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Autore: Kazuma    09/09/2018    0 recensioni
Sapete, c’è stato un periodo della mia vita in cui ero davvero felice e ottimista. Uscito dall’università col massimo dei voti non aspettai un giorno di più per andare via. Scappare da una realtà che mi soffocava, cercando rifugio dove finalmente qualcuno avrebbe apprezzato le mie capacità. Fu così che arrivai a New York, pieno di speranza, pronto ad affrontare il mio futuro.
Oggi di quel ragazzo temo non sia rimasto nulla.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se c’è una cosa che dovete temere, nelle vostre vite, questa è la speranza.


Il rosso fisso inizia ad innervosirmi, sono in ritardo. Provo a suonare il clacson, magari basta a far scattare il verde. Purtroppo no.
Ultimamente ogni cosa mi irrita, così tanto che tiro un pugno al cruscotto per placare i miei nervi. Rimetto il porta pillole nel cassetto e finalmente la luce diventa verde.

Sapete, c’è stato un periodo della mia vita in cui ero davvero felice e ottimista. Uscito dall’università col massimo dei voti non aspettai un giorno di più per andare via. Scappare da una realtà che mi soffocava, cercando rifugio dove finalmente qualcuno avrebbe apprezzato le mie capacità. Fu così che arrivai a New York, pieno di speranza, pronto ad affrontare il mio futuro.
Oggi di quel ragazzo temo non sia rimasto nulla.

La città passa ai lati del mio finestrino come un quadro vivente, all’interno molteplici figure si intrecciano e si scontrano quasi ritmicamente su uno sfondo che si ripete fino alla nausea.
È tutto così grigio. Le persone, i palazzi, i parchi, le macchine.
Nemmeno il sole, che riesce ogni tanto a fare capolino tra le nuvole, è in grado di dare colore a ciò che mi circonda.

Forse è solo un sogno” pensavo a volte, nei momenti in cui la speranza riusciva ancora a condizionarmi. Ma poi ho detto basta. Non volevo che continuasse ad intromettersi nella mia vita come un virus.
Sapete, io sono dell’idea che la speranza sia come uno di quei virus letali che si diffondono così lentamente da non fartene accorgere finché ormai non è troppo tardi. Ma ho imparato a stanarla. Mi ci è voluto un po’, lo ammetto, ma vi assicuro che ormai ne sono completamente immune. E indovinate un po’? Questo non è un cazzo di sogno.

Intravedo il cancello nero un po’ arrugginito e aperto, mura rosse partono dalle sue estremità fino a circondare l’intero edificio. Entro e parcheggio, nel capanno poco dietro la mia macchina si vede un inserviente che cerca qualcosa al suo interno. Prendo la mia borsa, alquanto pesante, e scendo.
L’entrata all’edificio principale è un’arcata bianca con sulla cima il nome della scuola incavato in una targa metallica dorata. Il preside è sul ciglio a parlare allegramente con una donna bassina e robusta ed un uomo di media altezza coi capelli quasi completamente bianchi.
Ci siamo.

Il fatto è semplice. A chi tocca decidere il nostro destino? “A noi stessi” starete pensando, beh non è così. Forse molti anni fa lo era anche, prima che le classi sociali e il denaro iniziassero ad avere una vera influenza sul nostro mondo. Ma oggi… Oggi sei costretto a rivolgerti a qualcun altro che prenderà letteralmente in mano la tua felicità e il tuo futuro e ne farà ciò che vuole. A quel punto sarai impotente, nullo, e non potrai far altro che sperare di aver trovato la persona giusta su cui fare affidamento.

“Buongiorno.” Guardo fisso il preside, gli altri non so chi siano.
“Salve, buongiorno” risponde lui girando a malapena il collo per guardarmi.
“Lei è…”
“Sono il nuovo insegnante di informatica, Miller.”
“Sì giusto, giusto. Professor Miller, mi segua.” Fa un cenno agli altri due e si avvia dandomi le spalle.
Un passo dentro e il vocio mi assorbe come un buco nero. Il corridoio è pieno zeppo di adolescenti, ragazzini pieni di speranza e aspettative che vivono le loro vite nella più totale noncuranza e immaturità. Numerose coppiette poggiate sui muri si baciano come se fosse la loro unica preoccupazione di vita.
Tutto questo mi fa venire la nausea.

E vissero tutti felici e contenti.” Credete che sarà questo il vostro destino? Credete che alla società odierna importi di ognuno di voi?
Vi racconto una storia. C’era una volta una società basata sulle persone. Era una società che ci teneva ai suoi dipendenti. Ed era una società U-M-A-N-A.
Oggi, semplicemente, non lo è più.
So cosa vi frulla in quelle fantastiche testoline, eh sì lo so. “Perchè non lo è più?”. Ottima domanda! Eheheh!
Perchè oggi siamo solo dei numeri. Oggi abbiamo un valore, esattamente come lo ha un pelapatate al supermercato. Anche tu -Tim, giusto?- hai un valore. E tu e tu e anche tu! Il problema è che un pelapatate viene comprato esclusivamente per assolvere il suo compito di, indovinate, pelare patate! Riguardo noi, invece, il discorso non è poi così felice.

“Buongiorno a tutti, sono il nuovo professore di informatica. Steve Miller.”
Il silenzio.
“Bene. Adesso vi chiamerò in ordine alfabetico e potremo iniziare a conoscerci. Parlate un po’ di voi, per favore. Joshua Anderson.”
Il silenzio.
“Joshua Anderson, è presente?”
Risate indistinte si elevano all’interno della classe, infine un ragazzo si alza dalla sedia.
“Sono io.” Lo sguardo annoiato e i modi di fare da classico bullo della scuola.
“Ok, parlaci un po’ di te.”
“No.”
Ulteriori risate all’interno della classe, stavolta più forti e distinte. Appartengono ai 3 ragazzi seduti intorno a lui più a qualche altro sparso per la stanza.
Una goccia di sudore mi inizia a scivolare giù per il viso, la sento attraversare ogni millimetro di pelle come se fosse un coltello affilato che mi apre in due la carne. Scrollo via la sensazione e vado avanti.
“Va bene… Tim Brown?”
Un ragazzo bassino e dai capelli chiari si alza dalla sua sedia, mi guarda incerto e inizia a balbettare timidamente la sua presentazione.

Vedete, noi abbiamo un valore calcolato in base a due semplici cose: esperienza e grado di istruzione. Più siete bravi e preparati, più sale il vostro valore. E questo, a dispetto di ciò che pensate, è un problema.
Perchè?” Altra ottima domanda, vi vedo in forma! È un problema perché le aziende non hanno intenzione di spendere troppo per una persona quando allo stesso prezzo potrebbero assumerne due. Meno preparati e qualificati, certo, ma pur sempre due. E questi due svolgeranno il vostro compito in modo sicuramente più veloce, anche se chissà in che modo. Ma chi se ne frega, perchè come vi dicevo prima, NUMERI!
A questo punto potreste pensare che sarebbe meglio essere meno qualificati e costare poco, in modo da essere assunti più facilmente. Beh, anche questo non va bene. Non va bene perché lo sfruttamento non è solo una parola da libri di storia.
Il discorso è semplice: valete duecento? Loro vorranno mille. E questo vi costringerà a stare gran parte della giornata a lavoro, facendovi passare sempre meno tempo con vostra moglie malata, ma non dilunghiamoci… Il tempo è denaro, giusto?


In lontananza le sirene si fanno sempre più forti, chissà dove staranno andando. Forse una rapina in qualche negozio, o un accoltellamento. O ancora peggio, un pazzo con una pistola.
Riporto lo sguardo alla classe, i miei studenti sono terrorizzati. Fuori dalla porta voci indistinte. La mia mano destra trema, è sudata, e stringe tra le dita una Desert Eagle.
“Dicevamo, la nostra società odierna non permette a nessuno, specialmente alla gente qualificata, di poter raggiungere i propri obiettivi. Ed è in un sistema del genere, nel quale impegnarsi o meno non fa differenza, che la speranza diventa letale. In un mondo del genere dove anche una persona negligente riesce a diventare medico, la speranza vi fornisce false aspettative che prima o poi finiranno per crollarvi addosso e distruggervi.”
“Ma io non ci sto!” Sbatto la pistola sulla cattedra, il rumore sordo fa sussultare gli studenti. “E sono qui, oggi, dinanzi a voi, per urlarlo al mondo.”
“Dunque, miei cari studenti, cosa abbiamo imparato nella lezione di oggi?
“Esatto! Abbiamo imparato che se c’è una cosa che dovete temere, nelle vostre vite, questa è la speranza.
Torno a respirare in modo più regolare, allento la presa sulla pistola e mi rilasso. Infine con l’ultimo filo di voce dico “Provate a cambiare questo mondo, ve ne prego, magari un giorno l’aiuto della speranza non sarà più necessario. Perchè saremo felici.”

Improvvisamente non percepisco più nulla. Suoni, odori, tutto ciò che mi circonda.
Sono arrivato al termine della mia corsa, non so cosa mi aspetti, ma spero di trovare finalmente il posto a cui appartengo.
Ironico come, dopo tutto quello che ho detto a questi ragazzi, io mi ritrovi in questi ultimi momenti a sperare in un futuro migliore. Sia per me che per il mondo.
Guardo la telecamera in alto a sinistra, la spia rossa è accesa come da programma. Mi vedo già su tutti i giornali di domani, ma se questa giornata sarà riuscita ad accendere qualcosa nella gente, anche solo una piccola fiamma, accetterò di essere il cattivo di questa storia.
Infilo la mano sinistra in tasca e tiro fuori una foto tessera. È mia moglie. La guardo un po’, prego di rincontrarla.
Infine porto la pistola alla bocca e sparo.

  
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