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Autore: MaikoxMilo    08/11/2018    3 recensioni
Dopo l'esperienza nel passato, Camus, Milo, Marta, Michela, Francesca e Sonia tornano alle proprie attività quotidiane inerenti al Santuario, in un'atmosfera di gioia e felicità nel ritrovare gli amici Cavalieri d'Oro rimasti nel presente. Tutti ad eccezione di Marta, ancora rinchiusa nei ricordi e nei rimpianti nell'avere lasciato Dégel e Cardia, ormai cancellati dal corso degli eventi.
Questa one-shot copre il mese che va dal ritorno delle ragazze (15 agosto 2011) all'Epilogo di Sentimenti Che Attraversano Il Tempo, ambientato il 15-16-17 settembre del medesimo anno, sottolineando il punto di vista, la reazione e i pensieri di Camus, Francesca e Michela.
ATTENZIONE: Questa one-shot, la prima di altre tre, precede la terza storia, è necessario aver letto La Guerra Per Il Dominio del Mondo e Sentimenti Che Attraversano Il Tempo per capirla appieno ed evitare spoiler per chi eventualmente volesse leggere la Serie completa chiamata "Passato... Presente... Futuro!"
Buona lettura a tutti!
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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EPILOGO DELLA FINE E DELL’INIZIO

 

 

15 agosto 2011, atterraggio

 

 

Vi era stata una intensa luce gremita di un vociare rapido e diffuso, poi uno strappo in prossimità della regione ombelicale, infine il nulla. Non vi era più niente di quelle voci confuse, solo il silenzio delle tenebre, in qualche modo, azzurre. Era davvero tutto finito? I ricordi faticavano a tornare…

La seconda sensazione, netta e tagliente come la lama di un coltello, era stata la luminosità di un calore lontano, tiepido e secco, destinato ad incrementarsi mano a mano che la coscienza si faceva avanti. Una pressione innaturale gli pizzicava le guance, a loro volta intente a scaldarsi. Dovunque si trovassero, erano sdraiate su una superficie calda, questo era certo, ma… dove?

Il desiderio di saperlo le spinse ad aprire pigramente gli occhi, appesantiti dalla lunga gittata che le aveva coinvolte nel salto tra il passato e il presente. Cominciavano a ricordare… lentamente…

“Michela! Francesca! State bene?”

Era la voce del Maestro Camus, come non riconoscerla?! Quel particolare accento francese, concretamente implementato da un velo di sincera e affettuosa preoccupazione, era stato il punto di riferimento più significativo in quei pochi mesi trascorsi al Santuario, che pure erano stati basilari per la crescita e la consapevolezza delle ragazze. Una morbida mano accarezzava loro la schiena, sollecitandole, con benevoli pacche, a ritornare in sé. Seguendo quel labile filo conduttore, Michela e Francesca sbatterono più volte le palpebre, accecate dai forti raggi del sole che parevano quasi iridescenti.

Erano appoggiate a qualcosa di duro e discretamente caldo, sembrava, anzi era, marmo; marmo di ottima qualità. Immediatamente si drizzarono a sedere, colte dall’imprinting che quel luogo diffondeva: davvero… davvero erano tornate a casa?!?

“Ugh… penso non mi abituerò mai ai viaggi nel tempo, speriamo davvero che questo sia stato l’ultimo!” bofonchiò Michela, trattenendo un conato di vomito.

“Maestro, siamo… siamo al Grande Tempio? Ce… ce l’abbiamo fatta?” chiese invece Francesca, tentando di darsi un contegno.

Un’altra voce rispose per lui.

“Sì, dolcezza! Sonia ed io, che ci siamo svegliati un poco prima di voi, abbiamo già espanso il nostro cosmo: siamo nel 2011!”

Si trattava di Milo, seduto a diversi metri di distanza insieme ad una ancora confusa Sonia. Il suo volto era innaturalmente pallido, colpa della malattia pregressa, ma i suoi occhi erano già brillanti come prima e il suo sorriso irriverente era largo più che mai. Si respirava aria di casa.

Casa… finalmente casa!!! Francesca e Michela inneggiarono al settimo cielo a quella notizia: avevano vinto quella battaglia contro il Mago e i piani del nemico erano andati completamente a rotoli! Non aveva ucciso i Cavalieri d’Oro con la peste, non era riuscito a bloccarli nel presente mentre Milo e Camus combattevano contro la peste e, cosa ancora più importante, il Maestro era ancora con loro, avrebbe continuato a vegliare sulle loro vite da quel momento in avanti. Il bastardo era andato incontro ad una disfatta totale, non aveva, e non avrebbe mai più, ottenuto il corpo del Cavaliere dell’Acquario, tutto si sarebbe ristabilito come prima senza la sua interferenza.

“Aspettate un attimo, dove è Marta? E… e Crono?” chiese ad un tratto Camus, angustiato nel non vedere la sorella accanto a sé.

Anche Michela e Francesca sussultarono a quella domanda, mentre una nuova paura le avvolse. Scattarono immediatamente in piedi e si guardarono in torno, frenetiche.

“Crono se ne è andato già da un pezzo… ha detto che non era il caso di farsi vedere dagli altri” intervenne una voce cupa e metallica, come il rombo di un tuono in lontananza che anticipa la tempesta.

Era Marta, seduta poco più in là su una colonna greca spezzata. Non si scompose nell’udirli muoversi, il suo viso non guardava più, e forse non aveva mai guardato, nella loro direzione, ma era intento a scrutare l’orizzonte lontano. Eterea… appariva così etera! Pareva che potesse scomparire nel nulla, così, nella luce.

Francesca colse il fremito nella labbra di Camus, lo colse e lo capì. Ancora una volta, le parole non sarebbero uscite, non potevano uscire, tuttavia era come se il maestro percepisse nitidamente i sentimenti tumultuosi di Marta, il suo smarrimento, la solitudine… era una distanza incolmabile.

Le sarebbe voluto tempo, alla sua amica, per riprendersi… molto tempo!

Contrariamente alla maggioranza, Michela invece arrossì di botto, ricordandosi, forse, dell’ultima scena avvenuta nel passato. Incespicò nei piedi, tappandosi istantaneamente la bocca nel trattenere il suo commento, non sapendo se fosse il caso o meno di esplicare quel pensiero che le vorticava in testa. Le parole ebbero comunque la meglio, come sempre, quando si trattava di lei.

“Martaaaaaa!!! Ma tu… ma tu ti sei baciata con Dégel?!? Non l’ho sognato, vero?!? Oddio! Oddio!!! Potevate farlo un po’ prima!!!” esclamò con gran foga, entusiasta della cosa.

Francesca e Sonia sospirarono rumorosamente quasi in sincronia, mentre Milo e Camus si immobilizzarono di botto, pietrificati dalla frase non curante della ragazza. Per fortuna o meno, Marta non reagì davanti ai gridolini estasiati della amica che, naturalmente, ‘shippava’ l’Acquario del XVIII secolo con l’amica d’infanzia; si limitò ad irrigidire i muscoli e a chinare il capo.

“Marta! Marta! Ma ora come farete a...” proseguì lei ostinata, non contenta della sua reazione, ma fu bruscamente fermata da Camus che la prese un poco malamente per il braccio.

“Per amor di Atena, Michela! Non… non è questo il momento!”

Michela tacque immediatamente, colpita dallo sguardo tagliente che il maestro le aveva impresso con quelle due iridi del tutto simili a lapislazzuli. E capì.

Nessuno nutriva più il coraggio di aprire bocca, sembrava quasi che il tempo si fosse fermato, irrimediabilmente. Un fattore esterno sbloccò tutto. Infatti diversi bagliori aurei illuminarono i dintorni di una nuova luce che poco aveva a che fare con il sole. E di nuovo un vociare repentino e tumultuoso li raggiunse alle orecchie, frastornandoli.

“Camus! Milo! Ragazze! Siete proprio voi, noi...”

“Siete qui, per Atena, siete vivi!”

“Ma come… come diavolo…?!”

“EHI! EHI! FERMI TUTTI CON LE DOMANDE, CHE QUI NON SI CAPISCE NIENTE!!!” intervenne a gran voce Milo di Scorpio, sovrastando l’echeggiare intorno a loro.

Ci fu qualche secondo di apparente calma, in cui si ebbe almeno tempo per guardare le facce gli uni degli altri, amici e compagni appena ritrovati. Vi erano proprio tutti i Cavalieri d’Oro rimasti nel presente, non uno riusciva a celare la propria sorpresa, la propria emozione di essersi riuniti, persino gli stoici Shura, Saga e Shaka che, il più delle volte, traevano tutti i fatti sotto il vessillo della ragione. La parvenza di calma durò poco; così come l’onda del mare, ritirandosi dalla spiaggia, fomenta un’altra onda in arrivo, così i Cavalieri d’Oro non tardarono, appena le gambe glielo concessero, di buttarsi a capofitto sui compagni saputi in pericolo di vita. Aiolia e Aiolos, nell’incrociare lo sguardo di Sonia, corsero immediatamente ad abbracciarla, lo stesso fece la ragazza, ormai preda delle lacrime. Pareva passato un secolo dall’ultimo contatto stabilito! Mu, Shaka, Aldebaran e Dohko si avvicinarono a Milo, dandogli chi le pacche sulla schiena, chi un timido abbraccio e chi invece un tenero sorriso. Anche Shura, Saga e Aphrodite si appropinquarono all’esausto Camus, felici come non mai di vederlo in piedi, nonostante i segni della malattia non avessero ancora abbandonato il suo viso. E si vedevano nitidamente, quei segni, facevano uno strano effetto su di lui.

“Camus, quando le ragazze sono tornate, ci hanno raccontato della peste e abbiamo temuto… abbiamo temuto per voi, ma anche e soprattutto per te, amico mio. Sapevamo delle ferite riaperte sul tuo torace e avevamo, mmm, paura… capisci?” provò a spiegare Shura, certo non un mago nell’esternare i suoi pensieri, forse persino peggio dell’Acquario.

“Esatto, non abbiamo saputo più nulla di voi, sono passati giorni e… abbiamo pensato che forse...” gli dava manforte Saga, un poco imbarazzato.

“Un secondo, quanti giorni sono passati qui da voi?” chiese improvvisamente Milo, sfuggendo alla morsa di Mu che, in apparenza, sembrava tanto mansueto ma quando si trattava di abbracciare qualcuno creduto perduto pareva un boa constrictor.

“Oggi è il 15 agosto… - spiegò Aiolia, staccandosi brevemente da Sonia per abbracciare prima Milo e poi Camus – Per questo avevamo così paura, sono passate quasi due settimane senza sapere più niente, non sono riuscito neanche a mettermi in contatto con la mia sorellina!” concluse il suo discorso il Leone, tornando composto al fianco della ragazza, che subito si appese al suo braccio, desiderando non separarsene più..

Quindi il tempo subiva davvero un’accelerazione quando veniva manovrano!

In un angolo della mischia, un po’ separato dagli altri, vi era Death Mask, in evidente stato di imbarazzo. Durante tutte le effusioni e saluti dei parigrado, era rimasto ben distante dal gruppo, limitandosi a fissare con insistenza Francesca. Non poteva toccarla, anche se avrebbe voluto, perché sentiva di non poterlo fare; era così stupido rimanere lì, imbalsamato come un coglione, quando la ragazza che le piaceva gli sorrideva da distanza. Al diavolo! Camus era occupato a rispondere a Saga e Shura, il momento era propizio per l’agire. Si avvicinò ordunque a Francesca, rimanendo comunque a debita distanza, poco dopo sollevò la mano in segno di saluto.

“Ohi! Ciao...”

La cosa più stupida da dire in un momento simile… vabbè!

Istantaneamente Francesca ridacchiò tra sé e sé, prima di ricambiargli il sorriso.

“Sei sempre il solito, Death Mask!” lo rimproverò bonariamente, scoccandogli un occhiolino.

“Eh? Sì, beh, oh… il ghiacciolo è nei paraggi, sai come la pensa lui...” biascicò il Granchio, guardando di sottecchi il mentore di colei di cui si era innamorato.

“Lo so, ma, se non ti spiace, vorrei parlare con te, nei prossimi giorni, anche per risolvere questa questione in sospeso tra noi!” affermò Francesca, risoluta.

Lo sguardo di Death Mask si illuminò di una vivida speranza.

“Permesso accordato, ragazzina, potremo disquisire quando vorrai! - esclamò, mostrando un sorriso a trentadue denti, poco prima di guardarsi intorno con aria interrogativa – Ma piuttosto... cosa è successo a Marta?” chiese, inarcando un sopracciglio.

Francesca, prima di rispondere, tornò a fissare il posatoio su cui si era seduta l’amica, ritrovandolo vuoto. Dopo una breve ricerca, la scoprì silente a fianco del fratello, il capo chino verso il terreno e gli occhi spenti. La sensazione che ne derivò era terribile, portandole la consapevolezza che l’amica non si trovava mentalmente lì. Già, non era lì, la sua anima era rimasta nel 1741!

Nel frattempo il chiacchiericcio dei Cavalieri d’Oro era sempre più intenso. I compagni rimasti nel presente volevano sapere tutto di quello accaduto nel passato e fremettero non poco nel comprendere le condizioni di salute di Milo, Camus e delle ragazze. Ci sarebbe stato comunque tempo per i discorsi intessuti di particolari, per il momento, una veloce spiegazione superficiale sarebbe più che bastata.

Passarono diversi minuti in cui Milo, maestro di oratoria, riassunse il mese nel 1741 in un brevissimo, quanto favoleggiante, racconto, specificando che i Cavalieri passati non erano affatto dissimili dalle loro controparti, e che anzi, sarebbe stato compito loro perpetuare i loro desideri, nonché lasciti, per un mondo migliore.

Michela guardava con ammirazione lo Scorpione che, fin dal primo istante, le era immensamente piaciuto, soprattutto fisicamente ma anche umanamente. In cuor suo sapeva che, ora che era riuscita a tornare al suo tempo, vi erano questioni da risolvere, in particolare una, che le premeva particolarmente.

Come se il pensiero si potesse concretizzare nel mondo materiale, Mu tirò fuori il nome della persona che, tacitamente, aveva fatto sospirare il cuore della giovane ragazza:

“Piuttosto, Camus, sarete sicuramente stanchi, forse sarebbe meglio rimandare i convenevoli a quando vi sareste ristabiliti; per il momento è meglio che tu e le ragazze torniate all’undicesima casa. In tutto questo tempo Hyoga ha presieduto là, come un vero e proprio custode”.

“Hyo-Hyoga è rimasto tutto il tempo lì, da solo?” chiese conferma Camus, una immediata luce nei suoi occhi nell’udire il nome del suo allievo.

“Sì, inoltre era molto preoccupato per te, soprattutto da quando Marta e le altre sono giunte qui per cercare il rimedio contro la peste. – aggiunse Aiolos, posando una mano sulla spalla del Cavaliere dell’Acquario – Per tutto questo tempo lo abbiamo trattato da pari, ben sapendo che, in passato, ha meritato, e merita tutt’ora, l’armatura d’oro. Tuttavia non è che un ragazzo e tu sei il suo principale punto di riferimento in questo mondo. Vai da lui, ne ha bisogno!”

Camus annuì brevemente, laconico, ma il suo sguardo era caldo e brillante di orgoglio. Michela si decise a manifestare i suoi pensieri, non smettendo di torturarsi le mani per l’imbarazzo. Imporporò.

“Hyoga… Hyoga è rimasto come custode dell’undicesima casa, si sarà sentito tremendamente solo, vero Maestro? Chissà cosa è stato per lui temere di perdevi un’altra volta. Noi eravamo al vostro fianco, potevamo vegliare su di voi, asciugarvi il sudore, o anche solo farvi compagnia, ma lui no… era lì, solo, in quella casa buia...”

Le era uscito il ‘voi’, non sapeva neanche perché, ma ebbe l’impressione che le circostanze richiedessero un linguaggio più consono. Camus sembrò capire tutto nelle iridi sfuggenti dell’allieva, pertanto chinò leggermente il busto per permettere ai suoi occhi di guardarla direttamente nelle pupille che rassomigliavano a fuoco. Le mise le mani sulle spalle, come un padre.

“E’ esattamente come tu dici, Michela, pertanto... pensaci seriamente: Hyoga ha sofferto molto in questi anni, questa parentesi non è certo la sola. Ha, per sua natura, costantemente bisogno di un punto di riferimento e… se anche tu potessi essere tale...”

Lasciò in sospeso il discorso, imbarazzandosi oltremisura. Le parole… farle sgorgare all’infuori di sé… non era per niente facile, malgrado la terribile esperienza nel passato!

“Hai ragione, Maestro...”

“Certo, non sono fatti che mi riguardano e non voglio immischiarmi, Michela… Non voglio decidere io al posto tuo, né sforzarti, però… se puoi, perdonalo per ciò che ha fatto in passato. E’ vero, mi ha ucciso durante la Battaglia delle Dodici Case, ma è stata una mia precisa decisione, sono stato io a spingerlo a dare il massimo: era indispensabile per attingere al fulcro dei suoi poteri congelanti!” continuò la spiegazione Camus, rosso in viso.

Michela annuì ancora una volta, poco prima di regalare un largo sorriso al maestro e ad appendersi, letteralmente, al suo collo in un impeto affettuoso tipico di lei.

“Maestro, tu… sei l’insegnante migliore del mondo, te l’ha mai detto nessuno?!?” trillò vivace, affondando il volto nei suoi capelli.

Camus arrossì notevolmente a quella manifestazione, mentre sul suo viso si fece largo un’espressione ricolma di sorpresa. Non disse nulla, ma sorrise; un sorriso luminoso e sincero che raramente faceva trapelare al di fuori di sé.

Erano infine tornati, tutto sarebbe ricominciato dal principio, e forse, quel principio sarebbe stato migliore di prima!

 

 

* * *

 

 

15 agosto 2011, prima sera dopo il ritorno

 

 

La Casa dell’Acquario era silente come il suo custode, avvolta da una leggera tenebra che rendeva l’atmosfera simile ad un sogno. Tra convenevoli e chiacchierate varie, si era fatto il calare del sole e, malgrado la divergenza temporale gli avesse fatto guadagnare altri quindici giorni di calda estate, le ore di luce si sarebbero sempre più affievolite da lì in poi. La lenta litania verso l’autunno era alle porte, ne rimaneva il crepuscolo dell’estate; un’estate che aveva cambiato le vite di tre giovani ragazze in maniera irreversibile.

Camus e le allieve entrarono timidamente nell’undicesimo tempio, quasi a non sentirsene più parte, in testa una strana sensazione di straniamento in un ambiente che invece avrebbe dovuto essere più che famigliare. La permanenza nel passato li aveva segnati tutti, così come la presenza amica di Dégel, ormai un antico, quanto recente, ricordo. Varcarono la soglia del tempio, così come si ritorna nella casa dei vecchi nonni dopo la loro morte.

“Hyo-Hyoga! Siamo noi, siamo… tornati!” affermò a gran voce Camus, una punta di urgenza nella voce. Dopo così tanto patire, la voglia di riabbracciare l’allievo più maturo era forte, anche se forse non l’avrebbe mai ammesso. L’apparizione del Cigno non si fece attendere, rapida ed elegante come le ali dell’omonimo uccello. Apparve dalle scale di corsa, ma si arrestò quando i suoi occhi si incrociarono prima con quelli di Michela, che discostò in fretta lo sguardo imbarazzata, e poi con quelli del Maestro.

Intercorsero secondi di ammutolito silenzio, prima di riuscire a spiccicare parola, proprio per intenzione del Cigno.

“Maestro, io… ho avvertito il vostro cosmo pulsare ma… non potevo lasciare questa casa! Dalla vostra scomparsa, io… mi sono ripromesso di presiedere questa dimora come avreste fatto voi, e...”

“Lo so benissimo, Hyoga, e… sei stato eccezionale, come sempre! - lo interruppe Camus, avvicinandosi un poco – Non fartene un cruccio più del dovuto, io… sono fiero di te!”

“Maestro...”

Un sussurro strozzato, prima di bandire l’imbarazzo e correre ad abbracciare il suo sacro mentore con tutta la foga di cui era capace. Quella volta le emozioni non vennero ostracizzate da ambo i lati, non più. Camus si permise di sciogliere la muscolatura e ricambiare il gesto, respirando a pieni polmoni il sapore marino tipico di Hyoga l’Aurora, un qualcosa che conosceva piuttosto bene.

“Devo averti fatto preoccupare molto, Hyoga, mi dispiace… Ora sono qui, non sei più solo! Hai fatto un ottimo lavoro, degno di un Cavaliere d’Oro!” lo provò a tranquillizzare, avvertendolo agitato. Hyoga l’Aurora aveva smesso di piangere già da un pezzo, congelando le lacrime nel suo petto come il suo mentore aveva sempre voluto, ma l’emozione provata era tale che tremava; tremava come un pulcino, tremava come la prima volta in Siberia quando, sotto l’aurora, si erano conosciuti.

“Maestro, io sapevo… sapevo che Marta ce l’avrebbe fatta, per questo vi ho affidato a lei, non potevo fare altro se non… credere in lei, e nelle altre. E… ce l’hanno realmente fatta! Siete qui, VIVO!” sussurrò ancora Hyoga, abbandonandosi a quella stretta.

“Sì, sono vivo grazie a loro, tuttavia...” si bloccò, nel tentativo di acchiappare lo sguardo di Marta che seguitava a stare verso il basso, del tutto indifferente ai fatti intorno a lei.

 

Io non posso fare niente per lei, per la persona a me più cara, deve essere per forza questa la mia dannazione?! Lei ha rischiato la vita per me, raggiungendomi persino nelle tenebre più atroci, ed io… sono qui, totalmente impotente!

 

Rimase in silenzio, mordendosi il labbro inferiore. Non poteva afferrare la mano degli altri, non era mai riuscito a farlo, complice quella coltre di ghiaccio tra lui e il mondo esterno. Tuttavia, non poterlo fare proprio con Marta, era ancora più straziante.

Hyoga attese ancora un poco, desiderando rimanere ancora tra le braccia del maestro, e amico, ritrovato. Non sapeva come relazionarsi con le altre, soprattutto Michela, considerando che si erano lasciati litigando e non avevano avuto il tempo di approfondire i discorsi. Tuttavia era grato per tutto quello che erano riuscite a fare, aveva bisogno di dirlo, pertanto si avvicinò a loro, in viso una timidezza appena accennata.

“Ragazze, io sento il bisogno di...”

Marta non lo lasciò finire, semplicemente la vide discostarsi dal gruppo e dare loro le spalle nella semi-oscurità della stanza. Probabilmente era a tappo; a tappo di trovarsi in un ambiente non più suo e con persone che, al momento, erano totalmente estranee ai suoi sentimenti. Sentiva la necessità di isolarsi, questo Francesca lo capì all’istante, al solo guardarla.

“Io… vado a dormire in camera mia. Vi saluto!” mormorò amorfa, non attendendo risposta. E si allontanò.

Francesca sospirò, mentre Hyoga chiese delucidazioni a Michela sullo stato della sua amica. Solo il silenzio rimase tra loro. Gli occhi di Camus non si distaccarono un attimo dal punto in cui la sorella era sparita.

La cena trascorse velocemente, tra chiacchierate varie senza pensare ai problemi, tuttavia l’atmosfera che si respirava tra loro non era delle più tranquille. Si percepiva in Camus un malessere a stento ricacciato indietro, che rovinava un po’ il ritorno nel tanto agognato loro tempo. Parallelamente le ragazze erano stanchissime, quindi, dopo un lauto pasto, ognuna tornò alla sospirata camera, nei letti ormai ricolmi della loro essenza.

Era deliziosamente bello essere ritornate nel luogo che oramai consideravamo casa, tuttavia albergava in loro un profondo senso di vuoto, di un anello in qualche modo mancante che pareva spingere nello sterno. Si trattava forse… di malinconia?

Michela sbuffò più e più volte nel letto, imprecando tra sé e sé per la sua incapacità di prendere sonno nonostante la spossatezza. La mancanza di Dégel si faceva sentire, eccome! E anche il piccolo posto tenuto nel proprio cuore da Cardia ululava fastidiosamente. Certo, loro due, lei e Francesca, avevano avuto poco a che fare con gli antichi Cavalieri d’Oro, molto meno rispetto a Sonia e soprattutto Marta. Loro due erano sempre state al fianco di Milo e Camus, persino nella gelida Bluegrad. Malgrado questo, vederli era stato come rivedere dei vecchi amici di un tempo; lasciarli era stato forse anche peggio! Non sarebbero più tornati, Dégel e Cardia, lo sapeva, come non sarebbero mai più tornati Regulus, Sisifo e gli altri. Il loro tempo, ormai, era fermo.

Michela si posizionò supinamente, in modo da scorgere la luce soffusa che proveniva da fuori. Sospirò placida, tentando di scambiare la spiacevole sensazione di vuoto con la consapevolezza, il giorno seguente, di fare una bella doccia fresca. In quell’istante, qualcuno bussò tre volte alla sua porta.

“Sì?”

“Michela… sono io, Hyoga, posso entrare?” chiese il Cigno in maniera furtiva, degna del più audace scassinatore.

Michela sorrise tra sé e sé, un poco più serena. Davvero non c’era persona più adatta per farla sentire meglio in un momento simile!

“Certo, fessacchiotto, non hai bisogno di un invito ufficiale, dovresti saperlo!” lo riprese bonariamente lei, ridacchiando.

In quel momento la porta si aprì timidamente, rivelando un Hyoga alquanto impacciato e statico.

“Ecco, io… mi chiedevo se...”

“Sì, vieni!”

“Ma… ma non sai neanche cosa volevo chiederti!”

Adorabile, non c’era che dire! Hyoga aveva davvero ereditato tutto da Camus, persino il modo di porsi e l’imbarazzo costante, solo che il maestro lo celava di più dentro di sé.

“Certo che lo so, volevi chiedermi se potevi entrare per finire il nostro discorso già cominciato la volta scorsa!”

“U-urgh… ecco, sì!”

Michela si alzò a sedere, un sorriso raggiante a solcarle le guance un poco paffute. La malinconia era scomparsa, come carpita da un mago.

“Vieni pure… mi sentirei troppo triste a passare questa notte in solitudine!”

Inaspettatamente Hyoga le sorrise, finalmente sereno nel timido desiderio di chiarire ogni cosa con lei, con la prima ragazza che, in qualche modo, era riuscita a riattivargli il cuore, creduto troppo spesso congelato.

“Che combinazione! Pensavo esattamente la stessa cosa!”

 

 

* * *

 

 

22 agosto 2011, pomeriggio

 

 

Trascorse così una settimana e ricominciarono gli allenamenti. Il senso onnipresente di vuoto cominciava a tamponarsi, almeno per quanto riguardava Francesca e Michela. Marta invece continuava ad essere irraggiungibile, sempre più evanescente e chiusa nel suo mutismo. Sembrava quasi persa in una regione sperduta nello spazio.

Michela e Francesca si trovavano in salotto quel giorno ed erano intente a leggere un libro, quando un bagliore dorato seguito da alcuni passi metallici attirò la loro attenzione. Si trattava di Camus, per la prima volta dopo tanto tempo con indosso l’armatura d’oro. Parevano passati secoli dall’ultima volta! Le due ragazze istantaneamente sussultarono, colpite da quella visione.

Camus era innegabilmente bello ed elegante, praticamente impossibile non essere attirate da lui in qualche modo, per cui le due giovani allieve si permisero di fissarlo con insistenza, colpite e sinceramente ammirate. Vederlo poi con indosso le sacre vestigia dell’acquario, era una vera boccata d’ossigeno, soprattutto dopo i fatti accaduti nel passato e la lunga degenza che lo aveva colto. Dopo tanto soffrire, sembrava completamente rinato, nuovamente pronto a spiccare il volo come un giovane nidiaceo che, fallito il primo tentativo di volata, ritentava una seconda volta, coraggioso e temerario come non mai.

“Maestro, sei splendido come al solito, anzi, più del solito!” esclamò Michela senza peli sulla lingua. Francesca annuì brevemente, invidiando un poco la spontaneità dell’amica. Condivideva totalmente il suo pensiero, ma mai si sarebbe sognata di dire una cosa simile con così tanta schiettezza. Beata gioventù!

Camus, a quelle attenzioni, arrossì un poco, mentre, raschiandosi la gola si preparò a controbattere qualcoda.

“Grazie, Michela… ma non mi sento ancora al 100%!”

Teneva l’elmo sull’avambraccio destro, mentre il suo sguardo era intento a fissarsi la mano sinistra, stretta a pugno con tutta la forza che possedeva. Tremava un poco, quella mano, segno inequivocabile di una ripresa non ancora interamente riuscita.

“E’ naturale. Ciò che hai passato avrebbe steso chiunque, datti il tempo per ritornare quello di un tempo!” tentò di rassicurarlo Francesca, scrutandolo con occhi profondi.

 

Ma sarebbe poi tornato quello di un tempo?

 

“E’ proprio per questo motivo che oggi pomeriggio vado ad allenarmi con Mu e Shura. Voi avete ripreso gli allenamenti già da qualche giorno, non posso certo rimanere indietro!” bofonchiò lui, ancora imbarazzato. Tuttavia sorrise, permettendosi di arruffare brevemente i capelli delle giovani allieve. Passò oltre con andatura leggera ed elegante, come sempre, ma la domanda nell’aria trovò infine la via per palesarsi.

“Maestro… dov’è Marta?”

La domanda sfumò nella stanza, perdendosi nel momento esatto in cui i passi dell’Acquario si arrestarono. Era una nota dolente. Dolentissima.

“Marta… credo sia con Sonia, ma non saprei dove. Milo mi dice spesso che escono insieme per parlare. Non so altro.”

Il silenzio ricadde nella stanza, breve ma intenso. Furono ancora le allieve a trovare il coraggio di esprimere il loro pensiero, che era, in sostanza, quello tacito di tutti.

“Marta ha smesso di parlare con noi… si allontana per tutto il giorno, praticamente la vediamo solo durante gli allenamenti e non sappiamo che fare, Maestro...” spiegò Michela, improvvisamente scoraggiata.

“Inoltre non mangia nulla, se continua così...” continuò Francesca, in evidente stato di disagio.

“Ieri l’ho beccata a piluccare qualcosa dal frigo fuori dai pasti, ma… sembra un uccellino dai pochi bocconi che ingerisce! – sussurrò a bassa voce l’Acquario, in tono tremante – Io la ricordo, in questi pochi mesi, come una ragazza assai vorace e di buona forchetta, me lo potete confermare voi, che la conoscete da più tempo di me?”

“Certo, Marta è sempre stata una mangiona a dispetto del suo corpo gracile, proprio per questo siamo così preoccupate… - spiegò velocemente Francesca, tornando a guardare il maestro – Camus, tu sei suo fratello, sei la persona a cui vuole più bene, puoi… puoi fare qualcosa per lei?”

Ricadde nuovamente il silenzio, più pesante e significativo di prima. Istintivamente il braccio di Camus, che teneva ancora l’elmo, si abbassò in apparente stato di resa. Lentamente si voltò nella loro direzione, il volto scuro a contrastare il chiarore delle sue guance.

“Ci ho… provato, ma sto cominciando a pensare di essere il meno indicato in tutto questo. Lei non… non riesce nemmeno a guardarmi in faccia, se può evita persino di stare a breve distanza da me, ed io so motivo… - biascicò, in un fremito – Per cui… no, non posso fare niente, NIENTE, per lei!”

“Ma Maestro, tu...”

“Perdonatemi, devo andare...”

Non disse altro, allontanandosi di botto e lasciando le due allieve con un profondo senso di impotenza.

Dopo quel pesante scambio di battute, Francesca aspettò ancora un’ora prima di allontanarsi dall’undicesima casa con una scusa e dirigersi, trepidante, verso Capo Sunio. Il tempo di mettere le cose in chiaro con Death Mask era finalmente giunto. Per giorni aveva atteso quel momento che, infine, era arrivato. Varie ragioni l’avevano spinta a scegliere il promontorio ospitante un vecchio tempo di Poseidone, tra le tante, era un luogo abbastanza lontano dal Santuario, dalle sue leggi e, soprattutto, da Camus.

Non avevano avuto molte occasioni di parlare, loro due, complice gli allenamenti, i problemi esistenziali e l’influenza dell’Acquario, ben ostile alla loro relazione. Entrambi lo sapevano. Entrambi non se ne curavano. Del resto, la scelta aspettava a loro e nessun altro, avrebbe deciso Francesca se fidarsi totalmente di Death Mask, indipendentemente da ciò che pensavano gli altri.

In silenzio attese nel luogo prestabilito, mentre l’arietta leggera le sventolava i capelli e la giornata trainava verso la sera. Le ore di luce calavano sempre più a picco in quei giorni dell’ultima decade di agosto, a settembre ci sarebbe stato il vero e proprio tracollo. Niente più scuola per le amiche, niente più università per lei. Un nuovo ciclo, esattamente come il passare delle stagioni.

Un bagliore dorato di manifestò dietro le sue spalle, istantaneamente sorrise sorniona. E si voltò.

“Perdona il ritardo, ragazzina, Aphrodite non mi mollava un attimo, adducendo come scusa il fatto che ero impresentabile per il primo appuntamento galante. Che poi, chi diavolo glielo ha detto del primo appuntamento?!? Sa benissimo che ci frequentiamo già da un pezzo e che oggi dobbiamo solo chiarire alcuni punti!”

Invece di rispondere, Francesca scoppiò a ridere nel vedere la stramba acconciatura del Cancro, con i capelli paurosamente laccati, la giacca e, ancora peggio, la cravatta. Inconcepibile vedere Death Mask così!

“Ma come diavolo sei conciato?!?” lo riprese Francesca, non trattenendo più le risate sempre più accentuate. Death Mask sobbalzò, imprecando tra sé e sé un velato: “Maledetto Aphrodite e i suoi gusti di merda!”

Passata l’ondata di ilarità, Francesca si sedette su uno sperone di roccia, indicando al Cavaliere di mettersi al suo fianco. Non avevano che la costa occidentale dell’Egeo davanti a loro, gremita di puntini bianchi che si confondevano con il blu cobalto del mare, creando un contrasto assai accentuato con le montagne appena dietro alla riva.

“Perdonami la presa in giro, Deathy… avevo proprio bisogno di ridere in un momento simile, sei riuscito a distrarmi dal pensiero di Marta!” disse lei, grata.

“E’ ancora in stato etilico la mocciosa?”

“Sì… E’ presto, non è che passata una settimana, ma ho come l’impressione che non si riprenderà tanto facilmente. Siamo tutti molto preoccupati”.

Death Mask si grattò la testa a disagio. Francesca era in vena di confessioni ed era un bene, significava che si fidava di lui. Peccato che lui fosse totalmente negato a rincuorare gli altri, non glielo aveva mai insegnato nessuno, men che meno quei due trogloditi dei suoi genitori.

“Mmm… mmm! - si ritrovò a perdere tempo, non avendo la benché minima idea delle parole da utilizzare. Era frustrante – Beh… non che io abbia capito molto della vostra permanenza nel passato, eh, ma se si tratta di problemi di cuore, e Marta non ha che diciassette anni, immagino non sarà affatto facile!”

Francesca annuì meccanicamente, un sospiro appena percettibile.

“Però, oh, non è sola, dovreste farglielo capire, in un modo o nell’altro! - proseguì il Cancro, desideroso di parlare – Alla fine, era innamora di… di quel Dégel, giusto? E quel Dégel ora è Camus, suo fratello, ma, come se non bastasse, lei era la reincarnazione di una che, a sua volta, era persa per quel Dégel, quindi è doppiamente legata a lui e… CHE CASINO!”

“Sì, in maniera spicciola è così”

“Che putiferio! Non bastava l’allieva che si è poi rivelata la sorella del ghiacciolo, ora esce anche fuori che il ghiacciolo prima aveva i sentimenti, poi li ha persi, e che sua sorella, cioè quella che ora è sua sorella e che prima lo amava, ha scelto di rimanergli accanto a qualunque prezzo… Degno della peggior telenovela, bleah! - commentò ancora il Cavaliere del Cancro, facendo linguaccia, tuttavia poco dopo tornò serio, attirando così l’attenzione di Francesca – Però la capisco pienamente Marta...”

“La… capisci?”

“Sì, gli manca quel Dégel e non può fissare negli occhi Camus, che glielo ricorda… - prese una breve pausa, sentendosi emozionato come un moccioso – Anche tu, in circostanze simili, mi mancheresti, anzi… mi sei mancata per molto meno!”

Francesca trasalì all’istante, diventando, nell’arco di un breve attimo, paonazza in volto. La stessa sorte capitò simultaneamente a Death Mask che, non concependo nemmeno di essere stato così audace prima del tempo, si ritrovò ad alzarsi di scatto, incespicando poi nei suoi stessi piedi come un idiota.

“Oh?! Eh… aspetta, non volevo dirla così, non mi volevo lanciare in questa maniera e… AL DIAVOLO questa giacca che fa caldo!!!” balbettò, agitato, mollando malamente l’indumento a terra. Faceva dannatissimamente caldo, altroché, aveva le vampate!

Francesca, appena ripresa dalla rivelazione, ancor più inaspettatamente, scoppio nuovamente a ridere, una risata genuina che difficilmente lasciava trapelare fuori di sé. Death Mask del Cancro era proprio un personaggio, non c’era che dire! Talmente distante da lei, dedito ai piaceri del corpo più che a quelli intellettuali, ma affascinante, tremendamente affascinante! Lui rappresentava totalmente la natura umana nei suoi eccessi, con le proprie voglie e i desideri; chissà, forse proprio per quello le era sembrato così intrigante. Non conosceva ancora il suo passato, all’infuori di quell’aria di ineluttabile ferocia con cui lo dipingevano gli altri Cavalieri d’Oro, tuttavia il dipinto di lui che aveva in quell’esatto momento della sua esistenza la lasciava, sì, sul chi vive, ma non gli precludeva affatto l’idea di conoscerlo meglio. Del resto, persino Camus lo aveva più volte ripetuto, no? ‘Lasciarsi il passato alle spalle sempre e comunque, concentrarsi sul presente, sulla difesa ci ciò che vogliamo proteggere ora e adesso’.

“Andiamo, Deathy, non hai proprio l’aria di chi sta sperimentando qualcosa per la prima volta, giusto? E allora non occorre essere così impacciati!” lo prese scherzosamente in giro.

“Uh… a proposito, noi Cavalieri abbiamo un vincolo, ovvero quello di rispettare la castità!” decise di cambiare brutalmente discorso, levandosi da quella situazione complicata.

“E lo hai rispettato?”

Al diavolo, perseguiva a fissarlo con espressione ilare, inarcando un sopracciglio con fare assolutamente squisito. No, certo che non lo aveva rispettato, era un vincolo talmente stupido che non gli aveva mai dato peso.

“No!” tagliò corto, fingendosi offeso ma non riuscendo ad impedire alle sue guance di colorarsi rosso porpora.

“E allora sai come approcciarti per la prima volta ad una ragazza. Non che io voglia bruciare le tappe, eh, si intenda, però non c’è davvero bisogno di arruffarsi così!”

“...Con te è diverso! Tu mi piaci davvero!”

Stavolta tacque, ammutolita. Nello stesso momento Death Mask sorrise sornione, soddisfatto di averla fatalmente stupita.

“Con te voglio costruire qualcosa, se non l’hai ancora capito. Non voglio affrettare le tappe, complice anche la tua inesperienza, ma...”

“...E chi ti dice che sia così inesperta?”

Era il suo turno di zittirsi, esterrefatto. Si riscosse poco dopo.

“Ah, giusto… sei una divinità!”

Cadde il silenzio tra loro, ricolmo di imbarazzo, il Cavaliere del Cancro continuava a grattarsi la testa a disagio, non sapendo più come comportarsi. Era tutto così tremendamente difficile con lei, non bastava essere un poco piacente, né raccontare due stronzate, per far sì che la pulzella in questione cadesse direttamente nel suo letto, no… con lei voleva provare a costruire qualcosa, una sensazione mai provata prima, sapeva non sarebbe bastato l’aspetto estetico, né il mordente, occorreva qualcosa di più; occorreva mettere in gioco il suo cuore e correre il rischio di soffrire. Un salto difficile da compiere, soprattutto per lui.

Nello stesso momento in cui cogitava su questo, avvertì la mano di Francesca stringere la sua, in modo da intrecciare le rispettive dita. Trasalì a quel contatto, non aspettandoselo, mentre il maledetto cuore accelerò di colpo, come se avesse deciso lui, al posto del suo cervello, di mettersi in gioco.

“Sai… anche io vorrei costruire qualcosa con te. Con i giusti tempi, certo, ma qualcosa di duraturo. Ho preso questa decisione già da un po’!”

“Eeeh… eeeeeeeh! - si ritrovò a fare versi inconsistenti sentendosi divampare – A… anche io, sai? Ma... non so come si fa, diavolo! Il mio… il mio passato, devo essere sincero con te, per prima cosa...”

“Con i giusti tempi, ho detto! - lo bloccò lei, facendogli l’occhiolino – Deathy, non c’è alcuna fretta di rivelarmi di cosa ti sei macchiato nella tua vita. Quando ti sentirai pronto me lo racconterai, per il momento ho solo bisogno di sapere una cosa indispensabile per me...”

Tacque un attimo, inspirando ed espirando profondamente. Il sole cominciava a toccare l’orizzonte, arrossando il cielo, il mare e i loro visi, già tremendamente paonazzi.

Il fatto di non avergli chiesto subito gli altarini passati lo tranquillizzò un po’ e insieme lo appesantì un poco, perché il fatto di non rivelargli niente non dipendeva solo da lui, anzi, c’era il concreto timore che qualcun altro lo potesse fare al posto suo, distruggendo tutto. Quella persona aveva nome e cognome e stanziava all’undicesima casa del Santuario.

“E con il ghiacciolo come facciamo? Lui non approva il tuo interessamento per me, se dovesse uscire il discorso tra voi non esiterebbe a raccontarti il mio passato, e tu potresti… ed io potrei… - si fermò un attimo perché tremava, come un poppante. - Potrei perderti!” concluse in un respiro, ingoiando a vuoto.

“Di Camus non preoccuparti, se avremo occasione, ci parlerò io ed anche se mi dovesse rivelare qualcosa io non crederò ad altri che a te, intesi?” affermò, sorridendo raggiante.

Però tremava anche lei.

Fantastico! Entrambi sembravano due citrulli alla loro prima cotta, sballottati dalle emozioni, dagli ormoni, quello che fosse quell’immensa forza che spietatamente li soverchiava. Il percorso di prefiggeva irto e tortuoso come il peggior nemico; altro che il mago da strapazzo!

“Ho solo bisogno di sapere una cosa...” ripeté, cupa.

“E ora cosa… perché hai assunto quell’espressione così tagliente? Mi spaventi!”

Sì, il Grande Death Mask era spaventato, impaurito fino ai recessi dell’anima. Lui che, non solo era morto due volte, ma aveva pure affrontato pericoli inimmaginabili. Ecco, in quel momento barcollava nel buio, senza più idea di dove indirizzare la zavorra che era diventata la sua vita dopo aver sperimentato il buio degli inferi e la pace, si faceva per dire, della morte. Davvero la Nera Signora era così?! Davvero chi moriva non faceva altro che soffrire ancora di più nel Cocito, o chissà dove?!? Se solo lo avesse saputo… se solo lo avesse scoperto prima, forse non sarebbe stato così sconsiderato con gli altri…

“Tu cosa provi per me? - domandò Francesca a bruciapelo, voltandosi totalmente nella sua direzione – So che te l ho già chiesto, ma vorrei lo ripetessi in questo momento, mentre i nostri volti sono così vicini”

Cosa provava per lei?! Era facile sentirlo, un po’ meno esplicarlo a parole. Si ritrovò di nuovo a reputarsi non dissimile dal tanto esacerbato Camus, ed era paurosamente irritante sentirsi accomunato, quasi fraterno, proprio a lui.

Si prese un po’ di tempo prima di rispondere, guardando distrattamente il profilo del mare davanti a sé, una immensa distesa di blu tra l’azzurro arrossato del cielo e il marrone verdino della terra. Poco dopo si voltò nella sua direzione, serio come non mai, spaventando quasi Francesca che non gli aveva mai visto una espressione così. Si avvicinò a lei, guardandola in viso.

“Vuoi sapere cosa provo io per te? E allora… chiudi gli occhi!”

Francesca ebbe appena il tempo di fare quanto chiesto che si ritrovò ben preso le labbra bollenti di lui a ricercare, con un pizzico di urgenza, le sue, delicate e rosee. Ebbe appena il tempo di sentirne il sapore di salsedine del Mediterraneo, prima di perdere il contatto con la realtà, aggrappandosi a lui con impeto mal celato e finendo così ambedue a terra.

 

 

* * *

 

 

2 settembre 2011, pomeriggio

 

 

Settembre aveva varcato la soglia, ma con lui non l’alta pressione atmosferica che, da un paio di giorni, lambiva le coste della Grecia, portando una nuova e più intensa sensazione di afa.

L’undicesima casa era il luogo più fresco del Grande Tempio, merito ovviamente del suo sacro custode e del suo niveo cosmo che portava refrigerio agli abitanti del tempio. Tuttavia, persino per Camus, anzi, forse proprio perché così annesso alle lande della Siberia Orientale, il caldo così rovente era un nemico assai difficile da sconfiggere. Si era appena messo una canottiera nuova, e già era sudato come un maratoneta che avesse appena compiuto innumerevoli chilometri per arrivare al traguardo. La sensazione di bagnato umido sulla pelle era quanto di più fastidioso potesse mai provare, così come l’aria che respirava e che sentiva bollente dentro i polmoni. In più, tutto quel sudore, infiammava ancora di più le tre ferite sul petto che, finalmente, incominciavano a rimarginarsi, malgrado il caldo le ostacolasse non poco.

Camus dell’Acquario sospirò e, dopo aver scoccato una breve occhiata a Marta, sita su una sedia a guardare con espressione vuota dalla finestra, tornò a concentrarsi sulla famigliare copertina del libro, fissandola con un pizzico di astio.

Non avevano più parlato, fratello e sorella, inutile farlo. Era lampante che Marta mantenesse le distanza non solo con le sue amiche ma anche e soprattutto con Camus, decidendo arbitrariamente di non rivolgergli neanche parola, se non lo stretto necessario. Era quindi inutile provare a rompere quel muro, non ce l’avrebbe fatta, soprattutto perché, quel muro, era causato proprio da lui, sforzarlo l’avrebbe solo fatta soffrire di più.

Tuttavia Camus aveva un cocente bisogno di starle, in qualche modo, vicino, se non a voce con la sua sola presenza. Andava spesso nella stessa stanza in cui vi era la sorella, sedendosi semplicemente nelle vicinanze senza proferir parola. Marta, dal canto suo, pur non spiccicando frasi, non si allontanava affatto, portando Camus a continuare a comportarsi così, figura presente ma silente.

In verità lui per primo avrebbe voluto fare qualcosa in più per lei, ma non poteva, ed era terribile. Il tremendo senso di impotenza si faceva sempre più pressante, svegliandolo anche di notte in preda agli incubi. Se non avesse fatto qualcosa di più sostanzioso, l’avrebbe persa, ne era tremendamente consapevole, ma… che fare, quando tutte le strade gli erano precluse?!

Vinto da quell’esasperante sensazione di essere un fallimento come fratello, quella mattina, guidato quasi dalla disperazione, si era diretto verso la biblioteca, spolverando gli scaffali alla ricerca di un qualche indizio, un qualche segno che avrebbe potuto far tornare il sorriso a Marta. Non lo aveva trovato, ritrovandosi ben presto a parlare direttamente al Dégel racchiuso nella sua anima, nella qualche fievole speranza di trovare uno sfogo a quell’immenso peso che lo soffocava.

 

Dégel… ciò che hai lasciato in Marta è una voragine incolmabile e densa di disperazione, nessuno di noi può nulla, la stiamo perdendo… ineluttabilmente! Non so più cosa fare, non riesco a riscuoterla, né ad afferrare la sua mano che, precedentemente, ha sorretto la mia nel momento del bisogno. Posso… posso qualcosa in una simile situazione?! Se solo… solo avessi una pista da seguire per farla stare meglio, io… non esiterei a percorrerla!

 

Il segno non c’era ovviamente stato, però, in quell’attimo, un libro era caduto dallo scaffale vicino ai suoi piedi, portandolo così a chinarsi per raccoglierlo e rimanendo quasi folgorato nel capire di cosa si trattasse realmente. Quel libro era lo stesso che maneggiava da più di un’ora tra le dita: il Fedro di Platone, il medesimo che, nel 1741, aveva, per la prima volta, unito Dégel e Camus. Perché proprio in quel momento?! Quel volume, creduto perso nel marasma degli scaffali, era improvvisamente ricomparso!

I fantasmi non esistevano, di questo Camus dell’Acquario era più che sicuro, a maggior ragione sapendo perfettamente che l’anima di Dégel in quel momento era la sua; non restava che condurre tutto al caso, ma poteva il solo caso portare a quella coincidenza? Tra tutti i volumi polverosi celati dalla biblioteca proprio quello?!?

Più si sforzava di venirne a capo più non riusciva a sbrogliare il filo della matassa.

In quel momento giunse, dalla porta dell’entrata, Michela che, con andatura impacciata, si avvicinò al suo maestro. Camus la vide con la coda dell’occhio, pertanto decise di lasciare sulla sedia il libro per prestarle la massima attenzione. Percepiva un vago senso di imbarazzo e di inquietudine in lei, se ne preoccupò non poco.

“Che succede, Michela? Non eri fuori con Francesca?”

“Uh, sì, Maestro, però vedi… dovrei chiederti una cosa...”

Il suo tono non le era proprio, Camus si acciglio, domandandosi, ancora una volta, cosa fosse accaduto. Persino Marta, nell’angolo della stanza, non vista, si riscosse un attimo nell’assistere ai comportamenti inspiegabili dell’amica.

L’Acquario si avvicinò ulteriormente, posando le mani sulle spalle della giovane allieva. Non voleva affrettare le cose, né incalzarla, ma la sua testa continuava a domandarsi cosa potesse essere accaduto per rendere Michela così remissiva malgrado la sua natura più che esuberante.

Finalmente, dopo qualche secondo, l’allieva trovò il coraggio di esporre la domanda che le dilaniava il petto da giorni. Lo fece fissando il suo sguardo in quello dell’insegnante.

“Maestro, come si fa… l’amore?”

Gli occhi di Camus si spalancarono, le guance si chiazzarono immediatamente di varie tonalità di rosa gino a giungere, sugli zigomi, ad una pennellata di rosso. Tuttavia non abbassò lo sguardo.

“M-Michela, stai scherzando o stai domandandomelo seriamente?”

Gli uscì un tono più freddo del dovuto, non avrebbe voluto. Tuttavia la domanda lo aveva colto totalmente impreparato.

“Sono serissima, Maestro, Hyoga ed io...”

“Non state insieme che da pochi mesi...”

“Oh ma non subito, eh, è che volevo sapere qualcosa in più su come farlo per… per dopo!”

“Michela… non fate 35 anni in due e vieni a chiedere a me simili cose?!”

“Ma, Maestro, a gennaio faremo entrambi 17 anni, a quel punto saremo abbastanza grandi, no?!”

“Per Atena, dove sono capitato! Perché ora, questa curiosità?!”

Si allontanò bruscamente dalla giovane allieva, tentando di nascondere l’imbarazzo crescente. Nessuno gli era mai venuto a chiedere una simile cosa, neanche quello svampito di Milo quando, in giovane età, si era preso una ‘svalvolata’ per una ragazza più grande di lui che abitava sull'isola di Milos. Pensava, o meglio, aveva sempre pensato, che si capisse; che si capisse che lui e il cosiddetto amore non avessero nulla da spartire, ragion per cui nessuno si sarebbe mai sognato di chiedere delucidazioni sull'argomento. Nessuno a parte Michela. A quanto pareva, l’allieva aveva appena disintegrato questa sua certezza, mettendolo in una situazione di grande disagio.

“Maestro… quindi?” lo incalzò Michela, imbarazzata ma, come sempre, insistente.

Camus sospirò pesantemente, tornando a concentrarsi sull'allieva più piccola nel tentativo di scacciare maldestramente quella sensazione sgradevole. Si sentiva un vero e proprio fuoco sulle guance, mostrarlo lo rendeva vulnerabile, e lui non era affatto abituato.

“Michela, ti do un consiglio: non so come la pensi Hyoga, ma è meglio se te la fai passare. Potete stare insieme certo, ma… ma queste cose no, cioè... non ora, almeno!”

“Maestro Camus, io mi rivolgo a te perché sei la figura più simile ad un padre che abbia mai avuto, per questo io…” biascicò lei, ricominciando a torturarsi le mani per calmarsi un pochettino. La discussione non stava andando proprio come avrebbe voluto. I profondi occhi indagatori del mentore la mettevano ancora più a disagio.

“Se… se davvero lo pensi, dovresti anche sapere che sono la persona meno indicata per questi discorsi. Non si è mai sentito di un genitore, ancora di più se maschio, che affronti questi discorsi imbarazzanti con la figlia!”

“Io veramente… - intervenne inaspettatamente Marta, emergendo dal fondo della stanza nel momento meno indicato – Non avrei problemi a parlarle con mia madre e, penso, se avessi avuto un padre normale, neanche con lui!”

Michela sussultò nello scorgere la figura dell'amica, mormorando un: “Marta, allora c’eri anche tu!”, nello stesso momento in cui Camus si massaggiava teatralmente la fronte con la mano sinistra, imprecando tra sé e sé. Sua sorella taceva per gran parte del tempo da quando erano tornati, combinazione, l’unica volta che aveva scelto di aprirsi al mondo intorno a lei, era per metterlo brutalmente in difficoltà.

Come se non bastasse, si stava avvicinando a loro, un leggero sorriso amaro a solcarle le gote. Era desiderosa di continuare ad esprimere il suo pensiero.

“Maestro Camus… - iniziò, e all'interpellato non piacque per niente quel modo così distante di chiamarlo – Se Michela si è aperta a te significa che di te si fida. Per quanto tu sia visibilmente la persona meno indicata per parlarne, ce ne rendiamo conto, credo, tutti, è giusto che tu le riferisca la tua opinione, anziché troncare sul nascere un’occasione di confronto!”

“Molto bene, Marta… e dopo questa tua interferenza non richiesta, puoi anche tornare in camera tua e lì rimanerci!” ribatté Camus, visibilmente offeso da… da cosa, poi? Dalla presa di posizione della sorella, dal suo modo di esprimersi verso di lui, o dall'essere stato messo all'angolo?

In ogni caso, se non la solita presa grintosa di posizione, si sarebbe aspettato almeno una lamentela, una occhiataccia, o qualcosa di simile, invece Marta si limitò ad annuire leggermente con la testa, sparendo poi nell'ombra dell’undicesima casa. Camus dell’Acquario si ritrovò a sospirare per l’ennesima volta, sarebbero mai riusciti a parlare? Per il momento avrebbe dovuto risolvere la questione con Michela. Una cosa alla volta, passo per passo…

“Michela, chiariamo un punto importante per prima cosa: gli adepti della dea vergine Atena devono rimanere casti anch'essi, questo dice il regolamento. Hyoga è Cavaliere del Cigno, in quanto fedele alla dea, è tenuto a rispettarne la legge al pari degli altri!”

Michela strabuzzò gli occhi, sconvolta da quella rivelazione inaspettata, effettivamente non le era mai passato per la testa che potesse esistere un simile impedimento tra lei e i suoi propositi.

“Cosa?!? Solo perché siete protettori della giustizia dovete rinunciare ad una fetta importantissima della vita di una persona?! E’ assurdo, Maestro!”

“Giusto o sbagliato che sia, questa è la legge!” affermò brevemente Camus, credendo di aver concluso finalmente quel discorso imbarazzante. Effettivamente Michela rimase in silenzio… per tre o quattro secondi al massimo, prima di giocarsi un’altra carta.

“Ho capito, Maestro, ma non credo che gente come Milo e Death Mask abbia rinunciato al piacere solo perché Cavalieri, e anche Atena potrebbe modernizzarsi un po’, non siamo più in Antica Grecia!”

“Michela, quel che dici è la quintessenza del profano, puoi asserirlo solo perché fuori dal sistema legislativo del Santuario. Se fossi stata un Cavaliere, avresti potuto passare grossi guai. Ciò che hai affermato è passibile di denuncia!” la avvertì Camus, leggermente infastidito.

Michela decise di andare ancora di più sul sodo, non disposta a perdere quella battaglia contro il proprio maestro.

“So per certo, perché me l’ha detto Sonia, che Milo non è più vergine! Lo stesso si può intuire da altri componenti della cerchia dorata, senza andare a scomodare i Cavalieri d’argento o di bronzo! - esclamò, punta sul vivo – Eppure gente come Milo, appunto, esegue i suoi doveri in maniera impeccabile, malgrado la perduta verginità. Ciò significa che deve essere possibile fuggire da questo regolamento in qualche maniera!”

“Milo era giovane e inesperto quando successe… è stato un errore di gioventù!”

Un errore ripetuto, in verità, ma quelli erano dettagli!

“Ma è accaduto, vero?”

“Questo non ha la benché minima importanza!”

“Sì, che la ha, perché significa che le regole sono suscettibili di variazione senza conseguenze gravi sulla persona. In sostanza, non hai nulla di cui preoccuparti per me, Maestro! Se Milo e Death Mask si sono sentiti liberi di osare, da quel punto di vista, non dovrebbe essere un problema neanche per me e Hyoga, se lo vorrà!” affermò la giovane allieva raggiante, sorridendo trionfalmente.

Camus sospirò sonoramente, non c’era verso di far ragionare quella ragazzina cocciuta che, giustamente, all'età di sedici anni, sperimentando il primo amore così intenso, era desiderosa come non mai di fare nuove esperienze.

Ecco uno dei tanti problemi di avere delle allieve praticamente già formate, rimuginò fra sé e sé, affranto. Chissà invece Hyoga cosa ne pensava, di sicuro anche lui, pur prendendo più tempo per sua natura, desiderava ardentemente saggiare quella parte della vita di una persona. Non li avrebbe potuti fermare, malgrado ne fosse contrario.

“Michela… fai un po’ quel che credi! Il mio punto di vista te l’ho fatto comprendere. Quando e se succederà, abbi almeno l’accortezza di non venirmelo a dire, come invece hai fatto oggi. E’ tutto!” si congedò velocemente, sconfitto, dandole le spalle.

Era una sensazione strana da concepire, non erano cose di cui avesse pertinenza, eppure… eppure il solo pensare che l’allieva più piccola volesse fare, o anche solo valutare, quel grande passo, gli provocava una netta sensazione di disagio. Era inesplicabile. Di allievi maschi ne aveva avuti assai, due quelli rimasti nel cuore, ma non sarebbe mai stato così protettivo con loro, mai, perché sentiva che non sarebbe stato necessario. Tuttavia con le nuove allieve femmine il tutto era ribaltato: doveva addestrarle a combattere, ad uccidere il nemico senza esitazione, ma una parte di lui non voleva, non voleva che si sporcassero così la coscienza. Desiderava proteggere, da ogni cosa, che fossero felici, più come avrebbe voluto un padre che non un vero e proprio maestro. Ed era totalmente sbagliato questo suo modo di approcciarsi a loro, ne era consapevole. Si ritrovò a rimproverarsi un qualche tipo di sessismo che lo deviasse dai suoi compiti. Si ritrovò a sentirsi più umano e, se dal punto di vista antropologico, non vi era nulla di scorretto in quello, lo era invece per il suo rango di Cavaliere. Un Cavaliere doveva sapersi elevare al di sopra degli uomini, non erano mai state ammesse mezze misure. Elevarsi per proteggerli, per proteggere la giustizia, non rammentava più quante volte lo avesse ripetuto a Hyoga e, in quel momento, non vi era più nulla di quei passati precetti in lui, le allieve lo avevano destabilizzato del tutto, rendendolo più umano, più fragile. Era stato forse un ipocrita?!

“Maestro, posso chiederti ancora una cosa?”

I passi di Camus si arrestarono, mentre il suddetto, radunando tutta la pazienza che gli era propria, si voltò leggermente verso di lei.

“Cosa c’è di nuovo, Mich...”

“Ma quindi tu… sei ANCORA vergine?”

Una domanda senza il minimo di pudore, tipica di lei. Camus non rispose, ma lo sguardo che le rivolse, volgendosi interamente nella sua direzione, era stato più che esaustivo. L’allieva sussultò pesantemente, nuovamente imbarazzata, poco prima di grattarsi la testa a disagio. Aveva solo inarcato un sopracciglio con fare perentorio, mentre le pupille erano guizzate su di lei, franche, ma riconosceva fin troppo bene quell’espressione da “ma che razza di quesiti poni?!”

“No, è che… chiedevo! Sei così bello, Maestro, mi è difficile pensare che non hai mai combinato nulla con nessuna. Mi pare impossibile!”

“Addestro giovani ragazzi dall'età di 13 anni, non ho mai avuto il tempo per approcciarmi a queste cose, inoltre...”

“Ma, Maestro, neanche con... Seraphina?”

Ecco dove Camus non voleva arrivare. Accusò malamente il colpo ma fu abile a celarlo, inghiottendo saliva a vuoto.

Seraphina era una ferita non ancora risanata, anzi, trattata con il sale per impedire che l'infezione potesse dilagare a tutto l'organismo e, proprio per questo, bruciante come una ustione. Faceva ancora tremendamente male.

"N-no!" abbozzò a stento, guardando altrove, lontano dallo sguardo indagatore della giovane allieva che era insostenibile per lui.

"Neanche dopo... dopo quel primo approccio che..."

"NO!" ribadì ancora Camus, stavolta in tono ben più deciso, lanciandole un'occhiata di avvertimenti, di fermarsi lì, di non andare oltre. Sapeva a quale approccio si stava riferendo, sio vergognò ancora una volta di essere stato beccato nel pieno di effusioni che, molto probabilmente, solo due ragazzetti alla loro prima cotta avrebbero potuto sperimentare. Avvampò.

"Oh, mi... mi dispiace, Maestro, eravate una bella coppia, e...

"Michela, basta così, non... non è successo nulla al di là di quello, ed è... è stato un mio errore dettato dalla debolezza e il bisogno di conforto di quel momento! - ribatté deciso, sebbene il solo catalogare ciò che era stato tra lui e Seraphina in quel modo ingrato e quasi spregevole gli costasse molto. E, in più, stava anche mentendo. Tossicchiò nervosamente - Avevo, e ho tutt'ora, dei doveri che travalicano fortemente i divertimenti di questo tipo. Non mi interessano le scelte degli altri, sono liberi di fare ciò che più gli aggrada, le vite sono le loro nel rispetto degli altri. Io ho scelto la mia strada, ed è questa!” affermò, facendo per andarsene e lasciare così l’allieva, rossa porpora a sua volta, basita.

"L-la solitudine?! E' q-questa la tua scelta?" si oppose un'ultima volta, non capendo le motivazioni di una tale riottosità su quell'argomento.

"Sciocca, io non sono solo! - disse lui, fermando momentaneamente il suo cammino per girarsi verso di lei e sorriderle - Io ho voi!" si lasciò sfuggire, a bassa voce, prima di uscire dalla stanza.

Era vero, lui aveva loro, tutti loro, che gli ricordavano costantemente, chi in un modo e chi nell'altro, quanto bello e gioioso fosse vivere. Eppure una punta del suo cuore, alla base del ventricolo sinistro, doleva in continuazione e, talvolta, dava perfino fitte, ricordandogli, per l'ennesima volta, quanto pesante potesse essere il peso di una scelta. Ripensò ancora una volta alla sorellina, che stava attraversando la sua stessa sofferenza e che, nonostante questo, non riusciva comunque ad aiutare.

 

 

11 settembre 2011, mattina

 

 

Francesca si stiracchiò come un gatto, mentre, ancora assonnata dalla notte precedente, si alzò pigramente dal letto. Quel giorno e il precedente erano stati sospesi gli allenamenti, anche se Camus non ne aveva ancora spiegato la motivazione, così lei aveva colto l’occasione per uscire la sera precedente con Death Mask, passeggiando per mano per le vie illuminate della città come avrebbe fatto qualsiasi loro coetaneo che si approcciasse ad una nuova relazione con il piglio e la curiosità tipica di due ventenni in un mondo tutto da scoprire. Per grazia ricevuta, il Cavaliere del Cancro non si era più affidato all’amico Aphrodite per valutare il proprio abbigliamento, preferendo utilizzare il consueto look da ‘cazzone’, come lo definiva lui stesso, costituito da una canottiera nera, larga, e da dei pantaloni rossi. I capelli ribelli erano stati tenuti al naturale, menomale, perché con la lacca non si poteva proprio guardare!

Era stata una placida ma splendida serata, dove le preoccupazioni e i doveri di entrambi erano stati ricacciati indietro a forza. Francesca era tornata tardi, sgattaiolando nell’undicesima casa e poi in camera sua senza farsi vedere. Non aveva incontrato nessuno, così poté tirare un sospiro di sollievo, pensando di essere riuscita a fare tutto di nascosto; almeno fino alla mattinata successiva!

Quando scese le scale e varcò la cucina, infatti, qualcosa negli occhi di Camus le fece capire la sua neanche tanto velata disapprovazione. La sentì su di sé, mentre, facendo finta di nulla, si concentrò sulle proprie amiche, sedute al tavolo a mangiare. A onor del vero, Michela trangugiava brioches come se non ci fosse un domani, mentre Marta beveva una tazza di latte, mangiucchiando due biscotti per pietà, giusto per far piacere a suo fratello. Si avvicinò cautamente proprio a quest’ultima per provare, nuovamente e per la milionesima volta, a riscuoterla da quello stato emotivo che si portava avanti da quasi un mese, ma il Maestro Camus, desideroso di esprimere il suo disappunto crescente, bloccò sul nascere qualsiasi altra interazione:

“Ieri sei tornata alla Casa dell’Acquario parecchio tardi, Francesca...” proferì in tono tagliente, alzandosi in piedi di scatto e riponendo la tazza di tè, ormai vuota, nel lavandino.

“Uh… eh… forse! - balbettò lei, tesa. Aveva capito dove voleva andare a parare, ma non si sarebbe arresa senza prima aver combattuto – Maestro Camus, mi stupisci, ero convinta che fossi a dormire, perché non ho beccato nessuno in cucina”

“Ero in biblioteca”

“Ah...”

Fantastico, davvero! Camus si trovava in biblioteca quando lei era tornata la notte precedente, probabilmente l’aveva aspettata fino a tardi e lei, tonta, una volta superata la cucina, aveva abbassato la guardia, incauta.

“Mi piacerebbe chiederti con chi ti frequenti, ma purtroppo lo so già...” proseguì lui, assottigliando lo sguardo verso l’allieva più grande.

C’era aria di tempesta, si poteva presagire il vento soffiare prima dell’affacciarsi del temporale. Per questo motivo Francesca rimase in silenzio, tentando di rimanere il più calma possibile. Tuttavia le sue dita si strinsero automaticamente a pugno. Come accadeva di consueto, Michela colse l’incentivo per intervenire in quello che, probabilmente per lei, era un tentativo di riappacificazione degli animi… destinato però ad andare in malora per colpa della sua stessa ingenuità.

“Maestro, che la nostra Fra e Death Mask si frequentino non è assolutamente una novità! Una volta li ho visti, si tenevano la mano e parlavano animatamente, credo sia stato quando hai chiesto a Francesca di andare a fare la spesa ad Atene, ha colto l’occasione per vedersi con il suo moroso. Che cariniiii!!!”

Francesca istantaneamente avvampò, vergognandosi di essere stata beccata in una simile situazione intima, Camus invece si rabbuiò ulteriormente, la tensione del filo che si spezza. Guardò torvamente Michela prima di tornare a concentrarsi sull’altra allieva.

“Quindi… mi confermi che, come già immaginavo, hai fatto in modo di tenermi all’oscuro la frequentazione con Death Mask per timore della mia reazione? - la incalzò Camus, secco – Significa quindi che sai esattamente come la penso e che, nonostante questo, ti sei impuntata comunque su di lui!”

Nella cucina cadde un silenzio pesante, denso e snervante. Non c’era dubbio: da una situazione simile sarebbe emerso un solo vincitore.

“Sì, è così, mi frequento con Deathy e, per quanto possibile, cerco di tenerlo nascosto a te. Non sono scelte che ti competono, Camus!” soffiò Francesca, per la prima volta veramente iraconda.

Michela e persino Marta sussultarono sul posto, percependo pulsare le emozioni della loro amica che, contrariamente a quanto stava accadendo, tentava di tenere sempre a freno. Quando ciò succedeva, era tremendo, non ci sarebbe stato scampo per nessuno.

La reazione, dall’altra parte, non si fece attendere.

“Ragazzina, intanto abbassa il tenore della tua voce quando ti rivolgi a me, e poi… sei davvero consapevole della persona che ti sei scelta?! Conosci il suo passato?!”

“No, e non mi interessa scoprirlo prima del tempo. Io ho scelto Death Mask per come è ora, non mi frega del suo passato, né tanto meno mi interessa di apprenderlo da te che sei prevenuto! - ribatté lei, fremendo – Prevenuto malgrado sia Michela che Marta che Sonia siano qui sane e salve anche grazie a lui”

“Per questo, solo per questo, tu...”

“NO! Ma dovresti dimostrare un minimo di gratitudine, Camus!”

Un vero e proprio grugnito sfuggì dalle labbra di quest’ultimo, ormai libero di manifestare la rabbia e la disapprovazione nel pieno delle loro forze. La temperatura della stanza scese di qualche grado, così accadeva quando permetteva alle sue emozioni di rompere gli argini. Due entità genuinamente contenute e calme stavano per traboccare. Lo spettacolo era insolito.

“Ohi! Ohi! Ho come l’impressione di aver peggiorato le cose!” si colpevolizzò Michela, cercando sostegno nello sguardo di Marta.

“Lo hai fatto, infatti, ma sei comunque intervenuta per aiutare Francesca, quindi non hai nulla di cui scusarti!”

“Uffi, io volevo evitare l’inizio della Terza Guerra Mondiale, invece l’ho accelerato!”

“Allora, in tal senso, la prossima volta, non intervenire, Michela, perché hai il sacro dono di peggiorare una situazione già incrinata!”

Provò a buttarla sul ridere Marta, stemperando la tensione.

“Ma che cattiva! Non sono io che faccio arrabbiare sempre Camus quando apro bocca!”

Marta trasalì, arrossendo un poco. Era vero. Soprattutto in quell’ultimo mese era stata sempre e solo lei la causa dell’irrequietezza che si respirava nell’undicesima casa; e la cosa più terribile era che la sentiva pulsare, non potendo fare comunque nulla per alleviarla.

“E’… è un discorso complesso, Michela...” sussurrò, a capo chino, prima di essere investita dal ciclone Camus.

“VOI DUE! Se avete da chiacchierare così tanto animatamente, uscite fuori da questa stanza!”

Michela rabbrividì, rizzando la schiena e stringendo il braccio di Marta in cerca di protezione. Da arrabbiato il Maestro Camus faceva tanta paura, nessuno avrebbe potuto opporsi. Nessuno eccetto Marta che, anche capendo la situazione, aveva il sacro dono di affrontare suo fratello a testa alta, nonostante il farlo sarebbe equivalso al suicidio.

“Scusami, ma non ne ho voglia di andarmene quando siete voi a fare casino!” ribatté con coraggio e un poco di alterigia.

Michela e Francesca, quest’ultima ancora intenta ad affrontare Camus, la guardarono con terrore, non sapendo se apprezzarne la risolutezza o cos’altro. Inutile dire che la temperatura della cucina scese ancora di qualche grado, perché se c’era qualcosa che proprio l’Acquario non tollerava, oltre che di allievi che si ribellavano, era proprio la risposta sempre pronta di sua sorella quando si rapportava a lui. Se ne sentì calpestato.

“Marta… fila via prima che finisca di contare mentalmente fino a tre, o...”

Lo sguardo che gli rivolse fece indietreggiare persino Marta che, dopo giorni e giorni, si ritrovò a fissarlo in volto, austero come non mai. Era ben al di là di quello che era stato Dègel, non c’era dubbio!

Michela colse la palla al balzo per sfuggire da quella stanza diventata ormai troppo fredda per i suoi gusti. Strattonò Marta verso la porta, desiderando di farsi piccola piccola e, lentamente, sparire.

“Sì, bene, noi andiamo e… Buona fortuna, Fra!” si congedò, sgattaiolando via con l’amica appresso ancora intontita dalla faccenda.

Camus si intiepidì un poco, sentendosi più tranquillo dal fatto che sua sorella aveva lasciato quella stanza, permettendogli così di rilassarsi un minimo. Avercela lì appresso avrebbe solo peggiorato le cose, provocandogli un senso di inadeguatezza che avrebbe minato la conversazione con Francesca, ancora sul chi vive. Quel discorso meritava un adeguato approfondimento e affrontarlo a quattr’occhi era la soluzione migliore.

“Francesca… - riprese con più calma, non mancando di sottolineare comunque, nel tono di voce, la sua disapprovazione costante – Tu dici che non sai nulla del suo passato, né che ti interessa, ma un uomo si conosce soprattutto per le azioni che ha svolto in vita, NON a parole! Le parole confondono e danno una idea fallace dell’individuo, ingannano, e tu, ho paura, stai cadendo in un grave errore!”

“Vuoi forse dire che non ho capacità di giudizio, Maestro Camus? Ho quasi 21 anni, in questa vita, e, prima di questa, ho vissuto già numerose volte, mantenendone il ricordo!”

Il ritorno della parola ‘maestro’ era segno del rientro ad un’apparente situazione di tranquillità, ma il tono utilizzato, nonché la frecciatina che aveva lasciato trapelare, bastarono a Camus per comprendere che il clima era tutt’altro che conciliabile.

“Dico che l’innamoramento di cui sei vittima può offuscare le tue capacità” ribatté, torvo, assottigliando nuovamente lo sguardo.

“Ah, certo, di nuovo questa solfa, già utilizzata con Marta quando si stava innamorando di Dègel. Ma sai, Camus, lei è tua sorella, ci può anche stare la tua apprensione, ma non con me che sono quasi tua coetanea. Non ci passano che meno di due anni fra noi, un’inezia! Posso capire il tuo timore nei confronti dei sentimenti, soprattutto dopo quello che ha passato la tua precedente vita, ma non puoi impormi la tua visione! Io sono rinata umana per provare tutto questo!” esclamò veementemente Francesca, percependo di nuovo la rabbia in lei.

“Certo, ed io che sono un uomo non sono fatto di sentimenti, no, mi diverto a dirvi di avere prudenza verso di essi, neanche sapessi cosa comporta il provarli! - ironizzò l’Acquario che, per esperienza, le poche volte che lo faceva significa che la situazione stava davvero sfuggendo di mano – Tu, Michela e persino Marta, ogni volta che mi volete attaccare e non sapete come fare puntate su quello, sui sentimenti, evidentemente mi percepite come un’automa o solo Atena sa cosa. Non ci pensate, no, che io mi approccio così a voi proprio perché sono consapevole dell’immensa mareggiata che comporta il provare le emozioni. Secondo voi mi diverto a continuare a ripetervi di bandirle o, quantomeno, tenerle a freno, evidentemente vorrei dei robot e non delle allieve!”

Si era offeso, di nuovo. Accadeva spesso in quel periodo, impossibile capire se per quanto aveva patito, e continuava a patire, in quegli ultimi mesi o per chissà cos’altro.. Quel che era certo, era che si sentiva costantemente messo alla prova e, cosa ancora più terribile, aveva l’atroce consapevolezza di non poter vincere quella sfida. Francesca percepì tutto questo, ma decise di non demordere; lei, abituata a lasciar perdere per acquietare gli animi, si trovava invece desiderosa di surclassare in quel raffronto mastro-allieva. La questione era troppo importante per lei.

“Noi vediamo solo quello che ci mostri, Maestro, se ogni volta che si parla di sentimenti vai in paranoia e ci gridi di mantenere il sangue freddo, quello sembri, anche se non lo sei per davvero!”

“Ah, quindi sono un gran paranoico, secondo te… in tanti anni come insegnante, mai, MAI, qualcuno mi ha detto una cosa simile!”

La temperatura si abbassò ulteriormente, tanto che Francesca rabbrividì. Farlo ragionare era diventato impossibile, tanto che pensò di andarsene e mollarlo lì in piedi, non prima però di averlo mandato a rivedere le sue priorità senza se e senza ma.

“Se in tanti anni di allenamento nessuno ti ha mandato a quel paese per come ti atteggi, devi avere avuto compagni, e allievi, ben pazienti. Sei stato fortunato, Cam, peccato che noi non siamo così, men che meno io. Tanti saluti!” la buttò lì Francesca, in un tono che ricordava paurosamente il Cavaliere del Cancro.

Girò i tacchi e fece per andarsene, desiderosa di sbollire la rabbia, ma neanche Camus sembrava intenzionato a perdere quel confronto, per cui, senza scomporsi, tirò fuori l’ultima carta, la più terribile.

“Fai quello che ti pare, ma sappi che il tuo beneamato Death Mask, in passato, non ha esitato ad uccidere chiunque si trovasse nei pressi del campo di battaglia, donne o bambini che siano. Sì, li ha barbaramente massacrati!” aggiunse, in apparente tono indifferente, vedendo l’espressione di Francesca farsi sempre più sconvolta.

“C-cosa?!?”

Non ci poteva credere, Camus aveva davvero colpito così a tradimento? Davvero aveva sfoderato quella carta, solo per vincere il raffronto e sperare quindi di farle cambiare idea. Era la viltà all’ennesima potenza!!!

“Oh? Effettivamente mi avevi detto che non ne sapevi niente del suo passato… - proseguì l’Acquario in tono leggerissimamente canzonatorio - Però avresti dovuto aspettarti di tutto, ragazza, non è, in fondo, anche questo parte dell’amore? Accettare tutto dell’altro?! Ora lo sai!”

“V-VILE!!! - gridò lei, furibonda, avvicinandosi a lui come un tornando. Alla fine ci era riuscito, ci era riuscito a farle perdere il controllo, degno del suo migliore amico Milo, che pungeva come uno Scorpione. Aveva imparato bene. – Questo è un fottutissimo colpo basso, Camus!!!” implose, fuori di sé.

“Se ti sei risentita così tanto… prenditela con la tua inesperienza, sentimentalmente parlando!”

La continuava a provocare, il disgraziato!

“NO, io mi arrabbio perché tu metti il becco nei fatti miei! Aveva ragione Death Mask, aveva ragione: hai svuotato il SUO sacco prima che potesse farlo lui, ma sfortuna per te ci eravamo premuniti contro questa eventualità, crederò solo alle sue parole!” gridò ancora Francesca, fronteggiandolo faccia a faccia.

“Buon per te...”

“Per il resto, fatti gli affari tuoi, Camus, lasciaci in pace come fai con Michela e Hyoga, liberi di amarsi come meglio credono!”

“Non è esattamente così, perché quel che penso l’ho detto anche alla tua amica, ma in ogni caso stai mischiando capra e cavoli, ragazza! Hyoga lo conosco da anni, l’ho cresciuto io, conosco il suo temperamento e la sua più intima natura, di lui mi fido. Death Mask invece è un assassino, malgrado sia nettamente migliorato da allora, e pentito, non posso pensare minimamente che una mia allieva voglia stare con un tipo simile, non mi posso fidare di lui a tal punto!” tentò di spiegare Camus, chinando leggermente il capo nel vedere l’allieva così iraconda. Voleva provocarla, era vero, ma non fino a tal punto.

“No, sei semplicemente personalistico, Camus… Hyoga ti va bene perché lo conosci tu, per Milo daresti l’anima perché è tuo amico e per Marta, tua sorella, faresti anche di più, se solo potessi. Tutte queste persone sono degne della tua ristretta fiducia, perché fanno parte della tua cerchia, ma se un estraneo prova ad approcciarsi a te lo congeli all’istante, impedendogli ogni tentativo nei tuoi confronti. Vedi il mondo in bianco e nero, solo questo, non hai il cuore magnanimo di un Cavaliere, non hai il cuore di Dégel!” affermò lei, stringendo i pugni e abbassando a sua volta il capo.

Colpito e affondato, ben sapendo di trovarlo suscettibile su quell’argomento in particolare. Tuttavia non era stato nemmeno questo a far indietreggiare Camus di qualche passo, mordendosi il labbro inferiore in un rimorso destinato a crescere, bensì gli occhioni lucidi e bagnati di Francesca che, ancora a stento, cercava di trattenersi come meglio poteva in sua presenza.

Davvero aveva fatto un bel lavoro ad attaccarla così, facendola piangere come il migliore degli aguzzini, facendola piangere come avrebbe fatto, forse, Death Mask, anzi, peggio di Death Mask! Poteva davvero spendere ancora una parola sul Cavaliere del Cancro, quando lui, da solo, aveva portato l’allieva più grande, sempre incline a non far trapelare le emozioni esattamente come lui, a mettersi a piangere, ferita dalle sue parole spietate. Pessimo. Era stato davvero pessimo!

Camus, delle parole utilizzate come pugnali, se ne pentì quasi subito, ma il danno era fatto, ormai, non si poteva tornare indietro.

“Francesca...”

“Ora lasciami stare, vado in camera!” tagliò corto lei, sfuggendo letteralmente via da quella stanza, sin troppo soffocante per lei.

 

 

* * *

 

 

11 settembre 2011, sera

 

 

Ancora non ci poteva credere, era successo anche a lei, a lei che si reputava razionale e misurata al punto tale che, una discussione di tal genere, non l’avrebbe mai potuta fare con nessuno, men che meno con una persona così simile a lei.

Invece era successo, aveva litigato con Camus, al punto tale da rivolgergli parole così brutali, colpendo proprio il suo punto debole. Era semplicemente ridicolo! Rimproverava spesso Marta di moderare i termini con suo fratello perché, lei lo sapeva meglio di chiunque altro, quando l’amica si infuriava eccedeva di molto con le parole, andando a colpire proprio i punti scoperti che lei, da brava osservatrice, aveva già carpito prima. Lei, quel giorno, una divinità, un’entità che aveva vissuto più di una volta, aveva appena fatto uguale, se non peggio, avendo tirato fuori Dégel, un nervo ancora più che scoperto nella coscienza dell’Acquario del presente.

Francesca si riscosse un poco, guardando brevemente fuori il buio dei dintorni. Le ore di luce stavano sempre più calando in maniera definitiva; in circostanze normali, in quel periodo, sia lei che le sue amiche si sarebbero dovute preparare all’inizio imminente della scuola e dell’università. Non quell’anno, o per meglio dire, mai più.

Il rimorso della coscienza era ben vivo in lei, l’aveva accompagnata per tutto il giorno. Per questa ragione, aveva deciso arbitrariamente di non uscire dalla camera e stare lì, a capo chino incassato tra le spalle, mentre si abbracciava le ginocchia. Un intero giorno così, a pensare, e ripensare, alla discussione con Camus e, ancora di più, al passato di Death Mask. Continuava a credere vigorosamente di confidare in lui, di aspettare che fosse il Cavaliere del Cancro a parlare del suo passato, eppure qualcosa si era impercettibilmente rotto, non nella fiducia che riponeva in lui, no, bensì nella consapevolezza che, per quanto subdole, le parole di Camus corrispondevano di certo al vero, poiché non era uno che mentiva in quei casi, risultando anche fin troppo schietto. Come avrebbe quindi reagito quando, vincendo i ripensamenti, Death Mask avrebbe vuotato il sacco anche con lei?! Come l’avrebbe presa a sapere che il ragazzo di cui si era innamorata, alla fine dei conti, in passato, si era macchiato di così turpi atti?!? Uccidere donne e bambini che si trovavano lì, per caso… era semplicemente inconcepibile per lei, il solo pensiero le faceva pizzicare gli occhi, gonfi di lacrime. Significava altresì che, solo se glielo avesse ordinato il proprio capo, Death Mask avrebbe barbaramente ucciso, oltre che l’obiettivo, chi si trovava intorno senza alcuna pietà. E se quel qualcuno, per un subdolo gioco del destino, fossero state proprio Marta e Michela?!? Se, in passato, avesse dovuto svolgere una missione a Genova e, loro due, si fossero trovate coinvolte?!? MA CHE RAZZA DI COMPORTAMENTO DA CAVALIERE ERA, QUELLO?!? NON DOVEVA FORSE DIFENDERE LA GIUSTIZIA?!?

Francesca si scrollò brutalmente quel pensiero di dosso, compiendo non poca fatica e sforzandosi di ricondursi alla calma. No, aveva promesso che avrebbe creduto solo a lui, solo a lui che, ancora, lo sentiva, lo amava, non aveva senso porsi quei sciocchi quesiti in quel momento. Con il tempo, solo con il tempo, si sarebbe affrontato, insieme, l’irreparabile, in un modo o nell’altro!

Aveva invece senso chiarire con Camus il prima possibile, alla fine anche lui, persino nella sua schiettezza quasi crudele, era da capire, il suo ergersi così prepotentemente nel saperla affiliata con Death Mask, era solo una delle cento e più dimostrazioni che si era davvero legato a lei, che le voleva bene, e questo, oltre a metterla in un certo disagio, tipico del suo carattere, le procurava un profondo calore in petto che percepiva fin troppo bene, malgrado fosse totalmente inetta sui sentimenti.

Francesca alzò lo sguardo, accorgendosi di essere già davanti alla porta con la mano appena sopra alla maniglia. Si vergognava ma voleva chiarire, pertanto, dopo aver preso un profondo respiro, si tirò verso di sé l’ostacolo che ancora la separava dal corridoio. Quel che vide, la immobilizzò di colpo.

Camus infatti era proprio dietro la porta, la mano alzata e stretta a pugno con l’evidente intenzione di bussare; intenzione preceduta dall’azione di Francesca che immediatamente, dopo averlo scorto, avvampò. Anche il colorito di Camus si fece più intenso, regalando ai due contendenti diversi secondi di completo imbarazzo.

“Uh, eh… - prese tempo l’Acquario, abbassando il pugno e discostando lo sguardo di lato. Poi sospirò, sforzandosi di vincere la sua eterna battaglia con le parole – Francesca, ecco, perdonami per...”

Non ebbe il tempo di finire che l’allieva si fiondò letteralmente tra le sue braccia, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla e biascicando qualcosa di incomprensibile.

Per qualche istante, Camus la credette ubriaca, giacché non era abituato a vederla comportarsi così, visto che il gesto era più tipico di Michela che non di lei. Se ne pentì subito di quel pensiero, avvertendola davvero agitata come mai gli era capitato. La ragazza, così premuta contro il suo petto, sembrava tremare e continuava a borbottare qualcosa di incomprensibile. Decise di intervenire.

“Fra, non riesco a sentire nulla se mi parli così, non ti chiedo di staccarti, ma almeno guardami negli occhi, che anche io mi devo scusare con te...” le sussurrò, imbarazzato, passandole un braccio intorno alle spalle per dimostrare la veridicità delle sue parole.

Francesca lentamente eseguì quanto chiesto, guardandolo in faccia. I suoi occhi erano ancora lucidi e le guance rosse, Camus lo constatò nella penombra, davvero l’aveva sconvolta con i suoi metodi, se ne dispiacque, ma al solito le parole latitavano al di fuori di lui, sebbene fossero ben chiare in mente. Fortunatamente fu l’allieva medesima a interrompere quell’astruso silenzio carico di imbarazzo.

“Camus, mi dispiace tanto, non immagini neanche quanto! Ho colpito il tuo nervo scoperto con quella frase, sapevo di farlo, pertanto non ho esitato. Ero consapevole di ferirti, ma ero tremendamente arrabbiata e… e...”

“Va tutto bene, abbiamo entrambi esagerato in quell’occasione. Io, in primis, non avrei dovuto dirti quelle cose, tra i due la prima sferzata l’ho data io, la tua è stata solo una reazione a seguito di quello. - spiegò Camus, stringendola leggermente a sé – Mi dispiace davvero, Fra, tra i due il pessimo sono stato io. Avrei dovuto controllarmi con le parole, invece ho esagerato, io che, tra tutte voi, dovrei essere il più maturo per le esperienze pregresse e che invece ho reagito come un poppante. Perdonami, se puoi!” si scusò ancora lui, manifestando la sua colpa.

Francesca lo trovò davvero tenero e impacciato, come accadeva spesso in quelle occasioni. Per la prima volta comprese veracemente il significato dei discorsi di Marta quando definiva suo fratello come un piccolo cristallo ghiacciato dell’imperituro permafrost. Camus poteva incarnare la Siberia stessa, a volte, severa, testarda e sublime, ma, in fondo, non era che un singolo, fragile, fiocco di neve, bastava una piccola pressione per distruggerlo. Sorrise tra sé e sé.

“E ora cosa hai da ridacchiare, stai un po’ meglio?” commentò Camus per alleggerire la tensione, scrutandole il viso e permettendosi di passarle una mano tra i capelli con fare gentile.

“Non è nulla, Maestro, solo che ho appena compreso cosa intende Marta quando ti definisce un ‘piccolo fiocco di neve’. - gli rispose, staccandosi leggermente da lui – Molto spesso parla di te così, sai? Sei innegabilmente forte, complicato e testardo, un po’ come le ramificazioni del fiocco medesimo, ma, in fondo, è proprio in quello che si cela la tua fragilità, la tua umanità, ed è ciò che ti rende così prezioso!” continuò a spiegare, arrossendo un poco.

“Un fiocco di neve, eh? Effettivamente è una immagine degna della sensibilità di Marta...”

Inaspettatamente sorrise amaramente, discostando lo sguardo dolente dalla figura della ragazza, come accadeva quando la questione era troppo dolorosa da trattare. Per Francesca era la conferma del dubbio che la attanagliava da quel pomeriggio, quando aveva sentito, dal piano di sotto, berciare in tono alto e quasi spietato. Fece per chiedere delucidazioni, giacché pareva che Camus avesse nuovamente litigato con la sorella, ma quest’ultimo, intuendo le sue intenzioni, decise di interrompere in fretta il discorso.

“Posso... posso entrare un attimo in camera tua? Desidero concludere il nostro dialogo su Death Mask in maniera civile” asserì in tono mite, sospirando impercettibilmente.

Francesca annuì e gli fece strada. Avrebbe voluto dirgli che ci sarebbe mancato altro se non avesse potuto, visto che la casa era la sua, ma si trattenne, un poco agitata da quella situazione.

Camus fece qualche passo nella camera, accendendo anche la seconda lampada prima di accarezzare con un dito il mobiletto sottostante. Si posizionò dalla finestra, incrociò le braccia al petto e alzò lo sguardo verso di lei, deciso a concludere la discussione.

“Dunque... dopo il nostro raffronto di oggi ho rimuginato sul nostro, per così dire, scambio di battute, e sono giusto alla conclusione che è assurdo impedirti di frequentare Death Mask, anche perché, come mi hai ricordato tu, non ci separano che meno di due anni di età!”

Francesca compì un largo sorriso a quelle parole, mentre il cuore accelerava di colpo. Non avrebbe più dovuto nascondersi anche se, molto probabilmente, non avrebbe nemmeno potuto invitare il suo ragazzo ad una cena tutti insieme.

“Tuttavia...”

Ecco, cosa doveva aggiungere ora?! Mettere delle condizioni, precisare qualcosa?! La dea un tempo eterea si mise immediatamente sul chi vive, prima di essere tranquillizzata da un gesto della mano del maestro.

“Tuttavia non cambio idea sul suo conto, non cambio idea sulla vostra relazione, rimanendo contrario non solo alla sua persona, ma anche al vostro presumo legame. Anche se...”

“Anche se…?”

“...Posso lasciare uno spiraglio nella coltre di ghiaccio, posso provare a dargli una chance, osservando il suo comportamento, ma se questa possibilità sarà delusa non esiterò ad intervenire in tua difesa, chiaro?!”

Francesca annuì, gioiosa: era più di quanto si aspettasse da uno come Camus, era più dell’impegno dovuto. Avrebbe quindi provato a capire prima di accettarlo, senza precludersi niente. Era uno sforzo niente male, lo sapeva, gliene era grata.

“C’è un’altra cosa che ti volevo dire, ed è anch’essa parte della ragione per cui stasera sono qui. - si prese una breve pausa, socchiudendo gli occhi e riaprendoli subito dopo – Io devo andare in missione, me l’ha affidata la dea Atena medesima, starò via non più di due giorni”.

“Uh, te ne devi andare?” chiese retoricamente Francesca, abbassando il capo. Ecco perché gli allenamenti erano stati sospesi, ecco perché Camus voleva chiudere le questioni irrisolte. Una missione da Atena in persona, l’allieva ne presagì l’importanza.

Camus percepì il tono spento della ragazza, nonché il suo dispiacere, pertanto si avvicinò a lei, le mani protratte con l’evidente intenzione di toccarle le spalle.

“Sì, non posso rifiutare un ordine così diretto della dea, capisci? La missione non dovrebbe essere troppo rischiosa, non ti preoccupare per me!”

“Ma sei ancora debole, Maestro... tu provi a perseverare con i ritmi serrati che avevi prima del nostro incontro, lo sappiamo, anche se non lo dici apertamente, ma ciò richiede uno sforzo eccessivo per il tuo fisico, già debilitato dalle ferite al torace a dalla peste. Atena non può… non può chiedere ad altri?”

Era una domanda impertinente, ne era consapevole, ma era anch’ella una dea, per cui sentì il bisogno di comunicare il suo pensiero. Camus assottigliò lo sguardo, pensieroso. Era vero, si avvertiva ancora debole anche se tentava di non darlo a vedere e, ragione più importante per quanto seccante, il suo fisico non poteva compiere sforzi più del necessario, eppure quella missione era un’occasione per tornare quello di un tempo. Ne aveva un tremendo bisogno.

“Sono il più indicato per questo, non ti angustiare, preferisco così. Farò quanto chiesto e tornerò da voi, è una promessa. Tu... - tacque un attimo, recuperando il fiato che inspiegabilmente gli mancava – Ti prenderai cura di Michela e Marta, vero? Soprattutto di quest’ultima. Costringila a mangiare, se serve, e tienila d’occhio. Lascio il cuore qui, sapendo delle sue condizioni...”

Era un incarico molto importante, se ne sentì orgogliosa. Camus le stava affidando la salute di sua sorella e, anche se costretto, avrebbe fatto volentieri a meno di abbandonarla in una simile circostanza.

“Farò quanto in mio potere, Maestro, ma, come sai meglio di chiunque altro, Marta è cocciuta, se non deciderà lei di tornare da noi, nessuno di noi può raggiungerla. Dipende tutto dal suo desiderio di riprendersi!”

“Lo so... dannazione se lo so!” imprecò a bassa voce Camus, allontanandosi un poco da Francesca per mascherare il suo malessere crescente. Sembrava una tigre in gabbia.

“Camus… hai litigato anche con Marta oggi pomeriggio? Da cui sentivo delle urla che...”

“Sì, è successo.” tagliò corto lui, tremando appena.

Era incredibile davvero l’ascendente che Marta aveva su Camus, e viceversa, ma era il fratello a subirne di più le conseguenze. Francesca non lo aveva mai visto così disintegrato, neanche nelle battaglie più accanite contro nemici folli e più potenti di loro; non lo aveva mai visto così fatto a pezzi, smembrato, annichilito come quando litigava con Marta. Eh, sì, che Marta sapeva dove colpire quando era veramente incazzata, sapeva dove colpire per distruggere, ma il lavoro con Camus le riusciva inconsciamente bene, totalmente ineccepibile. Marta era il punto debole di Camus, il più atroce e il più incolmabile, non avrebbe mai potuto difendersi da quella ‘zona sensibile’, sarebbe rimasta per sempre scoperta, come le ferite sul torace o come la neve che si scioglie al sole. Il profondo affetto che legava i due, superiore a qualsiasi cosa, era anche la loro più tremenda maledizione.

“In verità se l’è presa con me per come ti ho trattata per la questione di Death Mask, devono avere sentito tutto, lei e Michela, ma poi la discussione è degenerata senza possibilità di risolvimento – sì sentì in dovere di esporre i fatti accaduti – Quella ragazza… ogni volta che mi guarda vedo un’ombra sinistra passare nei suoi occhi. Spero davvero di non essere paranoico, come mi hai detto tu, ma… ma, a volte, ho come l’impressione che lei mi odi; che mi odi perché io non sono più… Dégel...”

Quelle parole gli costavano non poco da pronunciare, Camus tremava, incurante di apparire debole agli occhi dell’allieva; quel peso non era facile da tenere sotto controllo, necessitava di uscire spesso e, proprio quella sera, traboccava senza possibilità di recupero.

“Non ti odia, Cam, anzi, sei la persona più importante per lei, lo sai, no? - provò a tranquillizzarlo Francesca, abbracciandolo con dolcezza, come se tenesse tra le braccia un cucciolo ferito. Anche per lei quella situazione era tutta completamente priva di logica, non si era mai riconosciuta così espansiva – Marta è fatta così, quando ha un problema, quando deve riprendersi da un grave lutto, si isola dal mondo e, più tentiamo di colmare il divario, più lei si allontana. Cam, sarà lei a tornare quando se la sentirà, tu stalle semplicemente vicino, ne ha bisogno!”

“E’ passato quasi un mese...” proferì Camus apatico, non ricambiando la stretta ma grato di quel gesto così caldo e accogliente.

“In passato ne ha impiegati quasi due per tornare, e altri quattro per riprendersi a sufficienza per provare. Erano accadute diverse cose tutte insieme...”

Alcuni secondi di assoluto silenzio, poi...

"I... nonni?" tentò lui, dolente.

"Sì, ma non solo..."

“Ha sofferto tanto in quella situazione?”

Il peso sul cuore si faceva sempre più aspro, trasmettendogli una stoccata al petto che gli mozzava il respiro. Lui l’aveva lasciata per svolgere i suoi doveri di Cavaliere ed intraprendere il percorso che il destino, o il caso, aveva scelto per lui. Non ricordava molto della sua infanzia prima del Tempio, ma mai passo era stato più dolente di quello, soprattutto quando aveva compreso, anni dopo, che la ragazza dagli occhi blu con cui, fin dall’inizio, si era ritrovato a litigare aspramente, e che gli era stata affidata da Shion, era in realtà la sorella che era stato costretto ad abbandonare.

“Sì... ha sofferto più di ora; ora ci sei tu, la sua luce, tornerà in qualche modo, stanne certo!” rispose laconica Francesca, discostando lo sguardo.

Camus annuì tiepido, allontanandosi di qualche passo.

“Allora aspetterò che me lo racconti lei. Ora sono qui, l’ho ritrovata, non la abbandonerò più per nessuna ragione al mondo!”

Francesca gli sorrise, sedendosi stancamente sul letto. Il maestro esitava ancora, indeciso sul da farsi, questo lo percepì chiaramente, almeno finché si decise a parlare.

“Dici che si offenderà se la vado a trovare in camera per salutarla prima della missione?”

Sembrava davvero un cucciolo timoroso e ferito, Francesca ebbe un moto di tenerezza.

“Certo che no, Camus, vai... vai da lei!”

 

 

* * *

 

 

Le luci nella stanza erano spente, nessun rumore aleggiava nella camera o al di fuori di essa, tranne il respiro profondo di Marta. La finestra, che fino a pochi minuti prima era aperta, sembrava riflettere il suo volto, chino ad osservare quello placidamente addormentato della sorella. La osservava sempre. La osservava sempre da quando si erano conosciuti in quell’ormai apparentemente lontano 28 giugno del 2011, poco meno di tre mesi soltanto, ma sufficienti per instaurare uno dei più profondi legami che Camus dell’Acquario si ritrovò a provare nella sua vita, anzi, IL più importante.

Marta era solita dormire appallottolata, per così dire, come un gatto, sul fianco sinistro, o in posizione fetale, ormai Camus lo sapeva bene, come sapeva un sacco di altre cose che percepiva di averle sempre sapute. Il tempo a disposizione per parlare, tra loro due, era stato ridotto all’osso in quei mesi, pertanto non restava a Camus che osservarla allo scopo di memorizzare ogni più piccola caratteristica fisica, ogni singolo lato del carattere e ogni abitudine che la sorella aveva sviluppato in quegli anni in cui aveva vissuto a Genova. Ogni volta apprendeva qualcosa di nuovo, ogni volta si stupiva e, sempre ogni volta, si ritrovava a conoscerla un po’ di più. Sapeva che la sua essenza più intima le sarebbe quasi sicuramente sfuggita, ma non era una buona ragione per gettare la spugna. Voleva con tutto il cuore sapere tutto di lei, anche se il tempo malevolo non sarebbe più tornato indietro, creando comunque una frattura tra loro. Una frattura insanabile e incolmabile.

Chissà come era stata da bambina, chissà quanto era cambiato il suo carattere in quegli anni, chissà...

Erano domande che rimbalzavano frequentemente nella testa di Camus, desideroso di conoscerla più approfonditamente che mai. Sentiva di avere il bisogno disperato di starle vicino, di toccarla, come stava facendo esattamente in quel momento con mano leggera tra i capelli, e non sapeva se gli sarebbe mai bastato il tempo per farlo, il dannatissimo tempo che trascorreva indifferente, fregandosene bellamente delle loro giovani vite.

Camus preferiva non pensarci, a quell’insano senso di inquietudine che lo avvolgeva quando si ritrovava a ripensare alla vita antecedente al loro incontro della sorella, preferendo chinarsi verso la sua fronte allo scopo di regalarle un leggero bacio sulla pelle candida, che già il tempo era tardo e doveva partire.

Destino volle che Marta, recependo il contatto con le sue labbra sulla sua fronte, si riscosse improvvisamente, sussultando nel vedere la figura china su di lui.

“DE… - ma si bloccò, la mente l’aveva avvertita quasi subito dell’errore, perché un conto era il sogno appena interrotto, altro canto invece la realtà in cui gli toccava vivere – Ah, Camus, sei tu...”

Il tono le uscì più deluso del previsto, non ne aveva la benché minima intenzione ma non riuscì a fare di meglio.

Camus rimase in silenzio per un po’, le dita strette a pugno come a voler sfogare il senso di inadeguatezza, neanche lui voleva pesare più del dovuto su Marta, pertanto liquidò in fretta la questione per cui era giunto lì.

“Piccola mia, devo svolgere una missione per conto della dea Atena, per questo sono qui, volevo salutarti. Scusami se ti ho svegliato.”

Marta discostò in fretta lo sguardo, sentendosi un verme, poi, non potendone più dei sensi di colpa e di quella visione che era davanti a lei, si voltò dall’altra parte, sdraiandosi sul letto prima di sistemarsi le coperte.

“Ah, ho capito… allora buon lavoro!” mugolò, asettica, mentre il petto le faceva sempre più male, procurandole spasmi. Cosa diavolo stava facendo?! Suo fratello sarebbe partito e lei… e lei stava lì, amorfa... non sapeva più come autodefinirsi, si sarebbe presa a testate contro il muro se solo fosse stata più autolesionista, se solo fosse servito a qualcosa.

Camus rimase fermo e immobile per alcuni secondi, faticando non poco ad accettare una cosa simile, soprattutto quando aveva provato a esporsi fino a quel punto. Marta era davvero irraggiungibile, non sapeva più che strada prendere e, come se non bastasse, avrebbe pure dovuto assentarsi per qualche giorno. Che ne sarebbe stato di lei?! Il Cavaliere dell’Acquario rifiutò in maniera definitiva quel pensiero, permanendo nella sua posizione, totalmente deciso a non accettare la conclusione di un simile raffronto così. Era… troppo straziante!

No, Marta avrebbe aggiunto dell’altro... non poteva, non poteva arbitrariamente finire così, non lo accettava. Non poteva in alcun modo accettarlo!

 

Maledizione, dimmi qualcosa… qualunque cosa, ma dimmela! Va bene anche un tentato sorriso o chissà cosa d’altro, ma non può finire così...

 

Marta, dal canto suo, era raggomitolata su sé stessa, avvertendo sempre più freddo e rabbrividendo sempre ad ogni secondo che passava. Sentiva gli occhi di Camus puntati su di lei, sapeva che avrebbe dovuto abbatterlo, quel dannatissimo muro, ma non ci riusciva, ogni volta che ci provava si trovava più stremata di prima, più sola, più incompresa…

Dei passi dietro di lei le fecero capire che Camus stava girando i tacchi per andarsene, sconfitto. Già, sconfitto persino lui che aveva combattuto con tutta la sua volontà contro il Mago. Sconfitto. Irrimediabilmente.

Un singhiozzo, uno solo, le sfuggì dalle labbra, mentre le lacrime della colpa trovarono la via per uscire, rompendo gli argini. Stava perdendo il suo presente per sempre nel seguire quel passato non più inesistente. Era una vinta… e stava conducendo anche gli altri verso la rovina.

“Camus, stai attento, e… - le parole gli uscirono a fatica, quasi sillabando, i passi dell’interpellato si fermarono, ma non si voltò. Nessuno dei due lo fece – perdonami… ti prego, perdonami, per tutto...”

Riuscì a biascicare, prima di rintanarsi sotto le coperte e scoppiare in un vero e proprio pianto inconsolabile, che l’avrebbe accompagnata fin alle porte del sonno.

 

 

* * *

 

 

Vi era, a Cerviasca, una Cappelletta posta a solatio con annesso un sagrato in cui svettava un tiglio secolare che, nelle calde giornate estive, portava un po’ di refrigerio al pellegrino che decideva di visitare quel luogo ormai pressoché abbandonato.

Cerviasca aveva avuto i suoi lustri nei lontani secoli XVIII e XIX quando ancora, sotto l’egida della Parrocchia di Senarega, ospitava un discreto numero di famiglie che lavoravano la terra con costanza e zelo per ricavare dall’attigua terra quanto fosse possibile in una valle povera e infertile come la Valbrevenna. Dopo di allora, il paese aveva preso irrimediabilmente a svuotarsi, arrivando al completo abbandono negli anni ottanta del XX secolo. Quell’ingrata condizioni durò fortunatamente poco, perché, pochi anni dopo, una persona decise di abitare in quel luogo, relegandosi a completa solitudine. Poi, un giorno, un miracolo accadde e il paese vide una giovane vita fiorire e crescere forte.

Una gracile bambina saltellava per i viottoli del paese. Era molto piccola, sette anni circa, ma sembrava particolarmente vivace e desiderosa di afferrare quella nuova vita con impeto e allegria.

La bimba dagli occhi blu, come veniva soventemente chiamata, si inerpicò su per la stradina che portava alla cappella, la raggiunse e si rotolò sull’erba, rischiando anche di farsi male. Non c’era niente da fare, pareva una zazzera che non stava mai ferma un attimo, a volte era lecito domandarsi da dove traesse tutte quelle energie.

Marta, ti puoi fermare un attimo?! Se il nonno scopre che ti ho permesso di rotolare così su dei ciottoli potenzialmente pericolosi, domani mi rinchiuderà in casa per tutto il giorno!”

Orsù!Orsù! Non avevi detto, quando ci siamo conosciuti, che questo è il tuo regno?! Ci siete solo tu e tuo nonno a vivere stabilmente qui, non deve essere male avere a disposizione un intero paese per scontare la propria punizione!” rispose pronta Marta al bambino dietro di lui, che tuttavia non riusciva a scorgere bene. Poco dopo, tornò a concentrarsi sulle larghe chiome del tiglio, il suo albero preferito, rapita dai raggi solari che filtravano tra le foglie.

Sì, questo è il mio regno, ma ultimamente, almeno in estate, qualche villeggiante torna nella propria casa. Uff, che seccatura, stavo così bene solo con mio nonno in quest’angolo di mondo!”

Marta ridacchiò, non meravigliandosi dell’asocialità dell’amico, in fondo anche lei era così. Era metà giugno, il tepore si faceva via via più intenso, la scuola era finita e, anche lei, avrebbe trascorso i mesi estivi nel vicino paese di Carsi, molto più popolato. I suoi nonni avevano deciso di comprare una casa lì, una volta arrivati alla pensione, e Marta e sua madre frequentavano ormai da tre anni quella valle. Marta avrebbe voluto che la vita continuasse così per sempre. Era carica di speranze per il futuro, di desideri e di paure; la sua incrollabile curiosità la portava a girovagare ogni angolo di quella valle poco agevole, avrebbe continuato così per tutta la vita, anzi, nella sua ingenuità era convinta che le cose non sarebbero proprio mai mutate. A quel pensiero, però, una fitta improvvisa le invase il petto, mentre, quasi inconsciamente, dirigeva il suo sguardo verso destra, avvicinandosi anche alla sporgenza in modo di colmare il divario tra lei e la cosa che aveva attirato la sua attenzione.

Ora cosa stai…?”

Pensavo… pensavo che, forse, pure i bambini e gli adulti di Tessaie erano convinti che le cose non sarebbero mai cambiate, vero? E invece...”

Lasciò volutamente la frase in sospeso, mentre, con gli occhi un poco tristi, osservava l’altro capo della valle e, in particolare, gli scheletri delle case del paese che, a memoria di uomo, veniva chiamato Tessaie o Tassaie. Un paese abbandonato, nulla di più.

Il suo amico di infanzia si accigliò, raggiungendola all’estremità del sagrato e guardando silenziosamente nella sua medesima direzione. Quella bambina era davvero inspiegabile, non era la prima volta che accadeva un fatto simile: un secondo prima era allegra e trillante, poi, all’improvviso, bum, la tristezza più atroce, neanche fosse in perpetuo contatto con un altro mondo che, talvolta, prendeva il sopravvento.

Neanche io voglio che le cose cambino, stai tranquilla! Farò in modo di poterci rifugiare sempre qui, non abbandoneremo questo posto, non farà la fine di Tessaie, è una promessa! Noi due… ci costruiremo la nostra vita qui! - sentenziò il bambino, con fare solenne – Amo questo luogo, combatterò per preservarlo!” continuò imperterrito, una strana luce negli occhi.

Marta lo fissò meravigliata per un solo istante. Sembrava così assurdo, eppure ci credeva totalmente a quelle parole. Sì, le cose non sarebbero cambiate, mai, per quanto la crescita li avrebbe portati su strade forse diverse, avrebbero sempre potuto rincontrarsi lì. La promessa era stata fatta. Marta automaticamente sorrise. Non si passavano che due anni, tra loro, una inezia, anche se, a quell’età, era tanto, tantissimo tempo. Una all’inizio del percorso scolastico e l’altro già perfettamente integrato in esso. Pochi anni, un lungo periodo, ma Marta credette alla veridicità di quella frase.

Va bene, allora te lo prometto anche io: per quanto il tempo scorrerà, non cambierà niente tra noi. Dovunque saremmo, potremo sempre ritrovarci, qui, sotto questo meraviglioso tiglio in quest’angolo sperduto di mondo!” gli sorrise con enfasi, compiendo un segno di assenso, mentre i capelli, legati con due codine, ondeggiarono appena accarezzati dalla brezza di giugno.

 

 

* * *

 

 

14 settembre 2011, pomeriggio

 

 

“M-Marta...”

“Accipicchia, amico, tua sorella ti deve far davvero tribolare, è la quinta volta che la chiami nel sonno e la prima nel risveglio!” commentò una voce vivace, passandogli un panno sulla fronte.

Camus si girò verso la fonte sonora, incrociando i suoi occhi lucidi per la febbre con quelli gioiosi del migliore amico di sempre, che lo scrutava con quel solito, largo, sorriso.

“Milo, perdonami, deve essere stato una noia mortale continuare ad ascoltare i miei vaneggiamenti...”

“No, ti ho trovato tenero e… ehi, ma dove credi di andare, stai giù!” lo bloccò all’istante, vedendolo intento ad alzarsi.

Camus dell’Acquario era un’adorabile testa di cazzo quando ci si metteva, impossibile tenerlo fermo, persino quando stava male. A quel punto, molto meglio quando vaneggiava da incosciente, almeno avevano la garanzia che stesse fermo e immobile.

“Ieri, di ritorno dalla missione, sei svenuto come un vero e proprio sacco di patate! Menomale che mi trovavo alla Casa dell’Acquario, altrimenti non credo che le tre ragazze sarebbero riuscite, da sole, a condurti a letto!” spiegò ancora Milo, pratico.

“L’importante è che la missione sia andata a buon fine...” asserì Camus, con voce roca.

Effettivamente la missione era stata un successo sotto ogni punto di vista, al Cavaliere dell’Acquario quello premeva, nient’altro. Eppure Milo si infastidì impercettibilmente nel costatare di come il suo migliore amico continuasse a svilire, più o meno consapevolmente, la sua persona, sottovalutando costantemente il suo precario stato di salute. La missione era stata un successo, ok, ma Camus si ritrovava ora con una febbre da cavallo, debole, e completamente sudato.

“Giusto, l’importante è la missione, perché tu, a tua stessa detta: ‘ah no son debole ma devo andare’, ‘ne va del mio orgoglio’, ‘è una occasione per tornare quello di un tempo’! Sì, sì e ora intanto stai di nuovo male, con questo malessere che preoccupa pure Mu, il che è tutto dire, non è affatto normale!” lo scimmiottò Milo, facendo la linguaccia. Purtroppo Camus non lo stava minimamente ascoltando.

“Quel bambino dagli occhi del colore dei laghi alpini di alta quota… mi ricorda qualcosa, ma… chi sarà mai?” si interrogò cupamente Camus, fissando i suoi occhi verso la finestra, alla giornata plumbea che si presagiva fuori.

“Prego?”

“Oh, no, nulla, pensavo… pensavo al sogno che ho fatto e che deve trattarsi di un ricordo di Marta.”

“Hai sognato di nuovo tua sorella?”

“Sì, ho sognato… la mia piccola Marta, anche se è la prima volta che la vedo così bambina. Non avrei mai pensato, anf, che potesse portare delle codine...” mormorò Camus, sorridendo con dolcezza, come accadeva spesso quando si trattava della sorella.

“Visto la particolare luce negli occhi deve essere stato un bel sogno… - commentò Milo, riconoscendo dietro quel sorriso il particolare affetto che il migliore amico provava per lei – Puoi continuare a parlarmene, mentre io do una controllata qui!” lo spronò in tono gentile, scostando le coperte prima di sbottonargli la camicia sul petto con l’evidente intenzione di controllare le sue ferite.

“Aveva un retrogusto amaro, quel sogno, non solo per me, ma anche e soprattutto per Marta. Sai, no, che riesco a percepire, anche se fievolmente, i suoi sentimenti da... da quel giorno?” lo accontentò placido Camus, tentando di non dimostrare il dolore che, ancora a distanza di mesi, gli procuravano quelle ferite maledette, soprattutto quando venivano toccate.

A Milo inavvertitamente si inscurì il volto, le labbra tremarono un poco: "Sì, da quando lei ti ha rianimato, giusto?"

"Da quella notte, sì, in cui lei... ha sorretto su di sé t-tutto il peso che mi... portavo dentro!" faceva ancora fatica a parlare di quei momenti, Milo se ne accorgeva ogni singola volta perché il suo sguardo cambiava, si faceva traslucido, ricolmo di orrore e sgomento per il male subito, anche se in fondo a quelle due pozze color zaffiro che gli apparivano sempre più stanche, vi era una luce sacra, sfavillante, incorruttibile.

“Infatti anche Marta prova lo stesso, giusto? Siete collegati!” rispose pronto lo Scorpione, osservando con sguardo clinico, per quel che ne capiva, le ferite per poi passargli un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante. Fortunatamente stavano iniziando a cicatrizzarsi, anche se in alcuni punti erano ancora di un rosso rubino.

"Lei... lo prova in maniera più intensa di me, c-ciò che vivo io, intendo. Non so... come faccia a reggerlo!"

"Perché sei la sua vita, Camus, tutto qui. Per le persone amate, l'essere umano è in grado di compiere miracoli, e lei ha scelto te!"

L'Acquario non rispose verbalmente a quella affermazione veritiera, arrossì, guardando altrove, ma Milo ridacchiò nell'avvertire il battito del suo cuore accentuarsi sotto le sue dita. Che caso clinico che si era scelto come migliore amico!

“E-ecco, vedi, nel mio caso, ultimamente i miei sogni e le percezioni si stanno facendo più intense, come se la mia esistenza compenetrasse nei suoi ricordi, facendoli vedere anche a me. Non è più qualcosa di legato al solo presente, Milo, va oltre… e ho la sensazione che continuerà ad incrementarsi!” continuò a spiegare, un poco agitato. Avrebbe voluto, con tutto il cuore, scoprire tutto della sorella, della sua vita passata, ma non era sicuro di tollerare tutto quel ventaglio di emozioni. Come sottinteso poco prima, era già difficile per lui sopportare le sue, figurarsi quelle di Marta, anche perché una vocina sinistra che albergava da tempo in lui gli sussurrava che non sarebbero state di certo piacevoli.

“Il vostro rapporto diventa sempre più forte ogni giorno che passa, è naturale che vi avvertiate sempre di più, vi state compenetrando vicendevolmente!”

“In quest’ultimo mese non ne sono più molto sicuro. La sento sempre più distante anziché piùvicina. E’… doloroso!” bofonchiò Camus, chiudendo meccanicamente gli occhi. Milo continuava a medicargli le ferite, ma si era infine abituato al bruciore.

“Per me è l’opposto, Cam, proprio perché litigate così spesso che il vostro rapporto si approfondisce sempre di più. Marta sta passando un momento difficile, per quanto le è possibile, l’allontanarsi da voi è il suo tentativo di non farvi soffrire, anche se vano. Vedrai che, quando ritornerà quella di un tempo, te ne renderai conto anche tu di quanto stiate crescendo insieme”

“Vorrei tu avessi ragione, Milo, ma non vedo spiragli di luce qui, è passato un mese e continua a mangiare pochissimo, a non parlare e a sospirare tra sé e sé” mormorò afflitto Camus, sbuffando. Poco prima di sistemarsi meglio e continuare a lasciar fare al compagno d’armi.

“Sei davvero una testa di cazzo, eh!” lo riprese scherzosamente l’amico, rassegnato.

I due trascorsero un paio di minuti in assoluto silenzio; silenzio che lo Scorpione sfruttò per terminare la medicazione. Camus non aveva subito ferite nell’ultima missione, a parte qualche livido qua e là nelle zone non protette dall’armatura, ragion per cui il suo malessere risultava sospetto, soprattutto per Mu, che faceva un po’ da medico al Santuario insieme a Shaka.

 

-Sai, Milo, riguardo al malore di Camus… non mi convince, sai? Non ha subito danni nella missione, è come se la sua crisi fosse causata da motivi contingenti il suo organismo…

-E sarebbe?

-Il male è insito nel suo corpo.

-Ancora?!?

-Non lo so, staremo a vedere nei prossimi mesi se gli ricapita…

 

Non c’era proprio da stare allegri, ecco.

Milo si ritrovò ad osservarlo di nuovo, sembrava essersi riaddormentato pacificamente, eppure non riusciva a stare tranquillo, per niente. Da quel giorno, da quell'immensa sofferenza patita, alcune rughe, quasi zampe di gallina, gli si erano formate agli angoli degli occhi. Non sempre si vedevano, certo, solo quando era molto stanco e il suo viso appariva particolarmente tirato, quasi piegato innaturalmente. Faceva male vederlo così...

Marta sembrava aver debellato il Mago dal suo organismo, ma ora che si erano scoperti i suoi piani, il suo interessamento per possedere Camus, le cose erano notevolmente peggiorate. Avrebbe sicuramente attaccato in tempi brevi… ma QUANTO brevi e perché? Perché proprio Camus?!

“Ti avverto agitato, Milo...”

Lo Scorpione sussultò, essendo stato beccato in flagrante.

“Non ti si può nascondere proprio nulla, eh? - ironizzò lui, recuperando una parvenza di calma – No, è che pensavo alle tue ferite, Cam, finalmente stanno cicatrizzando ma… penso ti rimarrà un bel segno!” gli mentì in parte, preferendo non farlo agitare con i suoi sciocchi vaneggiamenti.

“Sì, lo penso anche io, ma, come dissi a Marta, non mi dispiace: è la prova di essere riuscita a proteggerla!”

“Non credo che Marta la prenda così sportivamente, sai? Per lei, quelle cicatrici, sono la manifestazione del suo senso di colpa, visto che per un pelo non ci rimettevi la vita!”

“Hai ragione, come sempre… dovrei finirla di pensare solo a me stesso!” ironizzò l’Acquario, sentendosi un poco in colpa. In ogni caso, non avrebbe potuto farci granché su quelle, erano troppo profonde e troppo nette per scomparire del tutto. Poteva solo accettarle come parte integrante del suo corpo.

Camus diede un’altra occhiata alla finestra, accorgendosi della luce smorta al di fuori, probabilmente il sole, dietro le nuvole, stava già declinando, regalando un’atmosfera settembrina di discreta bellezza.

“Marta e le altre dove sono? - chiese, alzandosi un poco prima di riabbottonarsi la camicia – Devo preparare la cena, tra non molto!”

“Eh, sì, certo, ed io sono Pierino! - ironizzò Milo, scrollando il capo – Lascia che ci pensiamo Sonia ed io, non ci reca disturbo cenare un’altra volta con voi e tornare a casa più tardi.”

“D’accordo!”

Uh, Camus si arrendeva già?!? Stava forse sognando?! Non era dal Sacro Custode della Giara del Tesoro!!!

“Michela, Francesca e Hyoga sono in cucina, mentre Marta ha detto che andava a vedere gli uccelli, non so cosa intendesse!”

Inaspettatamente Camus sorrise tra sé e sé, posandosi una mano sul petto prima di fissare la luce del lampadario.

“Quella piccoletta… è da più di una settimana che va a vedere la partenza delle rondini, anche se non sa bene quando ci sarà. Dice che non se la vuole perdere neanche quest’anno!”

“AH, MA ALLORA VA DAVVERO A VEDERE GLI UCCELLI!, INTESI COME RONDINI!”

“Perché, cos’altro pensavi?”

Milo arrossì di botto, grattandosi la testa nel rendersi conto che aveva proprio fatto un'uscita stupida.

“Ehm, no, niente!”

Camus sospirò rassegnato, intuendo l'allusione: "Milo... Marta non è come le altre ragazze!"

"No, certo che no, è l'unico essere vivente capace di reincarnarsi e rammentare la vita precedente!" sorrise, buttando fuori aria.

"Non è questo che intendevo, non solo. Fino ad adesso, ha sempre avuto un brutto rapporto con l'altro sesso, con un'unica eccezione... - Camus pensò al bimbo senza nome dagli occhi di cristallo - E ora..."

"...ora ha scoperto di avere un fratello maggiore più grande di lei di cinque anni, ha viaggiato nel tempo, ha conosciuto l'amore della sua precedente vita e... un migliore amico! - finì per lui Milo, ripensando a Cardia e al loro rapporto - Ora ha capito che si può fidarsi dei maschi, anche se..."

"Milo, li ha persi! - tranciò il discorso Camus, con un pizzico d'urgenza - Ha perso Dégel, ha perso Cardia..."

"Non ha perso il fratello maggiore, però..."

"Lo stava per perdere... proprio davanti ai suoi occhi! - disse, sebbene nel pronunciare quelle parole gli si spezzasse il fiato in gola - E' disintegrata, Milo, l'esperienza nel passato l'ha annientata!"

"Lo so, purtroppo, ma può riprendersi, grazie al tuo sostegno!"

"Capisci bene che il suo ultimo pensiero sono gli uccelli... di altro tipo!" ironizzò, con uno sbuffo, come a dire di non pensarci neanche, a quella eventualità.

"C-Cam, n-non volevo insinuare che..."

Ma Camus tranciò nuovamente il discorso sul nascere.

“Sai, la osservo molto, solo così penso di riuscire a conoscerla meglio, visto il poco tempo a nostra disposizione. Ama le piccole cose della vita, penso sia il tipo di persona in grado di emozionarsi per la nascita di un fiore in un determinato posto invece che un altro. E’ come se sentisse questa enorme forza vitale traboccante di sentimenti, è come se scorresse dentro di lei, non so se riesco a spiegarmi… - Camus sembrava emozionato nel parlare di lei – E’… è davvero un essere speciale, io devo aver cura di lei...”

Quel largo sorriso nel discorrere sulla sorellina, quella particolare luce negli occhi… Milo non gliela aveva mai vista, neanche nel parlare dell’amato Isaac o del timido Hyoga. Era qualcosa che andava oltre, qualcosa che dipendeva anche dal loro precedente rapporto e, non in ultimo, dal fatto di essersi salvati la vita reciprocamente.

“Camus, quando mi parli di lei è meraviglioso vedere quanti segni fai trapelare inconsapevolmente fuori da te, lo sai? Sembri proprio… innamorato!”

A Camus per poco non venne un colpo a seguito di quelle parole, ingoiando saliva senza nemmeno accorgersene. Milo riusciva sempre a risultare pungente, non importava in quale frangente si trovasse, lui riusciva sempre ad insinuarsi con i suoi, a volte sciocchi, commenti.

“Cosa stai blaterando, Milo?! E’ mia sorella, non potrei in alcun modo...”

“Ma perché, tu pensi che l’innamoramento sia solo desiderio fisico di una persona?!? Sei un po’ limitato, Maestro dell’Acqua e del Ghiaccio!”

Camus tacque, arrossendo a dismisura.

“Non fare finta di niente, amico mio! Il forte coinvolgimento emotivo che hai con Marta, e viceversa, è insindacabile e, se ben guardiamo nel vostro passato, ha perfettamente senso, visto che siete le reincarnazioni di Dégel e Seraphina, e loro sì che si amavano, ma è un amore con tutt’altri connotati rispetto al vostro!”

“Mi lasci impossibilitato a controbattere...”

“Ahahahaha, eh, certo! Non te ne devi vergognare, Cam, è meraviglioso questo sentimento, io, sin da piccolo, avrei pagato oro per vederti così luminoso come sei ora!”

“Milo, io...”

“Ma occorreva tempo, lo so, sono contento che Marta ci sia riuscita, era la sua missione. Mi spiace solo che, se non foste stati separati, l’avrebbe potuto fare molto prima!”

Camus scrutò a fondo gli occhi del compagno, un pizzico pentiti, non recepiva totalmente il pensiero dell’amico, ma di una cosa era sicuro, ed era necessario chiarirla.

“Milo, io… te l’ho già detto, ma voglio ripetertelo: tu sei importantissimo per me, sei stato il mio primo appiglio, la mia prima luce, in quel deserto privo di emozioni, io… ti voglio bene, dovresti saperlo!”

Fu il turno di Milo di strozzarsi con la saliva, non aspettandosi una simile rivelazione su due piedi. Certo che il compagno d’armi era proprio cambiato in quegli ultimi mesi, delle manifestazioni così intense di affetto non erano da lui!

“Uh… beh, sì, lo so… lo so, Cam, ahahahahah! - si ritrovò a ridere, suo malgrado. Per gli dei, era riuscito a far imbarazzare anche lui, cosa inusuale – Lo so, Cam, siamo ciò che Dégel e Cardia sono riusciti a perpetuare nel futuro!” riprese, sorridendogli raggiante.

Camus sorrise tiepidamente, sereno.

Il resto del pomeriggio trascorse tra chiacchierate varie, argomenti più o meno importanti e tra le risate dei due. Era bello ritrovarsi lì, dopo anni, anzi, secoli di eventi altalenanti. La loro amicizia aveva vinto la prova del tempo, entrambi erano convinti che Dégel e Cardia sarebbero stati fieri di loro.

Il sole era completamente calato, quando Milo si accorse che Camus dava segni di cedimento. La cosa lo fece angustiare maggiormente, ma non scorgendo nel compagno segni di agitazione per il suo stato, Milo decise di soprassedere, sperando in cuor suo di trattarsi di un solo, fugace, episodio.

“Uff, volevo riprovare a parlare con Marta, ma… temo di non esserne in grado, cough, M-Milo...”

Avevano chiacchierato troppo?! Camus sembrava affaticatissimo, ma perfettamente consapevole del suo stato.

“Lascia che lo faccia io, al posto tuo, domani, magari. Cosa vuoi che le dica?”

“Che noi le vogliamo bene, solo questo...”

Un moto di tenerezza invase lo Scorpione, che sorrise con dolcezza.

“Lo sa già, Camus...”

“Ma vorrei che lo ricordasse… puoi farlo, Milo? Puoi parlarle? Sei sempre stato più abile di me con le parole, forse tu… puoi riscuoterla!”

Era una speranza vana, lo sapeva, lo sapevano.

“Temo di non poterlo fare, forse solo Cardia avrebbe potuto… ma Cardia non c’è più… - sospirò, rassegnato, abbassando il capo – Tuttavia ci proverò, Cam, lo avrei già fatto senza la tua richiesta, perché, sai, anche io mi sono affezionato a lei!”

“Ne sono certo, Milo e… grazie!” mormorò ancora Camus, tentando di non far trapelare la troppa stanchezza dai suoi occhi. Dopodiché chiuse le palpebre, sospirando affranto.

Milo si avvicinò alla porta per andarsene, ma si sentiva in dovere d aggiungere qualcosa. Del resto, gli aveva rivelato i suoi sentimenti così su sue piedi.

“Camus?”

Oui?”

Gli occhi dell’Acquario si riaprirono in una breve, ma intensa, scintilla di vita. Ogni tanto qualche parolina in francese gli scappava ancora, come da bambini.

“Riguardo ai miei, di sentimenti… - Milo prese un profondo respiro, mentre le sue pupille azzurrine guizzarono nella direzione del parigrado – Anche io ti voglio bene, Cam, anzi, molto più che bene...”

Nella stanza ricadde e tonfò un innaturale silenzio, il tempo necessario a Milo per decidere se rivelare proprio tutto o censurarsi prima della fine.

“Cam… - riprese, come rafforzativo, facendosi coraggio – Sei tu per me ciò che Marta è per te. Avevo bisogno di fartelo sapere...” disse di getto, poco prima di uscire il più velocemente possibile da quella stanza sin troppo soffocante.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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