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Autore: Lady Aquaria    28/10/2018    2 recensioni
"La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto. L'ho cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
E tutto questo, a partire da quel giorno al Goro-Ho.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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27 prequel
27.
Here without you.
 
A hundred days have made me older
Since the last time that I saw your pretty face.
A thousand lies have made me colder
And I don't think I can look at this the same.
All the miles that separate
Disappear now when I'm dreamin' of your face.
I'm here without you baby
But you're still on my lonely mind.
I think about you baby and I dream about you all the time.
I'm here without you baby
But you're still with me in my dreams
[3 Doors Down – Here without you]

"Come immaginavo, sei qui."

Sulle prime Camus non riconobbe quella voce: a essere sincero non l'aveva mai sentita in vita sua.
"Non vedo come la cosa possa interessarvi." replicò, sulla difensiva. Corrugando la fronte, si voltò, per rimanere di stucco subito dopo. Si alzò, prestando immediatamente attenzione all'uomo che aveva di fronte: l'uomo del ritratto appeso all'undicesima casa, il suo diretto predecessore. "Voi?"
"Desideravo molto conoscerti, Camus, sebbene mi dolga sapere che ciò sia accaduto troppo prematuramente."

"Io... non pensavo neanche di avere quest'opportunità."
"Ma avresti dovuto immaginarlo, dato l'esito dello scontro da Aquarius."
replicò Degél, calmo. "E se sei qui, come ogni giorno, a vegliare sulla tua famiglia."
Serrò gli occhi, stanco. Non era in quel modo che aveva programmato di proteggerla.
Vegliava su loro da quando aveva chiuso gli occhi all'undicesima casa, minuto più minuto meno. In tutta la sua esistenza non aveva mai creduto, nemmeno un secondo, a spiriti e fantasmi, eppure era diventato come Degél, uno di loro.
"Devo ammettere che vi immaginavo diverso."

"Diverso... come?"
Gli occhi, dietro la sottile ed elegante montatura metallica, brillavano allegri e curiosi e sembravano scrutarlo nel profondo. Degél mostrava un sincero e aperto interesse nei suoi confronti, e seppur senza darlo a vedere, sentiva che era anche emozionato nel fare la sua conoscenza. Ma a un certo punto iniziò a sentirsi in imbarazzo e distolse lo sguardo.
"Non so."
"Non sai." Degél ridacchiò appena. "Eppure sei quel tipo di persona che conosce le risposte a ogni cosa."
"Non sempre."
"Dunque, se me lo concedi, risponderò io per te. Posso? Orbene... considerando le tue reazioni di quel pomeriggio all'undicesima casa, oserei quasi dire che ti aspettassi un fantasma degno della letteratura, avvolto in un sudario e circondato da una luce abbagliante, di quelli che amano salire nel mondo dei vivi per inorridire il prossimo."

"Non ho mai pensato una cosa del genere!"
"Oh, lo so." annuì Degél. "Però potrei farlo. Kardia e Manigoldo si cimentano in questo tipo di passatempo di quando in quando e si dicono divertiti."
"Voi non mi sembrate quel tipo di persona capace di giocare simili scherzi." obiettò Camus.
"Tu dici? Sebbene non abbia mai approvato i loro metodi, devo ammettere di aver provato un sottile velo di perfida soddisfazione nel vedere l'occupante della quarta casa sobbalzare nel letto. Manigoldo è sempre stato abile nel riconoscere le paure e i punti deboli di qualcuno."

DeathMask aveva punti deboli? Era quasi incredibile.
"Tutti ne abbiamo almeno uno, per quanto ci irriti ammetterlo." Degél rispose al suo ultimo pensiero. "Quello di DeathMask era ben celato nel suo cuore, ma Manigoldo è stato capace di trovarlo, seppur con un certo impegno. Una bambina, sua sorella. Quando ho scoperto che era lei che sfruttavano per terrorizzare il tuo commilitone, ho sottoposto lui e Kardia a una reprimenda che ancora la rammentano. Riprendendo le fila del discorso, comunque, credo che la teoria più probabile sia un'altra: semplicemente pensavi che Mei fosse una squilibrata."

"Dèi, no!" protestò Camus, con veemenza.
"Dohko e DeathMask possiedono lo stesso potere." proseguì Degél. "Certo, in forma molto più potente rispetto a quella della ragazza. Mei ha buone capacità, ma sono acerbe: può percepire e interagire con gli spiriti, ma non può evocarli. Sua madre a parte, tu saresti di certo il primo che lei richiamerebbe a sé. Siete l'uno il punto debole dell'altro, ma a onor del vero, tu ne hai due."
Lei e la loro bambina, che non era più in grado di proteggere: le guardò, la prima chinata a pregare, la seconda mentre dormiva tranquilla accanto a lei.
"Non crucciarti per loro: tua figlia è sotto la mia tutela e a Mei ci pensa Kardia. Tuttavia... non dovresti stare qui."
Camus distolse lo sguardo da Mei, intenta a uscire dal suo sacrario, e lo posò su Degél.
"Non giudicatemi. Anche voi al mio posto sareste qui vicino alla vostra donna." rispose.
Degél pensò subito a Seraphina.
"Avrei dato volentieri la mia vita per salvare la sua, come tu hai fatto con Mei." annuì poco dopo.

"E poi, cos'altro potrei fare? Comunque non può vedermi né sentirmi." replicò atono, senza giustificarsi per esser stato colto lì per l'ennesima volta.
Degél proruppe in una risatina.
"Io ho impiegato duecento anni per riuscirci, tu sei troppo giovane e inesperto. E in ogni caso, non hai tutto questo tempo a disposizione, per tua fortuna."

"Cosa intendete dire?"
"Sei solo di passaggio qui, non è ancora il tuo tempo. Sul mio destino era ben delineata la mia morte, la storia la conosci. Ma tu..."
s'interruppe Degél. Parve pensare su come proseguire col suo discorso, quindi sospirò. "D'accordo, posso dirtelo, dal momento che al tuo ritorno non ricorderai una sola parola di quanto sto per dirti. Arriveranno altri figli, i nipoti, si rafforzerà un legame importante. Ci saranno ostacoli, perché così è la vita, ma li supererete. Ci vorrà tempo, ma tornerai da lei."
"Sono morto, come posso farlo?"
"Fidati di ciò che dico. Sarai messo a dura prova, dovrai sopportare dolori che piegherebbero chiunque, ma sei forte. Comprenderai che la ricompensa che ti aspetta varrà tutta la pena."

Posarono entrambi lo sguardo su Mei, e Camus chiuse gli occhi un istante, colmo di rimpianti per le questioni rimaste in sospeso tra di loro.
"Non so cosa farei per poter..."

Degél si voltò di scatto, indovinando i suoi pensieri.
"No! Te lo impedirei con ogni mezzo: le cagioneresti un dolore incommensurabile e danneggeresti le trame del destino. Qualunque tua avventata interferenza potrebbe cambiare tutto il vostro futuro. Sii paziente, altro non puoi fare." lo interruppe, severo. "Nel più profondo, non so come, Mei riesce a percepirti. Già questo potrebbe essere un problema. Non causarne altri."
Più di una volta si era accorto che quando era nelle vicinanze, Mei guardava in sua direzione, senza tuttavia vederlo. A Milo, una volta, aveva detto che spesso in casa sentiva odore di lavanda e agrumi, lo stesso che aveva sentito addosso a lui quand'era in vita.

"Lavanda e agrumi?"
"Un'acqua di colonia italiana che mi piace particolarmente." rispose Camus. "Vi dispiacerebbe smettere di leggere i miei pensieri? Ne avrei qualcuno privato che non mi va di condividere."
Mei non faceva altro che pregare, pregare, pregare. Mangiava il necessario per poter allattare e quando la bambina dormiva, sfamata e pulita, non faceva che chiudersi nella Stanza degli Avi, invocando silenziosamente il suo nome.
Era crudele essere lì con lei, percepire il suo dolore e non poter intervenire in alcun modo.
"È una donna forte, si riprenderà." pronosticò Degél, corrugando improvvisamente la fronte: Mei, forse immersa nei suoi pensieri, teneva la mano premuta sul cuore esattamente come Camus in quel momento.
Conoscendola si sarebbe sicuramente ripresa, ma... quando?
"Ma certo... come ho fatto a non pensarci prima? Ho sottovalutato la questione."
riprese Degél, distogliendo lo sguardo non appena la ragazza ebbe iniziato a spogliarsi.
"Può dunque sentire anche gli altri Saints caduti?"

"Con quest'intensità potrebbe percepire solo suo fratello, qualora dovesse accadere un imprevisto celato anche ai miei sensi, per via dei legami di sangue..."

"Io e Mei non siamo imparentati." obiettò, continuando a tenere gli occhi fissi su di lei. Notò con preoccupazione che la sua magrezza era più accentuata, una volta tolti i vestiti: non la ricordava così, le sue mani avevano memoria di ben altre forme.
"Ah, tu dici? Non sono avvezzo ad adoperare lo stesso linguaggio di Kardia, pertanto ne userò uno più consono: vi siete uniti carnalmente, avete dato alla luce la vostra creatura. Il legame c'è, anche se è diverso da quello che la lega al fratello. Per questo lei continua a sentirti. Per quanto riguarda gli altri Saints, lei può solo percepire i loro Cosmi, quando essi sono vivi, ma da deceduti, solo in rari casi... forse sentirà Dohko, per il quale prova un affetto filiale, o Milo, per via della loro amicizia."

Quell'ultima affermazione lo scosse nel profondo: si scoprì agitato come poche volte era successo.
"Milo morirà?" lo interruppe nuovamente, gli occhi sgranati e colmi di panico.
 
**
 
Acqua, acqua e fango dappertutto: il villaggio sottostante il Goro-Ho era stato a malapena lambito dall'ondata di morte e distruzione che Poseidone aveva scagliato sul mondo, ma nonostante questo, il mercato era praticamente sfornito dei beni di prima necessità.
Mei rincasò con la poca spesa che era riuscita a fare, decidendo di chiedere aiuto a Milo affinché l'accompagnasse a far spesa a Rodorio, o ad Atene.
Capì che qualcosa non andava per il verso giusto non appena ebbe messo piede in casa.
"...è tornata."
"Le hai detto che saremmo venuti, vero?"
"Lasciate fare a me, ci penso io."

Corrugò la fronte, posando i sacchetti in cucina e dirigendosi velocemente in giardino.
Shiryu fu il primo ad alzarsi, seguito da Seiya, Ikki e Shun, e infine, Hyoga.
"Mei!" sorrise suo fratello, raggelandosi non appena ebbe intercettato il suo sguardo.

"Fratello. Noto che questa volta, stranamente, sei riuscito a riportare a casa gli occhi. Ma che bravo ragazzo." commentò Mei, acida, ignorando le occhiate esterrefatte di Shunrei. Poi, il suo sguardo si spostò su Hyoga. "Che diavolo ci fate qui?"
"Mi sa che non gliel'ha detto."

Colpito dal livore col quale stava guardando l'amico, Shun mosse un passo avanti.
"Abbiamo bisogno di riposarci un paio di giorni, le nostre ferite sembrano gravi, ma non siamo conciati male." minimizzò.
"Parla per te." borbottò Seiya, che tentava disperatamente di non cedere al prurito dei punti che il medico della fondazione Kido, il giorno prima, gli aveva applicato.
"Possiamo restare qui? Solo un paio di giorni, promesso."

Shiryu si schiarì la voce, imbarazzato.
"Avresti dovuto avvertirmi." borbottò Mei, passando al cinese.
"Mi avresti detto di no."
"No, avrei preso mia figlia e me ne sarei andata. Sono tua sorella maggiore, Shiryu, gradirei un minimo dello stesso rispetto che riservi ai tuoi amici e alla tua Dea." sbottò, prima di recuperare la calma. "Dovrete adattarvi a dormire tutti nella stessa stanza."
Seiya proruppe nel suo solito sorriso scanzonato.
"Nessun problema, vero ragazzi?"
"Abbiamo due stanze per gli ospiti." obiettò Shiryu.
"Una è diventata la stanza di mia figlia. Molte cose sono cambiate durante la tua assenza." replicò Mei, facendosi da parte e facendo rientrare i ragazzi. Hyoga, invece, non mosse un muscolo.
"Non è stata mia l'idea." esordì, una volta rimasti soli. "Vorrei poter essere ovunque, ma non qui."

"..."
"Io... posso anche stare nella stalla, se non mi vuoi in casa."

"Non abbiamo una stalla, mi dispiace." fu la replica secca di Mei.
"Mi arrangio anche a dormire all'addiaccio. Sopporto bene il freddo."

La somiglianza con Shiryu, pensò Hyoga, si limitava solo ad alcuni tratti somatici: come il fratello, Mei aveva i caratteri tipici dei popoli orientali –occhi allungati, capelli scuri e folti, una certa fierezza- ma il temperamento e l'ardore che sentiva scorrerle nelle vene, non aveva nulla a che vedere con Shiryu che, tra i due, era sicuramente il più riflessivo e meno incline a cedere all'istinto.
"Entra. Muoviti, prima che ci ripensi."
Le sorrise suo malgrado, grato per non dover dormire fuori, con l'umidità della notte.
"Grazie per la tua gentilezza." le rispose, soprapensiero.

"Osi anche fare lo spiritoso?"
Hyoga la superò svelto, salendo al piano di sopra e raggiungendo gli amici: Shiryu stava mostrando loro la casa, mentre Shunrei sistemava la camera per loro.
"Presta attenzione a questa porta." sibilò infine, fredda. "Questa stanza è comunicante con la mia, e ti è proibito entrare. Guai, se ti scopro qui dentro. Potrei ucciderti, e non scherzo."
"Lo so."
"Non so cosa Shiryu abbia raccontato di me, ma sappi che sono molto peggio di quel che sembro. Stai lontano da me e da mia figlia e tutto andrà bene."

Non poteva evitare la sua presenza, ma poteva quantomeno impedirgli di avere contatti con Lixue.
 
La bambina stretta tra le braccia, Mei si sedette accanto alla culla, guardando quella creatura preziosa e indifesa, che doveva proteggere a tutti i costi. Gli occhi erano i suoi –o meglio, retaggio di sua madre- ma quei capelli rossi e quei tratti le rammentavano ogni giorno ciò che aveva perso e che non sarebbe mai più stato.
"La cena è pronta." Shiryu entrò nella stanza dopo aver bussato.
"Non ho fame." rispose, atona.

"Mei, ti prego."
"No, Shiryu. Nessun tuo Mei con la vocina zuccherosa può farmi calmare."
"Sei arrabbiata."
"Arrabbiata…Shiryu, che parolona… sono furiosa!"
"Perché ci sono i miei amici?"
"Per tutti gli dèi, Shiryu. Lo sai benissimo che non è questo il motivo."
"È perché c'è Hyoga?"
Che intuito, i miei complimenti.
"Dì a Shunrei che mi dispiace, ma non cenerò con voi. Porgi le mie scuse al Maestro."
"Come vuoi." capitolò Shiryu, lasciandola sola.
 
"C'era una tensione pazzesca nell'aria...ve ne siete accorti?" domandò Seiya.
Solo uno sprovveduto non se ne sarebbe accorto, pensò Hyoga, senza rispondere alla domanda dell'amico.
"Per un attimo ho temuto che il cibo fosse avvelenato."
"Ma smettila." sbottò Shun.

"Magari lo era davvero, con un veleno che agisce lentamente, e non ce ne siamo accorti perché farà effetto nella notte e moriremo tutti nel sonno." ridacchiò Ikki."Ecco perché non ha mangiato con noi."
"Ti ci metti pure tu, adesso? Non sarebbe in grado di farci del male. " rispose Shun. "Il suo animo è buono."
Hyoga scosse la testa.

"Amico mio, come si vede che la conosci davvero poco."
Il rancore che le aveva letto negli occhi quel pomeriggio era indescrivibile a parole; avesse potuto, gli avrebbe volentieri cavato il cuore dal petto, e se non l'aveva fatto, c'era solo un motivo.
"Perché, tu sì? Ti ricordo che ha perso una persona amata, chiunque reagirebbe in quel modo."
Già, perché lui invece non soffriva da quel giorno, oh no. Non aveva sofferto nel ritrovarsi di fronte alla sua illusione, nell'avvertire lo spirito di Camus infondergli forza, ad Asgard. No, lui era immune dalla sofferenza, un muro di gomma contro il quale rimbalzava ogni cosa.
Al diavolo!

"Io esco, ho bisogno di prendere un po' d'aria." tagliò corto, nervoso.
Scese dabbasso, uscendo in giardino nell'aria fredda della sera e prendendo grossi respiri: si sentiva soffocare, un altro minuto là dentro e avrebbe dato di matto.
Beh, non che fuori fosse meglio: mescolato all'odore della neve, un profumo dolciastro che minacciava di peggiorare il suo mal di testa.

"Mio Dio, che cos'è?" borbottò, tappandosi il naso.
"Ti prego, Camus. Mostrati."
Era Mei. Alzò lo sguardo e vide una finestra del sotto tetto fiocamente illuminata. Doveva essere la stanza che usavano per pregare, Shiryu si era raccomandato di non entrarvi per nessun motivo, dal momento che in quella stanza riposavano le anime dei loro Avi e che l'ingresso di persone estranee alla famiglia era considerato sacrilegio.
Rientrò rapido e senza far rumore salì le scale fino ad arrivare a pochi metri dalla porta socchiusa, da dove filtrava, più penetrante, lo stesso odore avvertito in giardino: doveva essere l'incenso che bruciava nell'incensiere intarsiato accanto a Mei.
La vide seduta sui talloni in una tipica posa da artista marziale, mentre parlava, lo sguardo volto al soffitto. Peccato non comprendere una sola parola di cinese: sentì più volte il nome di Camus e il suo… difficile non immaginare l'argomento di quelle parole.
"Non posso vederti, ma so che sei qui, Camus. Ti sento. Percepirei la tua presenza anche a chilometri di distanza: so anche che puoi sentirmi ma non puoi parlarmi e di questo, al momento, sono grata agli Dèi, perché posso dirti tutto quello che meriti senza che tu possa fermarmi." si schiarì la voce. "Sei una carogna subdola e infida, uno stramaledetto demone dai capelli rossi, so che sei stato tu a mandarli qui. So che cosa stai cercando di fare, ma non te lo permetterò, e poco importa, credimi, se arriverai al punto di maledirmi o che so io. Non credere che mandando Hyoga qui io sia disposta a conoscerlo e comprendere le ragioni del tuo assassinio, perché se così fosse allora, non mi conosci ancora abbastanza. Non ho intenzione di conoscerlo quindi smettila di fare ciò che stai facendo. Qualunque cosa tu stia facendo."
"Dovesse scoprirti qui, finiresti in guai seri." mormorò Dohko, spuntandogli alle spalle all'improvviso e facendolo sobbalzare.
"Non volevo spiare, Maestro." si scusò Hyoga, prima di imboccare rapidamente le scale.
"Lo so, ma lei la prenderebbe sul personale." lo seguì Dohko. "Sembra forte e invincibile, ma in questo periodo è fragile come non lo è mai stata. Conosco quella ragazza da quando era poco più che una bambina, e questa è la prima volta che la vedo in questo stato. Non forzarle la mano, potresti fare più danni che altro."
"Vorrei solo spiegarle come sono andate le cose e chiederle scusa."
"Ti capisco, ma non è un buon momento."
 
Shunrei aprì la finestra, facendo uscire l'aria viziata della stanza e avvicinandosi a Mei, riversa a terra.
"Di nuovo gli incensi forti, Mei?" sospirò, raccogliendo la scatolina e riponendola al suo posto. "Quando la smetterai di farti del male?!"
L'altra borbottò, protestando per quell'intrusione.
"Lixue stava piangendo, le ho dato il biberon che avevi preparato. Così facendo non fai del male solo a te stessa, lo stai facendo anche a tua figlia. È questo che vuoi?"
"Non ho bisogno della tua predica." protestò Mei. "Tu non capisci, non sai cosa sto passando. Torna da Shiryu, deve ancora guarire, pensa a lui! Io darei qualunque cosa per poterlo fare con Camus. Stagli vicino, tu che puoi. E lasciatemi in pace, tutti quanti. Non voglio la compassione di nessuno."
Era tanto, chiedere un po' di pace?
Il giorno successivo il suo umore certo non era migliorato così come la sua insofferenza nei confronti di qualunque cosa. Si occupò di sua figlia, praticò taijiquan come tutte le mattine e restò chiusa nelle sue stanze fino a pomeriggio inoltrato.

"Ti trovo bene."
Mei sollevò appena lo sguardo dalla pentola, intravedendo Milo sulla porta della cucina.
"Arrabbiata" puntualizzò quindi Milo, incrociando lo sguardo dell'amica "ma ti trovo bene."
"Così come ieri, l'altro ieri e via discorrendo." gli rispose. "Si tira avanti, altro non si può fare."
Era alquanto facile indovinare la causa del malumore di Mei: Shiryu, ritornando a casa dopo lo scontro negli abissi, si era portato appresso anche gli amici dopo aver ricevuto le prime cure all'ospedale della Fondazione Kido. Tra questi, Hyoga.

"C'è un buon profumo qui." Milo cambiò discorso, posando sul tavolo i sacchetti che aveva portato con sé. "Cosa c'è di buono per cena?"
"Maiale al profumo di pesce." gli rispose, lasciandolo sbigottito.

"Come sarebbe?!"
"È solo carne cucinata con erbe e spezie che di solito si usano per cucinare il pesce, niente miscugli azzardati." lo rassicurò, prendendo un peperoncino e spezzettandolo grossolanamente nella pentola. "Sarei felice di averti a cena, se non hai null'altro di meglio da fare."
"Resto volentieri." annuì lui, sorridendole.
"Ti ringrazio molto, speravo mi rispondessi così, ho bisogno di una persona amica accanto."
"Beh, se hai bisogno di qualcosa, non hai che da chiedere, lo sai."
Si guardò intorno, notando una lavagnetta con delle date e dei numeri segnati ordinatamente; pensando riguardasse la piccola, si avvicinò e, pur non comprendendo quanto scritto in cinese, lesse attentamente ogni data e ogni numero. Poi, cambiò repentinamente espressione: qualcosa non tornava. Quei numeri non potevano riferirsi al peso di Lixue.
"Ti ho mentito, poco fa."

"In merito a cosa?"
"In realtà non ti trovo bene."
"Ah beh, ti ringrazio molto."
"Quel cinquanta si riferisce al tuo peso, vero? Sei dimagrita di nuovo, come quella volta?"
"L'allattamento mi sta prosciugando le energie." tagliò corto Mei.

"Certo." rispose Milo, per nulla convinto. Allungò una mano e le sfiorò una guancia col dorso delle dita. "So esattamente come ti senti, ma non ti abbattere così."
"Starò bene, non ti preoccupare." presa una radice di zenzero, ne aggiunse un poco nella ricetta e tornò a mescolare il tutto, facendo sprigionare l'aroma della spezia.
"Mi piace quest'odore." Milo cambiò ancora una volta discorso. "Copre quello di terra bagnata. Cominciavo a non poterne più, mai vista tanta pioggia in vita mia."
"A chi lo dici. Ascoltavo notizie terrificanti al telegiornale e speravo di non doverne sentire più... centomila dispersi in Francia, la Germania piegata dagli alluvioni...qui il volume della cascata è triplicato e grazie al cielo il fiume è molto più in basso, altrimenti le inondazioni avrebbero colpito anche noi. E per fortuna ci sei stato tu, a darci una mano... non so ancora come ringraziarti per il tuo aiuto."
Milo le sorrise e si sedette.
"Anche tu mi avresti aiutato, se fosse stato il contrario. Le notizie che hai sentito sono anche peggiori...gli sfollati sono all'ordine delle centinaia di migliaia, il numero dei morti è solo ipotizzato, ma dicono superi il mezzo milione... mezza Europa è piegata dalle inondazioni e anche negli Stati Uniti non se la sono passata bene: cinquantamila vittime solo sulla costa occidentale, mentre l'Asia è ancora flagellata dai terremoti. Poseidone si è divertito parecchio." replicò, osservandola mentre trafficava con la teiera e una pirofila. Quando Mei gli offrì una tazza di tè e un dolce, la ringraziò.

"Stavo pensando... potresti stare un po' con noi, al Santuario. Ti farebbe bene cambiare un po' d'aria, stare un po' al mare. All'ottava casa c'è una stanza in più e saresti la benvenuta."
"Ti sono grata per tutto, davvero. Ma non ho alcuna intenzione di tornare al Santuario, men che meno adesso che Camus giace in quel cimitero." lo interruppe, risoluta. "Non posso tornare, mi dispiace, quel luogo è pieno di ricordi."

"Permettimi di insistere."
Non gli rispose, preferendo concentrarsi sulla cena e anzi, parlando della battaglia conclusa da poco.

"L'ho sentita."
"Chi?" domandò Milo, corrugando la fronte.
"Quella ragazza, su ad Asgard."
"...la principessa Freya?"
"Non so come, ma ho avvertito il suo dolore. So che è assurdo, nemmeno la conosco, ma credo che l'aver provato così intensamente il dolore della perdita, mi abbia reso più sensibile nel percepirlo. Hyoga è una piaga su questa Terra. Quante altre vite dovrà strappare, quante altre donne dovrà rendere vedove prima che qualcuno fermi per sempre il suo cammino? Sai, io ho seguito tutti i loro scontri, ho sentito mio fratello indebolirsi e reagire, i suoi compagni affrontare avversari difficili in territori ostici... ma ho seguito con particolare interesse i suoi scontri. Fino alla fine ho sperato che i suo avversari lo uccidessero."

Mei... ti prego...
"Mei, certe cose non dovresti nemmeno pensarle. Pensi che la morte di Hyoga possa in qualche modo restituirti ciò che hai perso? Potrai infliggergli tutte le punizioni di questo mondo, potrai insultarlo o prenderlo a pugni, la situazione comunque non cambierà."
"Non farlo, Milo. Non trattarmi da stupida." sbottò Mei. "Non cambierà la situazione, ma farà stare meglio me."
"Ne sei proprio certa? Le mani sporche di sangue non fanno star bene nessuno." le rispose, serio. "Camus non ti perdonerebbe mai. Anche fosse, una volta scemata l'adrenalina, saresti schiacciata dal senso di colpa. Prendere la vita di un uomo non è facile come credi."

Non le avrebbe raccontato di cosa si provava nel guardare la vita scivolare via dagli occhi di una persona, degli strascichi che una cosa di quel genere lasciava nell'animo.
Certo, aveva le capacità per farlo e magari in un momento di rabbia cieca avrebbe anche potuto ucciderlo, ma poi?
"Tu l'hai mai fatto?" si sentì domandare, dopo alcuni minuti.
"Sì."
"E Camus?"
"Al Santuario aveva ricevuto l'ordine di eliminare Hyoga, ma ha deciso diversamente. Non avrebbe mai potuto farlo."

"Non parlavo solo dello scontro al Santuario."
"No, mai." ribadì Milo. "Ha sempre ignorato qualunque ordine prevedesse un'esecuzione e quasi è finito nei guai per questo."
"È stato punito per aver scelto di non uccidere?"
"No, perché ho portato a termine io certi suoi ordini. Finché si tratta di nemici, lo fai senza pensarci perché devi difenderti. Ma quando si tratta di ragazzi che fino al giorno prima hai visto nell'arena e che scappano per sfuggire a una vita dura, beh... è un'altra questione." le rispose. "Nessuno lo sa, confido nel tuo silenzio o potrei pagare per questo."

"Lo so." annuì Mei. "Se l'aria al Santuario è irrespirabile come qualche mese fa... chi c'è al potere, adesso che Ares non c'è più?"
"Mu. Eletto ad interim finché l'emergenza non sarà passata. Ma ci sono cose che è meglio non divulgare per nessun motivo, neanche in tempi di relativa calma."

"Certo."
 
A cena, Shun si sforzò in tutti i modi di mantenere un tono neutrale a tavola. Avviava discussioni su ogni genere di argomento, interessandosi agli studi marziali di Shiryu e Mei, ponendo domande specifiche sul judo, o sul taijiquan, alle quali quest'ultima rispondeva con educazione, ma con una freddezza di fondo che tuttavia non lo scoraggiò affatto.
Hyoga fece ben attenzione a non intervenire in alcun modo, lasciando che fossero gli altri a parlare. Scoprì che l'idolo di Mei era forse il più famoso tra gli artisti marziali del mondo, Bruce Lee, che nonostante la sua giovane età era cintura nera e che –anche se questo a differenza di Shiryu- parlava correttamente anche l'italiano, lingua materna, perché la loro madre era stata una cantante lirica italiana.
"Davvero? Hai girato il mondo, allora!" esclamò Shun a un certo punto.
"In un certo senso..."

"Qual è il posto più bello che hai visitato?"
"Ce ne sono tanti, non posso sceglierne solo uno."
"Hai viaggiato anche tu, prima dell'addestramento?" Shun si rivolse a Shiryu.
A giudicare dalle fotografie che Mei custodiva gelosamente e che li ritraeva tutti e quattro insieme, sì, ma a differenza di sua sorella, non aveva seguito assiduamente la madre nei suoi viaggi di lavoro.
"Dev'essere stato bello." interloquì Milo.
"Finché è durato, sì." convenne Mei.

"Perché poi cos'è successo?" volle sapere Seiya.
"Un incidente." rispose Shiryu, per lei. "Non è facile parlarne. Certi ricordi uccidono."

Ikki ridacchiò.
"I ricordi uccidono, dici? Ti è andata bene, non hai dovuto affrontare Lymnades..."
"Già, pensa quanto mi è andata bene che sono stato preso come puntaspilli da Crisaore." replicò Shiryu. "Ho fatto un ottimo affare."

"Shiryu, parli così perché tu non l'hai affrontato e non puoi sapere di cosa fosse capace, ma riusciva ad eviscerare i tuoi segreti più profondi. Ti è davvero andata bene non averci avuto a che fare: sembrava leggerti come un libro aperto." aggiunse Shun. "Ha ingannato Seiya sfruttando Marin e Seika, ingannato me sfruttando Ikki e..."
"Ha fregato voi mammolette, perché con me i suoi metodi non hanno funzionato." puntualizzò Ikki, omettendo di precisare che Lymnades si era accorto del suo punto debole quando era troppo tardi e che anche per quel motivo, lui, se l'era cavata.
"Con te ha avuto meno tempo per agire, ma credimi quando ti dico che era eccezionale a scoprire il tuo punto più debole!" aggiunse Seiya. "Ha fregato anche Hyoga, e sì che lui è un esempio di freddezza..."
L'attenzione di Mei si risvegliò come d'incanto, iniziando a fissare Hyoga con uno sguardo indecifrabile.
Lui doveva esser stato ingannato con il ricordo di sua madre, pensò, con una punta di cattiveria.
Hyoga ripensò a quei momenti, a quando l'illusione di Lymnades, così viva e reale, aveva fatto breccia nelle sue difese e nel suo buonsenso. Qualcosa in lui sapeva che quel Camus non era vero, non era il suo Maestro. Eppure la ragione era stata letteralmente messa nel sacco da quella trappola ben architettata. Quei modi, quel sorriso, le sue parole così simili alle sue... l'inganno era stato dolorosamente perfetto, almeno, fino alla stilettata che Lymnades aveva scagliato.
"Non mi va di parlarne." cercò di troncare la discussione, invano.
"E invece Lymnades ti ha infinocchiato lo stesso. Con Aquarius." Seiya proseguì impietoso, ignorando le sue occhiate gelide.
"Seiya..." borbottò Shiryu, corredando l'ammonimento con un'occhiataccia e un calcio sotto il tavolo.
"Uh!!! Il budino di riso! Ikki, mi passi il latte di cocco, per favore?" interloquì Shun, allungando il braccio verso l'altro lato del tavolo, dove sedeva suo fratello.
"Camus?" ripeté Mei, gelida, ignorando i tentativi del giovane di cambiare discorso. "È lui il tuo punto debole? Io lo definirei senso di colpa."
"Mei, per favore." interloquì Milo, tentando inutilmente di calmarla.
"È giusto, devi avere sensi di colpa. Significa che sai di essere in torto."
"Non è il momento per-..."
"Hai ragione." Mei parve calmarsi. "Non è un buon momento, troppi testimoni. Quando arriverà il momento opportuno, ne parleremo." si alzò, raccogliendo il proprio piatto e dirigendosi in cucina.

Hyoga si alzò subito dopo.
"Lascia stare, per favore." disse Milo.

"Niet." sbottò l'altro. "No. Vuole a tutti i costi fare la vittima? Bene, adesso le darò un buon motivo per avercela con me."
"Non peggiorare la situazione!"
"Definisci peggiorare." sbraitò. "Peggiore delle sue continue frecciatine? O dei suoi sguardi carichi d'odio? Oppure delle continue e non proprio velate minacce di morte? Soffro anche io, cosa accidenti credete, tutti quanti? Ne ho fin sopra i capelli di tutto questo, adesso basta."

Mei stava ancora borbottando tra sé e sé, quando lui si chiuse la porta della cucina alle spalle.
"Certo che hai fegato. Te lo riconosco, hai più coraggio di quel che pensavo." commentò lei, quando si accorse di lui.
"Ti sfugge un piccolo particolare: non ho paura di te."
"Dovresti averne." ribatté Mei.

Quel suo comportamento lo mandò in bestia.
"Vuoi finire il lavoro di Isaak? Prego, accomodati." Hyoga si strappò rabbiosamente la benda e le offrì l'occhio ferito. "Avanti. Strappami gli occhi, tutti e due. Piantami qualche coltello nel petto. E dopo? Ti sentirai meglio? Pensi forse che Camus tornerà una volta che mi avrai ucciso?"
"Calmati, piccino." lo prese in giro Mei. "Mangerai, dormirai e guarirai sotto il mio stesso tetto. Non dovrai temere avvelenamenti o agguati di nessun genere da me, perché non è il mio modo di agire. Una volta sistemate le ossa rotte, una volta che i tuoi lividi si saranno riassorbiti e che il tuo occhio tornerà a vedere, solo allora ti affronterò. Non è mia abitudine infierire su chi è debole."

"Maestro. Dovete perdonarmi, ma sto per chiedervi qualcosa che sicuramente non vi piacerà."
"Cosa, Camus?"
Impiegò qualche secondo a rispondergli.
"Voglio bene a Hyoga come se ne vuole a un figlio, e amo lei come nessun'altra persona al mondo. Sono due parti importanti della mia vita e non riesco a immaginare un futuro senza uno dei due. Ne ho già persa una, non voglio perderne altre."
"Temi per il tuo allievo?"
"Per entrambi."
precisò Camus. "È furibonda, neanche Milo riesce a farla ragionare. Potrebbe davvero commettere l'irreparabile e a quel punto la situazione non farebbe che peggiorare, la sua vita sarebbe rovinata per sempre.Voglio fermarla, devo almeno provarci."
Degél annuì grave.
"Nessuno di noi due può interferire, devo interpellare Kardia. Devo avvertirti però: trovo i suoi metodi efficaci, ma poco ortodossi: non userà mezze misure, sarà brutale e inumano."
"È commovente la fiducia che riponi in me."
interloquì l'interessato. "Mi dilettavo a essere sadico e inumano con i nemici, non con tutti e sicuramente non con una donna. Su una cosa però ha ragione: sarò brutale. Una terapia d'urto è sempre brutale."


***
 
Lady Aquaria's corner
È trascorso un sacco di tempo dall'ultimo aggiornamento, ma non mi sono dimenticata del prequel: come avete notato, ho preferito saltare i dettagli delle battaglie contro Asgard e contro Poseidone per andare alla vigilia della guerra contro Hades, più impegnativa sul fronte narrativo.
Lo so da me, Mei è un tantino negativa in questo capitolo, ma cercate di capirla, povera.
Passo alle note:
-La canzone del titolo si riferisce all'omonima canzone dei 3 Doors Down.

-Maiale al profumo di pesce: come spiega Mei, si tratta di carne condita con spezie e/o ingredienti solitamente utilizzati per il pesce. È un metodo diffuso soprattutto nel Sichuan.
-La conta delle vittime degli alluvioni di Poseidone sono tratte dal manga.
Grazie come sempre a chi segue e/o recensisce, seppur le mie risposte arrivino sempre in ritardo, sappiate che sono molto apprezzate.

Alla prossima,
 
Lady Aquaria
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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