Salve a tutti da un fanficciaro ormai
saltuario ma ancora ispirato. Vorrei che non prendeste troppo sul serio la
storia che vi apprestate a leggere, essendo slegata dal contesto del manga
(ambientata diciamo in un ipotetico futuro scontro finale con la Lega dei
Villain) e non essendo previsto alcun continuo. Questa storia nasce
semplicemente dal mio desiderio di vedere messa nera su bianco una scena che la
mia mente ha partorito e a cui tengo particolarmente, una scena di forte
emozione ed impatto, che mi auguro tanto vi catturi e vi piaccia! Come scritto
in descrizione, tutto nasce dal fatto che Tsuyu può riprodurre praticamente
ogni caratteristica legata alle rane, così ho pensato “perché non anche quella”?
Una vista in un documentario… Un po’ sinistra… La adoro come personaggio, ma mi
sa che qui ci sono andato pesante con lei! XD
Buona lettura!
Tsuyu si morse le labbra per non lasciar
uscire gemiti che avrebbero potuto rivelare la sua posizione. Gettò un attimo
lo sguardo oltre l’angolo dietro cui si era riparata e tornò ad acquattarsi
nella penombra. La ferita al fianco faceva malissimo, solo la sua prontezza di
riflessi era riuscita ad impedire che la lama penetrasse ancora più in
profondità. Si era lasciata cogliere di sorpresa da Toga Himiko, trasformatasi
in Tokoyami, ed ora lei era lì attorno da qualche parte, sghignazzante come al
solito, a giocare con lei al gatto col topo. Si sentì una sciocca, eppure era
stata raccomandata a tutti i partecipanti all’operazione la massima cautela.
Piuttosto, un altro pensiero le sopravveniva: in base ai loro dati, il quirk di
Toga le consentiva di trasformarsi in una qualunque altra persona per un certo
periodo in tempo dopo averne bevuto il sangue. Voleva forse dire che anche
Tokoyami era ferito? O peggio?
Basta, provò a riscuotersi, non aveva
senso starsene lì ferma a tenersi la mano sul fianco ed aspettare, doveva
agire. Se avesse trovato un sistema per fasciarsi la ferita avrebbe potuto…
“Tsuyu!”
Si girò di scatto alla sua sinistra per
vedere la sagoma ammantellata di scuro del suo compagno venirle incontro ad
ampi passi trafelati.
“Che ti è successo? Sei ferita?”
Prima che venisse percorsa da una
rinnovata scossa di adrenalina, il Tokoyami era già riuscito ad avvicinarsi a
un passo da lei e a protendere un braccio: non ci sarebbe caduta una seconda
volta, non avrebbe aspettato che in quella mano che le porgeva con premuta
lampeggiasse d’improvviso una lama di coltello.
Con una piroetta all’indietro, la
ragazza-rana si rimise in piedi, poi spiccò un balzo contro di “lui”,
colpendolo al petto con un violento calcio di lato. Gli occhi gli si sbarrarono
di sgomento mentre volava fino ad arrestarsi con un forte tonfo sui tubi
metallici di un’impalcatura diversi metri alle sue spalle.
“Ma cosa…”
Non finì di biascicare la frase che dal
ponteggio alcuni metri più sopra, in cima alla struttura di sostegno, un grosso
secchio metallico gli piovve dritto sulla nuca, facendogli perdere i sensi.
Tsuyu, ancora in guardia, prese un lungo
respiro. Quel secchio era stato un bel colpo di fortuna: adesso doveva solo
usare il nastro di cattura che aveva nel marsupio per immobilizzare Toga prima
che potesse nuocere ancora. Davvero una fortuna insperata.
Ma una sadica maestra dell’inganno come
Toga avrebbe davvero agito così? Preannunciare la sua presenza chiamandola,
avvicinarsi a quel modo dopo averla già ingannata poco prima con lo stesso
travestimento… Non quadrava affatto.
“!!!”
La fitta improvvisa che le provocò il
coltello che affondava nella schiena le confermò il suo tragico errore. Si
irrigidì, frastornata dal dolore, mentre le giungeva alle orecchie la risatina
acuta e irrisoria della sua scaltra avversaria.
“Ho visto tutta la scena!” –ridacchiò vicino al suo orecchio, pugnalandola con
la destra e bloccandola attorno il collo con l’altro braccio- “Poverino il tuo
amico, lo hai proprio pugnalato alle spalle! L’hai capita?”
Il volto di Tsuyu arrossì di rabbia
mentre fissava, con una smorfia mortificata, il corpo riverso del povero
Tokoyami, privo di sensi.
Dannazione!
Aiutandosi con le mani, sgusciò via
dalla sua presa e allungò la distanza con un piccolo balzo. Toga rimase ferma,
a guardarla da quei piccoli faretti gialli circondati da occhiaie che erano i
suoi occhi, così innocente e innocua nella sua uniforme da scolaretta, con quel
suo sorriso divertito ed eccitato; un aspetto fatto per ingannare, un aspetto
anche carino che dissimulava una tale folle sete di violenza, una pericolosità
subdola, di cui puoi accorgerti solo quando è troppo tardi.
Tsuyu si lanciò di nuovo in avanti,
roteando su sé stessa per sferrare un calcio con la gamba destra, che Toga
schivò abbassandosi il tanto che bastava. Poggiò il piede a terra al termine
del movimento e tentò di calciare di rimando, ma la villain scartò nella stessa
direzione del calcio, dando modo alla forza di scaricarsi nell’aria, per poi
afferrare e avvolgere la gamba della hero con il braccio sinistro. A quel
punto, avutala in suo potere, la mano destra che brandiva il coltello disegnò
un rapido arco e il metallo acuminato sprofondò a fondo nella carne viva del
suo polpaccio, facendola gridare.
I muscoli di rana nelle sue gambe
donavano loro una velocità ed un’agilità portentose, eppure quella mostruosa
ragazzina dimostrava di esserle alla pari in entrambe. Le sue abilità di
combattimento la surclassavano senza mezzi termini.
La risata della sadica biondina era come
un graffio sulla lavagna del suo orgoglio, mentre quest’ultima le lasciava la
gamba e se ne restava lì a guardarla contorcersi per il dolore senza infierire:
era diventata il suo spettacolino, realizzò, sentendosi bruciare dentro per la
vergogna.
In un attimo si sentì strattonare per i
capelli e venir trascinata via, impotente, in un altro dei vuoti stanzoni che
si alternavano senza fine nel grattacielo in costruzione. Arrivata al centro
dello spazio, le strattonò più forte i capelli, quasi a volerglieli strappar
via, scaraventandola, sconfitta, sul pavimento impolverato.
Il fianco, la schiena, la gamba. Il
dolore viaggiava imperterrito da un punto all’altro, mentre respirava
affannosamente, il sangue dalle ferite aperte le portava via le forze. Non poté
che restare lì, paralizzata, finché Toga la afferrò per la faccia e la tirò su
a forza, rimettendola in piedi sulle gambe malferme. La sua mano era morbida e
calda e le tappava la bocca e le stringeva le guance fino a graffiargliele, costringendola
a incrociare il suo insopportabile sguardo vibrante di gioia.
“Adesso ti squarcio la gola da parte a
parte!” –le disse come si parla a un’amica di qualcosa di spassoso da fare nel
pomeriggio libero.
Fece un versetto acuto, come fanno
alcune adolescenti quando sono su di giri: “Non hai idea di che bella
fontanella di sangue venga fuori dopo! È fighissimo! Così sarà una di meno a
mettermi i bastoni fra le ruote tra me e Izuku! È proprio un ragazzo d’oro, non
trovi, Tsuyu-chan?”
E poi Izuku non si riteneva un tipo
popolare, le suggerì il suo senso dell’umorismo, persino in quella situazione.
“Quella volta che l’ho pugnalato nelle
sembianze di Ochako-chan mi è sembrato così triste… Perciò devo sbrigarmi a
sistemare te e quegli altri scocciatori e correre a consolarlo!”
Sentir ricordare del male fatto ai suoi
amici le provocò un sussulto, ma la psicotica non aveva voglia di essere
interrotta nel pieno del suo accorato, romantico delirio, quindi stroncò quella
ribellione con una ginocchiata dritta nel suo stomaco. Tsuyu sentì le forze
venirle meno, ma ancora una volta venne tirata su a forza per la faccia.
“Si, si! Prima tu, poi quel tuo
amichetto con la faccia da uccellino! Mi divertirò a strappargli le piume una
per una, poi ci imbottisco un cuscino con cucita sopra la faccia di Izuku! Si!
Non è un piano fantastico?”
Le mani le tremarono, ma nulla di più.
Lei era fuori combattimento, pronta per
essere sgozzata, Tokoyami inerme per colpa sua lì fuori nel corridoio, e poi
gli altri, i suoi amici, venuti lì tutti insieme, da bravi eroi alla riscossa,
già alle prese con gli altri terribili membri della Lega dei Villain, e pure
loro sarebbero presto finiti vittime della pazzia sadica di Toga che non era
riuscita a fermare. E chissà quale sorte sarebbe toccata ad Izuku se fosse
riuscita ad allungargli addosso le sue grinfie. Per non parlare di quello che
aveva già fatto alla povera Ochako…
Toga la costringeva ad ascoltare le sue
raccapriccianti fantasie, e lei bloccata, dal dolore dei tagli, dal bruciore
della sconfitta, e dal pensiero della sua imminente sorte. Stava per morire,
uccisa, in quel posto tetro.
A meno di ricorrere a quella cosa.
Non voleva. Non l’aveva mai fatto.
Ma che scelta aveva? Il filo del pugnale
era già appoggiato, delicato come una carezza, sul suo collo. Oltre le gote
rubizze e le zanne splendenti della sua aguzzina la parve di intravedere un
lembo del mantello di Tokoyami, ancora lì dove l’aveva lasciato; anche lui
sarebbe finito in un modo orribile, inerme come un agnello al macello, e sarebbe
stata colpa sua.
Dovevano quindi morire entrambi?
Voleva morire?
Voleva morissero?
Voleva lasciarla continuare a uccidere?
“Twice continua a dire che dovrei
piacergli per come sono, ma forse se mi sciogliessi i capelli potrei essere più
il suo tipo!” –tossì- “Tu che ne pensi, Tsuyu-chan?”
Tossì di nuovo.
“Su, dovresti riuscire almeno a muovere
un pò le labbra per rispondermi! Non è normale tra le ragazze darsi consigli
sull’amore?”
L’aria si era fatta proprio pesante, pensò, e quella stupida tosse era sempre
più fastidiosa. Poi la sue mente venne distratta dalla sua mano: bruciava.
“Che cosa…”
Lasciò la bocca di Tsuyu e guardò il suo
palmo: era arrosato, vi si sollevavano due bolle giallastre, e la pelle sui
polpastrelli andava esfoliandosi come fosse ustionata.
“Ma che diavolo è?!” –imprecò, dovendo
poi riprendere subito fiato, sentendosi il petto pesante.
Fu allora che guardò meglio e si rese
conto che la pelle di Tsuyu aveva cambiato colore. Non riusciva a scrutarla
negli occhi, coperti dalla frangia scompigliata che ricadeva pesante su di
essi, ma lì dove il costume era strappato, sul collo, sul viso, la pelle era
diventata arancione sgargiante. Un colore vivido, stupendo, un colore per farsi
notare.
Un colore per mettere tutti in guardia.
In estrema allerta.
“Che cosa hai fatto?!” –domandò
sentendosi il respiro sempre più pesante.
Poi cominciò a sentire le cosce flaccide, e le punte dei piedi formicolare.
“Ehi, rispondi, stupida ranocchia! Si
può sapere che…”
Una raffica di colpi di tosse spezzò il
suo atteggiamento rabbioso, costringendola a piegarsi in avanti. Poi i muscoli
delle gambe parvero non rispondere più, e Toga crollò a terra.
Con fatica, si puntellò sui gomiti e
drizzò il collo. Finalmente lo vide, lo sguardo di Tsuyu, nascosto nell’ombra
della frangia. Le pupille scurissime e grandi, come il fondo tetro di uno
stagno, la sommersero come acqua profonda.
“Batrachotoxin.” –gracidò lugubre.
Toga fece una smorfia, non conosceva
quella strana parola difficile.
“Che vuol dire?” –chiese ansimando.
“È la parte più oscura del mio quirk.”
–disse con voce neutra, distaccata- “Non l’ho mai usata prima. Non avrei mai
voluto usarla in vita mia.”
“Oh, così anche gli hero hanno un lato
oscuro, eh? Che divertente!” –tornò a sorridere- “Su, su, spiega! Non tenermi
sulle spine, Tsuyu-chan, sono curiosa!”
“In condizioni di estremo pericolo,
posso secernere dalla pelle una potente neurotossina, che viene assorbita per
contatto. Questa provoca difficoltà respiratorie, riduzione della sensibilità e
progressiva paralisi, fino alla morte.”
Il sorriso di Toga si incrinò a
quell’ultima parola. Guardò la mano, aveva smesso di bruciare, anzi, aveva
smesso di sentirla del tutto, né le dita rispondevano più ai suoi comandi di
muoversi.
Superato il primo sgomento, si drizzò
sull’altro braccio e le rise in faccia.
“Oh, quanto sei brava, Tsuyu-chan, mi hai davvero messo i brividi! Va bene, ho
perso, uffa!” –esclamò con noncuranza- “La grande Froppy me l’hai proprio
fatta, eh?”
La rana arancione non pareva avere
alcuna voglia di ridere.
“Peccato… Dai, mi hai preso, contenta?
Su, annulla l’effetto del veleno e consegnami alla giustizia.” –calcò
comicamente le ultime parole, porgendo il polso che ancora riuscire a muovere a
delle ipotetiche manette- “Anche oggi l’eroina si è guadagnata gli applausi del
pubblico, eh?”
La frangia che le gettava ombra sul
volto ondeggiò appena, come se avesse avuto un impercettibile sussulto.
“Non posso.”
Il respiro affannato di Toga fu per un
attimo padrone nel silenzio.
“Che vuoi dire?”
“La tossina è un’arma senza ritorno. Non esiste nessun antidoto. L’unica è non
toccarmi mentre la secerno, è tanto letale che basterebbe anche solo sfiorarmi
qualche secondo. Neanche chiamare i soccorsi servirebbe a nulla: non avrebbero
il tempo di arrivare.”
“……”
“Non c’è niente che possa fare.”
Né tu, né io, sembrava dire.
Toga emise un sibilo dalle labbra e
scoppiò di nuovo in un riso convulso: “Certo! Che divertente! Su, fa la brava,
Tsuyu-chan, per chi mi hai preso? Voi siete gli hero, dopotutto, no? Siete i
buoni! Una cosa del genere figuriamoci se…”
Il suo raggelante sguardo da anfibia
dissolse in un attimo il suo buonumore. La sadica Toga era abituata a prendere
in giro, ingannare, raggirare il prossimo, e proprio perché in questo era
maestra, poteva dire per certo che Tsuyu non stava mentendo.
Quegli occhi erano senza emozioni,
senz’anima, come di chi si è rinchiuso in sé stesso, come il bambino che si
nasconde dopo la marachella. Gli occhi vitrei, colmi di rammarico, di chi ha
commesso una nefandezza troppo terribile anche solo a pensarsi.
Dinanzi quegli occhi realizzò. E prese a
gridare, come una bestia ferita e in trappola.
“BUGIARDA! DICI BUGIE! Non si prende in
giro in questo modo! Vuoi torturarmi, eh? Sei cattiva, Tsuyu-chan! Sei cattiva!”
–emise un lungo gemito, ma la sua collera era tale da fregarsene persino della
angosciante fame d’aria che la straziava di più ogni secondo che passava- “Dì
la verità, è per Izuku? Su, ammettilo, piace anche a te! Lo vuoi tutto tu, eh?
Per questo ti comporti, così! Cattiva! Bastarda!”
Tentò di sputarle addosso, ma la tosse
riprese a squassarla. Improvvisamente il braccio cedette. Cercò di rimettersi
in piedi, ma i suoi muscoli erano flaccidi, già privati della vita dalla
tossina che si diffondeva dentro di lei.
Tsuyu, tornata del suo solito colore,
stava costringendosi a non distogliere lo sguardo. Non si sarebbe mai concessa
una simile, immeritata pietà. No. Avrebbe guardato.
“Sto… Sto… morendo? Io… muoio?”
Con le forze che la abbandonavano, Toga
roteò su un fianco, poi sull’altro, poi giacque sulla schiena. Il collo,
divenuto flaccido, lasciò cadere il volto su di un lato.
“No… Se muoio… ci sarà ancora Izuku?
Dopo la morte ci saranno tutti, vero? Ci sarà ancora… E…”
L’eroina, divenuta una statua impassibile,
sentì anche la sua gola chiudersi, come stesse annegando tra le lacrime che ora
scorrevano copiose dagli occhi terrorizzati di quella ragazza lì per terra. Una
ragazza come lei, cui aveva appena tolto ogni cosa. Lei restava, proiettata a
un futuro di appalusi e luci, Toga andava via per sempre, sola senza i suoi
compagni, in quel posto buio. Senza più tempo, senza più chance, perché era
stata lei a decretarlo.
“No!” –singhiozzò- “Ragazzi! Dove siete?
Dove siete tutti? Venite qui! Twice! Dabi! Tomura! No! Ci sarete ancora, vero?
Ragazzi!”
Mancava poco, provò a rassicurarsi.
Ancora poco. Solo un poco. Come se lo strazio sarebbe davvero finito. Non era
che cominciato.
“Izu… I… Ah… T… T…”
La paralisi aveva raggiunto i muscoli
del viso e della fonazione. Adesso Toga era come una bambolina di cera,
perfettamente immobile, se non per gli occhi dorati, che guizzavano qui e là tra
le palpebre sbarrate come pesciolini spaventati in un laghetto, testimoni di
una vita che ancora c’era rinchiusa lì dentro quel guscio pietrificato.
Poi si fermarono.
Le gambe ebbero qualche piccola scossa
convulsiva.
Poi lo spettacolo cessò.
“……”
Nessun sipario era stato calato. La
scena davanti i suoi occhi era ancora dominata dal corpo riverso di Toga,
cristallizzato in un’espressione sgomenta, la bocca socchiusa, le lacrime che
si raccoglievano in una pozzetta sotto la sua guancia. Crollò in ginocchio, e
poté contemplare da più vicino quell’ultimo atto senza fine.
“Non
avevi altra scelta”
– disse una voce nella sua testa.
Ti avrebbe uccisa, no? Stava per farlo.
E dopo avrebbe ucciso Tokoyami.
Non potevi fare altrimenti, Tsuyu. Era
la tua ultima risorsa in una questione di vita o di morte. Per non ucciderla
avresti forse dovuto morire tu al suo posto? Non era stato bello, certo, ma
dovevi farlo. Non potevi permetterle di ucciderti e continuare a fare altro
male in giro. Non potevi lasciarglielo fare. Andava fermata.
Dopotutto, Toga era una villain: aveva
rapito e seviziato chissà quante persone, era un’assassina, senza contare
quello che aveva fatto passare ai suoi poveri amici, Ochako e Izuku. Era stato
meglio fosse morta lei, vero?
Tu sei una hero: raddrizzi i torti,
rendi il mondo un posto più sicuro, salvi gli innocenti dai disastri e dai
malvagi, malvagi come Toga.
Malvagi di cui la maggior parte delle
volte sai poco e nulla, men che meno perché siano così.
Quanti di loro non hanno avuto fortuna
dalla vita. Quanti lo sono diventati per necessità, o perché nessuno è stato in
grado di aiutarli, nessuno è stato in grado di fermarli prima che si
riducessero così, nessuno a mostrar loro la retta via che non era troppo tardi
per intraprendere.
Fermarli. Impedir loro di nuocere.
Sperare che si ravvedano. Che cambino vita.
Vita.
La vita di Toga quindi valeva meno della
sua?
“C’è
sempre un’altra scelta.”
No. Inutile razionalizzare. Non c’era
nessuna giustificazione. Non può mai esistere una giustificazione all’atto
dello spezzare una vita.
Un eroe non si comporta così.
Un eroe in quel frangente doveva avere
un’altra scelta. Doveva.
Invece lei aveva preso la via più facile. Aveva decretato sé stessa senza
scampo e Toga senza possibilità di assoluzione.
Un eroe non si sarebbe mai comportato
così.
Ragion per cui, lei non era un eroe.
Gracidò piano, nel silenzio di tomba.
Un vero eroe avrebbe trovato un altro
modo.
Non si sarebbe mai arreso senza riuscire
a trovarlo.
Ragion per cui, lei non era affatto un
eroe.
Gracidò lenta, schiarendo la gola
impastata.
Era peggio di un villain qualunque.
Gracidò, come un insensibile, disgustoso,
mortifero anfibio velenoso, dagli occhi vitrei senz’anima, fissi su una pozza
d’acqua sporca.
Tokoyami riemerse lentamente dal
torpore. Ricordava di essere stato attaccato da Tsuyu e, prima che potesse
capire alcunché, un forte dolore alla testa e una sensazione di rosso negli
occhi prima di svenire. Grugnì e un attimo dopo scattò all’in piedi, circospetto:
non doveva abbassare la guardia.
Cercò di spiegarsi l’accaduto: che
quella Tsuyu fosse stata in realtà Toga trasformata? Fece qualche cauto passo
in avanti ed intravide da una delle porte ancora priva di infissi una figura
inginocchiata immobile in uno stanzone.
“Tsuyu!”
Si precipitò da lei di corsa ed analizzò
rapidamente la situazione. Toga era a terra, mentre l’amica ancora cosciente,
anche se sembrava intontita. Aveva vinto, dunque.
“Va tutto bene? Sei ferita? Lasciami…”
“Non toccarmi.”
Tokoyami restò basito davanti a
quell’ordine così perentorio. Che senso aveva una tale veemenza? Anche il tono
in cui le aveva pronunciate era strano. Come avessero provato a non tradire
alcuna emozione, eppure qualcosa era arrivato alle sue orecchie, come un gemito
di disgusto.
“Perché non devo toccarti?” –domandò
confuso.
“Sono sporca.”
“Sporca?”
“Si… Non voglio che ti sporchi anche tu.
Quindi non mi toccare.”
Inaudito, come poteva parlare in quel
modo di sé? Lei sarebbe stata sporca? La Tsuyu sempre indomita, capace di
mantenere sempre la calma e trasmetterla ai compagni, la Froppy già adocchiata
da diverse compagnie di pro-hero, la compagna di classe per cui riservava
l’ammirazione maggiore.
Poi guardò meglio Toga e ciò che gli
vide gli fece drizzare le penne.
Ansimò, e rischiò per un attimo di
inciampare.
“Che cosa…”
Chiuse il becco: non aveva senso
domandarlo, era più che evidente.
“……”
Deglutì a vuoto, poi, come fosse stato
un automa, mosse qualche passo rigido verso il corpo, e le chiuse gli occhi.
Si voltò, chiedendosi se sarebbe stato
in grado di sostenere lo sguardo della sua compagna. Invece fu lei a non
farcela, e finalmente lo stagno tracimò.
“Ehi… Tokoyami…”
Singhiozzò.
“Io sono… una brutta persona?”
Si irrigidì, come un soldato
sull’attenti, impreparato alla domanda.
“No… No! Come…”
“Guarda…”
Roteò appena la testa, tremante, verso
il suo capolavoro ancora sul piedistallo.
“Quello…” –provò a gracidare con voce
rotta- “Non può essere opera di un hero.”
Tokoyami si sentì seccare la bocca, e si
maledì sentendosi sopraffare dal disagio, incapace di fermarla, impotente
davanti la sua disperazione.
“Una cosa così orribile… non può essere
una cosa degna di un hero… è… orribile… Orribile… Quindi… Anche io sono…”
Disgustosa.
Anfibio. Crudele. Schifosa. Orrida. Rospo. Senz’anima. Viscida. Bestia.
Incurante della sua preghiera di non
essere toccata, un esserino dall’aspetto sinistro fece la sua comparsa,
accompagnato da un lieve fruscio: era Dark Shadow, il quirk senziente di
Tokoyami, un essere d’ombra, un essere oscuro, un mostro dai lucenti occhi spiritati
che, lieve come un passero, venne fuori dall’ombra della ragazza e strusciando
lungo le sue gambe si sollevò per carezzarle la guancia col becco, asciugandole
il pianto. Il mostriciattolo poi si raggomitolò e si adagiò sul suo grembo,
leggero e caldo come una carezza.
Tsuyu alzò gli occhi e vide che Tokoyami
si era inginocchiato di fronte a lei. Le prese una mano, e la guardò negli
occhi, prestandole, per quanto poteva, un po’ di forza per quel fardello che
stava sopportando. E che avrebbe continuato a sopportare.
Nessuno più di lui conosceva cose
volesse dire avere un quirk pericoloso, ammirato e maledetto allo stesso tempo;
nessuno meglio di lui per quell’arduo compito.
Lasciò che le parole venissero fuori
spontanee: “Tu non sei una brutta persona. E se anche il mondo intero dicesse
il contrario, io, e anche tutti gli altri, continueremmo a gridare che non lo
sei.”
Lei cercò di rispondere tra i singulti:
“Ma… Ma…”
“Sono certo che se è accaduto quel che è
accaduto, è perché vi sei stata costretta, non potrei esserne più sicuro.”
Strizzò gli occhi e scosse il capo, come
a volerlo contraddire, allora lui continuò: “Tu sei buona. Ma il mondo è
spietato. E a volte anche i buoni sono costretti ad essere crudeli, per
sopravvivere o per compiere il loro dovere. Ma dopo sono pronti a portarne il
peso, anche per tutta la vita, e ad andare avanti nonostante questo, perché
sanno di poter ancora fare del bene. Lo capisci?”
Ripensava ovviamente a quella volta che
Dark Shadow, quando furono attaccati di sorpresa durante l’esercitazione nella
foresta, diede completamente di matto e per poco non ferì gravemente Shoji e
gli altri. Si appellava ai sentimenti che aveva provato allora, e dopo, per
riuscire a trovare le parole giuste, ma restava difficile. Quella volta, seppur
per il rotto della cuffia, nessuno si era fatto male, ora la situazione era ben
diversa. Non bastava provare a comprenderla, doveva far sì fosse lei stessa a
scuotersi dal fango in cui si sentiva sprofondare, che risorgesse dalle sue
ceneri.
Le strinse la mano: “Per favore… Per
favore, non lasciare che questa cosa ti distrugga. Ci sono ancora tante persone
che hanno bisogno di te, ancora tantissime persone là fuori che potrai aiutare.
C’è bisogno anche di te, Froppy, e ci sarà bisogno di te in futuro.”
Fiducia in lei. Grande ammirazione.
Speranza di riscatto. Una vita dedicata al prossimo che non era che appena
cominciata: era giovane.
Aveva due scelte, ora riusciva a vedere
chiaramente oltre il velo calato sui suoi occhi scuri: fermarsi lì, davanti la
sua colpa imperdonabile, e rinunciare a tutto quello che poteva e voleva
offrire, che aveva sempre desiderato offrire al mondo, o rialzarsi, pur senza
dimenticare, e affrontare la vita, come se l’era scelta e come le era capitata.
Come aveva distrutto, così poteva costruire.
Per gli innocenti, e anche tutte le Toga
del mondo che aspettavano di essere strappate al loro destino.
Emise un sospiro, come si fosse
dimenticata a lungo di respirare e l’aria fosse diventata di nuovo fresca e
buonissima.
Il velo era squarciato, ma la ferita era
ancora aperta, e lei, da stoica qual era, si era concessa troppe poche lacrime.
Lei la forte, lei che non si scomponeva mai, lei che restava calma e salda,
prese a piangere forte come mai in vita sua, urlando il suo pentimento e la sua
voglia di non scappare alle sale e ai corridoi vuoti e desolati che li
circondavano.
Dark Shadow si dileguò, e lasciò che Tokoyami
la avvolgesse nel suo mantello, tenendola a sé, concedendole tutto il tempo di
cui avrebbe avuto bisogno.
Nel caso vogliate documentarvi sulla
fonte di ispirazione a questa storia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Batracotossina
https://it.wikipedia.org/wiki/Phyllobates_terribilis
Come preannunciato, ci sono andato
pesante… Anche se non me ne pento, come scrittore sono contento del risultato
XD
Il pentimento della povera Tsuyu è
invece profondo e sincero: non potrà cancellare ciò che ha fatto, ma potrà
portare la lezione dentro di sé e diventare un hero ancora migliore. Allo
stesso modo voi, cari lettori; penso che dopotutto siano questi i messaggi di
questa storia, mai ritenersi sporchi o fallimentari, anche dopo errori gravi,
in apparenza imperdonabili. Finché esiste la vita, non è mai troppo tardi per
viverla meglio, senza farsi schiacciare dai pesi più o meno pesanti che
ciascuno porta. Magari velatamente ho voluto trasmettere la mia opposizione
alla pena di morte come mezzo di giustizia? Chissà, in fondo, come detto, l’ho
scritta soprattutto per sfizio e divertimento XD
E a voi? Cosa ha trasmesso? Commentate!
Alla prossima, cari lettori.