Un posto da bifolchi, ecco
cos’è quello.
Un gruppo di bikers sudaticci
schiamazza nei pressi del
tavolo da biliardo, tanto che il pezzo country che parte dal jukebox
nell’angolo a malapena arriva alle sue orecchie.
Gamora abbassa gli occhi sul
suo shot ma riesce solo a
notare quanto il bancone in legno scadente sia appiccicoso; si maledice
di
nuovo per aver lasciato decidere alla sua preda
il luogo dell’appuntamento.
Dicono che Peter Quill
– o Starlord, come tutti si rifiutano
di chiamarlo – sia un tipo scaltro, anche se non si direbbe
affatto. E se c’è
una cosa che Gamora ha imparato in tutti quegli anni passati a fare la
cacciatrice di taglie, è che bisogna saper ascoltare la
strada.
Non voleva che Quill
s’insospettisse, perciò gli aveva
permesso di scegliere il posto per il loro appuntamento romantico:
Peter alla
fine aveva optato per quella topaia in periferia.
Quale razza di idiota ha un
profilo Tinder quando si è
ricercati dalla polizia? Gamora si chiede come abbia fatto a sfuggire
alla
cattura fino ad ora. Quello però è il capolinea,
per Peter Quill. La donna già
sogna come spenderà i soldi della cospicua taglia.
Getta l’ennesima
occhiata alla porta d’ingresso; l’angolo in
cui si è accomodata le permette di sorvegliare
l’intero locale – peccato per
l’illuminazione fioca. E per il ventilatore dietro di lei che
è guasto e non
l’aiuta a dissipare il caldo estivo di Tucson, uno di quelli
umidi che si
appiccicano alla pelle e ti soffocano. In ogni caso ha lavorato in
condizioni
peggiori.
La porta si apre di nuovo e le
basta uno sguardo per
riconoscere il profilo di Quill; nonostante la calura, indossa una
giacca di
pelle marrone. Il viso è incorniciato dalla barba incolta e
Gamora alza gli
occhi al cielo al pensiero che non abbia avuto la decenza di radersi
per quello
che lui crede un appuntamento.
Si avvicina al bancone e non le
sfugge lo sguardo con cui la
studia. «Ehi, scusa il ritardo. Posso offrirtene un
altro?» chiede indicando il
bicchierino vuoto tra le mani della donna.
La donna sfoggia il suo sorriso
migliore. «Certo.»
Peter ordina con un semplice
gesto della mano e torna a
posare gli occhi su di lei; c’è una luce strana
nei suoi occhi, una scintilla
che Gamora non riesce a interpretare.
La strappa da quei pensieri
attaccando bottone. «Speravo che
la tua foto profilo su Tinder rispecchiasse la realtà, ma
non pensavo che la
realtà l’avrebbe superata.»
Gamora non riesce a trattenersi
dall’alzare di nuovo gli
occhi al cielo. «Frasi del genere di solito funzionano con le
altre donne?»
Non pare sorpreso dal suo
atteggiamento, d’altronde quando
flirtavano su Tinder la donna non ammorbidiva il proprio carattere: ha
immaginato che Peter l’avrebbe presa come una sfida e non si
sbagliava.
«Non mi aspettavo
certo che funzionasse con te.»
La barista serve da bere senza
nemmeno guardarli in faccia. «Allora
perché l’hai detto?»
Peter alza il braccio e Gamora
lo imita; i bicchierini si
scontrano con un tintinnio lieve. «Mi piace
punzecchiarti.»
Incredibile come a ogni parola
che l’uomo pronuncia, Gamora
abbia voglia di roteare gli occhi al cielo. Insomma, nei vari giorni in
cui
hanno parlato e perfino ora, comprende come alcune donne potrebbero
trovarlo…
interessante.
Lei ne ha abbastanza di quei
giochetti, ma sperava di farlo
bere un po’ così da renderlo meno lucido e
più lento. Perciò scuote la testa ma
gli sorride, fingendo di fare la preziosa: è un ladro
– un ottimo ladro - deve
andare matto per certe scemenze.
«Inoltre, sono
sorpreso che tu abbia accettato d’incontrarmi
qui» continua Peter con le labbra piegate in un sorriso
scaltro.
«È
l’ultima volta che ti lascio scegliere il locale.»
Gamora
gli parla come se dovessero rivedersi.
L’uomo ridacchia e
inclina il volto mentre tiene i gomiti
poggiati al bancone. «In chat hai detto che non sei di queste
parti, vero? Di
Tucson, intendo.»
Gamora annuisce e non sposta
gli occhi dai suoi. «Non ti ho
detto da dove vengo, però.»
«Io dal
Missouri.»
«Possiamo avere un
altro giro?» chiede la donna voltandosi
per un istante verso la barista. Quella non è una parte del
suo passato che le
piace rivangare ed è curioso che Peter voglia chiacchierare
proprio sull’argomento
che lei non desidera affrontare; ma no, si sta comportando da
paranoica: in
fondo si tratta di una normale conversazione, Quill non può
sapere quanto il
proprio passato la ferisca.
Gamora tiene gli occhi fissi
sul bicchiere vuoto quando
parla di nuovo: «Chicago.»
Peter fischia. «Ma
dai, in pratica siamo vicini! Cosa ti ha
spinto ad attraversare metà continente?»
«Potrei farti la
stessa domanda» gli fa notare sulla
difensiva.
Peter sposta lo sguardo su un
punto indefinito davanti a sé
e alza le spalle. «Mio padre è un grande stronzo e
mia madre… se n’è andata
molti anni fa: non c’era più nulla che mi
trattenesse in quel buco di paesino.»
Gamora non riesce a capire se
sia sincero o no e quella non
è una buona cosa: che lo stia sottovalutando?
L’uomo si schiarisce
la voce per richiamare la sua
attenzione. «È il tuo turno.»
«Il mio turno per
cosa?» chiede innocente.
«Il tuo turno per
rivelare il tuo passato merdoso: voglio
dire, dubito che qualcuno lascerebbe Chicago per Tucson senza una
valida
ragione.» Ridacchia, ma gli occhi non si addolciscono e
Gamora per un attimo
crede che non abbia inventato quella storia. Ma perché
dovrebbe importarle?
Si prende un istante per
rifletterci: ai pochi che lo
chiedono di solito mente e dice di averlo fatto perché in
Illinois l’attività
di cacciatore di taglie non è permessa, ma questa volta non
può cavarsela con
una menzogna del genere.
Non sa bene perché,
ma si ritrova a confessargli la verità,
o una parte. «Anche mio padre è un grande
stronzo» sussurra prima che possa
ripensarci; chissà, magari vederla così
vulnerabile lo spingerà ad abbassare
del tutto la guardia.
Ironico come menta a tutte le
persone della sua vita e poi
si ritrovi a sputare il rospo con qualcuno che considera un nemico. Se
non
stesse lavorando berrebbe un altro drink.
Il sorriso di Peter vacilla.
«Allora qualcosa in comune ce
l’abbiamo.»
Gamora d’un tratto
non è capace di staccare gli occhi da
quelli dell’uomo: tirare in ballo il proprio padre non
è stata una mossa
saggia; quella è una ferita ancora aperta e dolente, una
ferita che forse non
guarirà mai.
Peter dev’essersi
accorto della tensione perché fa per
sfiorarle una spalla, ma poi rinuncia in un gesto impacciato. Sembra un
tipo
spavaldo, ma pare sia tutta una facciata: d’altronde chi
è lei per giudicare?
«Senti, vado un
attimo in bagno e quando torno ci facciamo
un altro giro, uh?»
Gamora alza il bicchiere vuoto.
«Andata.»
«Non è
così che ti avevo immaginato, sai?»
Gamora vorrebbe chiedergli cosa
diavolo intende ma Peter
sparisce dietro l’angolo e la donna tira un sospiro di
sollievo quando lui si
allontana: finge che il proprio passato non esista e tenta di
concentrarsi sul
vero motivo che l’ha portata in quel bar da quattro soldi.
Chiude gli occhi
mentre inspira e torna a immaginare i soldi che Quill le
frutterà.
Dal jukebox è
partita un’altra canzone e questa volta il
baccano dei bikers non riesce a sovrastarla. Un paio di note bastano a
riportarla indietro nel tempo di diversi anni e rivede sé
stessa seduta vicino
al biliardo nel locale del padre; dal retro le giunge il tono suadente
delle
minacce. Gamora stringe il tavolo con le dita e chiude gli occhi
fingendo di
non essere lì. Ma è lì, non
può andare da nessuna parte – proprio come le
ricorda la canzone che aleggia nell’aria. Suo padre la
chiama, un ordine al
quale non può sottrarsi. Ricorda d’aver pensato
che se le fosse andata bene,
avrebbe dovuto limitarsi a spezzare una falange.
E invece aveva scavato una
fossa.
Gamora prende un bel respiro ma
somiglia più a un singhiozzo
e ordina un altro drink con la speranza di affogare quei ricordi, al
diavolo il
lavoro. Allunga la mano sullo sgabello accanto a lei e tasta il bozzo
rassicurante
nella sua borsetta, un teaser. Deve concentrarsi sull’arresto
o non finirà
bene. Ci sono anche spray al peperoncino e manette: aggrotta la fronte
e si
chiede se Quill sia un buon combattente.
Da ciò che ha
sentito in giro è il tipo d’uomo che si tira
fuori dai guai con la sua parlantina più che con i pugni:
non sarà un problema.
Però sente un
formicolio alle mani e capisce che qualcosa
non quadra: non è così
che ti avevo
immaginato, sai?
Una frase semplice, innocente;
allora perché Gamora ha un
brutto presentimento?
Sbatte le mani sul bancone e si
maledice mentre raggiunge il
bagno: non l’ha controllato quando è arrivata, un
errore da novellina perché Peter
potrebbe essersi insospettito e lì dentro potrebbe esserci
una…
Finestra. Che ora è
spalancata.
Gamora ringhia
un’imprecazione tra i denti stretti e si
fionda all’esterno, appena in tempo per guardare Quill
salutarla e sgommare via
su una moto sportiva.
Stronzo.
La porta si chiude con un tonfo
rumoroso che fa tremare i vetri
sottili dell’appartamento, l’ha spinta con troppa
foga ma non le interessa. La
sua auto l’ha quasi lasciata a piedi per strada in una degna
conclusione di
quella giornata. Sperava di passare dal meccanico con i soldi della
taglia di
Quill, ma a quanto pare quel pezzo di ferraglia ambulante
dovrà attendere.
Vorrebbe cancellare il
fallimento dell’ultima ora ma sa che
non può farlo, perciò si limita a prepararsi un
caffè che corregge con un
goccio di whisky.
Afferra il telecomando per
accendere la tv ma il cronista
che riassume le notizie non basta per distrarla, così si
sposta in bagno e con
una mano apre il rubinetto della vasca mentre nell’altra
tiene ancora la tazza
di caffè.
Si sbarazza dei vestiti con
gesti assenti e li lascia cadere
sul pavimento; a piedi scalzi torna in bagno a controllare la
temperatura
dell’acqua: estate o no, un bagno caldo l’aiuta
sempre a sciogliere i nervi.
Forse un po’ troppo caldo, ma Gamora s’immerge lo
stesso abbandonandosi a un
sospiro frustrato.
È arrabbiata con
sé stessa – no, peggio: è delusa.
Delusa perché sa
quanto vale e sa che quel mestiere è la sua
vocazione: non è semplice fare il cacciatore di taglie, ed
è pericoloso. È un
lavoro incerto e non offre molta prospettiva, ma è
abbastanza impegnativo da
tenere i pensieri e i ricordi a bada – e questo a Gamora
basta.
I suoi pensieri tornano a
Quill: il ladro sapeva esattamente
chi era e perché era lì, eppure si è
presentato lo stesso. Perché? La
spiegazione più logica è che volesse giocare un
po’ con lei: farle credere di
avere il controllo, di essere vicina ad arrestarlo per poi ingannarla e
umiliarla.
È solo colpa sua:
l’ha sottovalutato. A quanto pare non è la
sola, visto come continua a sfuggire alla legge, ma quel pensiero non
la fa
sentire affatto meglio. Perché lei è sempre stata
quella che trionfa quando
tutti falliscono: è il suo talento, ma anche la sua
maledizione. Per questo era
la prediletta di suo padre…
Ora capisce che la domanda che
Peter le ha posto non era
affatto casuale: Quill ha usato il suo passato come un’arma
per confonderla e
farle abbassare la guardia, e c’è riuscito alla
grande. Lei gliel’ha permesso,
come fosse una novellina e non un’esperta cacciatrice. Gamora
oggi ha infranto
la prima regola del proprio mestiere: lasciar fuori le emozioni. Di
certo ha
imparato la lezione.
Afferra la spugna e comincia a
sfregare la pelle senza
alcuna delicatezza, come potesse grattare via dal corpo il proprio
passato e i
propri peccati.
La verità
è che Gamora è più colpevole della
maggior parte
degli idioti a cui dà la caccia per lavoro, non importa
quanto si allontani da
Chicago o quanto tempo passi dal suo addio a quella città
maledetta.
È lei
l’unica cosa maledetta: non c’è perdono
per ciò che ha
fatto; non può tornare indietro e deve ammettere a
sé stessa che non è in grado
di andare avanti, a dispetto di quanto ci abbia provato: dal passato
non si può
scappare.
Ma cosa credeva, che fuggire e
trasferirsi in un altro stato
avrebbe cambiato le cose?
Che suo padre
gliel’avrebbe permesso?
Sa che non dovrebbe, ma non
riesce a resistere a quella
malsana tentazione e prende il cellulare tra le mani ancora umide.
Scorre fino
a trovare un unico messaggio lasciato da un numero sconosciuto un paio
di
giorni prima.
Torna
a casa, o
verremo a prenderti.
Una minaccia. Una promessa.
Vorrebbe stringere il cellulare
tra le mani così forte da
distruggerlo; vorrebbe tornare a Chicago solo per guardare suo padre
dritto
negli occhi e sputargli addosso tutto il veleno che ha serbato in quei
lunghi
anni; vorrebbe che nel suo cuore ci fosse solo odio per lui, ma sa che
non è
così e questa consapevolezza non le dà pace.
Nonostante tutto il male che le ha
arrecato – a lei e a sua sorella Nebula – oltre a
l’odio c’è qualcos’altro, un
legame che non riesce a recidere.
Gamora s’immerge
completamente nell’acqua ormai tiepida; tiene
gli occhi chiusi e sotto la superficie i rumori le giungono ovattati e
irreali,
compreso il battito tumultuoso del suo cuore che non accenna a calmarsi.
Forse fare un bagno bollente
nel bel mezzo di quella giornata
torrida non è stata una buona idea; riemerge dopo qualche
secondo e si affretta
a uscire. Si riveste in fretta con i primi indumenti che le capitano a
tiro e
si stende sul letto; forse dovrebbe mettere qualcosa nello stomaco ma
proprio
non ha fame.
L’incontro con Quill
l’ha scombussolata e sapere che
gliel’ha fatta sotto il naso in quel modo la fa imbestialire:
odia non avere il
controllo e odia ancor di più fare la figura
dell’allocca.
Il cellulare che vibra per un
istante la distrae; scatta
seduta sul materasso quando legge il mittente.
Come
te la passi,
sorellina?
Gamora non sa per quanto tempo
rimane a fissare lo schermo
ma ad un certo punto le sue dita tremanti cominciano a digitare una
risposta.
Devi
essere mezza
morta in un cassonetto dell’immondizia per scrivermi.
Nebula risponde subito
ignorando la frecciatina: non ha
voglia di scherzare.
Ha
contattato anche
te?
Certo che non va per il
sottile: in fondo non è mai stata
brava a far conversazione.
Sì.
Dove sei?
Molto
lontano da
Chicago. Ma tornerò lì presto.
Gamora osserva il messaggio e
s’irrigidisce: sua sorella deve
aver battuto la testa, sta farneticando.
Cos’hai
intenzione di
fare?
Ciò
che avrei dovuto
fare anni fa.
Proprio le parole che non
avrebbe voluto leggere.
Nebula…
che intendi?
Siamo
state due
sciocche a pensare di poter andar via di casa. Non
c’è altro posto per quelle
come noi.
Sa che sta parlando a un muro e
Nebula non cambierà idea, ma
deve provarci: potranno anche aver avuto le loro divergenze –
parecchie, in
realtà – ma si tratta pur sempre di sua sorella.
Lo sai
che non è vero.
Non sei costretta a tornare indietro.
Attende, teme il messaggio di
Nebula che non tarda ad
arrivare.
Se
nostro padre vuole
che torni allora tornerò. E stavolta avrò la
forza di fare ciò che devo.
Sua sorella non è
mai stata il tipo da piegarsi, piuttosto
preferisce spezzarsi: sa che non tornerà a Chicago per
sottostare agli ordini
del padre.
Sta andando ad ucciderlo.
Potrei
tornare con te.
Non le risponde subito e Gamora
non stacca gli occhi dallo
schermo. Alla fine il cellulare vibra di nuovo.
No,
sappiamo entrambe
che non vuoi.
Ha ragione: è stanca
di combattere. È stanca degli ordini,
ma soprattutto della violenza. Sua sorella invece ne ha bisogno: ha
bisogno di
chiudere quel cerchio. Potrebbe,
Quindi le manda un unico, breve
messaggio.
Buona
fortuna.