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Autore: BlueRoze    22/09/2018    1 recensioni
[Oikawa x Iwaizumi]
"Sei di una bellezza brutale, fiero come un'opera d'arte."
Le mie dita che modellano i tuoi fianchi, ma dov'è che guardi?
Le tue gambe nude avvolgono la mia vita, ma dov'è che sei?
Sei un po' invisibile.
Ti stai forse perdendo nei ricordi?
Sei felice di essere debole se si tratta di me.
E dovessi morire, ti proteggerò anche dal destino.
"Vorrei che tu morissi
Dalla voglia di vedermi."
[Zashiki-warashi!AU]
A Te.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il piccolo Oikawa Tooru, si sapeva, era un bambino pieno di fantasia.

A scuola ogni suo disegno era appeso al vetro decorato della finestra e ci rimaneva per quasi un mese intero; la sua mamma aveva un raccoglitore con centinaia di fogli, rigorosamente corredati da firma e data, realizzati da Tooru sin da quando non riusciva ancora a distinguere la destra dalla sinistra. Non era raro vederlo parlottare da solo, o costringere sua sorella maggiore a prendere parte ai suoi giochi di fantasia (aveva persino dato un nome al suo cavallo, quando immaginava di essere un pellerossa che doveva scappare dagli inglesi) e lei non smetteva mai di ripeterlo: durante il gioco, recitava come se davvero riuscisse a vedere quel mondo intorno a lui.

Era impressionante.

Un bambino con una marcia avanti, senza dubbio.

Grazie anche al suo faccino tutto occhi, era sempre il protagonista di ogni recita scolastica.

Sua mamma diceva che avrebbe dovuto fare l'attore, da grande.

E poi era vanitoso, godeva dei complimenti, che di certo non gli mancavano.

 

La sua mamma, infatti, quando compì sei anni e si dovettero trasferire per il lavoro di suo padre, era proprio questo che diceva nel tragitto verso la loro nuova casa: avrebbe voluto iscrivere suo figlio ad una scuola con un club di recitazione.

 

Peccato che il mondo che Tooru amava di più immaginare era fatto di cori, adrenalina, una rete e una squadra intorno a lui.

Quante volte aveva sognato di andare alle Olimpiadi con la sua palla di Ben10 e sua sorella, dal pavimento, gli lanciava chicchi di riso come se fossero fiori.

 

Oh, che mente che aveva.

Sua nonna diceva che aveva qualcosa che non andava.

Diceva che doveva raddrizzarsi, correggersi.

Ma poi arrivava la sua mamma e gli proponeva di andare in giardino a giocare ai pirati.

Comunque, andava tutto bene.

Il piccolo Tooru di sei anni fu però dispiaciuto di lasciare il paese in cui era nato, d'altronde aveva molti amichetti nella sua classe e c'era una gelateria proprio all'angolo di casa sua, una libreria con i libri –con le figure!- sui Grigi... a dir la verità era arrabbiato e il suo broncio si percepiva ad un pianeta di distanza.

Forse Venere, forse Marte.

Voleva davvero dirgliene quattro al signore che aveva fatto cambiare lavoro al suo papà, era colpa sua se ora lasciava tutto quello a cui si era affezionato!

 

Che strani, gli adulti.

Nessuno di loro vedeva i suoi cavalli.

Nessuno di loro capiva che doveva scappare, e in fretta anche, perché un branco di tori li stava caricando!

 

Nessuno vedeva le stelle.

Eppure erano così reali...

 

La casa che la sua famiglia aveva preso in affitto però era carina, questo doveva ammetterlo.

Era fatta interamente di mattoni rossi dallo stile occidentale, con le porte che _si trascinavano_ e tante finestre.

 

Tante, tante finestre.

 

Era una casa luminosa a due piani nel bel mezzo di un complesso di case simili, una uguale all'altra, ma evidentemente in quella di loro proprietà l'agenzia teneva a presentarla in modo accogliente, visto che la prima cosa che Oikawa notò furono i fiori.

 

Fiori di un rosso scarlatto circondavano il balcone della villetta, nonostante la primavera fosse già sbocciata.

"Forse il clima, forse l'umidità, ma qui i fiori non muoiono mai. Seccano e il giorno dopo ci sono dei nuovi boccioli. Nessuno se ne occupa, in realtà", aveva detto loro l'agente immobiliare.

Ad Oikawa erano brillati gli occhi.

Sua mamma gli aveva sorriso dolcemente mentre gli scompigliava i capelli. "Ti piacerà vivere qui", aveva detto.

Per la prima volta, Tooru aveva annuito piano.

Gli era tutto sconosciuto.

 

 

Qualche settimana dopo, nella sua vita entrò a par parte Iwaizumi Hajime.

Un bambino dai capelli neri e gli occhi verde bosco, che sembrava aver stuzzicato una particolare zona della sua mente.

Lui aveva già sentito quel nome.

 

Nella sua testolina da seienne, Tooru associò quel cognome alla prefettura giapponese, forse sentito per sbaglio in una delle conversazioni di suo papà e non ci badò più, a quel solletico tra le chiocche.

 

Da quando quel bambino gli aveva sporcato le scarpette nuove -quelle con le lucine blu che si illuminavano se saltava, che rabbia!-, sembrava non voler più uscire della sua vita.

Ben presto, 'Hajime' divenne 'Iwa-chan' per lui.

Sembrava aver trovato l'amico che non aveva mai avuto nel suo vecchio paese e pensava che, se avesse avuto la coda, avrebbe scodinzolato ogni volta che lo vedeva da lontano, dalla finestra da camera sua.

Seppur Tooru fosse abbastanza alto per la sua età, doveva sempre farsi spazio tra i fiori scarlatti per affacciarsi e sventolare la mano verso Iwa-chan, che probabilmente stava pulendo la catena della sua bicicletta insieme al suo papà.

Un papà che un po' condividevano, visto che il suo non c'era mai.

Ma Iwa-chan non aveva una sorella invece, ed era ben felice di condividerla con lui.

 

A lui Iwa-chan piaceva perché sembrava che, dopo un po', anche lui avesse cominciato a vedere le luci.

Oikawa gli aveva chiesto cosa ne pensasse, ma lui aveva semplicemente risposto "saranno dei riflessi" ed era tornato a sporcarsi le manine con il grasso della bici.

 

Tooru non ne era tanto convinto.

 

Ma la Cosa doveva ancora accadere.

Ci vollero anni perché se ne potesse fiutare l'odore nell'aria.

 

Precisamente, Oikawa aveva tredici anni quando il suo cuscino scomparve nel nulla

 

Abitava in quella casa da sette anni ormai, e i fiori sul suo balcone non erano mai seccati.

 

Aveva provato a chiedere a sua mamma -"no Tooru, non ho lavato il tuo cuscino"-, a sua sorella -"Tooru, io ho quello ergonomico, ti pare che prenda il tuo?"- e a suo papà -"Tooru, non credo di averlo visto, ma ora devo fare una telefonata importante, potresti uscire?"

 

Aveva persino chiesto alla mamma di Iwa-chan, forse l'aveva lasciato lì una delle volte in cui aveva dormito dal suo compagno di merende (d'altronde c'erano anche dei suoi vestiti nell'armadio dell'altro, così da non avere problemi quando andavano direttamente a scuola) ma "mi dispiace, tesoro, ho controllato e qui ci sono solo quelli sbavati di Hajime"

 

Il suo cuscino sembrava sparito nel nulla.

Eppure l'aveva lasciato al solito posto, come aveva sempre fatto...

 

Come per magia, la sera stessa il cuscino era di nuovo al suo posto.

Un po' sgualcito, ma c'era.

Per tutta la serata, Tooru non fece altro che chiedersi chi potesse avergli fatto quello scherzo.

Gli alieni, senza dubbio.

 

Una settimana dopo successe un altro strano evento.

Tooru si svegliò con i piedi sul cuscino e la testa sul bordo opposto del letto.

Quella proprio non riuscì a spiegarsela in alcun modo.

Tuttavia, preso dalla sorpresa e dallo spavento, si guardò intorno prima ancora di mettere a fuoco dove si trovava e vide con la coda dell'occhio una piccola incisione sulla pediera del suo letto.

Sembrava una T, da quel che riusciva a vedere quasi a testa in giù e le ciocche castane a svolazzargli davanti agli occhi. Dannata gravità.

Non ricordava di averla incisa, ma forse risaliva a qualche anno prima, quando da piccolo gli capitava di avere uno dei suoi momenti di noia atroce.

Ma quella visione gli sembrò particolarmente familiare.

 

Non sapeva quando avesse fatto quell'incisione, né il come, né il perché, ma era certo di esserne lui l'autore.

Era il 6 novembre.

 

-

Quel giorno a scuola, Tooru avvicinò la sua sedia al banco di Iwa-chan e divise con lui il suo bento e parte della mela che non aveva voluto a colazione.

Quel giorno Iwa-chan era particolarmente triste, fu quello il primo pensiero di Tooru non appena lo salutò.

Non erano nemmeno andati a scuola insieme!

Non sembrava triste, ma... era come se volesse qualcosa, ma nemmeno lui sapeva cosa.

Era come frustrato e non ne sapeva il perché.

Qualsiasi cosa che Tooru facesse o dicesse, lui la spazzava via con un gesto della mano come se stesse pensando a qualcosa di molto più importante, al momento.

Accadeva spesso tra loro, ma bastava una linguaccia da parte di Tooru per azionare quello strano meccanismo nell'altro che lo portava a guardarlo male e a spingerlo, per poi finire a fare la lotta e sporcarsi di terra come sempre.

Ma quel giorno no.

Sembrava quasi che Iwa-chan volesse stargli alla larga.

Come se la sua sola vista lo facesse svalvolare.

 

Quando quella sera tornarono a casa insieme, Hajime non riusciva proprio a stare calmo: continuava ad allentarsi il cravattino, si faceva aria con le mani.

Aveva il respiro affannoso.

Camminava a passo serrato.

Si passava in continuazione le dita tra i capelli sudati.

Se solo Tooru provava ad aprire bocca, sembrava volesse mangiarlo vivo.

Era insofferente a praticamente tutto.

Oikawa non l'aveva mai visto così: lui che era sempre calmo -tranne quando c'entrava lui-, rispettoso e taciturno, non sapeva come gestire quella situazione. Più lo guardava, più si faceva prendere dall'angoscia.

Cosa diavolo stava succedendo?!

 

Sulla via del ritorno, poco prima del parco dove andavano ogni giorno a giocare a pallavolo o a catturare coleotteri, Hajime ebbe per la prima volta un attacco di panico.

 

Ormai sembrava non riuscisse più a percepire nemmeno più le parole che Tooru gli urlava nelle orecchie, di stare calmo, c'era lui, non aveva niente da temere, andava tutto bene.

 

Hajime aveva gli occhi persi e Tooru non sapeva come ritrovarli.

 

 

"Smettila di pensare... smettila!"

Raccogliendo un briciolo di lucidità, il moro lo fece togliere dal centro della strada e lo fece stendere sull'erba all'entrata del parco; l'altro sembrava volersi strappare i vestiti di dosso come se fossero una camicia di forza, e Tooru l'aiutò a sbottonarsi la camicia, gli fece scivolare dalle braccia la giacca e gli sciolse il cravattino verde dell'uniforme. Dovette combattere contro le sue braccia che lo allontanavano terrorizzate, quasi come se Hajime pensasse che stava per fargli del male. 

 

"Nessuno ti farà male, resisti!"

 

Tooru era più disperato di lui, ma non faceva altro che dirgli "va tutto bene, calmati" come se fosse un mantra.

Non sapeva cosa fare.

Non gli era mai successo.

Quando sarebbe finito tutto ciò?

Perché stava accadendo?

Perché?

Sembrava vedesse cose che non c'erano, come lui faceva da piccolo durante i suoi giochi.

 

"Quello che vedi non è reale!"

E con quella frase, con sole sei parole, Tooru Oikawa considerò concluso un capitolo della sua vita.

 

Quando vide che il moro cominciava ad alternare qualche respiro ai singhiozzi impanicati, Tooru si sedette sulle sue gambe per tenerlo fermo e si sbilanciò fino ad afferrare il suo zaino, che aveva lanciato via nel momento in cui aveva sorpassato il cancelletto con un Hajime in preda al terrore.

 

A tentoni, scovò il telefono che sua mamma gli aveva regalato per il suo compleanno, ma che giaceva inutilizzato per gran parte del tempo, e compose il più in fretta possibile il numero della madre di Iwaizumi.

 

In meno di un tre minuti, l'auto che per infinite mattine li aveva accompagnati fino al grande cancello della scuola sbucò da dietro il cespuglio di bacche che costituiva da perimetro del parco pervaso dall’autunno.

 

Hajime era sotto di lui e nel frattempo aveva ripreso a respirare, ma guardava il vuoto.

Non si muoveva più come un indemoniato, ma non sembrava nemmeno calmo.

Aveva l'espressione più rassegnata che Tooru avesse mai visto.

Si lasciò cadere al suo fianco, stremato e senza forze anche lui, e chiuse gli occhi per un istante mentre sentiva il motore della macchina spegnersi e la portiera aprirsi.

Quello fu l'attimo in cui Hajime sussurrò quel "non doveva finire così..." che gli fece accapponare la pelle.

Si voltò a guardarlo con occhi sbarrati.

La sua mente ebbe un flash.

Non dormì per tutta la notte.

--- A Te, che sei il mio Tempo.
   
 
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