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Autore: Ireth Anarion    17/10/2018    2 recensioni
Loki ha sedici anni e pensa che la sua vita non abbia più senso di essere vissuta. Con un padre assente e nessun amico a dargli conforto, i cattivi pensieri incombono sempre più su di lui.
Un giorno, navigando in rete, si imbatte nel forum "United We Stand", dove tanta gente proveniente da tutto il mondo si apre e parla dei propri problemi. Ma quando Loki legge la testimonianza di un certo Thor, il quale si lamenta di ciò che ai suoi occhi risulta essere banale e, anzi, una fortuna, la sua rabbia esplode e allora decide di contattare il ragazzo in chat.
Loki non può immaginare che da quel momento tutta la sua vita prenderà una piega diversa.
IL RATING POTREBBE SALIRE.
***Sì, ho cambiato il titolo della storia***
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il secondo giorno di scuola procede quasi allo stesso modo del primo, con le lezioni che ancora non sono cominciate realmente e più caos nei corridoi di quanto sia necessario. Durante l’ora di letteratura, la professoressa Gregor chiede quali opere abbiano letto i ragazzi durante l’estate oltre al romanzo da lei consigliato, ovvero “David Copperfield” di Dickens, e quasi nessuno snocciola altri titoli. Tra sé e sé, Loki sospira e rotea gli occhi al cielo: lui ha letto “Sherlock Holmes”, “Le notti bianche”, “Ventimila leghe sotto i mari”, “Mille splendidi soli”. Tuttavia, non alza la mano per dirlo.
     Quando arriva il momento del pranzo – da lui il più odiato di tutti –, Loki si limita a prendere un po’ di zuppa di cereali, del pane tostato a cubetti e una mela rossa e si dirige con la testa incassata tra le spalle verso uno degli ultimi tavolini in fondo alla sala mensa. Comincia a mangiare con attorno il cicaleccio di centinaia voci tutte uguali e il rumore di sedie che stridono contro il pavimento. Se non altro, la zuppa è saporita. Mentre sta per mandarne giù un’altra cucchiaiata, nota che una ragazza punta al suo tavolo, un sorriso gentile sulle labbra. Loki inarca un sopracciglio, confuso, ma poi lei chiede con cortesia se la sedia accanto a lui sia occupata e lui, sentendosi un idiota, scuote il capo e torna a guardare il proprio piatto con un movimento brusco. La ragazza si allontana con la sedia tra le mani, senza aggiungere altro.
     E anche per quel giorno l’interazione quotidiana con un altro essere umano è avvenuta, pensa ironicamente Loki, trattenendosi dallo sbattere il cucchiaio con collera nel piatto. Perché deve essere così… così stupido? Cosa credeva, che quella si sarebbe seduta accanto a lui e avrebbe attaccato bottone? Idiota. Illuso.
     Mette da parte il cibo e si guarda intorno, con la vaga voglia di uscire in cortile a prendere una boccata d’aria; poi realizza che per farlo dovrebbe attraversare tutta la sala gremita e molti sguardi punterebbero su di lui, perciò lascia perdere quell’opzione. Con un sospiro iracondo, prende il cellulare e le cuffiette dalla tasca dei pantaloni neri e si spara un pezzo degli Imagine Dragons a tutto volume nelle orecchie.
     Come se quella giornata non fosse già stata abbastanza stressante, dopo la pausa pranzo c’è educazione fisica, la materia che Loki odia più di qualunque altra. Di malavoglia si reca negli spogliatoi, si cambia per indossare la tuta – piuttosto vecchia e logora – e una volta entrato in palestra sa già che non uscirà psicologicamente integro da lì.
     Il professor Volstagg, un energumeno di un metro e novantatré con più barba e capelli che pazienza, fa disporre i ragazzi del terzo anno in una fila compatta, marciando davanti a loro come fosse un comandante dell’esercito. A differenza degli altri insegnanti, non si perde in chiacchiere inutili e non chiede minimamente come siano andate le vacanze estive: piuttosto, ordina ai ragazzi di fare cinque giri di campo a marcia sostenuta.
     Loki non è mai stato un tipo sportivo ma nella corsa, se non altro, se la cava abbastanza bene. Finisce i suoi giri e aspetta gli altri a bordo campo, composto e solo vagamente ansimante; una volta che il resto dei compagni ha concluso il riscaldamento, Volstagg nomina due capitani per un percorso a staffetta. Loki fissa per tutto il tempo un punto lontano dall’altra parte del prato sintetico, mentre sente i due capitani chiamare a turno nomi che non sono il suo. Alla fine, com’era prevedibile, rimane ultimo insieme a Bruce Banner, un ragazzo molto più basso di lui con spessi occhiali da genietto e problemi a controllare la tremarella. 
     «Banner con il signor Rogers e Laufeyson con la signorina Danvers», dice il professore sbrigativamente.
     Carol Danvers storce appena il naso, tuttavia non obietta la scelta di Volstagg e, insieme al resto della squadra, si dirige nella loro area di campo. Loki rimane indietro, i pugni stretti, prima di seguirli con passo lento e rigido.
     Il fischio d’inizio si propaga per tutto il cortile.
 

La doccia che Loki si concede è lunga e bollente. Si attarda sotto il getto anche quando gli altri ragazzi sono usciti, così da non avere nessuno intorno quando dovrà asciugarsi e vestirsi. Insapona i capelli con cura, gratta la cute con delicatezza e, a occhi chiusi, si bea della sensazione dell’acqua che gli lambisce la testa e il collo prima di scivolare lungo la schiena in una carezza calda.
     La sua squadra ha perso, anche se di poco. Lui si è beccato un paio di pallonate forti, una su una spalla e l’altra su un fianco, ma se non altro è riuscito a tenere duro per tutto il tempo. Non gl’importa granché dei lividi.
     Si cinge il busto con le braccia, inspirando profondamente il profumo del bagnoschiuma. Vorrebbe stare lì ancora un po’, ma purtroppo deve tornare a casa e preparare la cena: di martedì suo padre ha il turno delle tredici e quando torna a casa, alle nove di sera, è sempre affamato da morire. Così, a malincuore, gira la manopola dell’acqua e si avvolge nel grande asciugamano morbido, e in meno di dieci minuti è già pronto per uscire.
     Come il giorno prima, il sole è caldo e non c’è una singola nuvola in cielo. Loki si sente un po’ più di buon umore mentre percorre il tragitto verso casa. A metà strada decide di fare un giretto nel piccolo supermercato del quartiere per comprare qualcosa di sfizioso da preparare quella sera e ne esce un quarto d’ora dopo con due buste colme di carne di pollo e di vitello, verdure fresche, salsa di soia, due pacchi di pasta – un tipo lungo e un tipo corto – e una varietà di dolciumi che gli faranno compagnia insieme a un bel film sul divano.
     Rincasare senza trovare suo padre a leggere il giornale o guardare la TV è confortante: se non altro, si dice Loki, non può essere ignorato da chi è direttamente assente.
     Il ragazzino sistema la spesa canticchiando a labbra chiuse il ritornello di una vecchia canzone, poi sale al piano di sopra per indossare un paio di pantaloni comodi e sostituire le scarpe con le ciabatte. Apre la finestra della sua stanza per far cambiare l’aria che sa di chiuso e si guarda intorno grattandosi distrattamente la punta del naso: dovrebbe seriamente darsi una mossa e dare una sistemata qua e là, la casa comincia ad essere sommersa dal caos. Scrolla le spalle, dicendosi che lo farà dopo aver messo a cuocere la cena. Ma prima ancora deve cambiarsi.
     Si siede sul bordo del materasso cominciando a svestirsi  e, mentre lo fa, il suo sguardo si posa sul PC sopra la scrivania che fronteggia il letto. I battiti del cuore accelerano d’improvviso al ricordo di ciò che ha fatto il giorno prima: dopo il messaggio inviato a quel Thor, ha spento tutto con un moto di collera catalogando il forum come un cumulo di stupidaggini inutili che non gli avrebbero portato nessun giovamento. Però adesso il pensiero del messaggio gli serra un po’ la gola. È stato scortese da parte sua, per non dire meschino. In fondo non sa niente di quel tipo, non sa che faccia abbia né che vita conduca e, magari, ha ragione a lamentarsi del padre. A prevalete, il giorno prima, è stata l’invidia di Loki stupida e infondata, l’infantilismo più puro.
     Si morde piano il labbro inferiore e si mette in piedi per sistemarsi i pantaloni morbidi, un po’ troppo larghi per lui. Dovrebbe ricontattare Thor e chiedere scusa… No. No, che sciocchezze. Tanto è uno sconosciuto, cosa gliene importa?
     Fa per uscire dalla stanza e scendere di sotto per cominciare a preparare il pollo alle mandorle, ma si blocca sullo stipite della porta.
     È uno sconosciuto che si sfoga su un forum anti-suicidio, gli sibila la parte più buona di sé dentro la testa. Potrebbe essere una persona fragile. Scusati immediatamente, prima di averlo sulla coscienza.
     Loki odia quella parte di sé. La odia, ma le dà retta comunque e in meno di cinque minuti sta fissando la schermata principale di United We Stand. In alto a destra, accanto a un link che chiede “Vuoi registrarti?”, c’è il simbolo di una piccola lettera che lampeggia di rosso.
     Loki sbatte le palpebre un paio di volte, fissando lo schermo del PC con un’espressione vacua. La prima emozione che prova è sorpresa, seguita subito dopo da incredulità e un sottile senso di panico. Gli ha risposto. Non credeva l’avrebbe fatto, invece ecco lì la notifica che segna un nuovo messaggio da leggere. Loki indietreggia appena sulla sedia girevole, mordicchiandosi il labbro inferiore. La tentazione di chiudere la pagina e ignorare la cosa è forte, ma se lo facesse sarebbe un codardo. E poi di cosa dovrebbe aver paura? Uno stupido tizio qualunque non potrà certo fargli del male, soprattutto attraverso un monitor. Il massimo che Loki può aspettarsi è che Thor lo abbia insultato a sua volta, e a quel punto lui potrebbe rispondere con altrettanto veleno perché, se è vero che la lingua ferisce più della spada, Loki deve ammettere di essere estremamente bravo a utilizzarla in quel senso.
     Alla fine, clicca sulla piccola lettera con più rabbia del previsto. Il messaggio che si ritrova davanti, però, lo lascia interdetto.
     “
All’inizio stavo per mandarti a quel paese, sai? Ma più ci penso più mi ritrovo d’accordo con te, mio caro anonimo. Però posso sapere perché secondo te sarei un idiota?”.
     Loki non si accorge subito di avere la bocca mezza aperta: la richiude come un pesce boccheggiante e si dà una scrollata scuotendo appena la testa. Questo qui è seriamente tutto scemo”, pensa. E adesso? Si era preparato una sequela di risposte per contrattaccare insulti e minacce, non era minimamente pronto a… a quello. Rimugina sull’eventualità di chiedere scusa, ma qualcosa lo fa desistere: il suo orgoglio. Tuttavia, non ha intenzione di ignorare la risposta dell’altro. Resta immobile per qualche minuto a riflettere su cosa potrebbe dirgli e, alla fine, digita:
     “
Il discorso su tuo padre mi ha fatto innervosire. Mi sei sembrato un ragazzino viziato che vorrebbe la sua indipendenza senza sapere di cosa parla”.
     Vorrebbe aggiungere che lui ha un padre che è l’esatto opposto del suo e che è per questo che si è innervosito tanto, ma alla fine decide di non farlo: quello sconosciuto non avrà nessuna informazione che lo riguardi. Così invia il messaggio senza pensarci ulteriormente e si alza in fretta dalla scrivania, deciso a sbrigare le sue faccende.
     In cucina, in compagnia di un po’ di musica a basso volume, Loki mette a cuocere nella salsa di soia il pollo tagliato a tocchetti con le carote, il bambù e le mandorle pelate. Mentre il profumo di cibo riempie la casa e la fiamma bassa fa sobbollire il tutto, il ragazzino aziona una lavatrice e raccoglie i panni asciugati dallo stendino nella stanza del bucato, sempre mugolando distrattamente qualche canzone. Non pensa affatto al suo computer, né al messaggio che ha mandato, ma quando si ritrova in camera per mettere a posto i suoi indumenti puliti, con la coda dell’occhio nota che un’altra notifica è comparsa sullo schermo. Thor gli ha risposto subito.
     Loki deglutisce, le braccia occupate dai vestiti. Liberando una mano da sotto la pila pericolante, clicca e apre il messaggio senza neanche sedersi.
     “
Ti capita spesso di saltare a conclusioni affrettate? Neanche mi conosci. Mi sa che il ragazzino qui sei tu”.
     Stringe i denti, indispettito. Sa di non conoscerlo, non c’è bisogno che lo sottolinei, e il fatto che gli abbia dato del ragazzino lo fa inviperire oltre misura. È decisamente un idiota.
     “
Ho sedici anni”, scrive nervosamente, “quindi sono tecnicamente un ragazzino. Ma ho la sensazione di essere più furbo della gente che piagnucola su internet”.
     Lo invia troppo velocemente e se ne pente in un istante. Fissa lo schermo con rabbia e rimorso e prega che esista l’opzione per eliminare, ma in basso alla schermata della chat compare il simbolo che segna la lettura del messaggio. Thor è online proprio in questo momento.
     «No, cazzo», sussurra Loki al nulla. Dovrebbe imparare a darsi un freno, contare fino a dieci, per l’amor del cielo. Quel tipo gli sta facendo rimordere la coscienza tanto quanto gli fa girare le scatole.
     E poi, mezzo minuto dopo, ecco un’altra risposta.
     “
E tu come ti sei trovato su questo forum?”, scrive Thor, “Cosa stavi cercando?”.
     Loki boccheggia, senza sapere cosa dire. Un altro messaggio compare poco dopo:
     “
Comunque ti passo due anni ;)
     «Ma vaffanculo», borbotta iracondo, anche se un sorrisino spontaneo compare sulle sue labbra. Decisamente, il tipo è fuori di testa.
     Loki lascia perdere il PC, ma non chiude la pagina. Mette a posto la roba nell’armadio, va di sotto a controllare il pollo aggiungendovi un pizzico di sale, osserva la lavatrice vorticare tanto veloce da fargli incrociare gli occhi.
     «Oh, al diavolo», dice poi, correndo verso le scale a grandi falcate per essere di nuovo faccia a faccia con la chat.
     “
Ciò che stavo cercando non è affare tuo”, digita, e può quasi sentire la propria voce in testa mentre pronuncia piccato quelle parole. “Hai diciotto anni?”, chiede poi retoricamente. “Te ne davo dodici”.
     La risposta di Thor, ancora una volta, non tarda ad arrivare:
     “
Io credo che tu stessi cercando aiuto, esattamente come chiunque sia finito qui dentro. Solo che odi ammetterlo. E, tra parentesi, la figura del dodicenne la stai facendo tu, mio caro anonimo”.
     “
Non chiamarmi anonimo, soprattutto ‘mio caro’. Chi diavolo ti conosce”.
     “
Oh, ma tu mi conosci. Sono Thor, ho due anni più di te”.
     “
Questo non vuol dire conoscere qualcuno!”.
     “
Ma potrebbe essere un inizio”.
     Loki si blocca, le lunghe dita pallide sospese sopra la tastiera. Che significa “potrebbe essere un inizio”? Forse Thor vorrebbe conoscerlo meglio?
     «Sì, certo», borbotta il ragazzino rivolto al nulla, scoprendosi più indispettito di quanto sia lecito. Si alza in piedi con un gesto scattoso e indietreggia fino a lasciarsi cadere di schiena sul materasso, le braccia alzate sopra la testa. I suoi occhi si concentrano sul soffitto senza però guardarlo davvero.
     L’idea che qualcuno possa volerlo conoscere è ridicola. Non ha mai avuto a che fare con gente davvero interessata a lui. Tipo, mai. Per quale motivo questo Thor, che conosce – conoscere, poi! – da neanche dieci minuti, dovrebbe voler continuare la conversazione con lui?
     Loki decide che non gli importa saperlo: non ha tempo da perdere dietro al computer, non quando c’è la cena che aspetta di essere controllata e i panni da stendere, più un milione di altre cose, tipo spolverare l’intera casa, diamine. Chiude la pagina internet senza rispondere al messaggio – una parte di lui, minuscola, quasi inesistente, si sente in colpa – e torna alle sue occupazioni, determinato ad accantonare l’accaduto.
     In due ore riesce a dare una sistemata a tutto il piano superiore: pulisce il bagno, la camera di suo padre, la sua e quella degli ospiti che, pur non essendo mai stata utilizzata, lui e suo padre si ostinano ugualmente a voler tenere in ordine – Loki sospetta che, quando fu progettata la casa, suddetta stanza fosse destinata ad un eventuale secondo figlio, ma non ha mai avuto premura di chiedere, anche perché “stanza degli ospiti” suona meglio di “stanza di un figlio mai arrivato”. Quando può dirsi soddisfatto del suo lavoro, passa al piano inferiore dove la cena ormai pronta riposa in pentola, ben tenuta al caldo, e la lavatrice è stata svuotata dei panni. Ancora una volta, il ragazzino si dà da fare e riordina quanto può: lava le stoviglie che ha sporcato, pulisce il secondo bagno, passa per due volte lo straccio bagnato su tutto il pavimento. Va avanti nelle sue faccende fino a che il sole in cielo non comincia a calare e l’orologio appeso al muro segna le sette e trenta; a quel punto, pur avendo moltissima fame, ignora i crampi allo stomaco e si appollaia sul divano, deciso a rilassarsi un po’.
     In TV non c’è niente di interessante, a quell’ora. Per lo più sciocchi quiz con gag ridicole e telegiornali che rimandano sempre le stesse notizie catastrofiche. Loki pensa che potrebbe cominciare a leggere qualcosa per scuola, ma la sua mente continua a cambiare direzione in maniera fastidiosa. Si distende sui cuscini del divano, le ginocchia piegate verso l’alto, e si schiaffa le mani sulla faccia. Che poi quel Thor gli è pure antipatico.   
     Però è stato scortese non rispondere.
     No, non è stato scortese, anzi. Già è tanto che gli abbia dato confidenza.
     Mamma ha sempre detto che quando si vuole interrompere una conversazione bisogna congedarsi con educazione per non offendere l’interlocutore.
     A lui cosa importa se Thor si è offeso? Tanto meglio.
     Mamma non sarebbe contenta.
     «Oh, dannazione», borbotta Loki tra sé e sé. Si strofina gli occhi stanchi e sospira fino a riempire e svuotare allo stremo la cassa toracica, per poi alzarsi con un colpo di reni e mettersi in piedi. Scriverà a Thor solo per congedarsi, nient’altro. Punto primo, perché gli è antipatico; punto secondo, perché anche se il punto primo non fosse vero e Loki ricambiasse la curiosità di Thor, lui non avrebbe comunque nulla da offrire. Né simpatia, né empatia, né nient’altro. È solo un guscio vuoto che respira, mangia e si muove.
     È con una tristezza mascherata sotto uno spesso strato di freddezza che Loki si risiede alla sua scrivania. Thor non gli ha più scritto e, anche se un po’ se lo aspettava, ci rimane male comunque. Forse perché non è abituato ad avere qualcuno che gli scriva, e allora tende ad aggrapparsi al minimo appiglio che gli offre qualcuno, a illudersi che quel qualcuno lo cerchi e lo voglia e lo trattenga. Odia che sia così: vorrebbe essere più indipendente e menefreghista, invece eccolo a inseguire un estraneo di cui neanche conosce il volto. Inseguirlo per dirgli di lasciarlo perdere, tra l’altro.
     Patetico.
     “
È meglio se lasci perdere. Non c’è niente di me che valga la pena di essere conosciuto”.
     Con il cuore che batte forte, Loki invia e fissa il proprio messaggio, lo legge e rilegge, in attesa. Non sa di cosa. O meglio, lo sa, però odia ammettere la sua impazienza di sapere cosa dirà Thor.
     Ma i minuti passano senza che l’altro risponda.
     Loki apre un’altra scheda e va su youtube per ascoltare musica e distrarsi; di tanto in tanto torna a controllare la chat, e più tempo passa più si sente un maledetto, stupido idiota. Che cosa credeva, che quel Thor fosse sempre lì a disposizione? Probabilmente l’ha già mandato al diavolo, altroché. Loki sospira, nascondendo la testa nelle braccia conserte sulla scrivania. Che sia dannato lui e la sua stupida ingenuità.


 
Quando suo padre torna, Loki è di umore così tetro che a malapena lo saluta. Si siedono a tavola nel silenzio più completo e il ragazzo a stento si gode il pollo alle mandorle.  
     «È delizioso», commenta il genitore con tono gentile. «Sul serio. Stai diventando sempre più bravo».
     Loki annuisce distrattamente, una mano a reggere il capo e l’altra che stringe la forchetta. Sposta una mandorla da un lato all’altro del piatto, infilzandola e lasciandola cadere una, due, tre volte. «Com’è andata a lavoro?», si sforza di chiedere dopo un po’.
     «Oh, molto bene», dice il padre, prima di mandar giù un gran boccone.
     «Sono contento».
     «A te com’è andata la giornata?», chiede l’uomo, tra una masticata e l’altra. «A scuola tutto bene?».
     «Sì». Fa per parlare della partita, di come per poco la sua squadra non vinceva, ma la possibilità di farlo gli viene strappata via in un soffio.
     «Grandioso, figliolo. Dov’è il telecomando? Stasera c’è Manchester contro Liverpool».
     Loki stringe la forchetta con la stessa forza con cui stringe i denti. Cerca di domare l’impulso di lanciare il proprio piatto per aria e, piuttosto, si concentra sui pensili di legno chiaro, le cui venature verticali catturano il suo sguardo come a volerlo ipnotizzare.
     «È dietro di te», dice a denti stretti. «Sul ripiano».
     «Oh, eccolo».
     Loki prende lente boccate d’aria, annuendo piano.
     La cucina è sempre la stessa: in quegli anni non hanno mai cambiato una virgola, neanche le tendine gialle che adornano la piccola finestra sopra il lavabo, che suo padre ritiene siano orribili. È una delle stanze che Loki ama più di tutta la casa, perché non e troppo grande né troppo piccola ed è piuttosto confortevole. E poi, gli ricorda sua madre.
     Eppure, al momento ci si sente quasi soffocare.
     «Sono stanco», dice dunque. Lascia cadere la posata, che innalza piccoli schizzi di salsa che macchiano la tovaglia bianca.
     «Va bene», annuisce suo padre, già concentrato sulla partita appena cominciata. «Va’ pure a dormire, mi occupo io dei piatti».
     Loki annuisce e, senza aggiungere altro, si defila. Vorrebbe addormentarsi e svegliarsi tra una settimana. Fa una capatina in bagno e raggiunge a passo strascicato la sua stanza, pronto a infilarsi sotto le lenzuola… quando un suono breve e squillante lo fa sobbalzare. Guarda il computer con le sopracciglia appena aggrottate. Aveva iconizzato la pagina di United We Stand e ora la barra lampeggia come a volergli urlare a intermittenza: “Aprimi! Aprimi!”.
     E Loki lo fa, il cuore che batte stupidamente forte.
     “
Questo lascialo giudicare a me”.
    
 

 
 

           
           



 
   
 
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