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Autore: vivvi_viola    03/09/2018    2 recensioni
«[...] Siete come una famiglia, male assortita, confusionaria e molto, molto strana, ma una famiglia.»
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Piccolo delirio notturno, senza pretese, nato da un sogno.
Nonostante molti lo trovino un personaggio controverso, personalmente credo che Deke possa avere del potenziale (o forse sono io che adoro i personaggi un po' demenziali).
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Skye
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La branda su cui sono seduto emette cigolii ad ogni mio minimo movimento, le reti di ferro arrugginito gemono e minacciano di cedere sotto il peso del mio piccolo corpo. Da quello che so, sono qui da più di un secolo.

Guardo mia madre mentre sistema dei pezzi di stoffa sdruciti sulla sua branda; li stende con cura passandoci sopra la mano per poi spolverarli con colpi rapidi e secchi del polso, come se potesse con quel semplice gesto ripulirli dal sudiciume che hanno raccolto per decenni.

«Ormai stai diventando grande, ti serviranno degli abiti nuovi» dice voltandosi a guardarmi.

I suoi occhi azzurri sorridenti mi trasmettono serenità, ma so già quello che sta per accadere. Continuo a guardare la figura di fronte a me, tentando di trattenerne ogni singolo particolare: mia madre è una donna minuta, dai capelli corti e sempre scompigliati,il suo sorriso è capace di illuminare anche le giornate più tristi e buie, per quanto le giornate qui si assomiglino tutte.

Fra poco arriveranno, ma lei non può saperlo e neanche io, se non fosse che ho rivissuto questo momento infinite volte.

Immagino il rumore dei passi prodotti dai pesanti stivali chiodati prima ancora che essi svoltino l’angolo. Si fanno sempre più vicini, fino a quando si fermano di fronte alla porta della nostra stanza.

Se ne accorge finalmente anche mia madre che si volta alzandosi di scatto e posizionandosi con fare protettivo tra me e le figure che hanno appena fatto irruzione; ma loro non sono qui per me.

Chiudo gli occhi e li stringo forte, non voglio vedere di nuovo quella scena, vorrei solo cancellarla dalla mente, ma so che è tutto inutile: perché alla fine guarderò, so che lo farò. Continuo a rivivere lo stesso momento, senza poter fare niente per cambiare il corso degli eventi.

Sento mia madre urlare mentre il Kree la solleva per trascinarla via.

Adesso si divincolerà per raggiungermi, poi spalancherò gli occhi e lo vedrò.

Ma quando li riapro la donna di fronte a me non è mia madre: serro i pugni e tento di urlare raccogliendo tutta l’aria che ho nei polmoni, ma la gola chiusa mi impedisce di farlo.

Così mi alzo dalla branda e tento di raggiungere il Kree, perché stavolta non posso rimanere a guardare, devo fare qualcosa, devo salvarla. Lui, impassibile come sempre, mi guarda con sufficienza, come se avesse altro da fare e noi gli stessimo facendo perdere tempo.

Prima ancora che riesca a fare un passo, la lancia dell’alieno trapassa il corpo della donna, sbucano dal suo torace; la punta intrisa di sangue scintilla alla luce bianca del neon che ronza monotono attaccato al soffitto.

Il Kree ritrae l’arma estraendola; mentre mi lancio per afferrare il corpo esanime della donna tutto quello che riesco ad articolare è: «Daisy!».
 

Deke aprì gli occhi e si guardò intorno, prima di realizzare di essere circondato dall’oscurità della base; il letto cigolò nel momento in cui sollevò il busto, nonostante non fosse così vecchio come lo ricordava.

Sollevò il braccio sinistro nel tentativo di asciugarsi il sudore dalla fronte, ma si bloccò quando notò la figura appoggiata con una mano allo stipite della porta della sua stanza: «Che succede?» chiese trafelata una voce femminile.

Deke rimase a fissarla immobile per qualche secondo, incerto sulla risposta che avrebbe dovuto darle.

«Niente, torna a dormire» le rispose infine sbuffando: raccontarle del suo sogno sarebbe stato troppo imbarazzante per entrambi.

«Ma ti ho sentito urlare il mio nome.»

«Probabilmente te lo sei sognato Daisy, torna a dormire.»

«Sono quasi sicura che non fosse frutto della mia immaginazione, ero sveglia quando l’ho sentito» rispose Daisy con una scrollata di spalle; incrociò le braccia sul petto e rimase immobile a fissare Deke: quello era il suo modo di far capire all’interlocutore di volere delle risposte e non se ne sarebbe andata prima di averle ottenute.

Deke sospirò e, scostando le coperte si mise a sedere sul bordo del materasso guardando la figura scura in controluce di Daisy. Probabilmente era troppo buio perché lei notasse il rossore che gli si era dipinto sulle guance, ciò nonostante preferì distogliere lo sguardo, ma poi sbottò: «Che stai facendo sveglia a quest’ora?».

La donna rimase in silenzio e Deke capì che quelli non erano affari suoi, era quasi sicuro che lei gli avrebbe risposto in malo modo, come faceva sempre quando la importunava. «Stavo controllando dei dati nella sala computer» affermò invece con fare evasivo.

«Non avevamo controllato tutto prima di andare a dormire?» chiese l’uomo corrugando la fronte e guardando dritto dove immaginava fossero gli occhi di Daisy. Riuscì a cogliere un rapido movimento, come se lei li avesse abbassati e poi alzati di nuovo; la sua vista si stava lentamente abituando all’oscurità.

«Volevo essere sicura che...» si interruppe evidentemente in difficoltà, Daisy era un’ottima bugiarda, anni nello S.H.I.E.L.D l’avevano resa un’agente perfetta per le operazioni sotto copertura, ma quando c’erano i sentimenti di mezzo piccole fratture si insinuavano nelle difese che aveva eretto intorno a sé facendole crollare pezzo dopo pezzo. Ruotò il piede destro evidentemente a disagio e si appoggiò con la spalla sinistra allo stipite della porta.

«Non riuscivo a dormire» concluse infine con un soffio di voce.

Deke sapeva cosa la tenesse sveglia ancora prima che lei glielo dicesse, o meglio: chi.

La guardò serio e le fece cenno di entrare.

Daisy ruotò la testa per dare un’occhiata al corridoio vuoto alle sue spalle, poi sospirò e, facendo cadere le braccia lungo i fianchi, si diresse verso il letto, abbandonandosi pesantemente sul materasso.

Alcune molle saltarono e lo stridio della rete di ferro riecheggiò nella stanza e nei corridoi del Faro.

«Se fossi in te starei attenta a come mi siedo, non vorrei ritrovarmi a dover dormire sul pavimento» la rimproverò Deke puntandole un dito contro.

Daisy alzò gli occhi al cielo, «Dopo tutti questi anni passati come schiavo dei Kree ti lamenteresti di un semplice letto rotto? Tranquilla principessa, questo posto è pieno di brande, non correresti il rischio».

«Io non sono… » cominciò a ribattere Deke, ma poi si fermò e mosse la mano a mezz’aria per evitare di continuare il discorso; «Per quale motivo eri sveglia?» la guardò serio «Intendo il vero motivo».

Daisy appoggiò la testa sul muro alle loro spalle, lo sguardo assente, come se stesse cercando le parole giuste.

«Coulson.»

«Coulson» ripeté l’uomo.

«Durante il giorno siamo sempre impegnati e non abbiamo mai tempo per fermarci a pensare, ma la notte è tutto diverso» spiegò Daisy abbassando lo sguardo e osservandosi le mani che teneva intrecciate sopra le gambe incrociate.

Deke si accorse della punta di tristezza nella sua voce ed annuì: sapeva come funzionava, era una delle poche cose che era rimasta immutata nel futuro. In fondo la natura umana, per quanto tempo passi, rimane sempre la stessa.

«Era come un padre per me,» socchiuse gli occhi «l’unico a cui io abbia mai voluto bene. E adesso se n’è andato, se n’è andato anche lui. Tutte le volte che mi convinco di non essere seguita dalla morte, qualcun altro mi lascia» una lacrima le scivolò sulla guancia e scintillò riflettendo la luce dei neon che illuminavano il corridoio di fronte alla stanza.

Deke rimase in silenzio, nel tentativo di scegliere le parole giuste: sapeva di non essere nelle sue simpatie e parlando senza pensare come faceva di solito avrebbe potuto urtare la sua sensibilità.

«Nel futuro, o meglio,» prese a parlare lentamente «nel futuro che io ho vissuto e che adesso non esiste più, era nella norma vedere morire i propri cari, gli amici; se avessi voluto sopravvivere il più a lungo possibile avresti dovuto evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo, così la notte non saresti rimasto sveglio, ripensando a ciò che avevi perso. Ho sempre pensato che i legami rendessero vulnerabili e, in un certo senso, credo che essere un agente non sia molto diverso, ma da voi, da tutta la squadra ho capito che quello che vi rende forti è proprio il legame che vi unisce. Prendi Fitz-Simmons-»

«I tuoi nonni» lo interruppe Daisy ruotando la testa per guardarlo.

L'uomo la guardò interdetto, sbattendo più volte le palpebre.

«Sì, ma detto da te, suona strano e quasi imbarazzante» le rispose Deke accigliato.

A Daisy sfuggì una risatina.

«Lo trovi divertente?» la rimproverò cercando di soffocare una risata.

«No, no, ti prego continua.»

Deke respirò profondamente prima di riprendere, dove era rimasto?

«Prima che mi interrompessi con la tua considerazione inopportuna» proseguì sottolineando con forza la parola «stavo parlando di Fitz-Simmons: quei due riescono a fare qualsiasi cosa, anche la più spericolata, soltanto per l’amore che provano l’uno verso l’altra. Il loro comportamento esula del tutto dalle leggi dell’autoconservazione e non saprei come spiegarlo se non ammettendo che la salvezza dell’altro valga più della propria.»

Deke guardò Daisy che lo ascoltava in silenzio.

«La morte delle persone a te care non è colpa tua» sospirò abbassando lo sguardo.

«Lo so, ma questo non le rende meno dolorose» ammise lei sbattendo le palpebre e lasciando che un’altra lacrima scivolasse via.

Rimasero a fissare il corridoio per un po’, poi Daisy riprese, con voce titubante: «Tu come fai?».

Deke si sporse dal materasso per guardarla in faccia e la donna abbassò gli occhi verso di lui; non si aspettava quella domanda e non avrebbe mai creduto che lei potesse chiedere un consiglio su una questione così profonda e personale proprio a lui.

«Sono passati tanti anni,» cominciò con voce roca «adesso è più semplice: il tempo guarisce e comincia a farti capire che le cose non sarebbero potute andare altrimenti. Se i miei genitori non fossero morti probabilmente non vi avrei mai conosciuti, non avrei visto il mondo come era prima…» stava per dire “che Quake lo distruggesse”, ma si corresse, non solo per non ferirla ulteriormente, ma anche perché ormai sapeva che non era stata lei la causa del futuro distopico in cui aveva vissuto «prima che Talbot lo facesse saltare in aria.» concluse «All’inizio è stata dura, per molti anni dopo la morte di mia madre ho continuato a fare lo stesso incubo: rivivevo il momento della sua morte più e più volte, ma senza riuscire a salvarla.» Daisy lo guardò perplessa. «Dopo ho cominciato a sognarlo sempre meno, fino a quando non se n’è andato del tutto» concluse battendo silenziosamente le mani.

«E quello di stanotte che incubo era?» intervenne la donna staccando la schiena dalla parete.

Deke la fissò inebetito, non sapendo come rispondere cominciò a guardarsi intorno e chiese: «Incubo? Quale incubo?».

«Uh, quello che ti ha svegliato» Daisy lo guardò con aria interrogativa e le sopracciglia corrugate.

«Ah quello.» con la mano destra si grattò il mento «Non era niente.»

L’inumana continuò a fissarlo; «Io mi confido con te e tu ti confidi con me, i patti erano questi».

«Scusami ma non credo di aver stretto nessun-» non riuscì a finire la frase che Daisy lo colpì in faccia con il guanciale.

«La violenza fisica non rientrava assolutamente nel patto» sbottò Deke strappandole il cuscino di mano e rimettendolo al suo posto.

Daisy si portò un dito alle labbra e gli fece cenno di fare silenzio: «Cerca di non svegliare tutta la base Deke!» bisbigliò sottovoce.

Entrambi tesero l’orecchio nel tentativo di cogliere qualche segno proveniente dalle altre stanze, non sentendo nessun rumore si rilassarono.

«Va bene, va bene: ho di nuovo sognato la morte di mia madre» ammise infine Deke.

«Oh» disse soltanto Daisy appoggiandogli una mano sulle spalle; «Mi dispiace» sospirò infine.

L’uomo abbassò gli occhi, incerto se raccontare anche il resto o tacerlo; ma i patti erano patti.

«Ma stavolta non c’era lei» deglutì prima di proseguire «c’eri tu.»

Deke la osservò per vedere la sua reazione.

«Io?» esclamò Daisy ritraendo la mano.

Stavolta fu lui a farle cenno di abbassare il tono di voce.

«Io?» ripeté stavolta bisbigliando «Sapere che qualcuno ha sognato la mia morte, soprattutto prima di una missione, non è molto confortante Deke.»

Poi disse ridacchiando: «Non credevo mi odiassi così tanto», ma vedendo che lui rimaneva serio si rabbuiò.

«Io non ti odio» mormorò con un filo di voce l’uomo «Tengo a te e non vorrei che ti succedesse niente, né domani né mai. Anche io ho perso molte persone care.»

Daisy sembrò rimanere stupita da quelle parole, ma poi annuì.

Deke si tirò su e si appoggiò alla parete chiudendo gli occhi; si aspettava di sentirla alzarsi e uscire dalla stanza, invece percepì qualcosa premergli sulla spalla sinistra: quando riaprì gli occhi vide che lei aveva appoggiato la testa sulla sua spalla e continuava a fissare il corridoio con gli occhi socchiusi.

«Allora siamo in due» disse soltanto inspirando lentamente.

Rimasero ad ascoltare il ronzio dei neon per qualche minuto; Deke sperò che bastassero a coprire il rumore dei battiti del proprio cuore, il quale stava battendo all’impazzata a causa dell’improvviso contatto corporeo.

«Sai» cominciò a balbettare nel tentativo di scacciare l’imbarazzo che lo aveva colto «non pensavo di affezionarmi così tanto a voi, capisco perché abbiate fatto di tutto nel futuro per restare uniti e non lasciare nessuno indietro. Siete persone» fece una pausa per cercare la parola giusta «speciali, come dici tu. Siete come una famiglia, male assortita, confusionaria e molto, molto strana, ma una famiglia.»

«Siamo» lo corresse Daisy con voce flebile e impastata.

Deke si sentì scorrere un brivido lungo la schiena, sentirlo dire da lei rendeva il tutto ancora più strano, ma era felice di essere considerato uno della famiglia.

«Dopo aver rischiato la vita per voi è il minimo riconoscimento che mi potessi aspettare» disse scherzando.

Il respiro di Daisy si era fatto regolare, quando Deke riaprì gli occhi si accorse che lei si era addormentata, la testa ancora appoggiata a lui.

«Ottimo, adesso sarò io quello a non riuscire a dormire: Daisy Johnson, ho sempre saputo che saresti stata una spina nel fianco» sussurrò, incrociò le braccia sul petto e richiuse gli occhi reclinando la testa all’indietro.

Sorrise pensando a quanto fosse cambiata la sua vita nell'ultimo anno, ma per niente al mondo avrebbe cambiato il corso degli eventi e adesso ne era sicuro più che mai.

 
   
 
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