Gelo.
Di nuovo il calore sembra essere stato
strappato via direttamente dal sangue.
Il silenzio impera con la sua pesante e
angosciosa tensione e fa suo ogni singolo suono. Solamente il respirare
affannoso
di Sephiroth si ribella a quel tombale dominio. Spiri lugubri, quasi
simili a
fischi, rotti da lacrime che si rifiutano di scendere. Quel cuore di
bambino è
divenuto troppo arido per assecondare l’ennesimo sfogo.
Troppo è accaduto nelle
ultime settimane. Troppa sofferenza, troppo dolore, troppa rabbia,
troppo
rancore, troppo senso di colpa. Sensazioni tutte troppo intense, troppo
soffocanti, troppo esplosive, troppo profonde… Semplicemente
troppo.
Nessuno,
per
quanto forte, può reggere a una tale valanga emotiva.
La mente del Generale è
sull’orlo del
baratro, poiché privata di tutti i suoi pilastri.
L’ultimo l’ho appena visto
crollare in migliaia di pezzi, colpito violentemente dalla
più potente e atroce
crudeltà mai subita: la realizzazione di non valere nulla
per nessuno. Non
chiedeva molto, solo di sapere da dove venisse, così da
capire dove andare;
sapere chi era, così da
decidere cosa
diventare. Invece, silenzio, o
bugie.
Queste ultime, però, sono state le lame che lo hanno ferito
più in profondità,
perché provenienti proprio da coloro che più ha
amato: Genesis, Angeal… Gast. L’uomo,
dal sorriso accomodante e gli occhi gentili, con sempre una parola di
conforto
da spendere; lo scienziato che gli fece conoscere il mondo fuori dal
laboratorio attraverso i suoi racconti; l’eroe spavaldo
dotato del coraggio
necessario per fronteggiare Hojo… non era altro che un
ammasso di specchi falsi
e millantatori che celavano il suo vero volto: un serpente viscido e
crudele.
Il suo veleno erano le bugie, così dolci e confortanti da
sembrare miele
cosparso di cannella. E Sephiroth ne ha ingurgitato così
tanto da esserne
assuefatto. Ha creduto ad ogni singola parola di quell’uomo.
Ha creduto,
soprattutto, alla più ignobile, gretta, brutale delle bugie:
“Tu puoi
essere normale”.
Tu
puoi
essere normale.
La dicitura ‘Progetto J’
svettante sui
fascicoli spalancati di fronte a lui rivela una storia del tutto
diversa. Una
storia che gli è stata tenuta nascosta per anni. Una
realtà scomoda fatta di
atroci esperimenti e violazioni di ogni umana dignità. E
quell’essere, dalla
pelle esangue e dalle profonde e livide occhiaie attorno agli occhi
arrossati e
dilatati, ne è il più straordinario risultato.
Un risultato. Uno dei centinaia possibili.
Solo una fortuita serie di calcoli probabilistici e cocktail genetici
dosati al
millimetro.
Come
si può
essere normali, quando perfino le proprie origini non hanno nulla di
normale?
Il consenso firmato per l’esecuzione
dell’esperimento che avrebbe portato alla sua creazione,
Sephiroth lo tiene tra
le dita tremanti, studiando per l’ennesima volta il testo
fitto di norme
legislative e termini legali che richiamano all’etica e alla
moralità.
Vagamente ironico se si pensa che ci troviamo nel luogo in cui si sono
consumati gli atti più immorali nella storia della scienza.
Poi, lo sguardo si
fissa sulle tre firme in calce alla pagina.
Tre
firme
per tre boia.
Qualunque futuro a cui Sephiroth avrebbe
potuto aspirare è morto nell’esatto momento in cui
quelle firme furono apposte.
Project
J
(S)’s Research Director signature
Faremis Gast
Scrittura pulita,
precisa, scaturita da una
mano abituata ad apporre firme, ma che, nonostante questo, si prende il
suo
tempo per risultare riconoscibile sempre, come prova inconfutabile del
suo
marchio. E’ evidente la voglia di imprimere la propria
impronta nella storia;
soprattutto in un momento come quello, dove un gruppo di menti cieche e
perverse decise del destino del Pianeta, pianificando la nascita della
più
grande minaccia dai tempi dei Jenova stessa.
Project
J
(S)’s Principal Investigator signature
HojoElijah
Questa firma, Sephiroth, l’ha vista tante
di
quelle volte da perderci il conto. Una firma capace di scatenare un
senso di
disgusto e odio più profondo delle fondamenta del Pianeta
stesso. Scrittura
essenziale, nervosa, sbrigativa, quasi a tradire l’enorme
fastidio dettato dal
sottrarre tempo prezioso alla ricerca. Fosse stato per Hojo, tutta
quella
cerimonia si sarebbe potuta risparmiare. Fosse stato per Hojo, forse il
Generale
non avrebbe nemmeno avuto una coscienza capace di rodergli il fegato.
Paradossalmente, il vecchio è stato il più
sincero di quella triade di
scellerati. E ciò non fa altro che alimentare il
risentimento verso se stesso.
Oltre il danno anche la beffa. E’ una crudele ironia che
l’uomo che lui ha sempre
disprezzato con tutto il cuore, è quello che effettivamente
non gli ha mai
nascosto le sue reali intenzioni. Il vecchio sapeva che lui non avrebbe
mai
retto alla verità. Il vecchio lo ha sempre capito meglio di
chiunque altro.
E
questo
Sephiroth non riesce ad accettarlo.
Cells J bearer
signature
Lucrecia Crescent
Un’altra cosa che Sephiroth non riesce ad
accettare è che quel terzo nome sia l’unico a
risultare illeggibile. Colui che
si è macchiato del peccato più grande. O meglio,
COLEI… Sua madre. Non sa cosa
pensare di lei. E’ l’unico mistero rimasto
irrisolto. Le uniche informazioni
riguardanti quella donna sono solo sterili referti di laboratorio.
Dall’enorme
ammontare di scartoffie, sua madre era tenuta sotto strettissimo
controllo
medico, per ovvie ragioni. E non solo. Ciò che
più colpisce, infatti, è la
quantità di ricoveri a seguito di pesanti tracolli fisici. I
referti raccontano
un quadro clinico preoccupante pure dal punto di vista psicologico.
Sembra che
fosse perseguitata da inquietanti visioni che l’avevano fatta
affondare in un
profondo stato di paranoia e depressione. Tutto ciò
l’ha portata a condotte
pericolose sia per lei che per il bambino.
Voleva
uccidere la causa della sua sofferenza. La domanda è: era
lei stessa o il
bambino che portava in grembo?
Le lunghe dita guantate, ora strette attorno
a sfortunate ciocche di capelli, rivelano che Sephiroth rimpiange di
aver
assecondato quell’impossibile desiderio di sapere. Fatica ad
accettare ciò che
tanto mostruosamente gli è stato posto davanti, sebbene
abbia sempre sospettato
di essere frutto dell’artificio. Forse non credeva in modo
così integrale,
specie se si pensa che nelle sue vene scorre il sangue di un mostro
alieno
sanguinario, esecutore del primo sterminio di massa della storia del
Pianeta. E
a lui era stato detto che POTEVA essere normale.
No… non si può, è
evidente. Tutto ha senso
ora, vero Sephiroth?
-Mi credi, ora?
–
Una voce superba e melliflua s’insinua
tra
le crepe gelate dell’apatia del Generale, recuperando col suo
gusto agrodolce
brandelli di lucidità. Egli, infatti, si riscuote appena,
volgendo, tremante,
l’attenzione verso la propria destra. Da
quell’angolo, lambito appena
dall’effimera luce giallastra del lampadario, emerge Genesis.
La grande ala
nera svetta magnifica al di sopra della sua spalla e lambisce
pigramente il
terreno, provocando inquietanti fruscii ad ogni movimento del
proprietario.
Sephiroth le rivolge un lungo, spaventato sguardo. Posso avvertire
un’altra
crepa attraversare la sua apatia alla realizzazione che, sì,
quella ‘cosa’
potrebbe spuntare dalla sua schiena da un
momento all’altro.
Sta letteralmente guardando il suo futuro.
Ha sempre avuto la sensazione che il loro destino era, in un qualche
modo,
intrecciato.
- Je…
Jen…n… -
Non osa dire quel nome. Quel nome che per il
grande Eroe è sempre stato un faro nel buio, la speranza
tenue di un bambino
bisognoso della mamma, un sogno bellissimo eppure irraggiungibile. Quel
nome
evocato chissà quante volte nelle ore oscure della notte,
quando gli incubi non
gli davano tregua. Quel nome a cui ha affidato le sue preghiere, le sue
speranze, i suoi sogni…
-Jenova, Sephiroth. Puoi dirlo, in fondo tutti noi
condividiamo
le sue cellule. In effetti, potremmo considerarla nostra madre.
–
Genesis continua imperterrito a lanciare le
sue crudeli gettate di veleno, nella speranza di fare breccia nella
fortezza di
depressione in cui Sephiroth si è chiuso. Ogni volta che una
parola esce da
quella bocca irriverente, il corpo dell’argentato
s’irrigidisce da capo a piedi
per poi essere scosso da potenti tremori. Inoltre, come se fosse
possibile,
egli sbianca ulteriormente.
Il rosso, dal canto suo, sorride malevolo di
fronte alla sofferenza del rivale. Lo conosce da abbastanza tempo da
sapere
quanto egli sia succube delle proprie emozioni. Gli ha tolto tutto, lo
ha
spogliato di tutta la sua baldanza, del suo potere, della sua forza; di
questo
passo il Grande Generale sarà ridotto ad un semplice guscio
vuoto, pronto ad
aggrapparsi a qualunque cosa, perfino ad un esperimento fallito come
l’ex-Comandate, pur di andare avanti con la sua inutile,
miserabile vita. E,
finalmente, Genesis sarà l’Eroe che ha sempre
sognato di essere.
- Madre? –
- Certo, Sephiroth.
Jenova è colei che ci rende così forti, che ci
dice cosa fare, che ci protegge
dalla morte. -, il rosso assottiglia gli occhi per studiare gli effetti
di
quest’ultima frecciata, - Non vorrai davvero rinnegarla ora
che sai tutto? –,
insinua viscido, mentre si avvia verso la scrivania, e si siede sopra
di essa,
dandoci le spalle, - Di conseguenza, -, continua, tendendo una mano
elemosinante verso Sephiroth, - non vorrai lasciare che un tuo fratello
muoia,
disattendendo al volere di nostra madre? –
Quella parole mielose e piene di falsa
accondiscendenza urtano accidentalmente un nervo scoperto e molto
doloroso
nella psiche dell’argentato, strappandolo tutto
d’un colpo dall’apatia. Egli si
scaglia con velocità disumana verso Genesis, lo afferra per
il collo, lo
solleva di ben oltre la sua testa e lo schianta contro il pianale della
scrivania. Quest’ultima si spacca di netto con un sonoro
crepitio, sotto la
potenza inaudita del colpo. I fascicoli esplodono in aria, librandosi
ovunque
per la stanza. Genesis emette un gemito soffocato e sputa un
po’ di sangue,
mentre Sephiroth lo blocca a terra col suo peso.
- PERCHÉ
DOVREI SALVARE LA TUA MISERABILE
VITA? TU, CHE MI HA PORTATO VIA TUTTO?! –
Le dita del Generale sono strette attorno al
bavero del sottoposto e lo scuotono con forza, costringendolo ad
impattare
contro il pavimento ancora ed ancora. L’espressione di
Sephiroth è spaventosa:
gli occhi di mako brillano in tutta la loro gelida e inquietante
rabbia, mentre
screziature rosate cominciano a comparire nell’iride destra;
rughe imbruttite e
profonde deformano la fronte, il ponte del naso e i lati della bocca;
le labbra
si sono ritirate per far spazio ai denti appuntiti, così
vicini al viso
avversario che potrebbero strapparglielo se solo glielo permettesse.
Avverto una mano minuta stringere la mia,
riportandomi alla mente di non essere il solo ad assistere a queste
scene
inedite. Getto un’occhiata fugace alla ragazzina accanto a
me, scioccata di
fronte alla lite furibonda tra i due uomini che più hanno
segnato la sua vita.
Non saprei dire se sia più turbata per la rabbia del padre o
per il pericolo
corso dal tutore.
- Quanto sei cieco,
Sephiroth. Sei arrivato fino a qui e ancora non capisci niente. -, uno
strano
eco risuona nella mia testa mentre il ricordo di un rimprovero analogo
striscia
fuori dai meandri della mia mente, - Sei davvero convinto che la Shinra
ti
avrebbe permesso di andartene così? Tu, il loro
più costoso investimento? –
In un colpo, la crudele ironia colpisce
dritto nel segno. Sephiroth si ritrae, abbandonando il bavero del rosso
e
portando una mano alla fronte. Di nuovo, l’espressione del
Generale tradisce il
suo più totale smarrimento. Per quanto l’albino
non voglia dare credito
all’ex-Comandante, i fascicoli ora sparsi ovunque sul
pavimento non fanno altro
che sbattergli in faccia la crudele realtà, dando ancora
più adito alle ragioni
del banoriano.
Tu
non sei
mai stato libero.
Tu non sei stato concepito, sei stato costruito.
Sei nato perché la Shinra ha
PAGATO per averti.
Tante,
troppe persone sono morte per migliorare le tecniche di manipolazione
genica al
punto tale da trasformare un semplice ammasso di cellule umane nella
perfetta
macchina di distruzione, commissionata dalla più potente
Compagnia elettrica del
mondo.
E’ questo ciò che sei.
Non
meriti gli
stessi diritti di un essere umano.
Tu sei un mostro.
- Basta… -
Le parole tetre lo tormentano, come demoni
sadici lo pungolano dispettosi. Implora la fine di quel supplizio,
piagnucolando come un bambino sperduto. Sephiroth afferra la testa con
entrambe
le mani. Le dita affondano nella folta chioma argentea, raggiungendo il
cuoio
capelluto. Il petto si espande e si comprime a ritmi serrati,
affannosi. Il
panico lo attanaglia, la realizzazione lo distrugge, la coscienza lo
divora.
Gli occhi si muovono febbrili da un fascicolo all’altro,
nella speranza di
trovare un punto cieco su cui finalmente posare lo sguardo sconvolto e
fuggire
da quella verità devastante.
Invano.
- Basta dirti bugie,
amico mio. Nel profondo, lo sai, lo hai sempre saputo che te le
avrebbero
portate via. E tu SAI che fato le avrebbe aspettate se la Shinra fosse
arrivata
prima di me. –
E dalle viscide labbra del suo
ex-commilitone, arriva la stoccata finale. La sola menzione a quella
possibilità,
un brivido gelido attraversa il corpo del Generale, rievocando ricordi
terrificanti e mai sopiti. Il peso di quelle esperienze sembra
improvvisamente
schiacciarlo, tanto che non ha nemmeno più la forza di
reggersi la testa. Ogni
oncia di sangue sembra essere stata succhiata via, tanto la sua pelle
è
cinerea. Con la testa abbassata, la schiena incurvata, le braccia
abbandonate
sulle gambe, sembra una macabra marionetta a cui hanno tagliato i fili.
Per un lunghissimo istante, una surreale
stasi spodesta con la sua anti-climatica calma il caos regnante poco
prima.
Ogni suono è congelato, ogni movimento impedito, ogni
aspettativa possibile.
La
calma
prima della tempesta.
Improvvisamente, quasi impercettibile, un
lugubre mugolio detona nel cuore della stasi. L’onda
d’urto è così devastante
da causare profonde incrinature su ogni singolo oggetto presente nella
stanza.
Io stringo Takara a me, presagendo già la tempesta in
arrivo. Vorrei scappare,
ma un’insana curiosità mi tiene incollato al mio
posto.
Mi
sono
sempre chiesto: come nasce un mostro?
Il mugolio diventa sempre più distinto,
fino
a definirsi in un agghiacciante sghignazzo, la cui potenza causa crepe
sempre
più profonde e scricchiolii sempre più
assordanti. E’ spaventoso quanto il
senso di disagio capace d’insinuarsi direttamente nelle ossa.
Lo scricchiolio è
ormai insopportabile, ma non sovrasta mai il suono orrendo che la
genera, anzi
è una nenia ipnotica che ti avvolge nel suo mortale
abbraccio. Infine, giunge
il culmine, il momento in cui l’Eroe muore e il Mostro
trionfa. Il momento in
cui la mente di Sephiroth si frantuma in migliaia di pezzi e tutto
l’odio, la
rabbia, il rancore racchiuse nei recessi più oscuri della
sua psiche si
riversano in ogni angolo del suo corpo, corrompendolo fino al midollo.
Una risata folle, sguaiata, diabolica
prorompe potente come un tuono, sconquassando ogni fibra della nostra
anima,
oltre che il corpo del suo fautore. Le spalle, la schiena e la testa di
Sephiroth si sollevano di scatto, lasciando che quel terribile suono si
elevi
verso la superficie, affinché tutto il Pianeta possa udire
la voce della sua
furia. Tutto il suo corpo è teso nell’atto di
ridere, turgido e statuario come
una belva in procinto a festeggiare la sua ritrovata
libertà. I denti sono
snudati e spuntano simili a zanne appuntite dalle gengive rosso sangue,
esposte
all’inverosimile. Infine, gli occhi, come sempre, la peggiore
visione alla
fine.
Fuoco.
Solo un infinito, indomito e scatenato mare
di fuoco, specchio stesso della sua anima devastata, il cui richiamo
riecheggia
fin fino ai più profondi meandri dell’Inferno. E
da lì, un nuovo padrone emerge
avvolgendo totalmente il Generale con un’onda di ribollente
lava, per poi
ritrarsi indietro, lentamente, sensualmente, accarezzando ogni singola
curva
del suo corpo. La risata di Sephiroth scema lentamente, trasformandosi
in
ansimi di piacere, tradendo la natura di quel contatto. Lo guardiamo
mentre
asseconda le delicate carezze che quella lava gli lascia sul viso, sul
collo,
sul petto, inseguendole con sinuosi movimenti delle suddette parti. Le
palpebre
morbidamente abbassate entrano in pieno contrasto con le labbra appena
dischiuse ancora deformate in un terrificante ghigno, in un perfetto
connubio
di piacere e odio.
Mano a mano che la lava abbandona il corpo
del Generale, essa si addensa e si plasma al fine di formare una
sagoma,
dapprima informe, ma poi sempre più definita in quella di
una donna dal corpo
sinuoso e sensuale. Bellissima quanto terrificante. Noto, tuttavia, che
non
tutto il plasma infuocato abbandona il Generale, un filo sottilissimo
collega
il centro del petto di lei alla parte terminale di una ciocca dei
capelli di
lui.
Una scena tenera appartenente a un
lontanissimo passato mi riporta all’esatto momento in cui
quel ciuffo di
capelli venne tagliato e consegnato all’amata, come pegno
d’amore imperituro e
incondizionato.
Non
solo il
tuo cuore bruciò con lei.
Evelyn, le cui meravigliose fattezze
rimangono ancora confuse dal mare di fiamme in cui è
immersa, si propende verso
il suo amato, lambendo con le sue mani laviche il viso tempestoso di
Sephiroth.
Lo attira verso di sé, così vicini che quelle
labbra potrebbero quasi toccarsi
per puro caso. Lei temporeggia, lasciando che il proprio uomo si
crogioli nella
dolce illusione di aver riportato indietro le lancette
dell’orologio. Quando
c’era ancora lei, quando tutto era un meraviglioso, caldo,
folle sogno. Lacrime
piene di rimpianto sgorgano dalle lunghe ciglia del Generale, scendendo
lungo
la curva delle palpebre ancora serrate e poi lungo la decisa curva
dello zigomo
appuntito, fino ad intercettare le mani infuocate della sua amata. Un
lieve
rigolo di fumo si eleva lì dove le amare gocce evaporano. In
tutta risposta,
Evelyn sposta i palmi e li fa congiungere sotto al mento
dell’amato, per poi
esercitare una lieve pressione, inducendolo ad alzare la testa ed
aprire gli
occhi.
Le sue labbra si schiudono, lasciando che
una voce dotata di una soavità e di una dolcezza
ultraterrene avvolga l’udito
del suo Generale.
-
Don’t be sad. I’m with you now. –
[Non
essere triste. Sono con te, ora, Sephiroth
FFVII: CC]
Per l’ultima volta in quella notte, il
sorriso di Sephiroth fu sinceramente felice. Lei era con lui. Questo
voleva
dire solo una cosa: l’Inferno era alfine giunto. Avrebbe dato
alla sua Regina
il suo legittimo regno. E nessuno l’avrebbe fermato. Quegli
inutili,
miserabili, schifosi insetti dalle fattezze umane sarebbero periti
sotto la sua
indomabile potenza. Quella Compagnia malata e marcia avrebbe pagato lo
scotto
per tutte le umiliazioni causate. Quel Pianeta morente e crudele
avrebbe
ricevuto il colpo di grazia proprio da colui che tanto ha vessato.
Perché lui era Sephiroth.
Il mostro più potente mai creato.
Colui il quale il potere enorme
dell’universo gli scorre direttamente nelle vene.
Il Prescelto. Il legittimo erede della…
Madre.
Nessuno è degno di questo titolo. Nessuno!
L’epifania colpisce il Generale con la
forza
di un fulmine, una scintilla potentissima brilla in quegli occhi velati
dal
rancore e dall’ira. Velati, ma non annebbiati. Sì,
perché ora SA. Per la prima
volta in tutta la sua vita realizza la sua vera identità, il
compito grandioso
a cui è stato preparato fin dalla nascita. Ora tutto si
spiega, tutta ha
finalmente un senso, comprese le frasi sibilline rivoltagli dalla
giovane Cetra
di bianco vestita, prima della sua partenza. Sì, lui
porterà morte e
distruzione senza fine, perché così è
scritto. E’ questo il suo destino.
Il sorriso si trasforma in un orrifico
ghigno satanico e i suoi occhi roteano in direzione di Genesis, il
quale ancora
lo fissa sbigottito dalla sua posizione supina. Lo osserva in tralice
con le iridi
smeraldine, trafiggendo gelido l’amico traditore attraverso
le sottili ciocche
argentate, le quali gli adombrano sinistramente il viso affilato.
E’
terrificante. Sia il rosso, che noi, semplici spettatori, avvertiamo un
brivido
di terrore ripercorrere tutta la lunghezza della spina dorsale.
- S- Seph? Ti senti
bene, amico mio? –, azzarda l’ex Comandante,
titubante.
In tutta risposta, l’Angelo dalla Sola
Ala
sghignazza lugubre scatenando l’ennesima doccia gelata.
- Mai stato meglio.
–
Gli occhi blu del banoriano si spalancano
all’inverosimile, mentre la paura lo avvolge.
Quella
voce…
Una forte sensazione di nausea mi assale, lo
stomaco si accartoccia su se stesso, la vescica si contrae, il cuore
inizia a
battere all’impazzata e il sudore freddo imperla la fronte,
il collo, la
schiena. Il corpo è così teso da risultare
inamovibile. L’istinto di scappare
c’è eccome, ma siamo troppo spaventati per farlo.
Perfino Genesis non riesce a
muoversi, il disagio gli ha perfino mozzato il respiro.
Improvvisamente, Sephiroth inspira. Chiude
gli occhi e rotea la testa, come se fosse in preda alla libidine.
- Oh, sì.
Sì, temimi.
L’odore della paura è ciò che
più ti si addice. –
Il SOLDIER di Banora snuda i denti e
assottiglia gli occhi, oltraggiato così profondamente da
quell’insinuazione
denigrante da scacciare via l’espressione impaurita sul suo
volto in pochi
secondi. Egli cerca di alzarsi di slancio, ma, tra il suo fisico
spossato dal
degrado e i colpi subiti poco fa, il risultato è patetico e
miserabile oltre
ogni limite. L’equilibrio del rosso è troppo
minato per un’efficace posa
battagliera, tanto che è costretto ad estrarre Rapier al
solo fine di
sorreggersi. Il suono limpido dell’acciaio che incide la
pietra sottolinea
ancora di più l’onta. Inoltre, il suo respiro
è pesante. Troppo
pesante. Così pesante da costringerlo a
tossire. Si porta il guanto alla bocca e, quando sposta il palmo, esso
è
macchiato di sangue nero.
Takara emette un gemito di pietà nei
confronti del suo tutore.
Ignorando le ferite, il rosso cerca di
sollevare il pesante stocco, ma le esigue forze
gl’impediscono di rinsaldare la
presa e l’arma cade a terra con un tonfo metallico. Inoltre,
i suoi polmoni
sembrano essere stati gravemente compromessi.
-
Come- cough- osi? Cough cough! -
Ad ogni colpo di tosse, schizzi di sangue
esplodono dal suo cavo orale, seminando gocce nerastre come se
piovesse, oltre
che colare dalle sue labbra. Genesis crolla di nuovo in ginocchio, ma
il suo
fisico non regge nemmeno quella posizione e lo costringe a carponi.
Cerca di
prendere profonde boccate d’aria, per ricevere in cambio
proteste sempre più
pesanti dal suo stesso apparato respiratorio.
Il tutto sotto lo sguardo divertito di
Sephiroth, il quale non sembra intenzionato nemmeno lontanamente ad
aiutare il
suo vecchio commilitone. Anzi, la sofferenza del rosso non fa altro che
accrescere la luce di puro godimento nelle iridi di gelido mako
acquamarina.
Le braccia del Comandante tremano dallo
sforzo, seguite poi a ruota dal corpo, il cui tremore, però,
è scatenato da una
causa ben più personale.
- Non voglio morire.
-, annuncia, tra singhiozzi e ansiti.
Del tutto indifferente, Sephiroth rompe la
sua immobilità e si propende verso la Masamune, abbandonata
a terra dopo la
distruzione della scrivania; dopodiché, lentamente,
misuratamente, egli si
eleva in tutta la sua terrificante magnificenza. La voce cristallina
della
spada leggendaria fende l’aria come una belva affamata,
impaziente di reclamare
il suo tributo di sangue. Il Generale osserva Genesis
dall’alto, con disgusto,
come un Dio impietoso osserverebbe il più osceno e blasfemo
dei peccatori.
- Oh no, tu non morirai. –
Il SOLDIER di Banora alza la testa di
scatto, stupito da quelle parole, interpretandole come un atto di
suprema
benevolenza da parte di quell’implacabile Dio della
Distruzione. La speranza
gli illumina gli occhi blu, i quali rivolgono uno sguardo adorante
verso il suo
salvatore.
-
Sephiroth… Sapevo
che avresti capito… Amico mio… -
Il viso di marmo del Generale si deforma in
un ghigno beffardo, da cui una risata vuota e mostruosa prorompe,
mettendo fine
alle suppliche del rosso. Questi sbianca, le pupille diventano due
capocchie di
spillo, mentre fissa inorridito la controparte avvicinarsi infidamente
a lui.
L’albino piega la schiena in avanti e, col collo, si propende
verso il lato
destro del suo viso. Le labbra cineree dell’Angelo
vicinissime al suo orecchio.
Ciocche del color della luna gli lambiscono lo spallaccio, si posano
sul
colletto rialzato, s’insinuano sulla pelle del suo collo.
Genesis non osa
muoversi. Il respiro affannoso è l’unico movimento
che si può concedere.
-
You’ll rot.
-
[Tu marcirai. Sephiroth, FFVII: CC]
Sussurrato questo, Sephiroth si
scosta e osserva l’uomo ai suoi piedi dritto negli occhi con
nera
soddisfazione, rivolgendogli un ampio, demoniaco sogghigno. Di fronte a
quello
sguardo, tutto l’orgoglio di Genesis capitola miseramente,
rivelando il suo
vero volto: un uomo disperato, terrorizzato dal suo stesso fragile
corpo
morente. Non sopporta più l’agonia, la costante
paura di vivere in un corpo
troppo debole, il timore incessante di non risvegliarsi più
a seguito del più
semplice dei colpi. Più di tutti, però,
c’è il terrore di andarsene troppo
presto, senza aver concluso nulla di utile nella vita, dimenticato,
senza
valore. Il panico dona a Genesis la forza necessaria di afferrare i
lembi
dell’impermeabile di Sephiroth, impedendogli di allontanarsi.
- NO! Ti prego,
Sephiroth! Io… io posso esserti ancora utile. Dammi le tue
cellule e potremo
combattere… insieme! Sì, insieme… come
una volta! –
Le suppliche e le lacrime del rosso non
sembrano minimamente lambire l’impassibilità del
Generale, il quale fissa
l’uomo implorante disgustato. I livelli di sopportazione,
infatti, raggiungono
l’apice e Sephiroth mette fine a quel miserabile teatrino
afferrando con
decisione il banoriano per la gola, stroncandone il discorso e
trasformarlo in
un raccapricciante gemito strozzato. Successivamente, solleva il
guerriero da
terra con una facilità disarmante e lo scaraventa senza
grazia a impattarsi
contro la libreria. I libri esplodono in un vortice di fogli e
copertine e
mensole spezzate, il quale ricade sopra al corpo del rosso,
seppellendolo sotto
il proprio peso.
Accanto a me, Takara scatta in direzione del
Comandante per soccorrerlo, ma io afferro entrambe le braccia e la tiro
verso
di me, chiudendola in un abbraccio.
-No!
Lasciami! -, urla la ragazzina,
scalciando e contorcendosi.
-
E’ un
ricordo. Non puoi fare niente per lui. -,
spiego, mentre lotto contro la sua determinazione.
Takara combatte ancora un po’, ma poi si
arrende, tuttavia non smette di fissare quell’angolo, in cui
il corpo dell’ex
Comandante di SOLDIER persevera immobile.
-
Genesis… - evoca con la voce rotta
da lacrime
screziate dal senso di colpa.
Con la coda dell’occhio, vedo Sephiroth
infrangere la sua immobilità e cominciare ad avviarsi verso
l’uscita. La sua
espressione è una maschera di completa indifferenza. Tirando
Takara con me, mi
faccio da parte, lasciandogli libero il passaggio, ma un mugolio
soffrente
interrompe la sua marcia.
- Fermati ora,
Sephiroth. Sei ancora in tempo per non seguire il mio esempio.
–
Il Generale lo fissa glaciale.
- Eppure ti sei
impegnato così tanto per condurmi qui. –
La crudele ironia del platinato getta un
pesante silenzio tra i due. Per un attimo crediamo che la discussione
finisca
lì, invece, Sephiroth abbandona il centro del corridoio e si
avvicina al
Comandante ancora riverso al suolo. La sofferenza del rosso
è ben evidente sul
viso mortalmente pallido e macchiato di sangue, i cui occhi blu
osservano,
stanchi e spenti, l’uomo che si accovaccia proprio di fronte
a lui.
- Ma io ti perdono.
–
Sia io che Takara che Genesis rimaniamo
stupiti da quelle parole.
Come
può
perdonarlo per tutto quello che gli ha fatto?
- Sei solo un
burattino. Una miserabile marionetta nella mani della Madre. Nel Suo
grande
disegno, eri un insignificante vettore per un fine. Non vali niente.
Non meriti
il mio odio, perché il ruolo a cui Lei ti ha relegato
è una punizione
sufficiente per me. –
Genesis è sempre più confuso.
Per quanto la
forma opinabile, il contenuto del perdono di Sephiroth è
assolutamente genuino.
Non v’è odio, né ironia, né
menzogna. E’ un perdono vero,
accorato, come a dimostrare la mano posta
sul cuore dall’argentato.
- Non osare! Non
osare
fare l’accondiscendente con me. Tu mi odi. Io ho dato fuoco
alla tua casa. Io
ho ucciso la donna che amavi. Io… -
L’ex Comandante abbassa la testa, mentre
i
ricordi dei suoi crimini osceni ritornano più dolorosi e
potenti che mai. Non
riesce a sostenere lo sguardo misericordioso dell’uomo su cui
il suo
risentimento è calato più pesantemente di
chiunque altro. Le lacrime sgorgano
copiose di fronte a quel perdono immeritato.
- Io, io, io.
Genesis,
ti stai dando troppa importanza. Non mi hai ascoltato? La Madre ha
voluto che
tu facessi ciò che hai fatto. E ora, grazie al tuo
intervento, posso finalmente
ascoltarla. Lo hai detto anche tu, no? Lei provvede a noi. Siamo i suoi
figli.
I suoi prescelti. –
A quelle parole, Genesis trova la forza di
guardare il Generale. Quest’ultimo sorride benevolo al
camerato e lo guarda con
uno sguardo del tutto differente dalle prime battute del loro incontro.
Non lo
trafigge con la freddezza, ma lo avvolge con calore, lambendo appena le
sue
sofferenze.
- I suoi
prescelti… -
Il banoriano ripete le parole dal sapore di
miele proveniente dalle gentili labbra di quel Dio compassionevole che,
misericordioso, gli lava via le lacrime dal viso con verbo appassionato
e
ripieno di speranza. Egli, infatti, è letteralmente travolto
dall’aura divina
di Sephiroth come testimoniano quegli occhi blu, da cui scaturisce una
luce
adorante. Del tutto perso in lui.
- Sì. Lei
mi ha scelto
affinché possa preparare il Pianeta per il futuro radioso
che la Madre ha
predisposto per noi. E così farò, fratello mio.
–
Sotto lo sguardo attonito di Genesis,
Sephiroth si alza, alto e fiero nella sua impeccabile postura di nuovo
Dio, e
osserva il minuscolo vettore che lo ha risvegliato. Non
v’è disprezzo, né
infamia in quegli occhi, solo un’emozione difficilmente
identificabile, tanto
indecifrabile è la sua immensa aura. Egli poi volge il suo
sguardo
imperscrutabile verso la fine del corridoio, da cui rumori ovattati
sembrano
arrivare.
- Sarà un
lungo e
periglioso cammino. Nemici di ogni tipo si nasconderanno dietro ogni
angolo. Io
farò di tutto per portare avanti la volontà della
Madre, ma… -, il Generale
s’interrompe e si rivolge a Genesis, - potrei fallire.
–
Un fremito attraversa il corpo debilitato
del Comandante, terrorizzato dall’idea del fato che
attenderebbe Sephiroth se
dovesse veramente mancare. Che ne sarà di lui? Che ne
sarà di loro?
Ad un certo punto, però, il Dio abbassa
la
testa, regredendo, per un attimo, allo stato fragile e miserrimo della
sfera
umana. Infatti, il ghigno mefistofelico è scomparso,
l’arroganza nei suoi occhi
volatilizzata, la postura ieratica rilassata.
- Addio, mia
principessa. –
Quella frase è un soffio flebile, quasi
impercettibile, ma capace di strappare una lacrima ad un Dio. Sia io
che
Genesis spalanchiamo la bocca per lo stupore, poiché non ci
aspettavamo che
fosse in grado di formulare un tale pensiero, dopo ciò che
è poc’anzi accaduto.
L’unica non sorpresa è proprio la protagonista di
quell’accorato addio. Ella
sorride, fiera e sollevata del fatto che, prima di morire, sua padre
abbia
dedicato l’ultimo suo pensiero a lei.
L’amore di un padre va al di
là di ogni
potere, di ogni entità, di ogni distanza. E’ un
legame così potente e stretto
che niente e nessuno riuscirà mai a spezzarlo. Non importa
quanto dolore,
quanto odio, quanta rabbia un uomo possa provare, ma l’amore
per i propri
figli, il desiderio di saperli al sicuro supera ogni barriera,
distrugge ogni
fortezza.
E nemmeno il grande Dio Sephiroth ne è
immune.
Un tonfo ovattato proviene dalla porta di
legno massiccio, la quale viene spalancata da una figura offuscata, la
quale
urla qualcosa d’incomprensibile.
Tutto inizia a girare e scomparire.
L’ultima cosa che vediamo è
Sephiroth
indossare la maschera del mostro e il baluginio della Masamune, mentre
ci
rimbomba in testa la fatidica frase:
-
Out of my way. I’m going to see my Mother.-
[Non
ostacolatemi. Sto andando a trovare mia
Madre. Sephiroth, FFVII: BF]
- Takara! –
Alzo il busto di scatto, protendendo la mano
verso il vuoto. Della ragazzina, però, nessuna traccia. La
sua figura distorta
dallo sfaldamento del ricordo è l’ultima cosa
rimasta di lei. Ora, mi rendo
conto di essere rimasto solo, in un luogo a me ben conosciuto. A pochi
metri da
me, infatti, distinguo un’inconfondibile chioma
d’argento ondeggiare
elegantemente a ritmo di una leggera e fresca brezza.
-Lei non
è qui. –
Sephiroth spazza via i miei dubbi, senza
nemmeno voltarsi. Credo che tutta la sua attenzione sia focalizzata
sulla
figura al di là del cancello. Evelyn è ancora
lì ad attenderlo. E ora capisco
il perché. Il loro legame è stato forgiato da
quella ciocca che lei ha sempre portato
con sé. Lei è morta assieme una parte fisica di
lui, non solo con il suo cuore.
Non potrebbero ignorarsi nemmeno volendo.
Sospiro, mi avvio verso Sephiroth e mi fermo
accanto a lui, distanziato di un paio di braccia.
Come volevasi dimostrare, egli è troppo
impegnato a contemplare la figura della moglie, inginocchiata nel bel
mezzo di
una densa nebbia, al di là del cancello di ferro battuto, il
quale ci divide
dal mondo dei morti. Come il marito, anch’ella osserva con
attenzione il muro
che la separa da questo strano limbo sospeso tra la vita e la morte,
sperando
in un altro miracolo come quello dell’altra volta. Entrambi,
comunque, sembrano
sereni, poiché sanno che la loro controparte è
più vicina di quanto credano.
- Perché hai perdonato Genesis?
–
La mia domanda esce dalle labbra in modo
quasi inaspettato, infrangendo la quiete dentro cui entrambi stavamo
lentamente
sprofondando. Egli risponde senza nemmeno pensarci, come se fosse
l’unica ovvia
spiegazione.
- La paura di morire
l’ha portato a fare scelte sbagliate. Non si rendeva conto di
quello che stava
facendo. –
La semplicità e la placidità
impresse nel
suo tono risultano quasi assurde. E inaccettabili. Ciò mi fa
montare su tutte
le furie. Avverto lo stomaco assaltato da strani crampi, di cui non
riesco a
identificare la causa. Tremante d’ira, riverso quel
sentimento addosso al mio
mortale nemico.
- Che diavolo di risposta è? Lui ti ha
distrutto la vita! Ha rivoltato tutto il mondo contro ogni tua
convinzione, ha
usato i tuoi uomini come cavie da laboratorio, ha bruciato la tua
casa… ha… ha
ucciso la donna che amavi…ha…ha…
–
Mano a mano che elenco i crimini di Genesis,
mi rendo conto di quanto assomigliano dannatamente a quelli commessi
dal
Generale stesso nei miei confronti. Crimini che non ho mai ponderato di
perdonargli nemmeno nell’anticamera del cervello, ma che,
anzi, non hanno fatto
altro che consumarmi ogni giorno sempre di più. La mia
baldanza si spegne,
lasciandomi senza alcuna forza. Crollo a carponi, mentre lacrime di
cordoglio
scendono incontrollate lungo le mie gote, succhiando via
l’energia ad ogni
goccia infranta al suolo. Stancamente, appoggio la fronte a terra,
lasciando
che i fili d’erba mi lambiscano la pelle. Le dita che, fino a
poco tempo prima,
erano infisse nel terriccio, ora sono strette attorno a ciocche di
capelli. Ma
anche quella forza viene a meno e mi ritrovo a piangere al limite
dell’incoscienza, riverso su un lato, membra abbandonate
sull’erba e in posizione
fetale. Il mio corpo non è mai stato tanto pesante, ma
nemmeno così svuotato.
Sono fisicamente esausto. E schifosamente patetico
- Hai capito quanto
è
straziante odiare? –
La voce calma e pacata di Sephiroth mi
riscuote. Alzo stancamente la testa nella sua direzione e incrocio i
suoi
occhi. Non posso fare a meno di stupirmi nel constatare che lui non mi
stia
trafiggendo con i suoi soliti sguardi mordaci atti a sottolineare la
mia
stupidità; oppure disprezzarmi con un’intensa
occhiata altezzosa superbia. No,
vedo tanta empatica pietà spillare da quelle iridi. E
dispiacere, oltre che una
profonda tristezza. L’ esatto specchio dei miei. Non credo di
essermi mai
sentito così nudo in vita mia, ma anche totalmente compreso.
Stancamente, faccio leva con le braccia e
alzo il busto, senza distogliere lo sguardo da quel tocco
così intimo e rassicurante.
E’ un momento intensissimo, capace di strapparmi il cuore
letteralmente dal
petto da quanto forte batte. Mi sento stordito, confuso dalla miriade
di
emozioni che sono esplose a seguito della distruzione del muro che da
sempre le
teneva imprigionate nei recessi del mio animo. Non
c’è più nessuna barriera tra
noi, perché anch’io riesco a vedere al di
là della sua maschera d’indifferenza.
Le nostre difese sono crollate totalmente, le nostre fortezze
spodestate e
messe a nudo agli occhi dell’altro. Non siamo più
nemici giurati, né pedine di
una guerra millenaria, né mostri rabbiosi, né
guerrieri sanguinari; bensì uomini.
Ciò che ci è stato vietato per tutta la
vita. Ed è ciò che ci ha sempre accomunato.
Io, tuttavia, sono il più spregevole
degli
uomini. Una feccia schifosa, dorata da un eroismo che non mi
è mai veramente
appartenuto. L’ho costretto a compiere nefandezze indicibili,
pur di mettere a
tacere il senso di inadeguatezza che da sempre ha gravato sulla mia
coscienza.
Egoisticamente, mi sono aggrappato alla sua straordinaria grandezza,
infangandola, sfregiandola, demolendola pur di esaltare quella miseria
che da
sempre mi ha contraddistinto. Non sono mai stato niente rispetto a lui.
Sephiroth era l’eroe che ogni ragazzino sognava essere:
altruista,
responsabile, disinteressato. Ed io… io non lo sono. Non lo
sono mai stato: ho
sempre pensato a me stesso, vendendo la mia forza al miglior offerente,
seguendo
la mia strada e infischiandomene delle conseguenze. Ogni occasione era
buona
pur di dimostrare quel valore di cui non ne possedevo nemmeno un
grammo. Non ci
ho pensato due volte a spacciarmi per Zack, nascondendo la sua memoria
pur di
dimostrare di non essere un totale fallito. Volevo essere il
più forte e non
volevo che il merito andasse agli altri, perché…
sì, lo ammetto, mi sentivo
superiore. Ma ora capisco che no, io non lo sono affatto. Non senza
coloro che
amo. Coloro i cui sentimenti e desideri sono sempre stati calpestati
dal mio
cieco egoismo. Coloro che, nonostante tutto, mi sono sempre stati
accanto.
Coloro che, nonostante le sofferenze, mi
hanno amato…
Tifa…
Abbasso la testa e avverto il rimorso
devastarmi.
Lei mi è stato sempre accanto, ha sempre
creduto in me, fin dall’inizio, quando non ero altro che un
ragazzino di
provincia debole e inutile. A lei non è mai importato se
fossi rimasto un
sempliciotto di campagna oppure un SOLDIER acclamato, lei mi avrebbe
amato
sempre e comunque. Guardo sofferente la mia controparte. Le lacrime
hanno
ripreso a scorrere. E’ questo che ha sempre cercato di
inculcarmi. Voleva che
combattessi per le persone a me più care, dal momento che
lui non poteva più.
E’ per questo che tornava: per ricordarmi questo.
E io l’ho odiato così
tanto…
Un odio immeritato, quando lui, a modo suo,
ha voluto sempre aiutarmi.
Cammino a carponi nella sua direzione, verso
quella figura statuaria che magnifica svetta verso il cielo bianco
latte. La
brezza gli scuote delicatamente le ciocche sottili dei capelli
d’argento, le
quali gli lambiscono il viso disteso,
benevolente…bellissimo, lo devo
ammettere. Un angelo intriso di peccato, ma pur sempre un angelo. Egli
segue la
mia avanzata con leggero stupore, come dimostrano le labbra rosate
morbidamente
dischiuse. Appena lo raggiungo, alzo il busto e avvolgo le braccia
attorno alla
sua vita, per poi affondare il mio viso nel suo grembo. Sephiroth
sussulta di
sorpresa e fa per ritrarsi, ma prontamente le mie dita afferrano
disperatamente
il tessuto della sua nivea camicia, con il rischio di strapparla.
- Cloud,
cosa…? -
- Mi dispiace… Non sei tu a ricercare il
mio
perdono, ma io il tuo. Io ti ho rubato tutto. Ho approfittato della tua
caduta
per appropriarmi dei tuoi titoli e denigrare la tua memoria. Mi sono
lasciato
accecare dalla rabbia, dall’odio e dalle bugie della Shinra.
Ho rinnegato tutta
l’ammirazione nei tuoi confronti, senza nemmeno chiedermi
cosa ti avesse spinto
ad agire così. Ho perseguito la vendetta con tutte le mie
forze, spingendomi
fino alla fine del mondo e… alla fine, cosa mi è
rimasto? –
Alzo lo sguardo e lo fisso nel suo. Blu nel
verde, mako nel mako.
- Te lo dico io: niente! Come niente sono
sempre stato. Io… volevo solo essere come te… -
Lo stupore iniziale di Sephiroth si tramuta
in un’espressione di pura sofferenza, appena pronuncio
l’ultima frase. I suoi
occhi si spalancano terrorizzati e la sua bocca si contrae mimando un
muto
‘No’. Egli inizia a scuotere la testa, sconvolto,
mentre cerca di convincere se
stesso di non aver sentito davvero quelle parole. Glielo posso leggere
letteralmente al di là di quella pupilla oscura, ridotta a
una capocchia di
spillo e straordinariamente umana. E’ uno spettacolo unico.
Avverto improvvisamente i suoi polpastrelli
strisciare sulla pelle del mio viso, i palmi ampi accogliere la mia
testa nella
loro disperata stretta, le lunghe dita affusolate insinuarsi tra i miei
capelli.
Odo il crepitio dei suoi guanti neri e le falangi premere contro il
cuoio
capelluto, come se volesse impedirmi di ritrarmi; ma, sinceramente, io
sono
così affascinato dalla sua figura da non riuscire nemmeno a
muovere un muscolo.
La sua mascella si contrae e i suoi occhi si assottigliano e si
rabbuiano,
tradendo un’ondata di rimorso capace di spaccare in due il
Pianeta stesso.
Rimango sorpreso da quel repentino cambio d’umore, ma non ho
il tempo di
chiedere, poiché lui, lentamente, si piega nella mia
direzione, fino ad appoggiare
la sua fronte alla mia per un rapido istante, per poi rialzare il suo
sguardo
dritto nel mio. Il respiro si mozza in gola appena avverto il gelo
della sua
pelle pervadermi il centro della testa. Gli occhi si spalancano dallo
stupore
nell’apprendere di non avvertire nessun fiato solleticarmi la
pelle. Al che
capisco che la vita in quel corpo è solo un remoto ricordo.
Istintivamente,
rafforzo la stretta attorno ai suoi fianchi per donargli un
po’ di conforto, ma
l’iniziativa non sembra sortire nessun effetto; anzi
ciò lo turba ancora più
profondamente. La mascella, infatti, si contrae ancora e gli occhi
diventano
lucidi. La tonda pupilla ora mi scruta severa attraverso le lunghe
ciglia nere.
Deglutisco rumorosamente dalla soggezione che questa strana vicinanza
mi
provoca, tuttavia non riesco a distogliere lo sguardo. Non potrei
nemmeno volendo
dal momento che la presa sulla mia testa da parte di Sephiroth si
è fatta
incredibilmente più determinata.
- Cloud…
quanto sei
idiota. Non ti sei mai reso conto, vero? Tu STAI diventando esattamente
come
me. Ti senti niente, perché…niente ero. Stai
abbandonando coloro che ami per
continuare a inseguire un’ideale inesistente. Come ho fatto
io… -
L’ultima frase è pronunciata
con un filo di
voce, ma è un sibilo così penetrante da colpirmi
dritto al cuore. Avverto il
mio corpo fremere, davanti a quell’ammissione così
sofferta e piena di
devastante rimpianto. Un paio di minuscole lacrime, sfuggite al
controllo del
Generale, sfilano lungo il suo viso affilato, ma egli chiude gli occhi
e si
concentra, come suggerisce il leggero fremito dei muscoli
sopraccigliari.
Quando, finalmente i sentimenti sono richiamati all’ordine,
egli si raddrizza e
spazia con le mani il nebbioso vuoto che ci circonda.
- Guarda dove
quell’ideale
ci ha portato… –
La sua voce è stanca, stracolma di
tristezza, ma ancora capace d’indurre un uomo
all’obbedienza. Come ordinatomi, infatti,
mi guardo attorno. Il mondo è avvolto in una nebbia
così fitta da non riuscire
a distinguere nient’altro, se non quel cancello sbarrato su
un futuro fin
troppo nitido. Un futuro fatto di attesa e solitudine. Un futuro che ci
obbliga
a guardare quello che una volta avevamo e che noi, per perseguire un
sogno al
di fuori della nostra portata, abbiamo lasciato alle spalle. Siamo
stati troppo
veloci, troppo veementi, troppo affamati.
Inizio a ridere. Fin da bambino, ho sempre
dovuto dimostrare qualcosa agli altri. Volevo essere forte per farmi
rispettare, per ottenere ogni cosa desiderassi, per rendere mia madre e
Tifa
fiere di me. Vedevo in SOLDIER, in Sephiroth, un modo per ottenere
quella
fantomatica forza che mi avrebbe aiutato a raggiungere i miei sogni.
Una forza
che, tuttavia, non mi ha mai nemmeno sfiorato: i miei compagni, i miei
comandanti mi credevano un totale fallito. Tutti nel Reparto mi
disprezzavano e
vedevo quel sogno allontanarsi ogni giorno sempre di più.
Poi arrivò la notte
in cui tutto cambiò, in cui vidi l’uomo
più forte del Pianeta crollare sotto il
peso delle sue stesse debolezze. Un uomo che ha permesso a un potere
corrotto
di trasformarlo nel suo schiavo. E io, che avevo perso le persone che
amavo,
che non le avevo protette,
sconfiggerlo con una facilità disarmante. Non mi accorsi mai
che quel dolore fu
la scintilla capace di radere al suolo quei limiti che nella mia
ottusità mi
sono sempre imposto. Ora realizzo: io tengo agli altri, li ho sempre
messi al
di sopra di ogni cosa, inconsciamente, magari, arrivando perfino a
mentire a me
stesso, a ferirli coi miei lunghi silenzi e i miei comportamenti
scontrosi, però,
alla fine, sono sempre tornato.
Grazie
a
lui.
Rivolgo a Sephiroth un’occhiata grata,
appena mi riconosco la veridicità delle sue parole.
- Essere eroi richiede un prezzo pesante da
pagare… e spesso non si è in grado di sostenerlo.
E’ per questo che esistono
gli antagonisti. -
Di tutta risposta, lui chiude gli occhi e
inarca i lati della bocca in un sorriso nostalgico, trasformando la sua
espressione neutra in una più gentile e franca. Ha un che di
paterno e ciò mi
fa nascere uno strano languore all’altezza della bocca dello
stomaco. Il
Generale rivolge poi il suo sguardo malinconico verso un punto lontano.
- E’ come asseriva sempre Genesis: The
world needs a new hero. [Il mondo ha
bisogno di
un nuovo eroe, Genesis
FFVII: CC]. Solo ora capisco
cosa
volesse dire… -
Sephiroth abbassa la testa, in preda al
rimorso.
Rimango stupito dal fatto che, perfino ora,
egli non riesca a perdonarsi del modo con cui ha dubitato
dell’amicizia di
Genesis. Nel loro modo distorto, i due erano legati da un sentimento
profondo,
che tutt’ora li perseguita. Vorrebbero odiarsi, ma non ci
riescono, perché, in
fondo al loro cuore, sanno che uno ha sempre agito per il bene
dell’altro, e
che i torti compiuti non erano altro che la manifestazione della loro
frustrazione.
Realizzo d’improvviso che è lo
stesso
rapporto che intercorre tra me e Sephiroth, con l’unica
differenza che noi non
siamo e non saremo mai amici; tuttavia egli vede in me un modo per
redimersi
dai peccati. Forse aiutandomi, può dimostrare a se stesso
che ha capito gli
insegnamenti impartitogli con tanta insistente veemenza,
così che i sacrifici
dell’amico non siano stati vani.
- Ora capisco perché hai perdonato
Genesis.
-, esordisco, richiamando l’attenzione dell’albino
su di me, - Non per
compassione, non per onore o per chissà quale piano
visionario. No… ti sei
convito di meritare ciò che ti è stato fatto. Tu
andasti avanti a discapito di
un commilitone in difficoltà e la distruzione della tua
famiglia fu il giusto
fio da pagare, non è così? –
L’Angelo dalla Sola Ala non risponde, ma
il
suo silenzio è una risposta sufficiente per me.
- E’ per questo… -,
m’interrompo, mentre
cerco le parole adatte per formulare quella domanda che da tempo mi
ronza in
testa, - Che accetti che tua figlia venga sacrificata? -
Appena pronunciata quella frase, Sephiroth
s’irrigidisce da capo a piedi. I suoi occhi si spalancano, le
sue pupille
s’allungano verticalmente, i suoi tratti
s’imbestialiscono. Con un movimento
fluido, mi rimetto in piedi e muovo un passo all’indietro,
allertato da
quell’improvviso cambio di tono.
- Sephiroth? Che ti succede? –
Qualche secondo dopo, egli viene colto da
spasmi che lo costringono a piegarsi in avanti. Geme e urla similmente
a un
ossesso, mentre le dita affondano nel cuoio capelluto, causandosi
profondi
tagli alla pelle, da cui, però, non esce una sola goccia di
sangue. Esce…
polvere. Sono basito e senza parole, davanti a quel corpo che si
contorce
compulsivamente, come se fosse posseduto da un essere demoniaco.
L’istinto mi urla di allontanarmi
ulteriormente, ma decido di ignorarlo e di coprire la distanza per
trovare il
modo di soccorrerlo. Gli afferro i polsi con stretta ferma, cercando di
riportarlo in sé.
-Sephiroth! Che ti succede? Rispondimi,
dannazione! –
Inaspettatamente, egli si libera dalla presa
con un rapido movimento e circondo la mia testa con entrambe le mani,
per poi
tirarmi verso di lui. Le nostre fronti sono di nuovo a contatto e lo
avverto
aggrapparsi a me quasi con disperazione. I suoi occhi sono iniettati di
terrore.
Non posso fare a meno di fissare quelle iridi passare dal rosa al verde
ad un
ritmo allucinante. La pupilla è ridotta a una capocchia di
spillo ed è
inquietante il modo in cui passa da tonda a sottile in perfetta
sintonia con il
resto dell’occhio.
- P-proteggila,
C-Cloud. T-t-ti prego, pro-pro-proteggi la mia bambina. –
Gli spasmi impediscono al Generale di
parlare fluidamente, mentre la possessione gli deforma la voce
facendogli
assumere toni disumani e spaventosi. Sta combattendo con tutto se
stesso contro
qualunque cosa gli stia devastando la mente, tanto che mano a mano che
i
secondi passano, le sue forze vengono a meno, costringendo il suo corpo
alla
prostrazione. L’unico motivo per cui ancora non è
crollato a bocconi a terra è
la disperazione con cui si regge alla mia nuca. Cerco di dargli mano
forte,
apponendo le mani a sostegno delle sue braccia. Dopo che
l’ennesimo attacco è
passato, egli ritrova la forza di alzare la testa e guardarmi dritto
negli
occhi. Mi sta letteralmente implorando con lo sguardo, con quei bulbi
virei e
lucidi per la fatica e la costernazione.
- Io… -
Non oso continuare. Come faccio a dirgli che
è stata proprio sua moglie a commissionarmi il gramo compito
di trasformare sua
figlia in una martire per la salvezza del Pianeta? Eppure dovrebbe
essere
conscio del destino a cui Takara è stata condannata, a causa
della sua natura
duplice, tra sangue jenoviano e Antico…
Un
momento…
Evelyn
non
era una Cetra qualunque. Discendeva da colui che sconfisse Jenova, uno
dei
Sephera più potenti, la cui specialità
è appunto la manipolazione dei ricordi.
Entrando
in
contatto con le cellule S aveva iniziato a notare cambiamenti nel suo
corpo: alcuni
erano evidenti sin da subito come temporanee mutazioni delle sue
pupille da
normali a serpentine; altre più silenti, ma dagli effetti
permanenti come la
miracolosa guarigione dalla sterilità e la conseguente
gravidanza.
Ricordo
bene
la sua ultima incursione nell’ultima visione in cui
l’ho vista. Non era la
donna che avevo imparato a conoscere. C’era qualcosa di
malvagio in quegli
occhi smeraldini, qualcosa di oscuro in un quel ghigno innaturale,
qualcosa di
misterioso in quel tono fin troppo malizioso.
E
poi, quel
particolare della ciocca infuocata…
Un
desiderio
troppo dirompente per non essere ignorato…
Un’occasione
troppo ghiotta per non essere colta.
Mi volto di scatto nella direzione del
cancello. E ciò che vedo conferma i miei dubbi.
La donna al di là delle sbarre, la cui
espressione si è fatta di cera, ha gli occhi ferini puntanti
su di noi e ci osservano
con un’oscura e inquietante luce rosata.
- Jenova si è presa Evelyn la notte
stessa
in cui siete stati insieme per la prima volta. Ha approfittato del
vostro amore
per soggiogarvi l’uno all’altra, così,
quando le cose sono precipitate, ha
creato quell’ illusione per controllarti. –
Scambio uno sguardo
d’intesa con Sephiroth, il
quale conferma la mia tesi con un debole movimento del capo. Abbandono
il
Generale e compio qualche spavaldo passo in direzione del cancello, al
di là
del quale “Evelyn” mi osserva con occhi
così ricolmi d’odio da convertire lo
smeraldo splendente di quelle iridi benevoli e meravigliose in puro
nero
inchiostro. Noto i suoi denti digrignarsi, la sua pelle assumere
un’insana
colorazione verdognola, le nocche sbiancare, il corpo tremare di una
rabbia
incontenibile. Mi fermo e mi pianto esattamente di fronte a lei, pugni
chiusi e
sguardo di sfida.
- Ma qualcosa nel tuo
piano è andato storto,
vero? L’amore incondizionato di una madre è un
potere al di sopra di qualunque
cosa, tanto da impedirti di controllare Takara. E quando il diario
è giunto a
me hai fatto di tutto per ostacolarmi, fino a convincermi che ucciderla
è
l’unico modo per salvare il Pianeta. -, sogghigno
soddisfatto, di fronte
all’aura d’ira che avvolge l’esile figura
della donna, e muovo un altro passo
nella sua direzione, - Davvero scaltra, ma, come al solito, hai
sottovalutato
la forza dei legami umani. Duemila anni ad osservarci e non hai ancora
capito
niente… Jenova. -
Il suo nome pronunciato
con tale disprezzo e scherno
è la goccia che fa traboccare il vaso. La figura esile e
innocente
dell’ex-geisha trasfigura rapidamente in quella mostruosa e
sinuosa di Jenova
stessa. Le grandi ali nere si spalancano maestose alle sue spalle, con
una tale
forza da creare una potente onda d’urto che sarebbe stata
capace di sollevarmi
da terra, se non avessi avuto la freddezza di accucciarmi e chiudermi a
uovo,
proteggendomi viso ed occhi. Appena il vento scema, riapro le palpebre
e scruto
la situazione al di là del braccio posto in posizione di
difesa. La visione è
ancora un po’ distorta e confusa e riesco solo a distinguere
i giganteschi
contorni di quelle ali nere così lucide da risaltare come
astri nel buio
stellare dell’universo. Non so dove quel mostro mi abbia
catapultato, ma un
gelido terrore mi sale lungo la schiena, preannunciando
l’inevitabile. Metto a
fuoco la figura bianco latte che, sinuosa e femminile, si staglia in
pieno
contrasto tra gli arti piumati di gelida ombra. Luminosi baluginii
provengono
dalla sua testa e capisco che si tratta dei lunghi capelli
d’argento che
ondeggiano ad ogni suo movimento e che coronano il capo come ispide e
affilate
lame di puro acciaio. Infine, riesco a puntare il suo viso, in quel
momento
deformato in una smorfia di pura ira. I denti, aguzzi come zanne,
snudati; le
iridi grondanti di luce sanguigna e le pupille serpentine dilatate
dalla sete
di vendetta. Un basso, sommesso ringhio proviene dalla sua direzione,
come
oscuro presagio della sua prossima imperscrutabile mossa. Non so cosa
aspettarmi,
non so di che cosa sia capace quel mostro e il terrore lentamente mi
attanaglia, impedendomi di ragionare lucidamente. Riesco a notare un
movimento
rotatorio della suo braccio sinistro, ma lei copre le sue azioni
cacciando un
urlo così acuto e assordante da costringermi a richiudermi
in posizione
difensiva e tapparmi le orecchie. Grido di dolore. Nonostante la
protezione
costituita dai palmi, i miei timpani vibrano pericolosamente e
dolorosamente,
arrivando a credere di stare per diventare sordo. Improvvisamente,
però, un
presentimento si eleva al di là del dolore e mi suggerisce
di alzare la testa e
aprire gli occhi. Anni e anni di scontri contro Sephiroth hanno
affinato il mio
sesto senso, rendendomi attento anche quando non lo sono. E anche
questa volta,
ha ragione. Il movimento del braccio era atto alla trasformazione di
quest’ultimo in un’affilatissima lama acuminata.
Trasformazione
convenientemente coperta da un diversivo.
Ingegnoso.
Fin troppo.
Lei, infatti,
è esattamente a un braccio da
me. L’ombra gigantesca del suo corpo alato oscura
l’accecante luce delle stelle
imperiture, ingoiandomi nel suo spaventoso abisso. La lama caricata
all’indietro, pronta a colpirmi d’infilata,
è l’unica cosa che dona luce a
quella sagoma d’inconsistente nero. Il tempo sembra fermarsi,
mentre assaporo
gli ultimi istanti della mia vita; mentre fisso le aliene e bellissime
fattezze
del mio assassino.
Sento di stare per
annullarmi, di arrendermi
all’inevitabile, come è accaduto con Genesis, ma,
d’un tratto, il viso di Tifa
mi passa davanti agli occhi per un unico, significativo istante.
Il vuoto viene
riempito: ho paura, provo
rimpianto, vorrei abbracciare la mia Tifa. Vorrei chiederle scusa,
vorrei
baciarla, amarla… per l’ultima volta.
Una stretta forte e
decisa alla spalla mi
strappa brutalmente dalla spirale di panico in cui ero piombato e mi fa
riacquistare lucidità. Lo scorrere dei secondi ha ripreso il
suo normale corso,
ma per me, ancora stordito dall’incessante fischio alle
orecchie, sembra tutto
accelerato all’inverosimile; tanto da non essere in grado di
seguire il corso
degli eventi. Un secondo prima sono in ginocchio di fronte a Jenova e
il
secondo dopo mi ritrovo a rotolare sul pavimento liscio. Ora sono
sospeso a
mezz’aria cadendo morbidamente verso un abisso di luce, il
cui calore mi
solletica la spina dorsale. La mia attenzione è totalmente
attirata da quella
parte, tanto da riuscire a distinguere quelle che paiono essere sagome
muoversi
al di là della cortina luminosa. Un baluginio insistente,
però, fa capolino dalla
vista periferica, inducendomi a voltare la testa e guardare in avanti.
Rimango
senza parole e incredulo di fronte a ciò che sta succedendo
esattamente davanti
ai miei occhi. La spada che avrebbe dovuto essere conficcata nel mio
petto
spunta spietata dalla schiena del Generale. La sua figura possente non
sembra
risentire troppo del colpo, poiché non cede un solo passo al
furioso impeto
della sua adorata Madre. Ella sembra spingere sempre più in
profondità quella
lama nelle sue carni, come testimoniano i raccapriccianti suoni di
viscere
spappolate e nugoli di polvere che spillano dalla ferita.
Ci metto un
po’ a realizzare che… Sephiroth mi
ha salvato!
Si è
interposto tra me e Jenova, prendendosi
una lama lunga quanto un braccio nell’addome. E ora le sta
impedendo di
raggiungermi, trattenendo quell’arma nel suo corpo, fondendo
le sue cellule con
quelle multiformi della Madre, lottando strenuamente contro un essere
ben
superiore a lui.
- Sephiroth! –
Inizio a tendermi nella
sua direzione, con
tutte le mie energie, nella speranza di riuscire a vincere questa
strana forza.
Mi sembra di nuotare in un mare di miele, tanto il movimento
è impedito.
-
Vattene,
idiota! -
L’ordine di
Sephiroth risuona nel vuoto
cosmico con imperiosità, nonostante lo strenuo
combattimento. Tentenno,
indeciso se ascoltare l’ordine o ignorarlo, ma poi vedo le
mani di Sephiroth
chiudersi attorno al collo di Jenova e il suo intero corpo muoversi
nella parte
opposta a quella della Madre. L’aliena, di tutta risposta,
snuda gli artigli
della mano libera e inizia a scorticargli il lato corrispondente del
viso.
L’Angelo dall’Unica Ala non demorde e continua a
spingerla lontana, nonostante
le gravi ferite inferte. Jenova grida parole incomprensibili,
appartenenti ad
un lingua sconosciuta, in preda all’ira più cieca.
Non ho idea di che cosa stia
dicendo, ma sono piuttosto convinto che stia maledicendo quel figlio
indesiderato con tutta l’anima.
Semai ne avesse avuta
una.
Ad un certo punto, quel
mostro nefasto allarga
le ali, tramuta le piume in lame acuminate rivolte verso il centro e
inizia a
calare quella trappola mortale sulla schiena del Generale ancora,
ancora e
ancora. Le pugnalate sono sferrate con sempre più veemenza e
rabbia, aprendo
squarci sempre più profondi nella pelle lattea del SOLDIER.
E’ uno
spettacolo orrifico, da far accapponare
la pelle.
- NO! MALEDETTO MOSTRO,
LASCIALO! –
Preso
dall’irrefrenabile istinto di salvarlo,
arrivo quasi a raggiungere il pavimento, ma due braccia si cingono
attorno al mio
petto, fermando la mia caduta. Sono arti piccoli e gracili, la cui
pelle è
dotata di un dolce candore.
Così
famigliare…
Mi volto di scatto e
incrocio due grandi occhi
smeraldo che adornano un dolce viso ovale, contornati a loro volta da
ciocche
di riccioli castani.
- Aerith? –
-
Devi
andartene, Cloud. –
- Cos…?
Aspetta! –
La Cetra inizia a
muoversi per posizionarsi
davanti a me, però Jenova, interpretando le azioni della sua
mortale nemica, decide
di aver temporeggiato troppo con quel vile traditore. Vedo la lama
rigirarsi nelle
carni ed essere preparata per un unico, fatale, montante. Trattengo il
respiro,
certo dell’imminente e orribile morte del Generale. Qualcosa
accade, tuttavia,
impedendo all’aliena di realizzare il suo intento: il suo
corpo prende fuoco.
Il fatto strano è che le fiamme sembrano non lambire
minimamente Sephiroth;
anzi pare che ostacolino e combattano i soli movimenti della
Calamità,
bloccandola sul posto e costringendola ad estrarre la lama. A quel
punto, il
Generale approfitta della momentanea distrazione della Madre per dar
man forte
al demone infuocato che la possiede, riuscendo infine a liberarsi.
L’impeto è
così potente da costringere Sephiroth a crollare
all’indietro e indurre la lama
a compiere un ampio cerchio sopra la testa di Jenova. Una scia di
polvere si
diparte dal corpo prostrato del SOLDIER, fino al luogo in cui quel
pulviscolo
si era accumulato copioso ai suoi piedi. Una forza contrapposta a
quella che mi
tiene sospeso sta attirando Jenova verso l’oblio in cui era
confinata e su cui
Sephiroth ha pazientemente vegliato per tutti questi anni. Tra la Madre
e il
figlio, le fiamme s’interpongono, quando, ad un certo punto,
una figura di
sfavillante purezza ne emerge, illuminandoci con la sua luce piena di
calore e
pace.
Un corpo sinuoso,
femminile, sensuale è
avvolto all’interno di un voluttuoso kimono bianco puro. Le
sete svolazzanti
del lungo strascico, delle maniche oblunghe e del semplice obi
contrastano con
il loro soave ondeggiare lo spietato buio del cosmo. E come il cosmo,
corvini
sono i capelli, raccolti di lato alla base della testa con un semplice
fermaglio a forma di giglio bianco, il resto lasciato cadere fluido
lungo la
spalla destra, lasciata nuda dall’ampia scollatura.
Così come il corpo, rimasto
vigoroso e bellissimo, il viso non presenta il benché minimo
segno di fatica o
di vecchiaia. La pelle è fresca e giovanile, illuminata da
un delicato candore,
e avvolge perfettamente gli eleganti lineamenti. Bocca rossa piegata in
un
morigerato sorriso e occhi vitali, innamorati pennellano gli ultimi
dettagli di
quel ritratto divino. Ella fluttua, immota, come acqua placida di un
quieto
lago. Il fruscio delle sue vesti è l’unico suono
che emette. La sua attenzione
è totalmente rivolta a Sephiroth, ma si limita soltanto a
fissarlo, senza
muovere un muscolo. Non posso vedere l’espressione della
controparte, ma sono
piuttosto sicuro che la stia ammirando affascinato, oltre che essere
sorpreso
da questa miracolosa manifestazione. Ad un certo punto,
un’increspatura
finissima scompone appena la stasi. Evelyn si rabbuia, dispiaciuta.
E’ arrivato
per lei il momento di tornare al
suo Inferno.
Incurante delle ferite,
Sephiroth infrange
ogni indugio e inizia a strisciare nella sua direzione, aggrappandosi
allo
scevro pavimento con tutta la forza rimastogli. L’espressione
della donna
subisce un’ulteriore increspatura, svelando
un’espressione di pura sofferenza
nell’apprendere con quanta disperazione il suo uomo la
desideri riavere tra le
sue braccia. Appena egli riesce a raggiungerla e sfiorare le sue vesti,
esse
vengono incenerite dal fuoco che la sta di nuovo reclamando per
sé. Il SOLDIER
lotta contro il suo corpo stremato per rimettersi in piedi e
raggiungere quel viso
divino prima che sia troppo tardi, ma, ogni volta che trova un
appiglio, questo
scompare in un cumolo di cenere. Prima di dissolversi definitivamente,
ella
pronuncia un muto ‘Ti amo’, dedicando
all’amato un flebile, ma bellissimo
sorriso. L’uomo non può far altro che osservare,
inerme, la moglie svanire,
rapita dalle fiamme. Esse scompaiono al di là
dell’orizzonte, lanciandosi
dentro al cancello, il quale si sbarra con un sonoro clangore, per poi
dissolversi nel nulla. L’oscurità scompare e
l’oblio fumoso ritorna al suo
posto.
-Cosa è
successo? –
Stordito e confuso, mi
rivolgo alla Cetra,
rimasta per tutto il tempo accanto a me, pronta a difendermi; ella ha
un grande
sorriso che le solca le labbra rosee e osserva con fierezza
quell’uomo che una
volta chiamava ‘fratello’. Alla mia domanda, la
fioraia risponde, trasudando
sollievo e gioia da ogni poro.
-
Salvandoti la vita, Sephiroth ha finalmente rotto il suo legame con
Jenova. –,
spiega semplicemente e si lascia scappare una tenue risata, mentre i
suoi occhi
s’inumidiscono dall’emozione, - Cominciavo a
credere di non vedere mai questo
giorno. Oh, Sephiroth… -
La Cetra si porta una
mano al cuore, mentre
l’altra asciuga via le lacrime di gioia. La sua risata
cristallina mi accarezza
l’udito, ricordandomi tempi andati. Mi accorgo con dolore di
quanto quei gesti,
quella risata, quella presenza mi siano mancati.
Nemmeno la
morte è riuscita a cambiarla.
-
E’
presto per cantare vittoria. –
Sephiroth interrompe il
momento nostalgico con
un tono inaspettatamente calmo e pacato, attirando
l’attenzione su di sé.
Dell’uomo prostrato e devastato dal dolore non
v’è nemmeno l’ombra, al suo
posto v’è la stoica e autoritaria figura del
leggendario Generale di SOLDIER. Il
suo vestiario e il suo fisico sono ritornati intonsi, come se nessuna
battaglia
si fosse mai consumata in questo luogo.
La notturna divisa
sfavilla sullo sfondo
anonimo, mentre egli si volta nella nostra direzione. I suoi occhi di
giada
sono ricolmi di feroce determinazione: la stessa che indossava prima
delle
battaglie campali, la stessa che ha guidato
l’élite di SOLDIER verso la
vittoria migliaia e migliaia di volte, la stessa che ti portava a dire:
- Cosa vuoi che faccia?
–
Sephiroth mi rivolge
un’occhiata cospiratrice,
accompagnata da un sorriso sardonico. Un’espressione che
avevo dimenticato
fosse mai esistita. Posso vedere un piano segreto e misterioso nascere
e
prolificare nella sua mente instancabile, una mente che realizzo ora
essere una
delle più brillanti mai incontrate. Sephiroth
era… E’ uno stratega
straordinario: non v’è situazione capace di
metterlo in difficoltà.
-
Come ho
detto: il mondo ha bisogno di un nuovo eroe. Guardati intorno, sono
certo che
troverai dei validi campioni pronti a darci una mano. –
- Non sarà
facile. La tua reputazione ti
precede. –
-
Oh, se
sono riuscito a convincere te… -
Egli sfodera un tono
malizioso e sicuro di sé,
il quale non fa altro che sottolineare fastidiosamente la
realtà, ma non posso
fare a meno di sorridere e scuotere la testa con falso disappunto.
Il Generale ci
raggiunge con il suo passo
cadenzato e misurato. Mi fissa dritto negli occhi per un lungo istante,
per poi
appoggiare la sua grande mano guantata sul mio petto.
-
Dì a mia
figlia che sono tornato. –
- Mpf, quando mai te ne
sei andato? -
L’argentato
si lascia scappare uno sbuffo
divertito, dopodiché imprime una decisa pressione, tanto da
farmi rapidamente
imboccare la via del ritorno, attraverso il tunnel di luce alle mie
spalle.
Apro gli
occhi lentamente e rimango a fissare il soffitto di legno per un tempo
indeterminato. I pensieri sono ancora ben fissati nella mia mente,
mentre i
vari malesseri dovuti dal legame tra me e Sephiroth sembrano non
esserci mai
stati. Mi sento forte e vigoroso, come un volta. Sorrido: ci
dev’essere il
tocco di Aerith dietro a questo improvviso benessere.
- Giorni
di coma e ti risvegli con un sorriso da ebete stampato in faccia.
Sapevo che te
l’avrei dovuta spaccare quando ne ebbi l’occasione.
–
M’irrigidisco
appena riconosco la voce che ha appena parlato. Di scatto, alzo il
busto e mi
paralizzo appena incrocio la sua morbida figura.
Tifa…
La mia
mascella per poco non si stacca per lo stupore. E per la gioia di
rivederla,
tale da farmi dimenticare ogni ovvia domanda sulla sua presenza al mio
capezzale.
Sai cosa? Non m’importa. Non m’importa come sia
giunta qui, come abbia fatto a
trovarmi, con chi sia venuta, quale sia la situazione creatosi con gli
altri
protagonisti, quanto sappia della storia… no, lei
è qui, davanti a me,
nonostante tutto… lei è
qui.
Dal canto
suo, lei mi fissa in tralice, con espressione rabbuiata e rabbiosa.
Anche la
sua posa non è delle più rassicuranti: ben
piantata proprio davanti al mio
letto, testa bassa, pugni appoggiati sui fianchi.
E’
incavolata nera. Non posso biasimarla, eppure non riesco ad esserne
intimorito:
rivedere la donna che amo, dopo così tanto tempo, dopo tutto
quello che ho
visto, mi spacca il cuore. Non riesco proprio ad immaginare una vita
senza di
lei. E mai come adesso sto comprendendo Sephiroth e il suo folle
desiderio di
ricongiungersi ad Evelyn.
- Mi sei
mancata da morire… -, sussurro, estasiato.
La rabbia
di Tifa si volatilizza in un battito di ciglia, spazzata via da quel
mio dire
così inaspettatamente appassionato. Spiazzata, lascia cadere
le braccia lungo i
fianchi, mentre mi fissa stupita con quei meravigliosi occhi da
cerbiatta.
Sento il mio cuore perdere un battito. Senza indugiare oltre, mi alzo
dal letto
e mi dirigo nella sua direzione, facendomi trasportare da un solo,
impellente,
pazzo bisogno. Lei mi segue con lo sguardo, sempre più
allibita, finché non
l’avvolgo in un soffocante abbraccio. La stringo con
disperazione, affondando
le dita nei suoi capelli, nella sua pelle, accarezzandola come se fosse
la
prima volta che assaggio quel meraviglioso candore. E non voglio che
sia
nemmeno l’ultima. Non voglio lasciarla andare, non voglio che
se ne vada, non
voglio rimanere solo. Senza nemmeno rendermene conto, inizio a
piangere, mentre
naufrago col viso nell’incavo della sua spalla. Mi aggrappo a
lei con più
veemenza, mentre i ricordi dolorosi di Sephiroth affollano di nuovo la
mia
mente.
Lo capisco…
Dannazione, quanto lo capisco!
Ma ora
basta pensare a lui. C’è Tifa, in questo momento.
Lei e soltanto lei!
Sono
talmente concentrato ad assaporare il calore e la morbidezza del suo
corpo che
a malapena mi accorgo di piccole e delicate mani che iniziano ad
accarezzarmi i
capelli, la nuca, le spalle, la schiena, detergendo appena il mio
cordoglio.
-Cloud… -
Il mio
nome pronunciato da quella voce per poco non mi uccide, da quanto
piacere è
stato scatenato. Avverto il mio corpo avvampare e sciogliersi; non
crollo solo
perché lei sta ricambiando la mia stretta, con una
altrettanto intensa. Avverto
il calore del suo corpo attraversare i vestiti e poggiarsi sulla mia
pelle, il
fiato caldo solleticarmi il collo, il profumo dei suoi capelli
stuzzicarmi
l’olfatto, la dolcezza del suo tocco farmi rabbrividire. Ogni
singola
sensazione agisce in sinergia con l’altra, costringendo il
mio corpo ad arrendersi
di fronte a un’ondata impazzita di passione. Esco dal mio
nascondiglio e i
nostri sguardi s’incatenano l’un l’altro.
La osservo per un lungo istante,
studiando ogni singolo dettaglio del suo volto, scoprendo con amarezza
non
averlo mai guardato veramente, di averlo sempre dato per scontato. Con
quale
coraggio, poi?
Hai ragione, Sephiroth:
sono un vero idiota.
Il mio
girovagare finisce appena i miei occhi si fissano sulle sue labbra,
appena
dischiuse, da cui, come le mie, esce uno spiro affannoso e pieno di
aspettativa. Aspettativa che intendo corrispondere, questa volta.
Controllando
a stento il desiderio, assaporo il languore e, misuratamente, mi
protendo in
quella direzione, mentre i nostri respiri e i nostri cuori aumentano di
frequenza, fino ad annullarsi nel medesimo istante in cui le nostre
labbra
s’incastrano perfettamente l’una con
l’altra.
A quel
punto, tutto si fa offuscato e nitido nello stesso tempo. Ubriachi di
desiderio, ci lasciamo trasportare dalla passione, dimentichi del luogo
e della
situazione.
- Dove la
tenevi tutta questa… spontaneità? –
La domanda
di Tifa giunge all’improvviso, mentre, ancora affamato, sto
lambendo con la
bocca le accoglienti curve del suo corpo. Alzo la testa, dove ad
aspettarmi c’è
il suo volto con un’espressione maliziosamente indagatrice
stampata sopra. Essa
mi strappa un sorriso divertito. Mi sdraio sopra di lei, senza pesarle
addosso
e le cingo le spalle con le braccia.
- Ti
sembrerà strano, ma questo viaggio mi ha fatto scoprire un
sacco di cose su me
stesso. –
Tifa si
rabbuia e distoglie lo sguardo, fissandolo verso un punto imprecisato.
Mi
allarmo.
- Che
succede? –
Ella non
risponde subito, ma la sua espressione dubbiosa non fa presagire nulla
di
buono.
- Cloud…
tu mi ami? –
- Certo.
-, rispondo di slancio.
Mi sembra
una domanda così stupida, ma Tifa non sembra convinta.
-E allora
perché preferisci quell’assassino a me? –
Grugnisco.
Dovevo immaginarlo che non me la sarei cavata così
facilmente, sebbene quella
domanda sia un dubbio più che lecito.
M’infastidisce, tuttavia, che Tifa sia
ancora fissata su quelle antiquate credenze. Non ha la minima idea di
che cosa
abbia passato Sephiroth e di quanto egli mi abbia aiutato nel diventare
l’uomo
che sono, nel bene o nel male. Vagamente ipocrita, dal momento che
anch’io la
pensavo esattamente come lei. Abbandono la mia donna e mi metto a
sedere sul
lato del letto.
- Non è un
assassino. –, affermo con fermezza.
Avverto la
pugile muoversi dietro di me, probabilmente si è alzata di
slancio, spinta dall’impeto
della sua rabbia.
- Cosa?!
–, sibila la ragazza, incredula.
Giro il
busto nella sua direzione e la guardo dritta negli occhi.
- Non è un
assassino. –, reitero, scandendo ogni singola parola.
Osservo le
iridi di Tifa muoversi febbrilmente lungo il mio viso, forse alla
ricerca di un
qualunque guizzo che tradisca la mia insicurezza, ma, dallo sguardo
deluso
acquisito poco dopo, direi che non ha trovati.
- Non
posso credere che tu, proprio tu, sostenga una cosa del genere. Tu
l’hai visto!
Sei stato testimone della sua crudeltà.
–
- Tifa,
quella non era crudeltà, ma disperazione. –,
spiego assumendo un tono pacato,
in piena contrapposizione con quello semi-isterico della ragazza, - Se
solo tu
sapessi cosa… -
- Non
m’importa! - sbotta lei, livida di rabbia, - Una persona umana non avrebbe mai sterminato un
intero villaggio! Non avrebbe
mai ucciso un uomo che stava solo cercando di aiutarlo… -
Il ricordo
del padre morente taglia a metà il discorso impetuoso della
figlia. La vedo
tentennare, travolta dal dolore, ma riesce a controllarsi e imporsi un
contegno.
La sua battaglia interna, tuttavia, si mostra anche esternamente,
tradita dal
respiro affannoso e i tratti del viso congestionati, contratti nel
caparbio
tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Mi stringe il cuore
vederla così, lei,
solitamente così forte e combattiva, ma, dopotutto, suo
padre le è stato
strappato via troppo presto, troppo brutalmente da poter anche solo
ponderare
un qualunque tipo di perdono. Come anche la mia povera mamma, sventrata
e
bruciata senza alcuna pietà…
Così come
Evelyn.
- Sephiroth
era sposato, lo sapevi? -, domando retorico, interrompendo il silenzio,
- Non
era una di quelle storielle che ciclicamente la Shinra vendeva ai
giornaletti
rosa, giusto per guadagnare due soldi sfruttando la sua vita privata.
No,
quella volta era stata diversa: l’aveva scelta lui e si era
dedicato anima e
corpo per far funzionare quella relazione; tanto da essere a un passo
dalle
dimissioni ufficiali. -, sospiro pesantemente e alzo la mano destra,
enfatizzando con un gesto quanto egli fosse vicino al realizzarsi del
suo sogno,
- Una sola missione ancora e poi basta… Una. Una
sola… -, reitero con un sussurro,
perdendomi nei ricordi.
In tutto questo,
la mora mi osserva con aria scettica, per nulla toccata dal mio dire
greve e
appassionato. Il suo odio per Sephiroth la rende sorda a qualunque tipo
di
compassione.
- Se per
lui era così importante: perché l’ha
abbandonata? –, chiede infatti, velenosa.
- Perché è
morta. -, rispondo, poi mi affretto ad aggiungere, - Assassinata da uno
degli
unici due uomini che Sephiroth abbia mai chiamato
‘amico’. Puoi immaginare in
che condizioni ci è arrivato a Nibelheim… -,
concludo, lasciando intendere la
gravità della situazione mentale del Generale,
giustificazione più che
sufficiente delle sue azioni.
Rimaniamo
per lunghi secondi in totale silenzio, mentre Tifa mi fissa incredula.
Non mi
sfugge il leggero rossore di vergogna spennellare le sue gote piene. Ad
un
certo punto, ella distoglie lo sguardo e lo veicola verso un punto
imprecisato,
pensosa.
- Se
questa storia è vera… -
-E’ vera.
–
- Come fai
ad esserne certo? Sai che lui è capace di manipolare le
menti delle persone. –
- Ho letto
il suo diario, Tifa. Sono stato letteralmente investito dai suoi
ricordi, anzi,
dai LORO ricordi. Ho visto, ho SENTITO il loro dolore, la loro
sofferenza.
Stanno vivendo in un Inferno immeritato e terribile, condannati a
vivere sotto lo
schiaffo di Jenova, costretti ad ottemperare ogni richiesta
dell’aliena, fino
al momento in cui la Guerra millenaria tra la Calamità e il
Pianeta finirà. SE
finirà. –
Non v’è
vacillamento nella mia voce e la sicurezza con cui la fisso, fa
capitolare
qualunque insinuazione la mia ragazza stesse per proferire. Ella rimane
senza
parole e, non riuscendo a sostenere più il mio sguardo,
abbassa la testa,
appesantita dalla vergogna.
Il
silenzio si stiracchia per secondi infiniti, mentre esso aggrava ancora
di più
le parole scambiate, scavando un profondo senso di colpa nei nostri
cuori.
Studio lo smarrimento di Tifa, comprendendola al volo,
poiché perfino io, che
le ho vissute in prima persona, fatico a credere a tutte le esperienze
di cui
sono stato testimone. Non potrò mai perdonare integralmente
Sephiroth, questo è
impossibile, ma, quanto meno, potrò comprendere meglio le
motivazioni che lo hanno
spinto a compiere quegli intenti mostruosi, e, soprattutto, assecondare
il suo
desiderio di proteggere i suoi cari.
Toc, toc…
Un bussare
discreto, ma deciso, interrompe il filo dei nostri pensieri,
ridestandoci. Tifa
ed io ci scambiamo uno sguardo sconcertato, appena ci rendiamo conto di
non
essere in condizione di presentarci a terzi. Giunti a capo dei nostri
dubbi,
ognuno si fionda dai propri abiti, abbandonati alla rinfusa sul
pavimento. Ci
vestiamo il più velocemente possibile, anche se, mi rendo
conto, la persona
dall’altra parte non insiste oltre, attendendo pazientemente.
Raffazzonato alla
bene e meglio, mi avvio verso la porta con l’intento di
aprirla, senza però
prima aver scoccato un’occhiata d’intesa a Tifa.
Lei mi dà il via libera,
mentre si liscia i capelli sconvolti per dar loro un aspetto decente.
Abbasso
la maniglia e spalanco l’uscio. Davanti a me si para la
figura austera di
Vincent Valentine. Quasi mi spavento quando mi ritrovo a tu per tu con
i suoi fiammeggianti
occhi rossi. Le sue iridi sfilano rapide e studiose su di me, come se
mi stesse
scannerizzando da cima a piedi. La sua attenzione sosta per secondi non
ignorabili
sulla capigliatura spettinata e i segni evanescenti presenti sul mio
collo.
Unisce l’ultimo pezzo del puzzle, scoccando una rapida
occhiata oltre le mie
spalle, luogo in cui intercetta la figura scarmigliata di Tifa. Senza
scomporsi
più di tanto, egli assottiglia lo sguardo e lo pianta su di
me. Posso vedere
una luce divertita adombrare quelle iridi di fiamma, mentre un
malcelato
sogghigno viene nascosto dietro l’alto colletto del suo
mantello.
- Rimango
sempre più stupito della capacità di recupero dei
SOLDIER. –, commenta, infine,
con leziosa ironia.
Evvai! Siamo arrivati
al momento clou(d) della
storia! La resa dei conti è vicina!
Il capitolo in
questione è venuto davvero
lungo rispetto al solito standard e sarebbe dovuto essere ancora
più lungo, ma
non mi andava di condensare troppe informazioni in un capitolo solo.
Credo che
aggiungerò qualche capitolo- spiegone così da
introdurre meglio le fasi finali
della storia. Ce la posso fare a finire!
Finalmente siamo
arrivati a Nibelheim con il
nostro argentato preferito e spero che sia stato reso bene il passaggio
da uomo
a mostro, anche se il mio Sephiruccio non è cattivo, no-no!
(richiamami
Sephiruccio e ti farò vedere quanto sono buono
è_è ndSeph).
La presenza di Tifa
immagino vi lasci un po’
spiazzati, ma non temete tutto sarà spiegato nel prossimo
capitolo ;)!
Chiedo perdono, come al
solito, della
lunghissima attesa, ma la voglia di scrivere è sempre sotto
le scarpe e
discontinua. Davvero, non vedo l’ora di cimentarmi in altro!
Fan fact: sebbene il
capitolo sia pronto da
giorni (se non settimane -.-‘) pubblico sempre attorno le 2
di notte! E’ una
maledizione!!!
Alla prossima!
Besos!