Bucky
gli scrocca un’occhiata torva prima di afflosciarsi sulla sua
sedia e si prende
qualche momento per riordinare le idee. La scrivania di Sam, di fronte
a lui, è
immacolata; non può far a meno di gettare
un’occhiata alla confusione che regna
sulla sua. Se dovesse smarrire un documento importante Steve gli
farà il culo a
strisce e immagina già Wilson sghignazzare sotto i baffi
alla scena.
«La
metro ha fatto di nuovo ritardo, uh?» Sam continua e per una
volta mette da
parte ogni provocazione, ma il tono rimane casuale.
«Troppo
affollata per i miei gusti» bofonchia l’altro. Fino
a quando non avrà bevuto un
bel caffè amaro non sarà in vena di conversare.
Il
suo partner questo lo sa, eppure continua a parlare e Bucky si chiede
se lo
faccia tanto per far passare il tempo o se gli piaccia irritarlo allo
stremo.
Conoscendolo, la seconda opzione è assai più
probabile.
La
centrale già brulica di personale e civili con le loro
chiacchiere e le
lamentele; Bucky si volta verso le scrivanie vuote dei detective Barton
e Romanoff,
è probabile che siano stati chiamati per un caso.
L’ufficio di Steve ha la
porta chiusa: forse è fuori anche lui. No, si sbaglia. La
porta si apre e ne
esce uno Stark dall’espressione sorniona. Negli ultimi tempi
gli Affari Interni
se ne stanno con il fiato sul collo di Rogers e dubita che la cosa
renda felice
il Capitano. Che abbiano qualche problema con la sua gestione del
Distretto? Il
mondo di Bucky sta finalmente riacquistando una parvenza di
normalità dopo la
guerra, non vuole davvero affrontare l’ennesimo
sconvolgimento.
«Hai
mai pensato di sfilarti la protesi e usarla per scacciare le persone?
Io lo
farei.» Sam mira al suo punto più debole e
ridacchia, ma non di lui. Con lui. Non ha paura di tirare in ballo
l’argomento come gli altri
colleghi: è un tentativo di sollevargli l’umore e
Bucky deve ammettere che sta
funzionando mentre immagina l’assurdità della
scena.
Tutti
in centrale lo trattano come fosse fatto di cristallo: si muovono in
punta di
piedi intorno a lui, bisbigliano tra loro e lo guardano sottecchi
quando
credono che non se ne accorga. Però se ne accorge eccome ed
è stufo di quelle
premure non richieste: desidera solo essere trattato come tutti gli
altri.
Desidera essere considerato al pari degli altri detective ma quando le
persone
lo guardano riescono a vedere solo il suo handicap, solo quella dannata
protesi
al braccio.
E
poi c’è Steve. L’uomo che ora
è a capo di un intero Distretto di polizia,
l’uomo che rivuole indietro il suo migliore amico. Ma Bucky
non è più il
ragazzino che si è arruolato nell’esercito per
inseguire un sogno e non è più
il soldato che ha eseguito ciecamente ogni ordine. Bucky non ha idea di
chi sia
diventato, ma è certo che non tornerà a essere
l’uomo che era prima della
guerra, prima dell’imboscata che gli ha portato via il
braccio. Non è facile
sostenere lo sguardo speranzoso di Steve e deludere le sue aspettative
giorno
dopo giorno, ma Bucky non può tornare indietro, neanche se
lo volesse. E forse
non vuole, non vuole perché sta cominciando ad accettare la
sua inaspettata
situazione e tutti i cambiamenti che porta nella sua vita.
Forse
sta conquistando una sorta di pace nel suo cuore ed è anche
merito di Sam. Il
suo partner scherza spesso riguardo alla sua protesi ma mai alle sue
spalle e
mai nell’intento di schernirlo; quand’è
in difficoltà si rifiuta di aiutarlo e
lascia che se la sbrighi da solo; non lo guarda di sottecchi, ma dritto
negli
occhi.
Per
tutte queste ragioni, Bucky si sforza di comportarsi in maniera civile
anche
senza aver bevuto il suo caffè.
«La
prossima volta lo farò.»
Riordina
le scartoffie sparpagliate sulla sua scrivania e aspetta invano una
replica. Riceve
solo silenzio e per un attimo si lascia distrarre dal lavoro; hanno due
casi in
sospeso e ci sono dei documenti da protocollare, firme da apporre e un
interrogatorio da validare. Il tutto slitterà se saranno
chiamati per
un’emergenza, e in quel quartiere le emergenze non mancano.
Si passa la mano
buona tra i capelli e si rassegna ad una lunga giornata.
Sam
rimane taciturno per qualche minuto: non è da lui. Gli
risponde solo quando il
collega alza lo sguardo: «Abiti ancora a Murray
Hill?» gli chiede.
«Sì.»
Bucky aggrotta la fronte. «Perché?»
Sam
zucchera il suo caffè prima di berne un sorso. «Ci
passo per venire qui: potrei
accompagnarti.»
La
sua voce è gentile ma ferma, una semplice offerta.
Il
primo, istintivo pensiero di Bucky è di rifiutare la
proposta: odia dover
chiedere aiuto e odia non poter più guidare con quella
protesi. Ma odia anche
la metro affollata e quel suo tanfo di sudore e orina al mattino. E
alla sera.
Non lo sopporta più: non è impazzito per aver
perso un braccio, ma rischia di
diventar matto se continuerà a prendere i mezzi pubblici.
La
verità è che l’offerta non gli spiace,
anche se si sforza di nasconderlo, però non
può accettare.
«Sei
gentile, ma non ne ho bisogno.»
Sam
appoggia la schiena contro la propria sedia. «Oh, non lo
faccio per
gentilezza.»
D’accordo,
ora è confuso. «Cosa intendi?»
«Siamo
partner: se arrivi in ritardo, o assonnato, o irritato, rallenti anche
il mio
lavoro. E poi quando siamo di ronda ti scarrozzo in ogni caso, ormai ci
ho
fatto il callo» gli dice prima di lanciare il bicchiere vuoto
nel cestino, che
fa centro.
È
sempre stato così Sam: gli sbatte in faccia la
verità senza addolcire la
pillola e non si preoccupa di offenderlo perché sa quanto
sia improbabile che
accada. In più, riesce quasi sempre ad avere
l’ultima parola nelle discussioni
e la cosa fa imbestialire Bucky. Solo dopo aver lavorato insieme per
settimane
ha scoperto che Sam nel tempo libero fa volontariato agli Affari dei
Veterani:
è abituato a gestire gli ex soldati burberi e scontrosi;
probabilmente è per
questo che Steve li ha resi partner. Bucky sa che non
riuscirà ad avere la
meglio oggi.
«Non
mollerai l’osso tanto facilmente, vero?»
Sam
allarga le braccia. «Dico solo che è stupido usare
la metro quando io faccio
quasi la stessa strada. Ma ehi, se guido davvero così
male…»
«Falla
finita, Wilson» borbotta mentre alza gli occhi al cielo.
«È
un sì quello?»
Bucky
sospira e si alza con l’intenzione di prendersi un
caffè al distributore. «Vuoi
proprio sentirmelo dire?»
«Passo
alle otto in punto domattina, non fare tardi» chiarisce
puntandogli contro
l’indice. «Mi porti un caffè?»
grida alle spalle di Bucky che alza il dito
medio senza voltarsi. Immagina il ghigno di Sam mentre dice:
«Non dimenticare
lo zucchero!»
Bucky
lascia il contenitore di plastica sulla scrivania del partner prima di
accomodarsi sulla propria sedia. La centrale si è mezza
svuotata per pranzo e
finalmente regna una parvenza di pace in ufficio. Clint ha gli occhi
chiusi e
la testa reclinata contro la propria sedia, ma Bucky dubita che stia
dormendo
davvero: si sta solo godendo il silenzio che lo circonda quando non
indossa
l’apparecchio acustico, abbandonato sulla scrivania. Non ha
idea di dove sia
Natasha ma non se ne preoccupa, quella donna è perfettamente
capace di badare a
sé stessa. Lucky, accucciato sotto la scrivania del padrone,
lo guarda con la
lingua penzoloni.
«E
questo cos’è?» chiede Sam perplesso
quando distoglie lo sguardo dal suo pc.
«Il
tuo pranzo.»
Il
collega lo squadra con occhi sorpresi e una piccola ruga si forma sulla
sua
fronte.
«Mi
hai preparato il pranzo?»
Bucky
non risponde subito: si prende del tempo per fare un po’ di
spazio sulla
propria scrivania e tirar fuori dal cassetto un portapranzo simile a
quello che
ha appena consegnato a Sam.
Decide
di non dargli una risposta diretta. «Se ti vedo di nuovo con
un panino di
Subway mi si tapperà un’arteria» Alza
gli occhi su di lui prima di continuare:
«Stai forse cercando di farti venire un infarto prima dei
cinquant’anni? Complimenti,
sei sulla buona strada.»
L’altro
abbassa lo sguardo e si accarezza l’addome. «Faccio
jogging ogni mattina e
smaltisco tutto il grasso.»
«Non
funziona proprio così» gli fa notare, ma Sam
preferisce ignorarlo.
«Lo
vedi anche tu che sono in ottima forma.»
Quella
frase lo coglie di sorpresa, o meglio, è il tono di Sam a
spiazzarlo. C’è una
nota nella sua voce che Bucky ha avuto occasione di sentire poche
volte, ad
esempio quando parla con la ragazza carina dell’archivio. No,
quando flirta con la ragazza carina
dell’archivio.
Ma
cosa va a pensare? Quello è il suo partner.
E sta aspettando una risposta. «Non significa che i
tuoi trigliceridi siano
messi bene.»
Sam
l’osserva recuperare una forchetta e un tovagliolo di carta.
«Potrei sottopormi
agli esami del sangue solo per smentirti, peccato che io non li faccia
mai.»
Bucky
lo guarda sconcertato da quelle parole. «Lo sai che questo
non migliora affatto
la tua posizione, vero?»
«Disse
Mister “mi fumo una sigaretta quando penso che nessuno mi
veda”.»
Vorrebbe
chiedergli come fa a saperlo, credeva di essere stato attento a non
farsi
beccare: evita di fumare quand’è alla centrale, ma
se proprio non riesce a
farne a meno si rintana in bagno o sulla scala antincendio.
D’altra parte è
circondato da detective e agenti di polizia, davvero
s’illudeva di farla
franca? È probabile che non l’abbia nemmeno visto
e che l’abbia dedotto dal
lieve odore di fumo che Bucky non riesce a scrollare dai propri
vestiti,
dopotutto negli ultimi giorni passano molto tempo rinchiusi in
un’auto, nel
bene e nel male.
Il
fatto è che non vuole dargliela vinta, in più le
abitudini alimentari di Sam lo
spaventano sul serio: l’ha visto fare colazione
più di una volta con pancake
salati, uova e pancetta. Ha i brividi solo a ripensarci, deve fare
qualcosa e
sa esattamente come farlo cadere in trappola.
«Facciamo
una scommessa: vediamo chi resiste più tempo, tu senza i
panini di Subway o io
senza sigarette.»
Gli
basta uno sguardo al viso del collega per capire che ce l’ha
in pugno.
«Sai
che ti dico, Barnes? Ci sto. Dato che ormai mi hai portato il pranzo,
direi di
iniziare da oggi.»
«Perfetto»
replica senza esitare.
Sam
fa una pausa e Bucky quasi teme che voglia rimangiarsi la parola ora
che sta
riflettendo meglio sulle implicazioni di quella scommessa. Invece
l’uomo gli
rivolge un sorriso sornione, dev’essere convinto che
vincerà.
«Vuoi
fumarti un’ultima sigaretta? Te la concedo.»
Bucky
si ritrova a fumare solo quando è molto stressato ed
è sicuro di poter tenere
sotto controllo il proprio vizio più di Sam con la sua
ossessione per panini
decisamente poco salutari.
«Sto
benissimo» risponde Bucky mentre comincia a mangiare.
Vedendolo,
Sam deve ricordarsi che anche lui ha il proprio pranzo; dalla scrivania
di
fronte gli lancia un ultimo sguardo diffidente prima di aprire il
contenitore. Bucky
nasconde il proprio sorriso dietro la forchetta.
«Ho
quasi paura di sapere cos’è questa roba.»
Sam
osserva il suo pranzo con un’espressione che palesa disgusto
misto a dubbio.
Bucky
non si lascia sfugire quell’occasione per provocarlo.
«Si chiamano verdure,
Wilson. Sai, quella cosa verde nel tuo panino che scansi
sempre.»
«Divertente»
ribatte il partner con voce piatta. «E questo?»
chiede mostrandogli la
forchetta.
«Farro:
è più proteico e leggero del riso. E dei panini
Subway.»
Sam
pare quasi offeso da quell’affermazione e Bucky deve fare del
suo meglio per
trattenere una risata. Più passano i secondi più
è sicuro che vincerà quella
scommessa, deve solo assicurarsi che Sam non trovi il modo di barare.
«Ma
sei serio?» gli chiede l’altro costernato.
Bucky
mastica lentamente il proprio pranzo: non è mai stato
schizzinoso in fatto di
cibo e dopo aver mangiato le razioni di cibo liofilizzato
dell’esercito ci sono
davvero poche cose che giudica non commestibili.
«Assaggia
prima di criticare.»
Osserva
Sam portarsi la forchetta alla bocca, incerto, per poi masticare a
occhi
chiusi. A questo punto non gli importa delle critiche, non
s’immaginava che la
questione avrebbe preso una piega così divertente: la faccia
di Sam è
impagabile.
L’uomo
deglutisce a fatica e prende un sorso d’acqua. «Va
bene, non è la cosa peggiore
che io abbia mai mangiato… ma ci si avvicina.»
Bucky
alza gli occhi al cielo. «Pensavo mi avresti ringraziato per
il pensiero.»
L’altro
allarga le braccia come a scusarsi. «Dico sul serio: non ha
sapore!»
«Per
forza, sei abituato al sale e ai grassi.»
Una
risata amara sfugge dalle labbra di Sam. «E chiaramente qui
dentro mancano
entrambi.»
Bucky
si aspettava quella reazione perciò non ne è
sorpreso e gli punta contro
l’indice. «Sto facendo un favore al tuo cuore,
tienilo a mente.» Ripone il suo
portapranzo vuoto nel cassetto della scrivania e reclina il busto
contro la
sedia. «E poi ora c’è una scommessa in
ballo, vuoi per caso tirarti fuori?»
Sam
esita, è probabile che stia considerando quella
possibilità, ma poi rinuncia.
«No.» Si fa coraggio e mangia un altro boccone.
«È come mangiare segatura, ma è
carino che ti preoccupi del mio cuore.»
Eccolo
di nuovo, quel tono. Bucky non
vorrebbe davvero farsi idee strane, ma come può riuscirci se
Sam parla con
quella voce e lo guarda in quel modo. Si scrolla di dosso quelle
assurde
paranoie e l’insolita sensazione che si è
impadronita del suo petto.
«Non
voglio che tu abbia un infarto mentre mi scarrozzi in giro.»
Riesce perfino a
farlo ridacchiare, così prosegue: «Dai, domani ci
metto un po’ di formaggio.»
Il
suo partner lo guarda con una flebile speranza negli occhi scuri.
«Cheddar?»
Bucky
fa del suo meglio per trattenere una risata ma fallisce miseramente.
«Spalmabile.
Magro.»
«Ti
odio.»
Sono
appostati in auto da almeno due ore in attesa di veder riapparire il
teppistello
che stanno pedinando per un’indagine antidroga; il sospettato
è un pesce
piccolo della malavita locale, ma se lo prendono con le mani nel sacco
ci sono
buone probabilità che parli pur di evitare la galera. Sam
riconosce subito i
deboli che fanno la spia e l’idiota che stanno braccando
è uno di quelli,
potrebbe scommetterci il distintivo.
In
auto, la radio è spenta e l’unica cosa che
disturba il silenzio è il ticchettio
lieve della pioggerella che cade, ma a Sam va bene così.
«Oggi
sei piuttosto silenzioso. Il pranzo era davvero così
pessimo?»
Il
suo partner prova di nuovo a iniziare una conversazione ma Sam quel
giorno non
ha davvero voglia di starsene a parlare.
«A
quello mi sono abituato» replica piatto e spera che il suo
tono basti a zittire
l’altro.
Forse
quello non è un comportamento corretto, o maturo, ma Sam non
riesce a
impedirselo. Non è arrabbiato, piuttosto…
infastidito, anche se non vuole
ammetterne la ragione.
«D’accordo,
vado dritto al punto: ho fatto qualcosa?»
Sam
non riesce a guardarlo in viso quindi mantiene lo sguardo fisso davanti
a sé. «No.»
«Perché
sembra di sì» insiste l’altro.
Sa
che Bucky non si darà per vinto finché non
avrà scoperto la verità, perciò Sam
può solo rassicurarlo sperando che basti. «Non ce
l’ho con te.»
Infatti
il collega non molla la presa. «E con chi ce l’hai
allora?» Di fronte al suo
silenzio, continua imperterrito: «Quando abbiamo iniziato il
turno non avevi il
broncio, perciò dev’essere successo qualcosa in
centrale prima che uscissimo.
Ha qualcosa a che fare con Rumlow per caso? So che non hai una buona
opinione
di lui.»
Gli
sfugge una risata sarcastica. «Perché,
c’è qualcuno che ha una buona opinione
di lui? A parte te.»
«Che
differenza fa cosa penso di lui?»
Sam
osserva la confusione dipinta sul volto di Bucky e il senso di colpa
comincia a
montare dentro di sé. «Non capisco come faccia a
piacerti quel lecchino, tutto
qui.»
«Ma
chi l’ha detto che mi piace?» Ora è
Bucky quello infastidito. «Non lo sopporto,
come tutto il resto del Distretto. Diamine, nemmeno i suoi colleghi di
unità ai
Crimini Maggiori lo sopportano.»
Sam
si volta appena verso di lui posando il gomito sul volante.
«E allora che ci
faceva appoggiato alla tua scrivania stamattina? Se ne va in giro come
fosse un
eroe e non mi pare ti abbia dato fastidio.»
«Si
chiama essere civili.»
Bucky sospira
e quando torna a parlare il suo tono non è affatto
più pacato. «Ma
lo sai che il commissario Pierce
gli copre le spalle? Vorrei prenderlo a pugni tanto quanto te, ma li so
scegliere i nemici. Se dovesse lamentarsi di me quanto tempo credi ci
metterebbe a farmi togliere il distintivo? Con un braccio solo ho
dovuto faticare
il triplo rispetto agli altri per guadagnarmi il grado di detective e
se per
tenermi il lavoro devo occasionalmente intrattenere una conversazione
con quel
verme allora lo farò. Ecco quanto amo il mio
lavoro.»
Quello
è un aspetto che Sam non aveva affatto considerato; non ha
idea di ciò che
Bucky ha sacrificato per essere al suo fianco in quella auto.
«Sono un idiota,
scusa.»
Il
suo partner gli parla dopo una piccola pausa. «Posso sapere
perché ti ha dato
tanto fastidio?»
Sam
sospira e capisce che uscirà da quella situazione solo con
la verità: non ce la
fa più a mentire a sé stesso, a Bucky. Sente
più che mai il bisogno di dire
quelle tre parole, anche se è conscio che cambieranno tutto.
«Perché mi piaci.»
Bucky
apre la bocca ma non esce alcun suono, poi la richiude e aggrotta le
sopracciglia. «Io?»
«Sì,
tu. Certo che sei lento per essere un detective.» Sospira e
poggia la testa sul
sedile passandosi una mano sul volto. «Possiamo fingere che
io non abbia
proferito parola? Siamo partner, non voglio che la cosa si ripercuota a
livello
professionale: lavoriamo bene insieme, no?»
Bucky
non si muove. «Onestamente, non riesco a capire
come.»
«Come?»
gli chiede confuso.
L’altro
alza le spalle. «Come faccio a piacerti.»
Lo
sta prendendo in giro? «Non dici sul serio.»
«Oh,
sì. Cioè, guardami.»
Per
un istante è tentato di picchiarlo ma si trattiene.
«Cosa dovrei guardare? Gli
occhi azzurri, o la mascella squadrata?»
Bucky
alza gli occhi al cielo come fa sempre. «Non so, magari questa» dice indicando il
braccio sinistro.
Sam
non riesce a credere a quelle parole: è questo che Bucky
pensa? Che la sua
protesi abbia qualche importanza, una qualche rilevanza
nell’attrazione che Sam
sente?
«Come
puoi pretendere che le persone non notino la tua protesi se
è la prima cosa di
te stesso a cui tu pensi?»
Bucky
rimane interdetto per qualche momento, sembra che non sappia cosa dire
e Sam
considera quell’esitazione come una piccola vittoria, ma dura
poco.
«È
una parte piuttosto importante di me» ribatte.
«Ma
non ti definisce come persona, o perlomeno non dovrebbe.»
Bucky
stringe le labbra e distoglie lo sguardo dal suo viso, fissando i
rivoli di
pioggia che si rincorrono veloci sul parabrezza.
Avrebbe
dovuto star zitto: ha rovinato tutto. Come possono lavorare insieme
ora? Ma
cosa gli è passato per la testa?
«Anche
tu mi piaci» sussurra Bucky e a Sam si mozza il respiro
perché l’eventualità
che lo ricambiasse non gli ha nemmeno sfiorato il cervello e non sa
davvero
cosa dire.
«Sembriamo
due adolescenti.»
Bucky
ridacchia. «Sei geloso di Rumlow. Ti rendi conto?»
«Continuerai
a ricordarmelo per l’eternità, non è
vero?»
«Però
è carino che tu sia geloso.»
Sam
si avvicina un po’ di più la partner.
«Sai cos’altro fanno gli adolescenti soli
in auto?»
Gli
occhi di Bucky si spostano per un istante sulle sue labbra.
«Ho una mezza
idea…» Poi il suo sguardo oltrepassa Sam e guarda
la strada di fronte a lui.
«Ma temo che dovremo rimandare: il nostro uomo è
appena uscito.»
Sam
si volta ed emette un gemito simile a un grugnito. «Che
tempismo.» Il motore
dell’auto si avvia con un rombo soffocato dallo scrosciare
della pioggia, ora
più forte.
Bucky
gli tocca una spalla per reclamare la sua attenzione. «Ne
riparliamo stasera a
cena?»
«Basta
che non ci sia del farro.»