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Autore: NPC_Stories    30/09/2018    1 recensioni
Herlakonigyn è una creatura maledetta, ma sa molto bene come mettere a frutto la sua maledizione. Dopotutto, se la vita ti dà dei limoni...
Genere: Avventura, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1273 DR: Una botta di culo travestita da sfiga, o forse il contrario



Mese di Kythorn, su una piccola isola situata fra il Chult e l’isola di Nimbral

Herlakonigyn, per gli amici Herla, non aveva nessun amico che la chiamasse “Herla”. Chiamava sé stessa in quel modo, nella sua mente, fingendo che ci fosse qualcun altro che lo faceva.
Gli uomini intorno a lei la chiamavano Signora. Era giusto così, lei era una persona importante nella gerarchia del Culto del Drago.
Tanto per cominciare, perché era un drago lei stessa.
Non ne aveva fatto mistero: non ce n’era ragione, con quelle persone. A differenza degli altri umani, loro la apprezzavano per questo.
Era anche un mostro, per ragioni completamente diverse dal suo essere un drago. Il suo volto era per metà sfigurato, sia in forma draconica, sia quando assumeva forma umana. Non si trattava di una cicatrice o di un’ustione che potesse essere coperta con una semplice magia di trasfigurazione. Era qualcosa di più profondo, insito nella sua natura. Herlakonigyn era per metà un non-morto, e purtroppo il suo aspetto la tradiva. La metà sinistra del suo corpo appariva vitale e affascinante in ogni sua forma, mentre la metà destra era rinsecchita come se fosse stata prosciugata della vita. Per riguardo verso i suoi sottoposti, Herla indossava una maschera sulla metà destra del volto e portava un guanto alla mano destra.
Riguardo… è ridicolo. Non sto avendo riguardo per loro, in questo momento. Pensò con una punta di rammarico.
La draghessa in forma umana raccolse un cucchiaino di tabacco e lo pressò nella sua elegante pipa di legno. Fumare era un vizio recente, da quando quelle nuove foglie scure avevano iniziato ad essere importate dalle terre oltre il mare. Le miscele originarie del Faerûn erano troppo forti per i suoi gusti, apprezzava di più il sapore corposo del tabacco mazticano. Sospirò, prendendo una lunga boccata.

In quel momento, molto più in alto, un uccello lasciò cadere un ricordino puzzolente, che atterrò sul ponte di una nave. Più precisamente sulla mappa di un nostromo che stava approfittando delle ultime luci del giorno per studiare la rotta. Il suo capitano era contrario all’abuso di candele, lanterne e simili fonti di luce, perché era un gran taccagno.
Il nostromo bestemmiò contro il gabbiano che aveva sporcato la sua preziosa mappa, e fece del suo meglio per ripulirla.


Herla non era in pace con sé stessa.
Sapeva di stare facendo la cosa giusta. Pochi mesi prima, l’intero mondo era stato infettato con un terribile mythal, un incantesimo su vastissima scala che aveva lo scopo di fare impazzire i draghi.
La natura mezza non-morta di Herlakonigyn la teneva al riparo da questo potere, o almeno, così lei pensava. Per il momento non ne aveva percepito gli effetti, nemmeno in parte. Nemmeno un leggero mal di testa.
Prese un’altra boccata dalla sua pipa, studiando la mappa che aveva srotolato sul tavolo davanti a sé. Era una mappa del mondo conosciuto, fra la Costa della Spada a ovest e il deserto Raurin e la Desolazione Sconfinata ad est. Cinque luoghi erano stati contrassegnati da simboli a forma di rombo. La draghessa sapeva che quei simboli indicavano i luoghi in cui erano stati posti degli artefatti di grande potere, che fungevano da “ripetitori” per il mythal della Dracorage, l’incantesimo che portava i draghi alla follia.
Lei si trovava proprio in uno di quei luoghi. Un piccolo e anonimo isolotto su cui il Culto del Drago aveva costruito un obelisco, in cima al quale era stata posta la gemma incantata. Ai piedi dell’obelisco erano stati costruiti alcuni piccoli edifici spartani, alloggi per i cultisti che avevano il compito di sorvegliare la pietra. Era un luogo dimenticato dagli dèi, con risorse limitate e pochissimo personale, ma era il luogo in cui per il momento Herla aveva scelto di abitare. La vicinanza con il Chult e con l’isola di Nimbral era la chiave dell’importanza strategica di quell’isolotto. E poi il mare era davvero splendido.

Il nostromo aveva pulito la mappa alla meno peggio, ma un piccolo tratto di mare era rimasto coperto dalla macchia. Sfortunatamente era proprio il tratto di mare dove stavano navigando. Di notte. Per la prima volta.
D’altra parte sembrava proprio che la via fosse sgombra e l’acqua tranquilla, quindi il capitano ordinò che si continuasse a navigare.


Herla studiò la mappa, sentendosi spaccata in due nelle emozioni tanto quanto lo era nell’aspetto esteriore.
Da una parte, sapeva che far impazzire tutti i draghi del mondo era sbagliato. Dall’altra, i draghi non erano mai stati gentili o comprensivi con lei, mentre la gente del Culto del Drago l’aveva accolta a braccia aperte. Concettualmente, ovvio, non per reale sentimentalismo. Nessuno lì le voleva bene, ma la apprezzavano per la sua natura. Che era più di quanto le avessero mai dato le altre persone, o gli altri draghi.
Se avesse potuto scegliere con il cuore, dare retta al suo furioso sentimento di rivalsa e di rabbia, avrebbe mandato al diavolo l’intero mondo e si sarebbe unita al Culto del Drago per davvero. Ma un altro sentimento vibrava nel profondo del suo animo dal momento stesso in cui era nata, e la spronava continuamente a cercare di fare la cosa giusta: il senso di colpa.
La sua stessa nascita era stata il frutto di un rituale oscuro, che aveva richiesto il sacrificio di un’altra creatura. Herla non aveva chiesto niente di tutto questo, non aveva chiesto di essere una mezza non-morta e di ottenere la sopravvivenza al costo di un’altra vita. Qualcun altro aveva deciso per lei: i suoi genitori. Ma quando era uscita dall’uovo, l’avevano trattata come un mostro. Non era di certo la creatura che si aspettavano e che volevano; avevano pagato un prezzo altissimo per avere in cambio un abominio.
Appena dopo la schiusa, suo padre aveva cercato di ucciderla, schiacciandola sotto le sue enormi zampe. Sua madre si era messa in mezzo e avevano lottato brevemente; in quella lotta, sua madre era rimasta ferita. A quel punto, il vecchio drago le aveva lasciate entrambe, chiamandosi fuori da quella follia.
Le ferite di sua madre si erano infettate, nonostante la sua magia di guarigione e la sua naturale resistenza. Sentendosi in colpa per aver scatenato quella lite, Herlakonigyn era fuggita. Solo in seguito aveva saputo che sua madre si era completamente ripresa, perché era stata la sua vicinanza ad impedirle di guarire.
Perché Herla aveva questo superpotere.

Una nebbia fuori stagione si alzò dal mare, senza criterio. La temperatura di notte tendeva a calare, non ad alzarsi, eppure si stava formando della nebbia. La nave, procedendo alla cieca nel buio e nella nebbia, si schiantò contro l’isolotto occupato dal Culto del Drago.


Herla portava sfortuna.
Udì lo schianto della nave sulla costa e contò mentalmente che erano passati quasi dieci giorni dal suo arrivo sull’isola. Dieci giorni in cui avevano scoperto che la scorta d’acqua nelle botti era marcita (uno di loro l'aveva scoperto morendo di dissenteria), e da allora i cultisti avevano bevuto solo birra. Dunque non erano mai stati completamente sobri, negli ultimi tempi. Avevano scordato di accordarsi per i turni di guardia, perché tanto chi cavolo ci troverà su questa isoletta dimenticata dagli dèi?
E naturalmente ora stavano pagando per quella leggerezza. Una nave si era appena schiantata contro l’isola, ed Herla sapeva che in quel braccio di mare soltanto i pirati avevano il fegato di navigare anche di notte. Chiunque altro avrebbe avuto paura di incontrare i pirati.
La draghessa non si era barricata nella sua stanza. Non ce n’era bisogno. Quando il primo di quei manigoldi fece irruzione nella sua camera, sfondò la porta con un calcio… ma la sfondò sul serio. Il piede passò attraverso il legno troppo fragile, l’umano perse l’equilibrio, cadde in avanti con una gamba così incastrata e il legno spezzato gli tagliò la pelle e gli bucò l’arteria della coscia.
Una posizione poco dignitosa in cui morire. I suoi compagni lo disincastrarono a forza e cercarono di bendare la ferita, ma con Herla nei paraggi non c’era speranza di guarigione.
A quel punto, la donna si alzò dalla sedia e con tutta tranquillità si offrì come prigioniera. Con il volto mezzo coperto dalla maschera, sembrava davvero una bella donna.
I pirati avevano già ucciso i suoi compagni, troppo intontiti dal sonno e dall’alcol per fare resistenza. La presero di peso e la portarono sulla barca. Herla li lasciò fare; nella sua posizione, non valeva la pena impegnarsi. Avere un atteggiamento passivo verso la vita era sempre stato sufficiente. I pirati rubarono tutto quello che c’era di valore sull’isola, compresa la strana gemma blu che pulsava di luce magica.
Nel frattempo, nella sua prigione sottocoperta, Herla ricorse a un semplice incantesimo di illusione per dissimulare il suo corpo sfigurato, in modo da sembrare completamente viva e sana. Si aspettava di avere compagnia, prima o poi. Forse qualcuno di quegli omaccioni senza scrupoli sarebbe morto d’infarto nel tentativo di stuprarla, o forse sarebbe successo qualcosa di più creativo. Una volta c’era stato un uomo che avvicinandosi a lei aveva calpestato un chiodo (cosa che gli aveva immediatamente smorzato i bollenti spiriti), e in seguito era morto di tetano. Quello era stato divertente.
Questa volta invece non ce ne fu il tempo. Dopo solo due ore di navigazione, si scoprì che la nave era stata danneggiata dall’impatto con l’isola molto più di quanto i pirati credessero. Lo scafo cominciò ad imbarcare acqua e naturalmente non ci fu nulla da fare.
Le coste sud-occidentali del Chult in quel periodo erano infestate da Testuggini Dragone. La vicinanza del Ripetitore della Dracorage le aveva rese incredibilmente aggressive.
In pochi minuti non rimase più nulla dell’equipaggio.
L’artefatto malvagio finì sul fondo del mare, che in quel punto era molto profondo. Avrebbe continuato a creare problemi, questo Herla lo sapeva. Ma pochissimi draghi si spingevano fino a quelle profondità, ed era molto meglio che la pietra se ne stesse laggiù, piuttosto che in superficie. Herla sapeva di non poter ottenere niente di più; non era una persona fortunata. E certamente non si azzardava a toccare personalmente quella pietra per cercare di distruggerla. Era pur sempre una creatura vivente, non voleva rischiare la sorte.

Herlakonigyn di Moray poteva volare anche in forma umana, grazie ad uno speciale anello magico. S’innalzò nel cielo notturno, più in alto che poté, sperando che da una grande altezza sarebbe riuscita a vedere l’alba anche se in quella regione era ancora notte. Dopo aver causato tutte quelle morti, anche a persone che conosceva per nome, aveva proprio bisogno di uno spettacolo che la rincuorasse. L’alba era un’immagine di speranza per lei, l’aiutava a ricordare che stava facendo la cosa giusta.
Arrivò fino ad un’altezza di diverse centinaia di metri, dove l’aria era terribilmente pungente sulla sue pelle umana.
Il cielo era nuvoloso ad est, non si vedeva alcuna luce tranne quella della luna sopra di lei.

Herla sospirò, estrasse dalla tasca la mappa che era riuscita a trafugare (ormai piegata in modo molto grossolano, e un po’ bagnata) e decise quale sarebbe stata la sua prossima tappa. In teoria c’era un Ripetitore sull’isola di Mintarn, ma aveva sentito dire che qualcun altro se n’era già occupato, quindi la destinazione più vicina restava l’isola di Tharsult, nel Mare Scintillante.
Senza preoccuparsi di scendere di quota, iniziò a muoversi verso est, sorvolando giungle selvagge, acquitrini e città esotiche per cui non poteva permettersi di provare interesse. Herlakonigyn non si avvicinava mai alle città, non da quella volta in cui aveva inavvertitamente scatenato una pestilenza. La sua era una vita molto solitaria.
   
 
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