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Autore: eliseCS    10/10/2018    2 recensioni
One shot senza pretese creata dopo aver visto una volta di troppo Il Fantasma Dell’Opera
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Dal testo:
“[...] Non aveva idea di come fosse possibile, ma se allora quell’uomo era davvero chi pensava che fosse...
[...] quel «Christine è una stupida» le uscì spontaneo e sincero.
[...]«E così volete davvero osare a guardare sotto la maschera?»”
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Date un’occhiata, vi assicuro che non ha senso proprio come sembra.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erik/The Phantom, Nuovo personaggio
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Giusto un paio di informazioni sul background di questa storia...
Questa fan fiction è stata cominciata a maggio di quest’anno: ero appena uscita da teatro dopo essere stata a vedere Il Fantasma Dell’Opera e in metropolitana mentre tornavo in ostello non ho potuto fare a meno di tirare fuori una delle agende che porto sempre con me e buttare giù quello che mi passava per la mente in quel momento.
Dopodichè il tutto è finito nel dimenticatoio fino a due settimane fa quando, dopo essere stata di nuovo a teatro a vedere TPOTO, mi sono improvvisamente ricordata che cinque mesi prima avevo iniziato qualcosa.
Sono seguiti momenti di disperazione perché ovviamente non mi ricordavo più quale fosse l’agenda incriminata, né tantomeno cosa avevo iniziato a scrivere, salvo poi girare al contrario l’agenda dove sto attualmente scrivendo un’altra fanfic ispirata a TPOTO e scoprire che stava tutto lì.
Ho quindi finito la storia – se con lo stesso finale che avevo pensato inizialmente non lo saprò mai – e deciso di pubblicarla secondo la mia regola che se una storia è terminata allora deve essere caricata su questo sito (e non restare a prendere polvere nella cartella denominata “cantina” in cui raccolgo tutte le storie in corso sul mio computer).
Questa storia ha senso? Probabilmente no, ma è anche bene ricordare che quando l’ho scritta, sia l’inizio che la fine, stavo messa peggio della protagonista stessa, quindi sta a voi lettori sorbirvela.
Buona lettura







 
~ Stranger Than You Dreamt It,
Can You Even Dare To Look? ~
 
 
 
“It’s over now the music of the night”
 
Gli applausi invasero fragorosi il teatro mentre gli attori si ripresentano un’ultima volta sul palco prima che il sipario calasse definitivamente.
La maggior parte delle persone si alzò, quasi correndo verso le uscite manco avessero paura di restare intrappolate dentro, e solo in pochi restarono a godersi gli ultimi minuti di musica offerti dall’orchestra che ripercorse riassumendo tutte le canzoni principali dello show.
Una testa bionda si fece finalmente strada a sua volta verso l’uscita del Grand Circle dov’era stato il suo posto, fermandosi però a metà strada per una veloce sosta al bagno. La fila per i servizi era ancora modestamente lunga, ma Elly si fermò ugualmente: non sarebbe riuscita ad affrontare i ventisette minuti di metropolitana che separavano il teatro dall’ostello dove alloggiava per la notte senza prima aver svuotato la vescica. Era l’ultima della fila e aspettò pazientemente il suo turno.
Quando alla fine tornò fuori, dopo una decina di minuti di attesa, il corridoio era deserto e tutto sembrava stranamente silenzioso.
 
 
Elly si affrettò giù per la rampa di scale – non ci aveva mica messo così tanto – ma non potè impedirsi di fermarsi a metà davanti ad una delle tante immagini simbolo dell’opera appese al muro.
Era solo la maschera del Fantasma, quella bianca ideata per coprirgli la parte sfigurata del volto, nulla di così speciale o che non avesse già visto, eppure non riuscì a distoglierne gli occhi.
Ammetteva di non ricordarsi più tanto bene il libro, letto ormai anni prima, ma regolarmente riguardava la versione cinematografica di quello che a parer suo era un capolavoro e anche la versione teatrale registrata appositamente per il venticinquesimo anniversario.
Ma nonostante il recente rewatch di entrambe non era preparata a quello che avrebbe provato assistendoci dal vivo.
L’emozione di vedere gli attori in carne ed ossa, l’orchestra, le voci che l’avevano fatta rimanere estasiata a bocca aperta, a domandarsi come una persona potesse raggiungere note così perfette.
E poi... aveva sempre avuto un debole per Erik, il Fantasma, e le sue ultime battute, quegli ultimi versi cantati con la voce straziata dal dolore... beh, aveva ringraziato di aver usato make-up waterproof perché altrimenti sarebbe stata nei guai.
Ben Lewis era stato eccezionale nei panni del Fantasma – anche se forse preferiva appena Ramin Karimloo – e lo spettacolo l’aveva fatta innamorare ancora un po’ di più del personaggio.
Certo, non dimenticava il fatto che il personaggio in questione avesse anche ucciso persone innocenti – cosa che ovviamente disapprovava su tutta la linea – ma omicidi a parte si sentiva vicina a lui, forse poteva quasi capirlo in un certo senso.
Dopotutto Erik voleva solo quello che tutte le persone, lei compresa, vogliono: essere amati. Aveva ceto agito nel modo peggiore possibile, ma nella sua testa le piaceva pensare che il lasciar andare Raul e Christine alla fine indicasse in qualche modo che aveva capito che quello che aveva fatto era sbagliato, che l’amore di una persona non si ottiene in quel modo, anzi: che l’amore non si ottiene affatto ma ce lo si guadagna pian piano.
Adesso doveva solo ricordarsi che quella non era altro che una storia tratta da un libro vecchi di anni e darsi un contegno: sentiva i suoi occhi annacquarsi di nuovo e davvero non era il caso.
Tirò appena su col naso raddrizzando le spalle e distogliendo lo sguardo dal quadretto: doveva decisamente darsi una mossa prima che la chiudessero dentro sul serio.
 
«State davvero piangendo?»
La voce alle sue spalle la colse così alla sprovvista – non aveva sentito neanche un rumore che potesse indicare la presenza di qualcun altro – che il suo piede mancò un gradino e se non si fosse tenuta al corrimano avrebbe fatto una caduta molto poco dignitosa fino alla fine della rampa.
«Perdonatemi, non era mia intenzione arrecarvi alcun danno» la voce parlò di nuovo.
Elly si voltò chiedendosi nel frattempo chi mai parlasse ancora a quel modo nel 2018 e restò a bocca aperta.
Il suo sguardo ripercorse più volte la figura dell’uomo che apparentemente dell’800 non aveva solo i modi di fare ma anche i vestiti.
Il mantello che aveva indosso era aperto sul davanti facendo sì che potesse vedere i pantaloni di stoffa scura infilati dentro a lucidi stivali di pelle nera alti fino a metà polpaccio, il tutto abbinato ad una camicia bianca dal tessuto raffinato ma di fattura decisamente antica.
Al contrario il cappuccio che aveva calato sul viso non lasciava intravedere nulla se non uno strano riflesso perlaceo e due fiamme dorate quando lo sconosciuto mosse un passo nella sua direzione superando la luce soffusa proveniente dall’applique appesa al muro.
Se fosse stata ancora in sé Elly avrebbe probabilmente fatto un passo indietro, ma per qualche motivo sembrava completamente paralizzata, incapace di muoversi o anche solo di staccare gli occhi di dosso da quella figura.
L’unico pensiero con una parvenza di logica che le passò per la testa fu che quelli sembravano proprio i classici abiti di scena del Fantasma, solo molto più realistici, e che quell’uomo di certo non era Ben Lewis ancora travestito.
 
Si schiarì la voce appena imbarazzata passandosi allo stesso tempo un dito sulla palpebra inferiore degli occhi per asciugare l’umido che era rimasto preservando il trucco.
«Io... suppongo di sì» rispose alla domanda postale poco prima con un tono che però suonò interrogativo a sua volta.
«Posso domandarvi il perché?» insistette l’uomo. La sua voce era suadente e imperiosa come se avesse voluto una risposta a tutti i costi ma non per semplice curiosità, come se fosse qualcosa di più personale.
«Solo se mi dite con chi sto parlando» ribattè Elly con un inaspettato slancio di coraggio chiedendo implicitamente allo sconosciuto di rivelare la propria identità, quantomeno togliendo il cappuccio.
Di certo non si aspettava di vedere l’uomo retrocedere di un paio di gradini a quelle parole.
«Lasciate perdere» la sua voce si era abbassata e suonava in qualche modo rassegnata. «Non lo volete sapere davvero. Vi auguro una buona serata»
Sotto lo sguardo incredulo della ragazza girò sui tacchi con uno svolazzo del mantello.
Accidenti, manco gli avesse chiesto il numero di conto corrente: voleva solo vederlo in faccia, la metteva a disagio non poter guardare in viso le persone con cui stava parlando. Allo stesso tempo non riusciva a capire come mai vederlo andarsene a quel modo le stava trasmettendo tutta quell’angoscia, come se stesse commettendo qualcosa di irreparabile.
 
«Voleva solo essere amato» le parole uscirono dalle sue labbra senza che lei l’avesse effettivamente voluto. Non aveva urlato, l’aveva detto quasi fosse una semplice dato di fatto, la voce bassa.
Evidentemente però lo sconosciuto l’aveva sentita, e quelle quattro parole erano state abbastanza per farlo fermare prima che sparisse oltre l’angolo dietro al quale continuavano le scale.
Si girò lentamente, quasi al rallentatore, facendole scendere un brivido l’ungo la schiena e dandole modo di notare di nuovo quegli strani riflessi da sotto il cappuccio.
«Come avete detto?» sembrava sinceramente sorpreso e per come aveva parlato pareva gli fosse mancato il respiro per un attimo.
Elly deglutì per poi indicare la locandina con la maschera con un cenno: «Voleva solo essere amato» ripetè appena più sicura, certa che l’altro non avrebbe avuto problemi a capire a chi si stava riferendo.
Un gemito. Un singhiozzo.
Si era davvero messo a piangere?
Contando sul fatto che 
al momento l’uomo non stesse facendo caso a lei, Elly ne approfittò per risalire qualche gradino verso di lui , ma suo malgrado si fermò quando lui si portò le mani al viso sotto il cappuccio – per asciugarsi le lacrime? – per poi ritrarle stringendo qualcosa tra le dita.
Non sapeva se sentirsi incuriosita, spaventata o confusa: quella che era appena apparsa davanti ai suoi occhi altro non era che la famosa maschera raffigurata nell’immagine che aveva da poco superato.
Non aveva idea di come fosse possibile, ma se allora quell’uomo era davvero chi pensava che fosse...
Arrabbiata, ecco come si sentiva. E quel «Christine è una stupida» le uscì spontaneo e sincero.
L’uomo alzò il capo e nonostante il suo viso fosse ancora nascosto alla sua vista era abbastanza sicura di aver appena ricevuto un’occhiataccia.
«Come osate...?» esalò con tono alterato.
Fantastico, l’aveva fatto arrabbiare.
«È la verità» continuò imperterrita nonostante la velata minaccia. «Siete un musicista, compositore, architetto... siete un genio. Mi chiedo come voi abbiate fatto a non arrivare alla stessa conclusione: Christine non vi merita»
Il Fantasma – a quel punto non aveva dubbi sul fatto che fosse lui – cominciò a ridiscendere lungo la scalinata, la sua figura che in qualche modo sembrava più imponente.
Una risata uscì da sotto il cappuccio, melodiosa e terribile allo stesso tempo.
«Ah! Certo, quello che dite forse è vero, ma chi mai sceglierebbe un mostro come me messo al confronto con un volto perfetto come quello del Vicomte De Chagny?»
 
«Io»
 
La sua risposta, arrivata istantanea dopo quella domanda palesemente retorica, fece scendere il silenzio per diversi istanti.
«Voi non sapete di cosa state parlando Mademoiselle...»
«Elly, chiamatemi Elly. E mi permetto di dissentire»
Tra lei che aveva continuato a risalire e lui a scendere ormai si trovavano uno di fronte all’altra sullo stesso ballatoio in mezzo alle scale, il Fantasma che restava comunque più alto di lei di tutta la testa nonostante fossero sullo stesso livello.
«Nessuno potrebbe mai amare un mo- »
«Un mostro come voi, sì, l’ho già sentita questa. Solo perché non avete ancora trovato quella persona non vuol dire che non esista affatto»
L’uomo rise di nuovo, freddamente e senza allegria, scuotendo la testa al contempo: «Mi perdonerete se non vi credo. E forse siete voi la sciocca: avete capito chi vi sta di fronte ma non siete scappata» parò pungente.
«Perché è quello che fanno le persone quando vi vedono? Scappano?» ribattè lei sorvolando sulla mezza offesa.
L’uomo fece un gesto vago con la mano guantata di nero che stava reggendo la maschera: «Scappano... svengono, gridano... o mi puntano contro una lama o un fucile» elencò quasi distrattamente.
«Non io»
«Voi no, Mademoiselle? E allora ditemi, voi che stavate piangendo davanti alla mia maschera – gettò l’oggetto in questione per terra – cosa avreste voluto fare una volta compresa la mia identità?» domandò canzonatorio.
A quel punto Elly lo fece davvero, quello che avrebbe sempre voluto fare ogni volta che il Fantasma decretava la fine della Musica della Notte.
Con mezzo passo azzerò la poca distanza che ancora li separava e lo abbracciò alzandosi appena sulle punte dei piedi.
Lo sentì irrigidirsi all’istante, fremendo, e solo dopo qualche istante i suoi muscoli tornarono a rilassarsi.
E proprio quando aveva deciso che era durato abbastanza, che potevano separarsi, con sua grande sorpresa sentì una mano risalire lungo la sua schiena mentre l’altro braccio le circondava le spalle.
Quella volta fu lei a trattenere il respiro per un attimo, ancora sconvolta dalla piega che avevano preso gli eventi: il Fantasma dell’Opera aveva appena ricambiato il suo abbraccio.
 
Quello a cui nessuno dei due aveva prestato attenzione era che nell’impeto con cui Elly gli aveva buttato le braccia al collo il cappuccio del mantello era caduto all’indietro scoprendogli finalmente il capo.
Erik dovette rendersene conto proprio quando stavano per sciogliere l’abbraccio perché Elly lo sentì tendersi di nuovo bloccandosi a metà del movimento.
Non seppe neanche lei con che coraggio mosse una mano fino a potergli lasciare una carezza sulla nuca. Le dita che passarono tra i capelli che, non se lo aspettava, non sembravano per niente quelli di una parrucca. Ma tralasciò quella considerazione, non era di certo il momento.
«Chiuderò gli occhi e non guarderò se non vuoi che io veda» lo rassicurò. «Ma voglio che tu sappia che in ogni caso non urlerei né scapperei. E no – lo anticipò prima che potesse interromperla – non dire che non è qualcosa che non posso prevedere. So che non andrò proprio da nessuna parte» disse decisa cambiando registro e decidendo che dopo quell'abbraccio poteva anche permettersi di dargli del tu.
«E così volete davvero osare a guardare sotto la maschera?»
sospirò l’uomo. «È normale essere spaventati o disgustati, non vi biasimerò per quello. Ma vi prego di non mostrarmi pietà, quella non potrei sopportarla» fu il suo unico commento prima di lasciarla andare discostandola da sé guidandola con le mani appoggiate sulle sue spalle.
Inutile dire che gli occhi di Elly si alzarono subito a cercare quel viso che voleva vedere dall’inizio di quel singolare incontro.
La prima cosa su cui si concentrò furono gli occhi. Erano ostinatamente puntati verso il pavimento ma non gli sfuggirono quelle due fiamme dorate che erano le iridi.
Quando ampliò il suo campo visivo per mettere a fuoco anche il resto del volto restò interdetta e suo malgrado senza parole: niente avrebbe potuto prepararla a quello che stava vedendo.
Erik mal interpretò quel silenzio e con un gesto fluido ma deciso riposizionò il cappuccio al suo posto.
«Perdonatemi se potete Mademoiselle. Non avrei mai dovuto» le diede le spalle allontanandosi rapidamente.
A nulla valsero i richiami, i «No, ti prego, aspetta!», urlati da Elly che alla fine si era riscossa.
Tentò di seguirlo ma fu costretta a fermarsi a metà della rampa di scale a causa di un giramento di testa. Si aggrappò di nuovo al corrimano mentre sentiva le ginocchia che le cedevano e la vista che si stava progressivamente annebbiando.
«Ti prego... hai capito male... io...» sentì meno della metà di quella sua ultima supplica per colpa di un fischio acuto che aveva iniziato a risuonarle nelle orecchie.
La sensazione di due braccia forti ma delicate che la sorreggevano fu l’ultima cosa che percepì prima di perdere i sensi e lasciare che l’oscurità si chiudesse su di lei.
 
 
 
«Miss? Miss, riesce a sentirmi? Miss?»
Elly riaprì gli occhi dopo aver sbattuto più volte le palpebre tornando al presente con un mezzo lamento.
Una delle maschere del teatro era inginocchiata accanto a lei mentre un’altra era appena arrivata con appresso una borsa per il primo soccorso. Oltre a loro c’erano le altre persone che ancora si stavano avviando verso l’uscita e qualche curioso che si fermava per un istante per vedere cosa stava succedendo.
Per l’appunto... «Cos’è successo?» domandò con voce appena arrochita mentre qualcuno si affrettava a passarle un bicchiere d’acqua da cui lei bevve subito un sorso abbondante.
«Siete uscita dal bagno e avete cominciato a barcollare. Siete fortunata che ce ne siamo accorti e vi abbiamo presa al volo prima che poteste cadere e sbattere da qualche parte» rispose una signora elegantemente vestita indicando se stessa e il marito al suo fianco.
Quindi non aveva battuto la testa...
«Vi capita spesso di svenire così?» le chiese l’addetto alla sicurezza.
«In realtà no, ma solitamente ho la pressione piuttosto bassa di mio. E poi l’emozione per lo spettacolo...» rispose arrossendo appena tirandosi su. Ma meglio così che raccontare di aver passato una mezz’ora a conversare con il protagonista dell’opera, in carne ed ossa.
In quel momento realizzò però di essere ancora al piano dei bagni: non aveva mai iniziato a scendere le scale, non si era mai commossa davanti alla locandina, non aveva mai abbracciato...
«Miss è sicura di sentirsi bene?»
«Come? Sì, non si preoccupi. Grazie davvero e scusatemi per il disturbo» Elly si congedò velocemente recuperando la borsa che la signora aveva evidentemente custodito per lei fino a quel momento e dopo un ultimo sorriso di circostanza imboccò le scale decisa ad uscire dal teatro il più velocemente possibile e senza guardarsi intorno neanche una volta.
Le veniva da piangere.
Davvero si era solo sognata tutto? Era stata suggestionata fino a quel punto da generare quell’incontro con Erik nella sua testa? Eppure era sembrato così vero... quasi troppo strano per essere stato solo un sogno.
Dovette riconoscere però che non c’era altra spiegazione: uscendo aveva potuto constatare con i suoi occhi che le scale erano tutt’altro che vuote e silenziose come pensava di averle viste lei solo pochi minuti prima.
Forse sarebbe stato meglio stare lontana dal mondo dell’Opèra Populaire per un po’...
 
Passò accanto ad una strana maschera buttata a terra in un angolo senza neanche rendersene conto.
 
 
 
 
 
 





Elly si fermò incerta davanti al teatro osservandone la facciata illuminata dalle luci della strada. Contrariamente a quando ci era stata l’ultima volta a maggio adesso cominciava già a fare buio, ed erano a mala pena le sette di sera.
Sapeva che non avrebbe dovuto, ma il biglietto che aveva trovato, per quel prezzo per il Royal Circle, era stato semplicemente troppo invitante e lei non aveva resistito.
Dopotutto erano passati quasi cinque mesi e lei si era messa l’anima in pace: avere molta fantasia e la pressione bassa non era un’accoppiata vincente.
Si riscosse stringendo in mano la ricevuta del pagamento entrando nel foyer, il biglietto non si sarebbe ritirato da solo.
 
 
Per quanto avesse cercato di restare più impassibile possibile alla fine si era commossa comunque.
Come la volta precedente aspettò che l’orchestra terminasse di suonare prima di lasciare il suo posto.
Aveva usato il bagno durante l’intervallo e stava alloggiando in un ostello più vicino, non ci sarebbe stato bisogno di fermarsi dentro al teatro più dello stretto indispensabile. Nonostante i suoi propositi non potè fare a meno di indugiare appena percorrendo il corridoio e la zona bar, inconsapevolmente alla ricerca di qualcuno.
Qualcuno che esiste solo nella tua testa, ricordò a se stessa con stizza.
Si aggiustò la giacca e la borsa sulla spalla prima di prendere un profondo respiro e dirigersi a passo quasi militare verso le scale.
 
«Mademoiselle, aspetti!»
 
Una voce. Quella voce.
Aveva appena appoggiato il piede sul primo gradino ma a quel richiamo si era fermata all’istante mentre le persone dietro di lei la superavano sbuffando appena per l’inaspettato ostacolo.
Strizzò gli occhi: non poteva essere vero, la sua testa doveva starle giocando qualche altro scherzo.
«Elly, per favore»
Riaprì gli occhi di scatto al suono del suo nome retrocedendo per tornare al piano scansando la gente attorno a lei. Si voltò lentamente, ancora non del tutto sicura di potersi fidare delle sue stesse percezioni. Lasciò vagare lo sguardo e proprio quando stava cominciando a sentire una punta di delusione farsi strada in lei, lo vide.
I suoi occhi si illuminarono quando capì di essere stato individuato e cominciò ad andarle incontro sorridendo.
Elly era ancora disorientata, muovendo passi incerti cercando di capire se tutto quello stesse di nuovo succedendo dentro la sua testa.
Intanto Erik l’aveva raggiunta, incontrandola a metà strada in corrispondenza di un provvidenziale slargo del corridoio.
Questa volta degli abiti d’epoca non c’era neanche l’ombra, indossava un elegante completo scuro di fattura definitivamente moderna, l’immancabile camicia bianca con i primi due bottoni aperti sul petto e nessuna maschera.
D’altra parte a cosa gli sarebbe dovuta servire?
Il suo volto era esattamente come se lo ricordava: le due folte sopracciglia sopra quegli occhi incredibili capaci di brillare anche nella più nera delle notti, il naso dritto e ben proporzionato; le labbra né troppo piene né troppo sottili e la linea della mascella ben definita ma allo stesso tempo dolce. Il tutto incorniciato dai capelli corvini tirati però indietro in modo che neanche un ciuffo potesse ribellarsi.
In una parola: perfetto.
Per quello Elly era rimasta bloccata quei cinque mesi prima: era pronta ad un volto sfigurato, pieno di piaghe, deformato. Tutta quella bellezza era l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata.
 
Nel frattempo Erik si era piegato su un ginocchio davanti a lei offrendole una rosa al cui gambo, accuratamente privato delle spine, era stato legato un nastro nero, mentre la guardava come se vedesse solo lei.
«L’ultima volta il mio comportamento è stato ingiustificabile, ma spero tu possa perdonarmi se non è troppo tardi» enunciò lasciandola a bocca aperta.
Per di più a giudicare dagli sguardi e dai sorrisi che parecchie persone le stavano dedicando passando loro accanto poteva dire che stava succedendo veramente: non era l’unica a vedere l’uomo inginocchiato davanti a lei, anche gli altri potevano!
Non riuscì a trattenere una lacrima che scese rigandole una guancia mentre accettava la rosa e si chinava per abbracciarlo.
«Sei qui. Sei davvero qui. Non è stato solo un sogno» sussurrò.
«No» confermò lui separandosi appena per riuscire ad appoggiare un bacio sulla sua fronte. «Grazie per aver osato guardare oltre la maschera»













Ringrazio semplicemente chi è arrivato a leggere fino alla fine, non credo di dover aggiungere altro e se qualcuno volesse lasciare un commento giuro che Erik non verrà a farvi visita (spero non venga a cercare me per aver scritto questa cosa...)
Alla prossima
E.
   
 
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