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Autore: _Akimi    14/10/2018    0 recensioni
[USA x Nord Corea - Writober]
"«Siete strani, voi americani. Tempo fa parlavate di pulsante più grosso, ora iniziate con le gentilezze. Forse provate ansia da prestazione?»
Alfred tentò di nascondere un lieve e puerile rossore di guance; un imbarazzo che non aveva motivo di palesarsi ora, ma era certo - non si sbagliava nel considerare le sue parole come un’allusione sessuale?
Hyung-Soo non pareva piuttosto attivo in quel campo - a dire il vero lo immaginava più a suo agio in situazioni più...estreme, ma tali pensieri non lo aiutavano di certo a mantenere un’apparenza perlomeno decente.
Anche in Nord Corea facevano sesso? Doveva pur togliersela, la divisa, in quelle occasioni, vero?
«Certe armi bisogna saperle pur usare, se ci danno dei guerrafondai, ci sarà anche una valido motivo.»"
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Deadly Desire
 

Pyongyang, 2018


Un paio di iridi celesti si soffermarono su quella minuscola goccia di sudore che scendeva dalla fronte coperta di Im Hyung-Soo, solcandogli la pelle sino all’angolo delle labbra.
Il coreano si scostò il cappello per asciugarsi il viso e, in qualsiasi altro contesto, Alfred non lo avrebbe trovato un gesto poi così attraente.
Si ripeteva che non vi era nulla di affascinante nello sguardo freddo dell’altro, ma la forma sottile dei suoi occhi, il ricadere di una treccia di capelli sulla spalla e le sopracciglia leggermente arcuate formavano un quadro che rendeva le gambe di Alfred come molle gelatina.
Di solito odiava non avere il comando, essere messo all’angolo o, ancora, vedere qualcuno metterlo in discussione, eppure l’austerità del comportamento di Nord Corea - risultato impeccabile dell’ideologia dell’uomo come padrone del tutto - era tremendamente sexy.

Cazzo, quanto odiava i maledetti comunisti.

«E questa è la torre Juche.»
Im Hyung-Soo lo esclamò in un inglese quasi perfetto, indicando un monumento che rifletteva sulla riva del fiume Taedong; la fiamma artificiale in cima era accesa, un brillare di luce rossa nell’oscurità della capitale.
Non era di certo paragonabile allo skyline di New York, allo scintillare di Los Angeles, ma vi era un qualcosa che attirava comunque la poca attenzione di Jones - come se la torre rappresentasse l’ultimo caposaldo di un mondo non ancora arresosi all’”aggressivo imperialismo americano”.
«Volevo dirti;» un colpo di tosse anticipò un’affermazione che pareva adatta a spezzare il silenzio tra loro; «sono contento di averti incontrato a Singapore, sai, dopo tutto il casino...»
Avrebbe aggiunto che era colpa di Kim Jong-un, del suo grasso culone e del suo cervello piccolo, ma esisteva ancora uno scarso lato diplomatico in lui e non avrebbe rovinato un’occasione magica per un po’ di risentimento, seppur comprensibile e condiviso.
«Il compagno Kim vuole la pace nella penisola come tutti gli altri.»
Era una bugia a cui nessuno dei due credeva perché USA e Nord Corea assieme erano sinonimo di guerra da anni, ma Alfred erano troppo concentrato sulla sua figura per rischiare un altro inutile confronto.
Trovava più allettante il suo fare composto, il muoversi militaresco e la lieve riservatezza con cui si stava sistemando la cintura Sam Browne - disinteressato dal modo in cui i capelli gli ricadevano sul viso.
E Alfred era tentato a allungare la mano, oh sì, scostargli i ciuffi castani che gli ostacolavano la vista, sfiorare la sua divisa, soffermandosi sulle tante onorificenze che brillavano lì, appuntate in modo orgoglioso al petto.
La fondina della pistola gli ricadeva sul fianco, un dettaglio che lo statunitense avrebbe considerato pericoloso in qualsiasi altra occasione, ma lo stesso Hyung-Soo pareva non curarsene, come se l’arma da fuoco non fosse altro che un antipatico decoro che si portava appresso ogni giorno.
«Al signor presidente sono piaciute molto le lettere.»
Un altro complimento, delle parole che non volevano suonare come una forzata lusinga perché - a differenza dei modi eccentrici di Trump - Alfred temeva di essere un po’ caduto nella trappola del coreano e no, non per colpa della loro corrispondenza.
Era ancora offeso per la vicenda della penna durante il loro incontro mesi prima, ma trovava sciocco parlare di un evento che - per il bene di tutti - era meglio lasciarsi alle spalle.
Tuttavia, sarebbe stato interessante potergli lasciare un vero regalo, un segno del loro strano rapporto; Alfred immaginava qualcosa di piccolo, ma importante - la spilla a stelle e strisce con cui giocherellava nella tasca starebbe stata bene lì, in mezzo allo scintillare dei suoi riconoscimenti militari.
Era il modo perfetto per marchiarlo, per dirgli che Alfred F. Jones conquistava chiunque - in qualsiasi modo - e dominarlo utilizzando la divisa come oggetto di esposizione avrebbe gonfiato il suo già-ingombrante-ego.

Diamine, stava diventando un feticista.

«Siete strani, voi americani. Tempo fa parlavate di pulsante più grosso, ora iniziate con le gentilezze. Forse provate ansia da prestazione?»
Alfred tentò di nascondere un lieve e puerile rossore di guance; un imbarazzo che non aveva motivo di palesarsi ora, ma era certo - non si sbagliava nel considerare le sue parole come un’allusione sessuale?
Hyung-Soo non pareva piuttosto attivo in quel campo - a dire il vero lo immaginava più a suo agio in situazioni più...estreme, ma tali pensieri non lo aiutavano di certo a mantenere un’apparenza perlomeno decente.
Anche in Nord Corea facevano sesso? Doveva pur togliersela, la divisa, in quelle occasioni, vero?

«Certe armi bisogna saperle pur usare, se ci danno dei guerrafondai, ci sarà anche una valido motivo.»
Ok, non voleva stare al gioco né tanto meno sembrare una persona promiscua, ma il sorriso tagliente di Hyung-Soo lasciava intendere che aveva ben compreso perché gli USA amassero definirsi paese delle libertà individuali.
«Non tutti i tuoi nemici sono nazioni facili, alcuni hanno bisogno di una spinta.»
Alfred lo osservò sfiorarsi i bottoni ben lucidati dell'uniforme verde oliva, l’espressione cupa pareva significare più un ultimatum bellico che una semplice provocazione, ma forse - per loro - vi era solo un sottile parallelo a dividere la voglia di uccidersi da un desiderio ben più selvaggio.

Era proprio vero.
Cazzo, quanto odiava i maledetti comunisti.

 
  
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