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Autore: JohnHWatsonxx    31/08/2018    2 recensioni
Blaine non avrebbe voluto ricordare. Davvero, cercava di non pensarci, ma puntualmente ci pensava, e puntualmente sprofondava.
[storia liberamente ispirata al libro/film "Resta anche domani"]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'If I Stay'
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Blaine non avrebbe voluto ricordare. Davvero, cercava di non pensarci, ma puntualmente ci pensava, e puntualmente sprofondava.

Aveva litigato con i suoi genitori, quella sera. “Non ti permetteremo di essere così!” gli aveva urlato suo padre, mentre sua madre non parlava, e non alzava lo sguardo verso il figlio. Eppure non aveva fatto niente di male, niente. Aveva solo detto di essersi innamorato. Aveva sbagliato il pronome, probabilmente.

 “Io lo amo” aveva sussurrato. E allora il signor Anderson aveva guardato sua moglie, e poi suo figlio -non lo avrebbe chiamato più in quel modo- e gli aveva detto di andarsene. Non lo aveva urlato, come invece aveva urlato tutte le frasi precedenti. Lo stava dicendo come quando parlava del suo lavoro, come se fosse stata la cosa più normale del mondo, cacciare di casa il proprio figlio diciassettenne solo perché omosessuale.

Blaine non aveva pianto. Era uscito di casa in silenzio e aveva chiamato Kurt. “Non voglio parlarti” aveva detto lui “non dopo che hai provato ad uscire di nuovo con quel Sebastian alle mie spalle, soprattutto dopo quello che ti ha fatto!” Kurt aveva ragione, in fondo, non era stato un bravo fidanzato, ma era troppo distrutto, e in quel momento aveva bisogno di lui. “Kurt, ti prego…” lo aveva implorato. “No, Blaine, non puoi aspettarti che io ti perdoni, non se tu neanche ti presenti davanti a me per chiedere scusa!” aveva risposto l’altro, prima di attaccargli in faccia.

Blaine era solo. Stava camminando solo, in mezzo al niente, senza la macchina, col telefono scarico. E poi accadde quello che non avrebbe mai voluto che accadesse.
Erano tre ragazzi, tutti più grandi di lui. Lo avevano circondato, lo avevano offeso –“Frocio!”, “Scherzo della natura!” e ancora “Non meriti di vivere!”- lo avevano picchiato, avevano usato oggetti pesanti, oggetti affilati, e, come se non fosse stato troppo da sopportare, lo avevano violentato. Ognuno di loro. Lo chiamavano puttana, lo picchiavano e, mentre uno dei tre stringeva le mani intorno al suo collo e gli altri due lo torturavano in modi peggiori, perse conoscenza.

Quando riaprì gli occhi sul suo corpo non c’era nessun segno. C’era un enorme casino intorno a lui, ambulanze, polizia, giornalisti, e lui non capiva cosa avesse a che fare con tutti loro. E poi lo vide. Il suo corpo, su una barella, i vestiti strappati, la pelle martoriata da tagli e percosse, e tanti medici intorno a lui che blateravano cose su una violenza sessuale di gruppo, uno stato comatoso, un collasso della milza, un femore rotto.

Blaine desiderò svegliarsi, ma quello non era un sogno.

*

Aveva conosciuto Kurt alla Dalton, si era appena trasferito dalla sua vecchia scuola, a causa dei bulli. Anche lui ci era passato, sulla schiena e sul petto aveva delle cicatrici non indifferenti delle violenze subite al ballo del primo anno. Lo aveva amato da subito. Lo avrebbe amato di più dopo.

Era il periodo in cui i suoi genitori non sapevano niente su di lui, e loro lo amavano, era il loro figlio prediletto. Non prendeva mai meno di A nei compiti, nessuna assenza strategica, presidente di molti club, amato da tutti. Il figlio perfetto. Se non si fosse innamorato di Kurt così prepotentemente, come un fulmine al ciel sereno, probabilmente la sua bugia sarebbe continuata fino al college. Ma si era innamorato di Kurt come i fiori che sbocciano in primavera: era successo e basta, e la sua vita era diventata un intero fioraio, di cui Kurt era il fiore più raro e prezioso.

Era anche il periodo in cui la Dalton aveva raddoppiato i controlli, in modo che ci fosse veramente tolleranza zero verso ogni forma di bullismo. E lui era felice, perché le rare battutine su lui e Kurt erano definitivamente scomparse, e tutti a scuola avevano cominciato ad accettare il fatto che loro due si tenessero per mano in corridoio.

*
 
Odiava gli ospedali, li aveva sempre odiati. Troppo bianchi, troppo asettici, troppo tristi. Quando suo nonno era stato ricoverato odiava andare a trovarlo, quindi si rifugiava nell’unico reparto che gli mettesse gioia. Osservava i bambini appena nati nel vetro e sorrideva a ognuno di loro. Poi, quando aveva trovato il coraggio, tornava da suo nonno. E poi c’era stato quel giorno in cui non era potuto più tornare da lui, perché il nonno era morto in quel letto asettico in cui si trovava da mesi.

Stavano operando il suo corpo, in quel momento, e lui si trovava nella nursery di quell’ospedale più grande e importante di quello in cui suo nonno era morto. I bambini erano molti di più. Quel giorno erano nate diciotto femmine e un solo maschio. Guardava quel piccolo puntino blu in mezzo a tutte quelle culle rosa e non faceva che sorridere. I suoi genitori non gli avevano dato ancora un nome, ma Blaine lo aveva soprannominato Blue.

Non sapeva cosa stava succedendo nella sua vita, non sapeva se era ancora in vita, e non sapeva se avrebbe voluto continuare a vivere. Non aveva più una casa, forse non aveva più un ragazzo, non avrebbe più potuto frequentare il McKinley, ed era certo che quello che quei tre ragazzi gli avevano fatto gli sarebbe rimasto impresso per sempre. Non gli avevano rubato la verginità, no, Kurt se l’era presa con dolcezza e con amore e Blaine gli sarebbe sempre stato grato per quella notte, poiché lui aveva preso quella di Kurt e quel momento li aveva legati ancora di più. Ma quei tre ragazzi nel vicolo gli avevano rubato l’innocenza, quella degli adolescenti, che credono ancora che il mondo sia buono e dolce, e non spietato. Blaine sapeva che, se si fosse svegliato dal coma, non sarebbe più stato lo stesso.

Ma quel bambino, Blue, era così bello, così innocente, piccolo e indifeso. E lui stava guardando i primi attimi della sua vita, e doveva esserne grato. Forse quel neonato poteva essere un motivo in più per combattere e vivere ancora.

*

L’aveva baciato un pomeriggio di marzo. Non sapeva come gli era venuto in mente. Aveva pensato di farlo dal primo momento in cui l’aveva visto. Poi erano diventati migliori amici, e passavano le giornate intere a parlare nella sua stanza oppure al telefono. Ormai alla Dalton erano un’unica persona, tutti li vedevano perfetti come coppia –anche Blaine vedeva loro due come una coppia- e forse per quello l’aveva baciato.

Non era affatto programmato, Kurt stava straparlando di moda, di quanto amasse Marc Jacobs e di quanto ammirasse ciò che aveva fatto Gianni Versace per il mondo della moda prima di essere ucciso*, e Blaine, seriamente, amava la moda, ma Kurt parlava, e le sue labbra si muovevano così velocemente.

L’aveva baciato quindi, sul letto della stanza di Kurt. Gli aveva messo una mano sulla guancia e aveva fatto girare il suo viso dalla sua parte, distraendolo dal volume di Vogue che aveva in mano. E poi aveva premuto le labbra contro le sue, delicatamente. Tutta la scena era durata qualche secondo, non di più, perché poi Blaine si era allontanato, arrossendo e cominciando a chiedere scusa a Kurt, che lo guardava sbalordito.

“Scusami, scusami, non volevo baciarti! No aspetta lo volevo, ma non così. Volevo farti un discorso, magari portarti un fiore, qualcosa di più romantico, ma non ce l’ho fatta a resistere, scusami Kurt, scusami tanto. È che tu mi piaci… mi piaci parecchio. Probabilmente dal momento in cui ti ho visto hai cominciato a piacermi. Scusami, sicuramente non provi lo stesso, o mio Dio che figura! Kurt ti prego, non guardarmi, dì qualcosa…” aveva detto tutto d’un fiato.

Kurt non aveva risposto, aveva fatto qualcosa di meglio. Aveva sorriso, e si era avvicinato per baciare di nuovo Blaine. Quel bacio era durato di più rispetto al primo. Kurt si era sdraiato completamente su di lui, posando una mano dietro al suo collo, per spingerlo sulle sue labbra e per liberare i capelli dal gel, mentre Blaine aveva accarezzato i suoi fianchi, assecondando i movimenti dell’altro.

“Blaine…” aveva sussurrato poi Kurt “non devi mai più scusarti le prossime volte che mi bacerai”

*

Quando tornò al reparto chirurgia i medici stavano ancora operando il suo corpo. Riuscì a entrare, voleva vedere come era ridotto, e la prima cosa che vide fu il viso. Gli venne da vomitare. Aveva il naso spaccato, leggermente inclinato verso sinistra, il labbro coperto di sangue, da cui spuntavano un paio di punti e gli occhi contornati da cerchi viola. La cosa peggiore è che per ogni ferita che notava, gli veniva in mente l’esatto momento in cui glie l’avevano inflitta. In prossimità della guancia un’infermiera stava rimuovendo un piccolo pezzo di vetro verde –Blaine ricordò la bottiglia di birra- e dopo aver disinfettato la ferita si avvicinò al suo orecchio. “Ascolta ragazzo, sei messo male, ti stiamo aggiustando dalla testa ai piedi, e quello che hai passato ti rimarrà per tutta la vita. Ma devi combattere, perché non sei solo” sussurrò.

Blaine sorrise.

Decise che non poteva stare più lì dentro, e arrivò in sala d’aspetto giusto in tempo per vedere suo fratello raggiungere la reception chiedendo sue informazioni. Come era arrivato Cooper in così poco tempo?

“Voglio sapere come sta mio fratello! Senta, non mi interessa niente delle regole dell’ospedale!” urlò lui.
Oh, Cooper…
Gli prese la mano, con la consapevolezza che lui non potesse né vederlo né sentirlo, e questo lo faceva sentire male.
“Signor Anderson?” chiamò un’infermiera. Suo fratello si girò, e in quel momento Blaine notò i suoi occhi lucidi e il suo viso bagnato dalle lacrime.
Oh, Cooper…

*

“Oh, Cooper! Smettila di incasinare la mia collezione di cravattini!”

Ogni volta che suo fratello lo veniva a trovare non era mai un bel giorno. Ma Blaine stava con Kurt da un mese, e niente poteva togliergli il sorriso, neanche l’uragano Cooper. Evidentemente suo fratello aveva notato qualcosa di diverso dall’ultima volta che si erano visti e, dopo cena, gli aveva parlato. Aveva messo a soqquadro i cassetti, come ogni volta, e in seguito aveva preso possesso del suo letto. Poi era arrivata la domanda.
“Stai uscendo con qualche ragazza?” gli aveva chiesto lui. Blaine aveva abbassato lo sguardo, sorridendo al pensiero di Kurt, e infine aveva scosso la testa. Il fratello lo aveva guardato come se avesse voluto studiarlo.

“In realtà Coop, devo dirti una cosa… ma non puoi dirlo a nessuno, prometti?” aveva sussurrato avvicinandosi al fratello.
“Schizzo, ho capito, hai messo incinta qualcuna! Diventerò zio così giovane!” Blaine si era sentito in colpa e avrebbe voluto non dire niente, ma ormai aveva già iniziato il discorso.
“In realtà sto uscendo con un… con un ragazzo” aveva sussurrato.
Cooper era rimasto a bocca aperta, e poi aveva sorriso, si era alzato dal letto e si era avvicinato a lui, cingendogli le spalle con un braccio.
“Non puoi dirlo a mamma e papà, schizzo, lo sai. Ma io non sono come loro, puoi stare tranquillo. Ora… raccontami un po' del ragazzo con cui stai uscendo”
Blaine aveva sorriso e aveva iniziato a raccontare.
“Il suo nome è Kurt…”

*

“Mi dispiace darle queste informazioni. Al telefono le abbiamo detto che ha avuto un incidente. Non è vero. Il signor Anderson, suo fratello, questa sera è stato picchiato a sangue con oggetti contundenti da tre ragazzi, che in seguito l’hanno… -la ragazza abbassò lo sguardo- l’hanno violentato. Le sue condizioni sono critiche, è in sala operatoria da quando è arrivato. Abbiamo provato a chiamare i vostri genitori, ma non rispondevano”

Cooper si asciugò gli occhi, e Blaine non voleva fare altro che abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene.

“Per favore, lascia che li avverta io i nostri genitori, è una situazione delicata” sussurrò.
L’infermiera annuì e fece per andarsene, ma Cooper la fermò.
“Posso avere il telefono di mio fratello, per favore? Devo avvisare una persona” chiese, e la ragazza annuì, andando a recuperare il telefono di Blaine, che era scarico.
Blaine seguì suo fratello in giro per l’ospedale mentre quest’ultimo cercava una presa per il telefono, e quando la trovò non esitò un attimo ad accendere il cellulare e a cercare il nome di Kurt nella rubrica.

Cooper si rendeva conto che era tardi, ma si rendeva anche conto che suo fratello sarebbe potuto morire da un momento all’altro, e Kurt era il suo ragazzo.
“Pronto?” rispose il ragazzo
“Kurt, sono Cooper, il fratello di Blaine” disse lui. Ci fu un momento di silenzio, in cui nessuno dei due parlò.
“Puoi dire a tuo fratello che se vuole chiedere scusa deve presentarsi davanti a me e non cercare altre vie di fuga” fu Kurt a parlare.
“No aspetta, Kurt. Blaine… Blaine è in ospedale, ti prego, vieni il prima possibile”
Kurt non ha mai corso così tanto in vita sua.

*

Mentre stava cantando “Somwhere only we know” a Kurt, che era tornato nella sua vecchia scuola, Blaine non aveva voluto piangere. Non era perché avrebbe voluto mantenere l’immagine del ragazzo duro e misterioso agli occhi degli amici del suo ragazzo, ma perché per lui non era stato un addio, e non lo sarebbe mai stato. Si erano messi insieme da poco più di due settimane, ma lui aveva già capito di amarlo.

Kurt era raggiante quel giorno, felicissimo di ricongiungersi alle Nuove Direzioni di nuovo, ma Blaine sapeva che almeno una parte del suo cuore era triste, triste per lui. Quando ebbe finito di cantare, avrebbe voluto baciarlo, ma erano nel cortile della sua scuola, e Kurt si era limitato a stringerlo forte, come se avesse voluto fondersi con lui, per poi sussurrare una frase al suo orecchio, che non avrebbe mai dimenticato.

“Non ti dirò mai addio”

E Blaine in quel momento lo aveva amato un po’ di più.

*

Era l’una e mezza di notte quando arrivò Kurt. Aveva gli occhi stanchi, i capelli scomposti, e non lo aveva mai visto vestito così trasandato, con una tuta grigia e le scarpe da ginnastica bianche. Si fiondò subito tra le braccia di Cooper appena lo riconobbe: quando era andato a casa Anderson aveva visto molte sue foto. Blaine era geloso, avrebbe voluto toccare Kurt, anche solo sfiorarlo sarebbe andato bene. Voleva far sapere loro che lui era presente.

“Ti prego, Cooper, dimmi cosa è successo” sussurrò.
“È meglio se ti siedi, non è facile per nessuno dei due. E mi dispiace conoscerti così Kurt. Blaine mi ha parlato tantissimo di te” singhiozzò il fratello, invitando il più giovane a sedersi accanto a lui.

Solo quando Kurt si sedette Cooper iniziò a parlare.
“Non so bene perché Blaine fosse fuori casa alle undici e mezzo di sera, ma so che ha a che fare con i nostri genitori. Ho provato a chiamarli più volte, ma ignorano volutamente i telefoni. Questo vuol dire solo una cosa: Blaine ha fatto coming out e papà l’ha sbattuto fuori di casa”

“O mio Dio, ecco perché mi ha chiamato. Aveva bisogno di me e io non c’ero! Ho preferito non farlo parlare e farlo sentire in colpa, e adesso è qui in ospedale per colpa mia!” urlò Kurt, scoppiando in lacrime. Blaine si avvicinò a loro, toccando la guancia del suo ragazzo. “Non è colpa tua –disse, sapendo di non poter essere ascoltato- non hai fatto niente. È colpa di quei tre bastardi”. Ed è la stessa cosa che disse Cooper, facendo sorridere suo fratello.

“Non è ancora arrivata la parte più difficile, Kurt. Westerville non è famosa solo per i ricconi, ma anche per le strade pericolose. Odio i giri di parole, quindi sarò diretto: è stato picchiato a sangue da tre omoni più forti e grandi di lui, che poi l’hanno –Cooper non riusciva a dirlo, ma doveva farlo- l’hanno… stuprato” è riuscito a finire la frase prima di scoppiare a piangere, e Kurt con lui. Blaine non riusciva a vedere l’amore della sua vita e suo fratello piangere per lui senza che potesse fare niente per consolarli, per dirgli che stava bene, così tornò nella nursery, dove scoprì, con meraviglia, che il piccolo Blue aveva finalmente un nome. Alfred.

Blaine aveva un motivo in più per vivere.

*

“Queste fettuccine Alfredo sono deliziose!” aveva esclamato Kurt al ristorante. Stavano festeggiando il loro secondo mese insieme e, dato che al primo aveva pagato Kurt, al secondo aveva organizzato tutto Blaine, e lo aveva portato a mangiare il suo piatto di pasta preferito nel suo ristorante preferito.

“Se avessi un figlio lo chiamerei come questo piatto!” aveva risposto Blaine dopo aver ingoiato una forchettata.
“Chiameresti tuo figlio Fettuccine?” aveva domandato poi Kurt ridendo, prima di prendere un’altra forchettata. L’altro ragazzo lo aveva guardato, e da fuori sembrava stesse guardando la cosa più bella del mondo. Non sapeva cosa gli fosse saltato in mente, ma quel momento gli era sembrato quello perfetto per dirglielo.

“Ti amo”
Kurt quasi si era strozzato dall’emozione, aveva ingoiato la forchettata e aveva sorriso.
“Ti amo anche io –aveva fatto una piccola pausa, prendendo la mano di Blaine da sopra il tavolo- e Alfredo sarebbe un nome perfetto per un bambino”

*

Alla fine si era seduto davanti alla porta della sala operatoria, dove stavano finendo di ricucire il suo corpo mezzo distrutto. Erano passate altre quattro ore, oltre all’ora e mezza prima dell’arrivo di Kurt. Quando i medici uscirono, accompagnati dalla barella che reggeva Blaine, erano le cinque e mezza del mattino. A quell’ora suo padre si sarebbe svegliato per andare a lavoro.

Lo portarono in terapia intensiva, dove solo i parenti potevano accedere. Eppure lui voleva soltanto Kurt accanto a sé. Entrò Cooper dalla porta, e si sedette accanto a lui, notando ogni particolare, dal viso, all’addome, alla gamba ingessata.
“Blaine…”
Cooper…
“La polizia è venuta da me, mentre ero in sala d’aspetto… ha detto che hanno arrestato chi ti ha fatto questo, Schizzo. Saranno rinchiusi a vita, ci sono talmente tante accuse alle loro spalle…”
So che non è abbastanza per te.
“Dovrebbero subire la metà di quello che ti hanno fatto passare per farmi sentire un minimo appagato, dovrebbero morire per farmi sentire estremamente felice”
Il resto della mia vita sarà un inferno, cosa devo fare?
“Ti prego, Blaine, ti prego. Non mollare. Fallo per me, per i tuoi amici… fallo per Kurt, che è corso qui in meno di mezz’ora e non si decide ad andare a casa, vuole vederti a tutti i costi”
E tu, come hai fatto a venire?

“Sai, Schizzo, volevo farvi una sorpresa. Volevo presentarmi a casa, facendo felici mamma e papà, ma la chiamata dall’ospedale è arrivata proprio mentre ero in taxi. Ho fatto cambiare subito destinazione e sono venuto qua” disse tra le lacrime.
Proprio in quel momento entrò dalla porta l’ultima persona che Blaine si sarebbe aspettata. Suo padre era vestito di tutto punto, con la valigetta ventiquattr’ore stretta nella mano destra, la schiena dritta, il viso austero. “Lasciaci soli, Cooper” disse soltanto, e suo figlio scosse la testa, avvicinando la sedia al letto. Devon Anderson sbuffò, ma non contestò la decisione del primogenito.

Blaine si aspettava delle scuse, si aspettava un pianto, qualche parola di conforto, o una stretta di mano. Non successe niente di tutto quello.
“Ecco che succede quando non vuoi dare ascolto al tuo vecchio, Blaine. Quando ti sarai ripreso ti trasferiremo in un collegio privato, specializzato nel risolvere problemi come il tuo. I documenti sono già stati firmati di mio pugno stamattina. Non frequenterai più quel liceo, non vedrai più quel ragazzo che ti ostini a chiamare “fidanzato”. È ora di rimetterti sulla giusta via” e come è arrivato, Devon Anderson se ne sarebbe potuto andare, se non fosse stato per Cooper.
“Non puoi fargli questo!” urlò.
“Invece posso e lo farò, figliolo. Che questo… incidente… gli serva da lezione” rispose il padre con calma.
“Ma ti senti come parli? Tuo figlio è stato picchiato a sangue e violentato tre volte. Ed ora è in coma e l’unica cosa che riesci a fare è spedirlo in un collegio per fargli rivivere quell’esperienza a vita? Non te lo permetterò, papà. Dovrai vedertela con me. E con la mamma, dato che lei sicuramente non sa neanche che vostro figlio è qui!” la voce di suo fratello era iniziata con calma, per poi finire con un grosso urlo. E adesso aveva il fiatone, e le lacrime agli occhi. In quel momento Blaine avrebbe voluto abbracciarlo.
“Lui non è più mio figlio” sussurrò il signor Anderson, prima di lasciare l’edificio.

Blaine si sentì morire.

*

“Figliolo, vieni!” aveva detto sorridendo suo padre.

Quel giorno Devon Anderson si era presentato con una vecchia Chevrolet Impala del 1967**, in buone condizioni. Aveva bisogno di qualche ritocco, ma se avessero completato i lavori sarebbe stata la macchina più bella di tutta Westerville. E suo padre aveva deciso che Blaine lo avrebbe aiutato a rimetterla in sesto.
La macchina era bellissima, lui se ne intendeva, e aveva ereditato l’amore per i motori da suo padre. Avevano aggiustato la marmitta, ripassato lo smalto e sostituito i vetri. Avevano controllato il motore e avevano studiato ogni sua parte.

Era stato il giorno più bello della sua vita prima dell’incontro con Kurt. Non si era mai sentito così vicino al padre in quindici anni di vita. Si erano sporcati le mani e avevano riso, avevano fatto una pausa con la limonata di Pam Anderson, insieme a dei tramezzini al burro d’arachidi. E quando si era fatto la doccia aveva trovato tracce di grasso ovunque. Gli era piaciuta quella giornata, davvero. Ma sapeva che aveva mostrato a suo padre solo la parte che lui avrebbe apprezzato di più.

E di sera, quella giornata era diventata come una delle tante.

*

Ecco quello che si sarebbe ritrovato al risveglio, una vita che non lo voleva più, la stessa vita che gli stava dando la possibilità di morire. E Blaine davvero si era sentito morire alle parole del padre. Aveva cominciato ad urlare, e poi aveva visto una luce –la luce-. Solo un passo, e sarebbe finita. Solo un passo e non avrebbe più avuto niente di cui preoccuparsi.

Cooper stava guardando ancora verso la porta, quando qualcosa cambiò in Blaine, e non era niente di positivo. Il bip ad intermittenza che indicava i battiti del suo cuore, divenne costante.

E dopo ci fu il caos.

Portarono di nuovo Blaine in sala operatoria, il polmone si era riempito di liquido e c’era bisogno di drenarlo. E Cooper sapeva che il suo fratellino aveva sentito tutto il discorso del padre, e quello era il suo modo di dire che non era d’accordo, e che sarebbe voluto morire, che svegliarsi e ritrovare quella vita. Fu in quel momento che Cooper chiamò l’unica persona che avrebbe convinto suo fratello a restare.

*

C’era una cosa su cui Blaine e Cooper non avevano mai litigato, e quella era la felicità della madre. Pam Anderson era la persona più dolce, liberale e protettiva che i due conoscessero, oltre ad essere la miglior madre del mondo.

Quando erano più piccoli era solita portare loro dei biscotti al cioccolato, in modo che il loro profumo potesse svegliarli.

Quando Cooper era entrato nella difficile fase adolescenziale, e Blaine aveva solo sette anni, la signora Anderson aveva cominciato a lasciare giù i biscotti, perché a Cooper dava fastidio che venisse trattato come un bambino.

C’era quando Cooper ha debuttato nella sua prima pubblicità, c’era quando portarono Blaine in ospedale dopo il ballo Sadie Hawkins, c’era sempre stata.
Solo una volta aveva fatto un errore. E quell’errore era stato appoggiare suo marito quando aveva cacciato il loro bambino fuori casa. E quell’errore aveva portato suo figlio all’ospedale.

*

Erano le sette e mezza del mattino quando Pamela Anderson abbracciò suo figlio maggiore, piangendo e disperandosi mentre sapeva che il suo secondogenito sarebbe potuto morire da un momento all’altro.

A fianco a loro, seduto, mentre guardava un punto impreciso del muro con gli occhi pieni di lacrime, si trovava Kurt Hummel, che da sei ore e mezza cercava disperatamente di non pensare al fatto che era colpa sua. Avrebbe dovuto lasciarlo parlare, durante quella chiamata. Non era riuscito a dormire, aveva passato tutto quel tempo a cercare di vedere Blaine, ma, come tre infermiere irritate avevano cercato di farglielo capire, lui non sarebbe potuto entrare. “Non fai parte della famiglia del paziente, ci dispiace” ripetevano ogni volta che sia alzava per andare nella stanza del suo ragazzo. Era buffo, perché Blaine gli aveva sempre detto che lui era la sua famiglia, non Cooper, o la signora Anderson, o, per carità, il signor Anderson. Lui. Kurt Hummel.

“Ciao” disse timidamente Pam a quel ragazzo dagli occhi azzurro mare. “Tu devi essere Kurt. Mi dispiace non sapere molto su di te, Blaine –sospirò, asciugandosi gli occhi- lui non ci ha mai parlato di te” concluse. Il ragazzo la guardò. Non sembrava odiarlo, al contrario del signor Anderson che, passando accanto a lui, lo aveva incenerito con lo sguardo e gli aveva sussurrato “Finocchio” prima di sparire dietro il muro.

Blaine li osservava parlare, li osservava piangere e li osservava mentre si colpevolizzavano.

“Avrei dovuto inveire contro tuo padre, Coop, avrei dovuto urlare che Blaine è sempre Blaine e avrei dovuto cacciare lui di casa, non avrei dovuto permettere a Devon di sbatterlo fuori casa” diceva sua madre.
“No, signora Anderson, non è colpa sua, lui mi chiamò dopo aver discusso con voi, e io non gli ho dato modo di parlare, ero così arrabbiato con lui… se gli avessi permesso di parlare, sarebbe venuto a casa mia, non avrebbe subito quello che ha subito” rispondeva Kurt.
“Non è colpa vostra, è colpa di tre omoni grandi il triplo di Blaine, omosessuali repressi, finti omofobi e pedofili a fargli questo. Tutto questo colpevolizzarsi non lo aiuterà a svegliarsi” interveniva allora Cooper, e tutti quanti gli davano ragione.

Poi sua madre disse qualcosa che lo sorprese.
“Tu lo ami” affermò. Non era una domanda, lei ne era certa.
Blaine attese con ansia la risposta di Kurt.
“Più della mia stessa vita” rispose il suo ragazzo.
“Adesso capisco perché Blaine ha rischiato tanto a dirci di te a poche settimane dall’ultimo giorno di scuola. Avrebbe potuto fare finta di niente, invece lui voleva presentarti a noi e portarti al ballo di fine anno. Gli fa onore, vi fa onore. E io vi appoggerò” disse sua madre, e Blaine si allontanò dalla luce.

*

Avevano litigato di brutto, Blaine e Kurt. Sebastian continuava a provarci con Blaine e lui sembrava apprezzare le avances di quella mangusta coi denti da cavallo. E Kurt era verde di gelosia.

Avevano cominciato ad urlarsi, a dire cose che non pensavano, a tirarsi addosso i cuscini del letto di Kurt, finché Blaine non se ne andò, lasciando Kurt in lacrime, sul pavimento. Dall’altra parte della porta l’altro ragazzo si stava stringendo il petto, cercando di non singhiozzare mentre piangeva e scendeva le scale.
Era capitato di litigare prima, ma la gelosia di Kurt e la testa dura di Blaine avevano superato il limite quella volta. Ed entrambi ne erano consapevoli.

Non passarono neanche qualche ora separati, che Blaine si era precipitato a casa di Kurt, e nello stesso momento in cui lui era uscito di casa per cercare Blaine. Si erano incontrati sul vialetto di casa Hudson-Hummel.

“Scusami, Kurt, hai perfettamente ragione, io dovrei scansare Sebastian ogni volta che si avvicina e… e… ho pianto così tanto oggi. Ti prego Kurt, scusami” aveva mormorato Blaine.
“No, scusami tu, non avrei dovuto mai dubitare di te e darti la colpa di quello che quell’essere fa. Io ti amo, mi fido ciecamente di te” aveva risposto Kurt, prima di abbracciarlo.

Si erano baciati, poi. Kurt lo aveva preso per il papillon e lo aveva spinto sulle sue labbra, con dolcezza e allo stesso tempo prepotenza. Dopotutto era sempre così dopo una litigata: quel tipo di bacio significava “sei mio, non scordarlo mai”.

Poi Kurt aveva preso per mano il suo ragazzo e lo aveva guidato dentro la sua casa, nella sua camera.

Avevano fatto l’amore per la prima volta, abbracciati tra le coperte dall’odore di vaniglia. Non era stato perfetto, era la prima volta per entrambi, tutto quello che sapevano l’avevano imparato da internet o da degli opuscoli. Però era stato perfetto a modo loro. Blaine aveva baciato ogni neo della schiena di Kurt e lui aveva fatto lo stesso con le cicatrici di quell’aggressione avvenuta anni prima durante il ballo Sadie Hawkins.

Entrambi capirono due cose importanti, quella sera: la prima era che il loro legame sarebbe diventato più forte e profondo da quel giorno, e la seconda era che il sesso post-litigata era una delle cose migliori che avessero mai provato.

*

Il piccolo Alfred aveva una marea di capelli, nonostante fosse nato da pochi giorni, ricci e scuri, e gli occhi verdi, piccoli ma vispi. Si guardava intorno in cerca di qualcuno, forse la sua mamma.  Il vantaggio di essere uno spirito era soprattutto quella di poter entrare dove non sarebbe dovuto essere, ma dato che nessuno poteva vederlo, era riuscito a raggiungere il bordo della culla del bimbo.

Lo aveva accarezzato, e poi gli aveva preso una manina. Era così piccolo e indifeso. Avrebbe voluto stringerlo come un padre fa col figlio. Avrebbe voluto amarlo come fa una madre, ma era solo uno spirito, e per di più uno straniero, quindi si limitava a guardarlo.

Successe qualcosa di strano, dopo. Il bambino puntò gli occhi color smeraldo su di lui, come se sapesse che c’era qualcuno con lui, e cominciò a ridere. Una risata senza suono, ma pur sempre un’espressone facciale diversa da quella solita dei bambini piccoli.

Blaine sussultò quando, dal vetro della nursery, vide un uomo singhiozzare di felicità alla vista del piccolo Alfred. Sicuramente quello era il padre.
Decise di tornare nella sua stanza, dove sua madre, gli stringeva la mano e gli accarezzava i capelli.

“Dovresti smetterla con tutto quel gel, Blaine, diventerai calvo a 25 anni” gli disse sua madre, cercando di alleggerire quella situazione, ma il peso di quello che aveva fatto non diminuì.

“Tuo padre è un pezzo di merda, Blaine. Ed io chiederò il divorzio. Non sono povera come lui crede, e ho una laurea a Yale con il massimo dei voti. Ho abbandonato tutto per voi, ma per voi posso ricominciare da zero. Possiamo ricominciare insieme, devi solo tornare, Blaine. –sua madre fece un respiro profondo, quello che stava per dire le costava molto- So anche che, se ti sveglierai, i ricordi di quello che ti è successo potrebbero rovinarti per sempre, e fare i conti con tuo padre sarà ancora più difficile. Perciò io lo capirò se… se vorrai andartene. Blaine, io lo capisco, lo capisco” sua madre cominciò a piangere a singhiozzi, mentre Blaine non poteva fare altro che osservare, piangere con lei, e tenergli la mano.

“Grazie, mamma” sussurrò.

Alle due del pomeriggio i dottori permisero ai suoi amici di entrare. Sam subito si fiondò in stanza, sedendosi accanto a lui, e prendendo il suo telefono per mostrargli una foto.

Ritraeva Blaine alle regionali con le Nuove direzioni, stava abbracciando Kurt mentre il professor Shuester alzava il trofeo del primo posto.

*

Erano tutti felici quel giorno. Nonostante i loro pensieri –soprattutto quelli di Kurt e Blaine- fossero rivolti a Dave e al suo tentato suicidio, quella vittoria aveva risollevato l’animo di tutti.

Appena il presentatore aveva annunciato i vincitori, Kurt aveva abbracciato Blaine senza paura. Avrebbe voluto baciarlo, lì su quel palco, ma non volevano ripetere la stessa figura che avevano fatto Rachel e Finn a New York l’anno precedente, quindi continuarono a tenersi per mano. Poi Blaine si era scansato, per dirigersi verso Sebastian, e gli aveva stretto la mano.

“Come sta il tuo occhio?” aveva chiesto timidamente l’usignolo
“È tornato alla normalità” aveva risposto sorridendo Blaine.
“Siete stati fenomenali, complimenti. Ora torna dal tuo ragazzo, mi sta uccidendo con lo sguardo”
E lui era tornato da Kurt, senza degnare di uno sguardo Sebastian, perché voleva guardare solo il suo ragazzo in quel momento, e per sempre. E sarebbe sempre, sempre tornato da lui.

Finn stava abbracciando Rachel, e aveva posato lo sguardo su loro due. Aveva sorriso. E quel sorriso diceva “Grazie”.
In quel momento qualcuno aveva scattato la foto, mentre Blaine stava sorridendo vittorioso a Finn e Kurt stava guardando il suo ragazzo con lo sguardo più bello e innamorato che ci potesse essere.

Sam Evans, che non era neanche presente in quello scatto, aveva conservato la foto.

*

“Eri così felice quel giorno, B. Midicesti che il tuo cuore stava scoppiando di felicità. Ti chiesi perché. Tu mi rispondesti…”
“Sembra che tutti i pezzi del puzzle siano al loro posto” sussurrò Blaine insieme a lui. Ed era vero, era dannatamente vero, in quel momento si sentiva al settimo cielo e se avesse voluto avrebbe potuto toccare il cielo con un dito, avrebbe potuto volare, come diceva quella canzone che avevano cantato proprio quel giorno.

“Non posso vivere senza di te, Blaine, nessuno può” continuò poi il suo migliore amico. “Se dovessi… se dovessi morire non te ne andresti solo te, ma un pezzo di cuore di ogni persona che ti ha amato nella tua giovane vita. Dio, tutto il cuore di Kurt verrebbe con te nella tomba. Non ho mai visto una persona amare così tanto. So che sembro… stupido, a volte. Ma proprio perché sembro stupido che riesco a comprendere e a vedere che quello- quello che voi due avete è la cosa più genuina che abbia mai visto. Non devi mollare, ti prego, Blaine”

Sam era stato portato gentilmente via da Cooper, perché troppo distrutto per poter continuare un discorso.

Vennero a trovarlo tutti i suoi amici del glee che, come una vera famiglia, si stringevano nella stanzetta per poter cantare una canzone a discapito di tutti gli infermieri che continuavano a gridare “Solo due alla volta!”

Kurt era il più vicino al letto, seduto su una scomodissima sedia grigia, il volto arrossato, le ciglia bagnate dalle lacrime e il corpo stanco. Era tutto il giorno che voleva vedere Blaine e solo adesso poteva stargli vicino, senza però potergli dire quello che voleva, perché non erano mai soli. Avrebbe voluto cantare, avrebbe voluto unirsi al coro del glee, fare qualcosa oltre a piangere e a sentirsi in colpa, ma non ci riuscì, quindi rimase in silenzio ad ascoltare. Blaine lo guardava da lontano.

*
“Non ti dirò mai addio, Blaine Anderson”
*
“Sono pazzo di te, Kurt”
*
“Oh, eccoti. Ti sto cercando da una vita”
*
“Non possono toccare noi, o quello che abbiamo”
*

Rachel posò uno stero vicino al letto, sul comodino, mentre Finn la abbracciava da dietro. Santana, Brittany, Sam, Artie, Tina, Mike, Mercedes, Rory, Sugar, Quinn (sulla sedia a rotelle) e Joe erano leggermente più indietro, e tutti si poggiavano sul letto, o sulle spalle di qualche compagno. Tutti erano lì, per lui, anche il professor Shuester, che era rimasto fuori. Sentirli cantare per lui, essere lì per pregarlo di restare in vita, mosse qualcosa in Blaine, ma era Kurt colui che gli faceva stringere il cuore. Kurt, con i suoi occhi rossi e le labbra serrate mentre gli altri trovavano un po’ di coraggio per intonare le prime note di quella canzone.

Take my mind
And take my pain
Like an empty bottle takes the rain
And heal, heal, heal, heal


Blaine, dall’angolo della stanza, piangeva in silenzio, anche se sapeva che se avesse urlato nessuno lo avrebbe sentito.
Non sapeva come tornare a vivere, ma forse tutte queste persone gli avrebbero insegnato a farlo.

And take my past
And take my sense
Like an empty sail takes the wind
And heal, heal, heal, heal


And tell me somethings last
And tell me somethings last


Si avvicinò ad ognuno di loro, toccando braccia, mani e passando le mani tra i capelli di Artie, tanto nessuno poteva sentirlo. Quel tocco non faceva bene a loro, ma a Blaine sì. Li rendeva più veri, più reali. Era questo quello che gli serviva per cercare di ritornare da loro: sapere che, se si fosse svegliato, loro sarebbero stati accanto a lui e avrebbero guarito le sue ferite.

Take a heart
And take a hand
Like an ocean takes the dirty sand
And heal, heal, hell, heal


Per ultimo si avvicinò a Kurt che, in silenzio, si limitava a far scorrere le lacrime sul suo viso e a guardare nel vuoto. Blaine non capiva come, ma quelle lacrime sovrastavano le voci di tutto il glee, come se, in quel momento, lui avesse solo occhi e orecchie per Kurt, come se, tra tutte le persone in quella piccola, piccola stanza, solo lui potesse guarirlo davvero.

Take my mind
And take my pain
Like an empty bottle takes the rain
And heal, heal, hell, heal

And tell me somethings last***

*

Certe volte Blaine non riusciva a connettere il cervello alla bocca o al suo corpo. Quando aveva detto sì a Sebastian Smythe per uscire, anche dopo quello che lui gli aveva fatto all’occhio, il suo cervello probabilmente aveva prenotato una vacanza alle Hawaii senza invitare il resto del corpo che, purtroppo, si accorse troppo tardi di aver fatto una cazzata.

Non sapeva cosa ci facesse Kurt all’uscita dallo Scandals, quel giorno, non aveva motivi per stare lì. Ma lui era comunque fermo vicino alle porte del locale, con uno sguardo che Blaine non avrebbe dimenticato facilmente. Si era avvicinato a lui, rendendosi conto troppo tardi di quello che era successo.

“Quando Sebastian mi ha mandato quel messaggio, non volevo crederci. Insomma, lui è una mangusta tentatrice che cerca di portarti a letto da quando lo hai incontrato e quindi avrebbe potuto inventarsi qualsiasi cosa. Non volevo venire, ma poi ho pensato ‘perché Sebastian mi direbbe una cosa del genere se poi non fosse vera? Lui non ci ricaverebbe niente’. Quindi sono venuto, e ho aspettato. Stavo per andarmene, quando ti ho visto arrivare. –Kurt prese un respiro profondo, cercando di trattenere le lacrime fino alla fine- Sappi che non mi sono mai sentito più tradito in vita mia, Blaine. Lui ti ha fatto male, ti ha quasi accecato, sapevi come avrei preso questa situazione, eppure sei uscito lo stesso per stare con lui! Non lo capisci?!” Blaine era rimasto in silenzio per tutto quel tempo, le lacrime sulle guance che scendevano, mentre lui si rendeva conto di aver fatto un enorme casino.

Solo quando Kurt lo superò senza neanche degnarlo di uno sguardo Blaine si decise a parlare. “Kurt, io…”

“No, Blaine” lo interruppe il castano. “Solo… no. Dammi tempo” e poi se ne andò, mentre Blaine si spezzava su quel marciapiede, davanti a quel locale.

Forse era per colpa degli occhi rossi, per l’aria stanca che aveva, o per i venti minuti che aveva passato in macchina a piangere davanti al vialetto di casa sua, che suo padre gli chiese cosa fosse successo. E forse proprio perché aveva deluso Kurt, e voleva fare qualcosa per rimediare, che aveva fatto coming out con i suoi genitori quella sera.

Purtroppo non era colpa della giornata pesante che aveva avuto il padre in ufficio a far prendere a quest’ultimo la decisione di cacciare suo figlio fuori di casa.

E di certo, non era colpa di qualche strana coincidenza terribile se Blaine si trovò quella sera nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Era colpa di Blaine. O almeno, questo è quello che pensava lui.

*

Era come se ci fosse un tabellone nella testa di Blaine, diviso in due parti, nelle quali elencava i pro e i contro del rimanere in vita. E i contro erano davvero tanti.

Restava in camera con il suo corpo, la maggior parte delle ore, mentre le infermiere, ormai sconfitte, lasciavano entrare chiunque nella sua camera anche se lui era ancora in terapia intensiva. Di certo Blaine non si era aspettato, quasi due giorni dopo il terribile accaduto, di vedere Burt Hummel seduto al suo capezzale.

Il Blaine fantasma era ormai diventato molto bravo nel capire cosa avrebbero detto le persone di fonte al suo corpo, sperando che lui possa sentirli, ma sapendo in cuor loro di non poter essere ascoltati. Ed erano lì che si sbagliavano, perché Blaine fantasma era lì, e poteva sentire tutto.

Burt era sempre stato una parte fondamentale della sua vita: era sempre il padre del suo ragazzo e inoltre era colui che gli aggiustava la macchina ogni volta che rompeva qualcosa. Era sempre a casa, seduto sul divano a guardare repliche di vecchie partite quando Kurt gli apriva la porta, e quando quest’ultimo era in cucina a preparare qualcosa loro due si sedevano vicini sul divano a parlare dei risultati delle ultime partite di football. Burt era come un secondo padre, che però accettava anche la parte che il suo padre biologico di sicuro non avrebbe accettato.

Rimase sorpreso nel vederlo prima del figlio. Era questo quello che si domandava Blaine da due giorni. Tutti erano venuti a fargli visita, sua madre aveva addirittura chiamato sua nonna, che aveva attraversato il paese solo per vedere suo nipote su un letto d’ospedale e in pessime condizioni. Tutti avevano detto qualcosa, ma Kurt era rimasto in silenzio, quell’unica volta in cui era entrato in camera. Non aveva mai abbandonato l’ospedale, però, e Finn gli portava cibo e vestiti puliti ogni giorno e ogni giorno gli chiedeva di tornare a casa e lui semplicemente scuoteva la testa e si richiudeva in sé stesso.

E adesso Burt era lì, col suo cappello consunto sul grembo e gli occhi leggermente lucidi, e guardava ogni singolo centimetro del suo corpo distrutto.

“Ti voglio dire una cosa, Blaine Anderson. Tutto ciò che ti sto per dire non ha a che fare con Kurt, o con la relazione che hai con lui. Ha a che fare con te, perché sono certo che tu puoi sentirmi” cominciò lui, e Blaine era sicuro di stare per sentire qualche frase fatta su come fosse bella la vita, ma si sbagliò di grosso.

“La vita è un enorme pezzo di merda, Blaine. Fino a tre giorni fa non mi passava l’idea che qualcosa come quello che ti è successo, sarebbe potuto accadere a qualcuno di così vicino a me. Non me lo aspettavo, era l’ultima cosa che avrei voluto sentire dalla bocca di Finn, solo perché Kurt non riusciva a parlare. Però è successo, e dobbiamo tutti accettarne le conseguenze. Tu per primo. Non voglio dirti che starai bene, perché non sarà così. Da quello che ho capito di quello che hanno detto i medici, ti ci vorrà del tempo per tornare a camminare, ancora più tempo per tornare a ballare. Dovranno aggiustarti il naso e non riuscirai a respirare bene per un po’, le cicatrici sulla tua schiena saranno talmente dolorose che non riuscirai appoggiarti da nessuna parte e i lividi che hai sul collo e sul resto del corpo non se ne andranno entro due settimane”.
Burt gli stava sbattendo in faccia tutti i motivi per cui morire, e non capiva il perché di tutto quel discorso. Non capiva perché proprio lui lo stava incoraggiando a lasciarsi andare in quel modo, ma continuò ad ascoltare il flusso di quelle parole.

“La tua storia è già su tutti i giornali e forse dovrai testimoniare contro i tre che ti hanno fatto questo, ma tutto quello che ti sto dicendo è niente in confronto a quello che succederà dentro di te. Avrai incubi, problemi di fiducia, ansie e forse anche la depressione. Passerai degli anni terribili Blaine Anderson, senza che tu abbia fatto niente per meritarli. Ma ascoltami bene, ora: tu puoi combattere tutto ciò, e non perché sei forte. Ma perché sei circondato da persone che ti amano, e che staranno al tuo fianco sempre e comunque. Tuo padre non ti vuole più come figlio? Bene, allora prenderò io il suo posto, e ne sarei davvero onorato. I tuoi amici ti abbandoneranno per colpa del casino che ci sarà nella tua testa? Troverai qualcuno che aggiusterà il tuo cervello per te. Ma non sarai mai, mai solo. Ora devo andare, ma ricordati queste parole, Blaine Anderson: non puoi scegliere la tua famiglia di provenienza, ma puoi scegliere quella in cui ti troverai meglio nel futuro. Spero di far parte di quella famiglia”

Alla fine di tutto il discorso Blaine si accasciò sul pavimento, piangendo tutte le sue lacrime.

*

Non capiva perché, ma Alfred continuava ad essere lì, nella nursery. In quei due giorni in ospedale Blaine non aveva visto nessuno che chiedeva di lui. Tutti indicavano le bambine intorno a lui e anche i nuovi maschietti della nursery, ma lui rimaneva solo. Aveva visto il padre due volte, e la madre non era mai presente. Non c’era nessun nonno, nessun amico, nessun parente oltre al padre, che sembrava amarlo più della sua stessa vita.

Era lì, a guardare quel bellissimo bimbo, quando la sentì. Veniva da tutte le parti, come se stessero trasmettendo dalla radio, eppure nessuno cambiò espressione tra i visitatori che si trovavano nella nursery, quindi poteva sentirla solo lui.

Era Candles, degli Hey Monday.

*
“Sono, impressionato, di solito ne scegli una della Top40”
*

Quando arrivò nella sua stanza, c’era Kurt seduto accanto a lui, con un Ipod in mano, e con l’altra sistemava una delle cuffie sulle sue orecchie. Ascoltarono in silenzio per qualche secondo, poi Kurt interruppe la musica.
“Blaine…”

No.
“Resta”
Non posso, Kurt. Ti prego.
“So che quello che ti è successo rimarrà per sempre con te, e non sarai più lo stesso. So che ci vorrà tempo, prima che tu tornerai almeno a somigliare a quello che eri, ma stamattina sono uscito per la prima volta dall’ospedale, e sono andato a casa tua. Tua madre mi aveva lasciato le chiavi del portone, così sono entrato. Non doveva esserci nessuno, tecnicamente, perché tuo fratello e tua madre erano qui, mentre tuo padre avrebbe dovuto essere al lavoro. Volevo prendere qualche tuo vestito, un tuo papillon, magari quello che hai messo il primo giorno di scuola quest’anno, per poter avere il tuo profumo. Avevo chiesto a tua madre, ma lei ha insistito che uscissi dall’ospedale e sapeva che qualsiasi cosa riguardasse te mi avrebbe convinto, ed è stato così. Sono salito sulle scale, non ero mai entrato a casa tua, ma ho seguito le istruzioni di tua madre, e sono entrato in camera tua. Sul tuo letto, addormentato, c’era tuo padre”

Blaine trattenne il respiro, aspettando che Kurt racimolasse il coraggio necessario a farlo continuare.

“Aveva pianto, si vedeva, e abbracciava un tuo maglioncino. Decisi di svegliarlo, e quello che mi disse mi spezzò il cuore. Mi ha detto di aver avuto paura, di aver sbagliato tutto con te e che era colpa sua se ora sei qui. Mi ha inoltre detto che ti ha reinserito al McKinley e che tutto ciò che ha fatto e detto negli ultimi tre giorni era sbagliata. Adesso è qua fuori, e ti vedrà dopo di me.”

Blaine non sapeva come prendere la notizia. Era davvero, davvero sollevato, ma non abbastanza da poter tornare a vivere. Non lo avrebbe fatto, no. Aveva preso la sua decisione. Tutto quello che avevano detto i suoi amici e Burt lo avevano commosso, e aveva provato ad aggiungere nuovi punti alla lista delle cose che lo avrebbero fatto restare, ma i contro erano sempre troppi. Non sarebbe rimasto solo per poter vivere un inferno vivente, avrebbe preferito morire. Ed era quella la sua decisione, stava solo… aspettando, forse.

“Blaine… tu ce la puoi fare, attraverseremo tutto questo insieme. Ricordi… ricordi quando Dave mi baciò e tu venisti alla mia scuola per affrontarlo? Ci conoscevamo da tre giorni, e tu già mi proteggevi come se fossimo migliori amici da sempre. Poi ti dissi che non ero mai stato baciato prima di allora, e tu mi offristi il pranzo. Quella volta mi hai aiutato e sono sicuro che se quella volta non mi avessi salvato adesso io non sarei qui con te, ma da qualche parte al cimitero, dopo aver fatto una brutta fine per essere stato troppo codardo da continuare a vivere. Non ti sto chiedendo di essere coraggioso, ti sto chiedendo di lasciarti salvare. Ti sto chiedendo di lasciarti amare” Kurt a quel punto stava già piangendo, e prese tra le sue mani quella fredda e ricoperta di cerotti di Blaine.

Blaine non ce la faceva. Poggiò la sua mano su quella di Kurt e con l’altro braccio circondò il suo corpo, rilassandosi completamente al suo tocco. Gli sarebbe mancata quella situazione, gli sarebbe mancato lui, ma quella luce lo stava attirando, e lui era pronto ad andare, ma voleva passare gli ultimi istanti con il suo unico vero amore.

“It’s time for us to part
Yeah, it’s best for us to part
Oh, but I love you, I love you
Take care of yourself, I’ll miss you”****  cantò Blaine, prima di allontanarsi definitivamente da Kurt e da quella vita.

*

“Farò tutto quello che vuoi, Blaine. Non andrò alla NYADA, non mi trasferirò se non con te, sai che ti amerò anche dopo tutto questo, sai che non sono il tipo da abbandonarti, ma ti prego, resta” disse Kurt, piangendo sulla mano del suo ragazzo.

Blaine rimase spiazzato da quelle parole, ma neanche la certezza dell’amore per Kurt l’avrebbe distratto da quella luce bellissima e così calda. Non avrebbe più dovuto preoccuparsi delle ferite psicologiche e fisiche, e non avrebbe più pianto, non avrebbe più sofferto.

Però poi Kurt cominciò a cantare, e tutti i ricordi riaffiorarono come uno tsunami improvviso, e le emozioni lo colpirono in pieno petto, e cominciò a ricordare tutto.

And there is no mountain too high

Il loro primo bacio, le loro mani strette, i loro “Ti amo” sussurrati sulla pelle mentre facevano l’amore per la prima volta

No river too wide

Ricordò i litigi con Cooper, la limonata e i sandwich di sua madre, le cene di famiglia sempre così serie e spiritose allo stesso tempo, il giorno in cui face coming out con Cooper e parlò di Kurt mentre lui lo abbracciava.

Sing out this song I will be there by your side

I giorni passati in aula canto, sia quella del McKinley sia quella della Dalton, nei momenti in cui apriva la bocca e cantava, o le sue mani sfioravano l’avorio del pianoforte con dedizione e cura. I duetti con Kurt, le esibizioni, le gare. Quelle regionali… quella sensazione “Sembra che tutti i pezzi del puzzle siano al loro posto”

Storm clouds may gather, and stars may collide
But I love you, until the end of time
Come what may, come what may
I will love you until my dying day


Avrebbe perso tutto quello, avrebbe perso l’amore di una famiglia allargata, l’amore di tutti, solo per non soffrire più? Avrebbe sacrificato tutto quello?

*

Aveva appena finito di intonare l’ultima nota, che tremava a causa delle lacrime che non smettevano di scendere, quando alzò lo sguardo e li vide, due occhi color ambra, che non vedeva da più di tre giorni, che fissavano il mondo per la prima volta dopo molto tempo e già erano lucidi per le lacrime.
Si alzò verso di lui, e pianse, mentre chiamava il nome del suo ragazzo, vivo, sotto le sue mani.

“Blaine?”
 



Note:
*omaggio alla serie ACS: the assasination of Gianni Versace, in cui Darren Criss interpreta Andrew Cunanan, l’assassino
**omaggio a Supernatural, l’impala del 67 è la macchina dei Winchester
***Heal, Tom Odell, colonna sonora di Resta Anche Domani
****Take Care Of Yourself, la canta Rory in una puntata della terza stagione di glee
E l’ultima canzone è ovviamente Come What May, dal musical Moulin Rouge! che dovevo mettere assolutamente perché ci sta troppo bene con la situazione e perché è uno dei miei duetti preferiti della Klaine.
Credo di non aver mai scritto una one shot così lunga in vita mia, per favore siate clementi, è la prima storia nel fandom di glee e non preoccupatevi per il finale, perché sto già pensando ad un sequel.
Ovviamente le recensioni sono ben accette e mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate! Grazie mille a chiunque leggerà fino alla fine.
-A
   
 
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