh, solo quella cosa per cui siamo andati negli uffici del reparto di supporto.”   
“Hai rubato un’innovazione?”
“L’ho presa in prestito. Nessuno se ne accorgerà, il magazzino è pieno di rottami.”
“Toshinori!” sbottò “Ne ho abbastanza delle tue stranezze del cazzo.”
“E dai, ti dico che questa è l’ultima volta.”
Lo diceva sempre: questa è l’ultima volta. Ma non era mai l’ultima volta. E Todoroki era contento così, e si arrabbiava con sé stesso perché non riusciva a negarlo.
Intanto Toshinori aveva aperto l’enorme zaino che portava in spalla: ne estrasse quelli che sembravano un paio di stivali alti fino al ginocchio, rivestiti di un qualche metallo così levigato da riflettere la luce delle finestre contro la parete opposta. Sembravano pesanti, eppure Yagi li maneggiava come se fossero stati appena pochi grammi.  
“Immagino che, come al solito, tu non abbia la minima idea di cosa stai facendo.”
L’altro sbuffò “Non essere così pessimista, Todoroki.” poi ficcò di nuovo una mano nello zaino e ne estrasse una confezione sottile e rettangolare: la custodia di un videogioco “Questa è l’ultima uscita di Ninja Heroes: Yakuza Revolution. Sarà il tuo premio se riuscirai a spedirmi a terra.”  
“Di’ un po’, mi hai preso per un ragazzino?” se di solito odiava essere trattato in maniera condiscendente, trovava ancora più insopportabile quando a farlo era Toshinori “Non mi serve uno stupido pretesto per spedirti a terra. E i videogiochi sono roba da otaku, chi ha detto che voglia un premio del genere??”
“Sono stato io.”
L’intervento di una voce fuoricampo lo costrinse a voltarsi solo per appurare che sulla porta si erano materializzate le due ombre di Toshinori: Yamada e Aizawa. A parlare, o per meglio dire a urlare, era stato il primo, un tizio alto e dinoccolato che era indiscutibilmente troppo magro per frequentare la sezione A del corso di eroi, e che tuttavia vi aveva avuto accesso grazie a quella voce altissima e fastidiosa che si ritrovava. Ma anche Aizawa, accanto a lui, non era da meno in quanto ad attributi fisici: smunto e insignificante, nascondeva la metà superiore del volto sotto una chioma nera perennemente spettinata, e quella inferiore sotto la stoffa di una sciarpa logora e consunta che il primo giorno di scuola doveva essere stata bianca ma adesso era di un tremendo grigio topo.
“Gliel’ho detto io, del videogame.” ribadì Yamada, avanzando verso di loro a passo sciolto, con entrambe le mani ficcate nelle tasche dei jeans “Non è quello che stavi guardando in vetrina quando ci siamo incontrati l’altro giorno?”
Sentì montare la frustrazione “Quello che guardo nelle vetrine sono cazzi miei.”  
“Uh? Se vuoi rifartela con qualcuno, rifattela con Yagi. È stato lui a chiedermi se ci fosse un modo per convincerti ad allenarti insieme a lui. Io ho solo svolto il lavoro sul campo.” chiosò l’altro, ma sempre urlando; Enji se ne sentì rimbambito e si chiese come facesse invece Aizawa -il pacato, composto, noioso Aizawa- a tollerare una compagnia tanto energica e rumorosa -forse faceva ricorso a speciali tappi per le orecchie?
Comunque, si voltò solo per trovare Toshinori eccessivamente impegnato nell’indossare quegli assurdi stivali: di fatto neanche li stava ascoltando, come sempre quando era perso nelle proprie speculazioni mentali -in questi momenti non sorrideva, ma teneva le labbra serrate in un’unica linea rigida senza mai permettersi di scomporla, ed Enji aveva idea che fosse quello il vero volto di Yagi Toshinori, un ragazzo così serio e preoccupato che doveva per forza sorridere se voleva sopravvivere.  
“Alla fine, ha accettato.” disse Aizawa, aprendo bocca per la prima volta da quando era entrato “Quindi ho vinto io.”
“Cosa avevamo scommesso?”  
“Un pranzo.”
Yamada schioccò due dita “Allora andiamo in mensa, risolviamo subito.”
“Sei stupido? Avevamo scommesso un pranzo vero.”
“Uh?? E dove vuoi andare allora?”
“A mangiare la carne.”
“Ma non ho così tanti soldi, Shota!!”
“Avresti dovuto pensarci prima di lanciare quella stupida scommessa.”
Arrivati a quel punto, la parola scommessa era stata ripetuta un po’ troppe volte perché Enji potesse continuare ad ignorarla: e siccome trovava intollerabili entrambe le loro voci, oltre a quel loro modo di becchettarsi e litigare come due sposini, fu una vera e propria soddisfazione quando, per un momento, il proprio ringhio basso sovrastò qualsiasi altro rumore, compreso l’inutile berciare di Yamada.
“Avete fatto una scommessa su di me??? Che cazzo avete nel cervello, stupidi sfigati?”
“Ehi, Rambo, rilassati.”  
Enji avanzò verso Yamada giurando a sé stesso che gli avrebbe strappato le corde vocali -così sarebbe stato per sempre una radio rotta, inutile ciarpame-, ma Aizawa si mise nel mezzo, e per la prima volta spostò i capelli dalla fronte e lo guardò dritto negli occhi: non stava usando il proprio quirk, lo stava solo guardando, e in una maniera così minacciosa che Enji dubitò che si trattasse della stessa persona che era stata lì fino a qualche secondo prima.  
“Yamada aveva scommesso che Yagi ti avrebbe convinto con il videogioco. Io ho rilanciato che sarebbe bastato provocarti un po’. E alla fine ho vinto io.”
Enji era a un centimetro dalla sciarpa consunta di Aizawa, quando lui si spostò rapidamente di lato -era agile, era veloce: soprattutto, odiava il contatto fisico.
“Tranquillo, Todoroki, adesso ce ne andiamo.”
Yamada abbracciò Aizawa da dietro, ma in maniera rozza, bloccandogli le spalle con quelle sue braccia lunghe e secche “Non c’era bisogno che intercedessi per me.”
“Non sai essere diplomatico.” disse Aizawa, salvo poi sospirare “Adesso ho fame, e ho sonno, e ho gli occhi secchi.”
“Certo, certo. Andiamo in mensa?”
“Ti ho detto che volevo la carne.”
“Ma almeno siamo vicini all’infermeria. E Recovery Girl è uno schianto con quella nuova uniforme…”
Quell’ultima frase gli arrivò sfumata dal rumore della porta che si chiudeva. Yamada e Aizawa se ne erano finalmente andati, ma questo voleva dire che nella palestra erano rimasti solo in due.
“Non lo sopporto, quel coglione.” borbottò, più per riempire il silenzio che per reale intenzione.
“Chi, Aizawa?”  
“No, Yamada.” grugnì “Anzi, entrambi. Continuano a scherzare col fuoco.”
Toshinori rise “Hai davvero fatto un gioco di parole sul tuo quirk?”
“Ho usato un modo di dire.” evitò di guardarlo alzando gli occhi al cielo “Un giorno di questi finiranno per prendersi una lezione come si deve.”
“Lo sai che non lo fanno con cattiveria. Si divertono a stuzzicare gli studenti delle altre sezioni, ma è solo il loro modo di essere amichevoli. E da Aizawa potresti imparare tanto, visto che è uno dei tre studenti più forti dell’istituto.”
“Come te.” masticò Enji, gli occhi che erano diventati fessure “Eppure ti ritrovi a dover rubare le innovazioni di supporto. Avanti, Toshinori, fatti sotto.”
“Sarà un piacere darti un’altra lezione fondamentale.”
Il ghigno di Toshinori durò un attimo: l’istante successivo era già partito in avanti con la solita strategia da quattro soldi, un alternarsi di pugni e mosse improvvisate senza né capo né coda, che Todoroki parò rapido senza neanche bisogno di evocare le proprie fiamme. Il ritmo del combattimento si fece subito serrato, incalzante, come piaceva a Toshinori; come piaceva a entrambi. Calci e pugni si alternavano a salti, finte e scivolate dell’ultimo secondo, in una danza spedita e incessante che non lasciava il tempo di prendere fiato. Ad un certo punto, esasperato dai suoi continui tentativi di colpirlo con quegli assurdi stivali corazzati, Enji afferrò l’avversario per una gamba e lo spedì lontano, sul pavimento; poi evocò una vampata di fiamme e le trasfigurò in un serpente che diresse proprio nella sua direzione, ma un secondo troppo tardi: Yagi si era già rialzato, e schivò il suo fuoco con un semplice salto laterale.   
Finalmente riuscì a colpirlo sullo zigomo destro, facendolo barcollare all’indietro: a quel punto lo agguantò per un braccio e tentò di mandarlo faccia a terra, in modo da immobilizzarlo e vincere lo scontro, ma Toshinori era un vero maestro quando si trattava di uscire da situazioni per lui scomode -gli bastò fare leva sulle gambe per scivolare via dalla presa di Todoroki, rimbalzare sul soffitto e finire in piedi sulla trave più alta della stanza. Visto dal basso, alto e lontano, con i capelli biondi che ormai avevano perso qualsiasi compostezza, il volto accaldato e le spalle tenute fieramente all’indietro, sembrava allo stesso tempo un angelo glorioso e uno spirito vendicatore.
“Preparati, Todoroki! Da quassù posso usare il mio nuovo attacco finale.”
Poi, accadde tutto troppo velocemente. E anche in una ricostruzione lucida realizzata a posteriori, Enji non avrebbe saputo riassumere gli eventi che seguirono. Di fatto, l’unica cosa che fu in grado di percepire fu un dolore forte e intenso allo sterno. Chiuse gli occhi di riflesso, una stupida
abitudine involontaria del proprio corpo, e quando li riaprì, dopo appena un secondo di vigliaccheria, pensò davvero che avrebbe fatto meglio a tenerli chiusi per tutta la vita -avrebbe fatto meglio a morire, sul colpo o tra atroci sofferenze, era uguale. Perché ad averlo colpito non era stato un attacco, un’arma o un quirk, quanto lo stesso Toshinori che, dopo essergli piombato addosso e averlo investito, si trovava ancora steso sopra di lui intento a massaggiarsi pigramente la testa.  
“Ehr… scusa, Todoroki.”
“Scusa un cazzo” masticò lui, ancora schiacciato dal suo peso.
E Toshinori rise anche se non c’era niente da ridere “Volevo solo attivare i propulsori sotto le suole per vedere se sarei riuscito a imitare la strategia di Gran Torino.”
“Perché mai vorresti imitare quello svampito…”
“Perché continua a battermi… e adesso ha pure iniziato a scommettere sull’esito dei nostri scontri.”
“Come i tuoi amici, vuoi dire?”
Lo vide sollevare pigramente gli angoli delle labbra “Deve essere una nuova moda.”
E lui alzò gli occhi al cielo “Hai almeno letto il libretto delle istruzioni?”
“Certo che no.” chiosò allegro “Mi sono limitato a controllare la scheda identificativa. Diceva, pro: super velocità, super aderenza, super leggerezza; contro: propulsori difettosi.”  
“E secondo te cosa voleva dire, ‘difettosi’…”
Rise ancora “Hai ragione, hai ragione.”
Enji non aveva voluto farci caso fino a quel momento, ma il suo volto era nettamente troppo vicino -così vicino da poterne contarne i nei e addirittura distinguerli dal colore più chiaro e nascosto delle lentiggini: ecco, anche quella spruzzata di efelidi invisibili fu una novità.
Aveva lineamenti belli perché erano definiti, con tratti non troppo squadrati che intagliavano alla perfezione il profilo del naso, della fronte, e degli zigomi sporgenti, la cornice perfetta di quel sorriso ingombrante che Toshinori indossava sempre.
Sorrideva anche adesso, e lo guardava -Enji non sarebbe mai voluto arrivare ai suoi occhi, ma alla fine dovette proprio: senza girarci tanto intorno, tutte le strade portavano lì. A quello sguardo limpido e azzurro, la pennellata audace di un pittore che preferiva ignorare le regole compositive a favore di quelle cromatiche -di fatti, sul volto di Toshinori i colori primari spiccavano in maniera particolare: il blu acceso degli occhi, il rosso appena percettibile delle labbra, il giallo luminoso dei capelli.  
Enji lo capì in quell’istante, di essersi fregato da solo: e non nel momento in cui aveva acconsentito ad accompagnarlo al reparto di supporto, né quando si era fatto convincere ad accettare quello stupido allenamento pomeridiano; no, era rimasto fregato un bel po’ di tempo addietro, precisamente due anni prima, nel bel mezzo dell’incrocio più trafficato della città, quando aveva alzato la testa e aveva guardato lo schermo gigante che troneggiava sulla parte più alta di un complesso d’uffici. In diretta c’era un torneo degli studenti della U.A., una delle prime edizioni, e lui era rimasto qualche minuto ad osservare l’incontro tra una ragazza con tentacoli da polipo e un ragazzo che oltre ad una massa di capelli biondi, crespi e ribelli, pareva non avere connotati fisici particolari.  
Tuttavia gli ci era voluto poco per appassionarsi alla lotta, e non perché fosse interessante, quanto per il fatto che non riusciva a staccare gli occhi da quel tizio che si muoveva sul ring agile e imprevedibile come una scimmia, saltava, scartava, faceva finte che mascheravano fino
all’ultimo le sue vere intenzioni. Non aveva uno stile di combattimento definito, anzi, continuava a imitare le classiche mosse dei film d’azione americani e sembrava a stento sapere cosa stava facendo; eppure riusciva a evitare qualsiasi attacco avversario con facilità imbarazzante, e dopo un po’ aveva iniziato a contrattaccare con pugni di una forza e una velocità straordinarie, che spostavano l’aria e spedivano il nemico dall’altra parte del campo. Un talento naturale, ricordava di aver pensato, e l’attimo dopo aveva sentito montare un’invidia e una rabbia mai sperimentate prima, perché uno sprovveduto del genere, una mina vagante senza arte né parte, era riuscito non solo a vincere lo scontro, ma anche a trasmettere l’idea che per lui quella lotta non fosse stata che un grande, fantastico divertimento. Pensò che fosse un arrogante, ecco cosa: un ragazzino che pensava che fare l’eroe fosse solo un gioco, un passatempo spassoso, e che prendeva tutto alla leggera, sorridendo in faccia al pericolo. Alla fine Enji era rimasto senza niente da dire, ma con un sacco di rancore cucito addosso senza motivo; poi si era iscritto alla U.A., aveva passato a pieni voti l’esame d’ingresso e si era presentato il primo giorno di scuola con i capelli pettinati all’indietro e le scarpe nuove.
Era sicuramente lì che si era fregato la seconda volta, quando aveva attraversato il viale alberato che conduceva all’ingresso e che in primavera era un tripudio di ciliegi e peschi in fiore; si era fermato un secondo di troppo in fiera contemplazione del proprio agognato traguardo, e un fruscio alle proprie spalle aveva fatto da preludio alla più becera delle imprecazioni.
“Coglione, rendimi subito gli occhiali.”
“Ma tu non hai problemi di vista, Aizawa!”
“E infatti quelli sono occhiali da sole.”
“… Perfetti per me che ho gli occhi sensibili.”
“Tu non hai gli occhi sensibili, io ho gli occhi sensibili.”  
Le voci si erano fatte più nitide e vicine, poi Enji aveva sentito di nuovo quello strano fruscio dietro gli alberi, stavolta più rumoroso e prolungato; aveva pensato allora di avvicinarsi e dare un’occhiata discreta, ma prima che potesse fare anche solo un passo in quella direzione, dai cespugli davanti a sé erano sbucate due figure impacciate e ricoperte di foglie da capo a piedi; indossavano la sua stessa divisa.
“Che ti avevo detto? Era una scorciatoia.”
“Mia madre mi ammazza se le faccio lavare la divisa il primo giorno…”
“E tu lavatela da solo. Forza, sta per suonare la campanella!”
“Yagi! Gli occhiali.”
Adesso che si erano avvicinati, Enji vedeva chiaramente che erano due studenti un po’ più grandi di lui, forse del secondo o terzo anno; ma se il primo pareva solo un tipo anonimo e pure un po’ sciatto, con i capelli neri troppo lunghi legati in un codino sgangherato, l’amico dietro di lui aveva invece una faccia molto ben conosciuta. Dal vivo i suoi capelli non erano così tremendi, ma quel sorriso sfacciato era insopportabile come filtrato dallo schermo della tv. Più lo guardava più ne aveva la certezza: era lui il ragazzo del torneo.  
“Oi, Aizawa, guarda, abbiamo una nuova recluta. Mi farò chiamare senpai!”
“Non credi di esagerare?”
“Ehi, studente nuovo! Io sono Toshinori Yagi.” aveva allungato la mano verso di lui per presentarsi, ma Enji neanche per un istante aveva pensato di stringerla -invece l’aveva scacciata con uno schiaffo ed era andato via. E questa era stata di sicuro la volta definitiva in cui si era fregato da solo: tutto il resto, come dire, era venuto da sé.  
Non era meno struggente rendersi conto che, anche a distanza di anni, continuava a guardarlo da lontano, da vicino -da tutte le angolazioni possibili.  
Pure in quel momento avrebbe voluto continuare a scrutarlo indisturbato, senza essere visto di rimando, e in un certo modo covava anche il desiderio egoistico di non lasciarlo andare mai, perché il suo corpo schiacciato sopra il proprio pareva incastrarsi alla perfezione. Invece, alla fine lo allontanò da sé con un gesto brusco.  
Toshinori si aprì di nuovo in una risata delle sue, una di quelle che si lasciava scivolare addosso come faceva con tutto il resto “Che c’è, Todoroki, ti ho messo in imbarazzo?”
“Vaffanculo, ti piacerebbe.”
“Sembrava di sì.”
“Ti dico di no.” si passò una mano tra i capelli, riprese il controllo “Al massimo sono in imbarazzo per te e per il numero infinito dei tuoi fallimenti.”
“Sai cosa? Con questa parlantina vincerai sicuramente il torneo. Lo vincerai.”
“Questo era già appurato.”
“Facevo per dire. Che facciamo, andiamo? Ti offro una Coca.”
“I distributori hanno solo la Pepsi.”
“E infatti andiamo al bar qua davanti. Lì hanno la Coca-Cola.”
Quando Toshinori si sollevò in piedi e gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi, Enji già sapeva che non avrebbe detto di no.
 
 
 



 
 
 
“It's fine now. Why? Because I am here.”





 





















Taah-daah! So cosa state pensando e avete assolutamente ragione: anch'io sono caduta nel vortice magnetico dell'EndMight -perdonami padre perché ho tanto peccato.......
Personalmente adoro la loro dinamica, le reciproche storie e l'apparente -ehehe- antagonismo che permea il loro rapporto, e di pari passo con i nuovi episodi dell'anime non ho potuto fare a meno di immaginare come sarebbe stato un confronto vis à vis tra il vecchio e il nuovo Numero Uno degli eroi.
Ho volutamente commesso un errore nella linea temporale nell'ultima parte della storia, perchè All Might è già diplomato da un pezzo quando Eraser Head e Present Mic frequentano il liceo, ma qui siamo nell'universo della fiction dove tutto è possibile -oops- e quindi me ne sono fregata -e dai, sono troppo belli pure loro per non meritarsi almeno un cameo!!
Come sempre, tutti i ringraziamenti vanno a voi che leggete -siete deliziosi, e vi meritate un sacco di baci
e quindi besitoss
Josephine

 
  
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