“He, who was living, is now dead
We, who were living, are now dying
With a little patience.”
T.S. Eliot –
“The waste land”
Si guardò intorno, sbirciando le costole
scollate dei numerosi libri usati accatastati sulle mensole. La maggior
parte
erano in giapponese, ma ce n’erano alcuni europei. Quasi
tutti classici, quasi
tutti libri che Byron conosceva o aveva letto.
«Cerchi qualcosa, bambino?» fece una
voce sottile proveniente da un punto imprecisato alle sue spalle. Si
voltò. Dietro
ad un corto bancone di legno, c’era un piccolo ometto dal
volto coperto di
rughe. Gli sorrise, e le rughe del collo non si distesero neanche di
mezzo
centimetro. I pochi capelli che adornavano la testa piccola e
tondeggiante
erano bianchi come la neve, gli occhi sembravano enormi dietro alle
spesse
lenti. Era uno strano vecchietto, forse troppo anche per uno come Byron.
«Sto solo dando un’occhiata» gli
rispose, tornando a scrutare i volumi che aveva davanti al naso.
«Quei libri sono troppo difficili per
te. Perché non provi con la sezione da bambini?»
Byron sollevò di nuovo lo sguardo.
Nonostante fossero trascorsi mesi da quando era tornato a condurre una
vita
quasi normale, non aveva ancora fatto l’abitudine ad essere
considerato poco
più di un bambino delle elementari. La sua indipendenza era
una delle tante
cose a cui era stato costretto a dire addio.
«Sto cercando un libro per mio fratello
maggiore» disse. Era una mezza bugia, ma non c’era
motivo di dirlo al proprietario.
E poi voleva davvero comprare qualcosa per Chris. Visto che era entrato
lì
dentro, perché non approfittarne? Il ragazzo avrebbe
gradito, o almeno così
sperava.
«E quanti anni ha?»
«Venti.»
Il vecchietto raddrizzò gli occhiali sul
naso a patata e si lasciò sfuggire un piccolo colpo di tosse.
«Sai più o meno che genere preferisce? O
il suo autore preferito?»
«Legge di tutto, tranne i romanzi rosa e
il fantastico. Per quanto riguarda il suo autore preferito, non
saprei.»
Gli era costato molto pronunciare
quell’ultima frase. Il vecchio libraio gli aveva appena fatto
realizzare che
non sapeva quasi più nulla dei suoi figli. Erano trascorsi
molti anni
dall’ultima volta che aveva avuto il tempo e la
volontà di interessarsi a loro,
tanto che non sapeva più se i loro gusti erano cambiati o se
fossero rimasti
uguali a quelli di un tempo. Avrebbe dovuto chiederglielo, prima o poi,
ma non
era sicuro che ne valesse la pena. Aveva davvero senso cercare di
tornare
quelli di una volta? Non era meglio continuare a vivere come
sconosciuti?
Il vecchietto scese dalla seduta su cui
era arroccato e gli si avvicinò. Sistemò di nuovo
gli occhiali sul naso e si
grattò a lungo il mento, con fare pensieroso.
«Tu non sei di origine giapponese, dico
bene?»
Byron annuì. «Neanche mio fratello lo
è.»
«Che lingue conosce?»
«Inglese, giapponese e mastica un po’ di
francese. Ma non deve preoccuparsi, è un ragazzo molto
intelligente e non ha
problemi a imparare una nuova lingua.»
«Ho capito. Ho diversi libri stranieri,
potremmo provare a guardare tra quelli.»
Il libraio gli fece segno di seguirlo e,
insieme, si avventurarono tra le numerose librerie stipate nel piccolo
locale. La
luce era soffusa e Byron vedeva strati su strati di polvere aleggiare
dovunque
guardasse.
Ad un certo punto il vecchietto si fermò
davanti ad una libreria che sfiorava quasi il soffitto e gli
indicò qualche
scaffale.
«Qui ci sono quelli in lingua inglese.
Ho qualche volume di Dostoevskij, Chechov, Hemingway, Garcia Marquez,
Charms,
Dickens e Conrad. E tanti altri più contemporanei.
C’è anche questo libro che
mi è stato venduto pochi giorni fa, è di Eliot e
si intitola “La terra
desolata”.» Prese il volume e glielo
mostrò. Era un’edizione di pregio, ben
rilegata e dalla copertina rigida. Era tenuto molto bene, senza pieghe,
né
altri difetti; il suo aspetto sembrava cozzare con quello di tutti gli
altri
libri ammucchiati lì dentro. «Non è un
romanzo, ma un poemetto. Il cliente che
me l’ha venduto sembrava un po’ dispiaciuto, come
se ci tenesse e non fosse
sicuro di volerlo dare via.»
Glielo porse e Byron lo afferrò. Un
tempo Chris adorava cercare di sviscerare i significati nascosti di
quel
componimento. Chissà se era cambiato, da allora. Forse non
gli piaceva più
Eliot, forse non provava piacere nel sondare la profondità
delle sue parole.
Forse non gli piaceva neanche più leggere, ma lo faceva solo
per una questione
di abitudine. Erano troppe, le cose che non sapeva di lui, e il
pensiero di
essersi perso così tanto della vita dei suoi figli lo faceva
stare male. Lo
faceva sentire arido, vuoto, come il mondo descritto da Eliot. Forse
quel libro
era un segno di qualche dio. Forse avrebbe potuto aiutarlo a cercare di
comunicare di nuovo con i suoi ragazzi. Le ferite che gli aveva
lasciato il
tradimento di Faker e la sua sete di vendetta avevano prosciugato anche
la più
piccola goccia di umanità che aveva tentato di conservare,
finché non era
rimasto altro che aridità e fuoco. E a soffrirne di
più erano stati i suoi amati
figli.
«Prendo questo» disse, ad un certo
punto. Il vecchietto accennò un largo sorriso e lo
accompagnò di nuovo verso il
bancone.
Era stata una scelta impulsiva, Byron lo
sapeva, ma il suo istinto gli aveva detto che quello era il libro
giusto per
costruire di nuovo qualcosa di solido. Era una bella edizione, che
meritava di
finire nella libreria del figlio, accanto a quella che gli aveva
regalato anni
addietro. Sì, il suo istinto gli diceva che quel libro lo
avrebbe riavvicinato
a Chris. In fondo doveva esserci un motivo se i suoi piedi lo avevano
portato
dentro quella strana libreria.
Pagò il libro e uscì. Lanciò
un’ultima
occhiata all’insegna, ripromettendosi di portarci Chris uno
di quei giorni; era
abbastanza sicuro che avrebbe gradito. E sperava anche che avrebbe
apprezzato
il regalo e che avrebbe compreso ciò che a parole non era
ancora in grado di
dirgli. Il suo dolore, la sua perdita e quella ferita mai del tutto
rimarginata.
«Non
ero né vivo né morto, e non sapevo nulla, mentre
guardavo il silenzio, il cuore
della luce» mormorò, mentre si
incamminava verso casa.