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Autore: La_Birba    29/11/2018    5 recensioni
ciao a tutti, dopo anni di assenza sono tornata. non sono mai stata brava nei riassunti.
il mio contesto preferito in cui mi piace immaginare Bulma e Vegeta è la scuola. in questo caso Vegeta professore di Bulma.
sono passati anni ormai dalle scuole, si sono persi di vista ed entrambi ripercorrono il loro percorso passato.
sperando di avervi incuriosito e di essere migliorata come scrittrice vi auguro Buona Lettura a voi coraggiosi che aprirete questa storia.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 - Parte Bulma




Era una calda giornata di fine estate, quel giorno era un nuovo inizio. Trunks avrebbe iniziato le elementari. Era un bambino energico e solare aspettava da molto quella giornata, voleva imparare a leggere e scrivere meglio di come gli avevo insegnato io. Cresceva davvero in fretta, mi sembrava ieri il giorno della sua nascita e invece erano già passati sei anni. Venni svegliata alle 7 del mattino da una voce già bella strillante che urlava:
“Mamma! Mamma! Oggi è il grande giorno! Svegliati! DAI!”.

Riuscii a borbottare che era ancora presto e mi rigirai dall'altra parte mettendo la testa sotto al cuscino. Non ero ancora pronta ad abbandonare il mio amato letto, la sveglia sarebbe dovuta squillare mezz'ora più tardi. Trunks suppongo mise il broncio come era solito fare e poi salì sul letto iniziando a saltellare sul materasso. Continuava ininterrottamente a gridare “Dai mamma! Dai mamma”. Capii che era davvero venuto il momento di alzarmi, sospirai;

“Ho capito, ho capito, ora mi alzo.”.

Lui con l'ultimo saltello si mise seduto a fissare me che ormai mi ero tirata su. Avevo tutti i miei capelli azzurri scompigliati e per metà davanti agli occhi. Erano lunghi fino alle spalle eppure mi davano davvero fastidio. Ogni giorno mi ripetevo che dovevo tagliarli ed ogni volta cambiavo idea. Ero riuscita a farli arrivare fino a metà schiena solo quando ero alle superiori. Quando ero più piccola mi piaceva farmi mille e più acconciature, ora tra il lavoro meccanico e il figlio a cui badare preferivo tenerli classici, anzi più corti erano e meglio sarebbe stato.

Io e Trunks andammo al piano di sotto in cucina, dove mia mamma ci aspettava con una crostata appena sfornata. Mi domandai a che ore si fosse svegliata, scrollai poi la testa, i miei genitori erano piuttosto particolari. Lei era la classica casalinga, o la trovavi in cucina oppure in giardino a badare ai fiori. Io avevo preso da mio padre, lui era quello che si potrebbe definire “uno scienziato pazzo” così pazzo che aveva inventato tutta la tecnologia delle capsule. Semplicemente aveva trovato il modo di far stare ogni singolo oggetto all'interno di una capsula di 20 grammi e grande 3 centimetri. Io ero rimasta a vivere in quella mega casa che i miei si erano potuti permettere con i soldi dell'invenzione. Già mentre frequentavo le scuole davo un grande aiuto a mio padre.

Non nego che faccia strano una madre single che vive con i genitori, ogni volta che avevo portato Trunks al parco giochi tutte le attenzioni erano state per me. Dato che nessuno sapeva nulla sul padre del bambino giravano strane voci, chi diceva fosse morto, altri che fosse un carcerato. Tutte queste storie non mi avevano mai infastidito più tanto, anzi mi facevo sorridere. Ovviamente nulla poteva essere più distante dalla realtà. La verità è che ero rimasta incinta quando andavo ancora a scuola e suo padre era semplicemente sparito.

Trunks era sempre stato un bambino curioso, mi aveva riempito di domande sul suo fantomatico “papà”, ero sempre stata vaga, non mi andava di dirgli la verità. Avevo paura si sentisse un errore.

Ogni tanto anch'io pensavo a suo padre, spesso mi chiedevo dove fosse e sopratutto con chi. Era stato il mio grande amore naufragato tristemente fin troppo velocemente per me.

Pensandoci bene la prima volta che lo vidi ero poco più di una bambina, avevo precisamente dodici anni, ero in giardino a studiare i trucchi trovati dentro una stupida rivista. Lui si era presentato con una t-shirt bianca con lo scollo a V e un paio di jeans strappati. Capelli pieni di gel, altissimi. Emanava un buon odore di dopobarba, ero come attratta da quel profumo. Quella fu la mia primissima cotta. Lo fissai mentre camminava verso la porta d'entrata. Mi guardò un attimo, aveva le iridi scurissime. Quegli occhi neri mi avevano colpito nel profondo. Non mi disse nulla, non fece nulla. Notò la mia presenza e continuò dritto davanti a sé. Lui entrò dicendo di voler parlare con mio padre, “il professor Brief” così nominato da quel estraneo. Lo avevo seguito all'interno. Ero curiosa.

Si presentò a mio padre, il mio più grande rimpianto dei tempi fu di non aver capito ne il nome e neppure il cognome. Ero nascosta dietro un angolo a spiarli, ma non riuscivo a captare nessuna parola di quella discussione. Rimasi solo li a fissare la schiena dritta e muscolosa di quel ragazzo. Ero rossa in viso e il cuore mi batteva fortissimo. Ah erano sensazioni mai provate e del tutto nuove, per questo ero così sconvolta. Ero proprio una sciocca e frivola ragazzina ai tempi. Mi ricordai che riempii di mille domande mio padre appena quel ragazzo se ne andò.

Era stato lì per un preventivo per una possibile invenzione, un oggetto che mio padre definì “Un'assoluta follia dei giovani d'oggi”. Desiderava una palestra dotata di ogni attrezzo (il che era abbastanza fattibile), con anche un'impostazione di gravità. Una camera gravitazionale, l'aveva chiamata, per mio papà non poteva esistere un simile oggetto.

Dopo qualche anno poi l'avrei inventato io contro ogni previsione.

Comunque la persona che aveva l'onore di essere la mia prima cotta sparì nel giro di un'oretta. Io ci pensai per un paio di giorni fantasticando di trovarlo in giro da qualche parte, cosa che non avvenne, e poi me ne dimenticai.

Un gridolino allegro mi risvegliò dai miei pensieri. Trunks voleva assolutamente vestirsi, era elettrizzato all'idea della scuola e del pulmino. Avrebbe potuto farsi chissà quanti amici. Lo lavai e vestii e poi andammo in giardino, percorrendo il passaggio di mattonelle rosse fino al cancello. Lo aprii ed ci trovammo direttamente sulla strada. Eravamo al centro della capitale. Il pulmino sarebbe arrivato a minuti. Il tempo era volato quella mattina, volava sempre quando ripensavo al passato. Quel piccolo trabiccolo giallo arrivò, diedi un bacio al mio bambino e lo salutai. Mi aspettava una pensante giornata di lavoro.

Appena mi sedetti sulla mia poltrona sospirai, bevvi un sorso del caffè bollente lasciato poco fa da mia madre e provai a immergermi nel lavoro. Il nostro prodotto aveva sfondato sul mercato, non c'era una persona al mondo che non avesse almeno una capsula. Chi l'auto, chi il frigo o qualunque altra cosa, fatto sta che eravamo continuamente sommersi di lavoro. Ci chiamavano da tutto il mondo. Non avevamo filiali, c'era un unico grande laboratorio all'interno della casa in cui ci potevamo entrare solo noi della famiglia. Non potevamo permetterci di avere collaboratori, spesso avevano cercato di rubare il nostro progetto. Quella mattinata fu sfiancante, bevvi l'ennesima tazza di caffè, misi la testa all'indietro chiudendo gli occhi e sospirai prendendo un attimo di tranquillità. Neanche passarono tre secondi che il telefono sulla mia scrivania squillò facendomi cadere all'indietro dalla sedia per il risalto. Era mia madre che mi informava che era arrivato qualcuno per me. Massaggiandomi il didietro salii le scale (il laboratorio era sotterraneo) ed arrivai nel mio salotto. Corsi a salvare il mio caro amico Goku dalle grinfie di mia madre. Lei aveva sempre avuto una cotta per lui, ogni volta che lo vedeva lo riempiva di domande. Goku era uno dei miei più grandi amici dai tempi delle scuole. Ci eravamo conosciuti alle elementari e non ci eravamo più separati. Lui si era fidanzato e poi sposato, un anno fa, con Chichi. Una donna la cui qualità non era di certo essere paziente o pacata, eppure Goku ci si trovava molto bene. Aveva una pazienza infinita.

Passava dalle mie parti ed aveva deciso di fare un salto a salutare. Lui era davvero la persona migliore che io conoscessi, non sapevo proprio che fine avrei mai potuto fare se lui non ci fosse stato. Grattandosi il naso come era solito fare mi disse con un sorriso tranquillo che stava per diventare papà. Fu una notizia bellissima! Ero davvero contenta per lui. Si meritava solo la più grande felicità. Sarebbe nato in primavera. Rimanemmo per svariati minuti a parlare, mi chiese consiglio. Non l'avevo mai visto così, sembrava un misto tra emozionato e insicuro.

Quando se ne andò ero ancora entusiasta per la notizia. Ripensai a quando avevo scoperto io di essere incinta, le terribili sensazioni...pianti, paura, negazione di ogni cosa. Tornai a pensare a lui, a lui che nonostante gli anni non ero riuscita a dimenticare. Ci avevo provato, ci avevo davvero provato con tutte le mie forze eppure non ce l'avevo fatta. Mi ero spesso domandata perchè non riuscivo ad essere come le altre, perchè non riuscivo ad andare oltre. Non ero mai riuscita a darmi una risposta. Sospirai e venni portata indietro di qualche anno, prima di Trunks, all'anno della mia quarta superiore.

 

Era una giornata grigia, nuvole cariche di pioggia minacciavano la Città dell'ovest. Io mi ero svegliata stranamente un paio di minuti prima della sveglia. Ero già davanti la mia specchiera intenta a truccarmi e pettinarmi. I miei lunghi capelli azzurri li avevo raccolti in una coda sulla testa con un bel fiocco rosso, e poi li avevo intrecciati. Indossai la mia perfetta uniforme. Era formata da una gonna rossa con delle strisce bianche, camicia bianca e fiocco rosso. Mi piacevo davvero, rimasi un po a guardarmi allo specchio. Mi interruppe poi mi madre che aveva preparato le brioche. Ne presi una, era davvero brava nei dolci. Presto sarebbe passato quello che era il mio ragazzo del tempo, Yamcha. Era un anno più grande di me ed era uno dei ragazzi più popolari. Eppure un anno prima aveva deciso di dichiararsi a me, senza pensarci due volte avevo accettato di essere la sua ragazza. Ebbene sì, ero piuttosto frivola e superficiale ai tempi, con il senno del poi si sa che è tutto più semplice, ma ai tempi se uno come lui ti si dichiarava solo una folle lo avrebbe rifiutato. Lo avevo conosciuto tramire Goku, che era amico di tutti. Comunque era già da un anno che ci frequentavamo ed ogni giorno mi passava a prendere per portarmi a scuola che era a cinque minuti da casa mia. Arrivò in perfetto orario, salutai i miei genitori e salì su quella semplice macchina due posti. Lo baciai e partimmo. Ammetto che parlavamo poco di tutto, non avevamo grandi interessi in comune. Probabilmente eravamo due persone superficiali che si erano scelti solo per l'aspetto fisico. Non gli do nessuna colpa, perchè ne avevo anch'io, davvero troppe. Mi ci trovavo comunque molto bene insieme, eppure l'amore era tutt'altra cosa. Era da qualche mese ormai che avevo delle incertezze sulla nostra storia, mi sentivo come vuota, era una sensazione orribile.

Lui era un caro ragazzo di origini modeste, i suoi genitori avevano un lavoro ordinario e quella macchina se l'era potuta permettere lavorando part-time ogni giorno. Lo ammiravo e per questo anch'io ero quasi intenzionata a lavorare qualche ora per potermi guadagnare i miei soldi. Dovevo ragionarci ancora un po' sopra. Parcheggiò nel cortile della scuola e ci dirigemmo mano nella mano dal mega cartellone per vedere in quali classi eravamo stati messi e chi avremmo avuto come compagno. Vi era una calca pazzesca. Mi sentii toccare la schiena ed un odore che avevo di certo già sentito mi pervase le narici. Era un profumo strano, odore di sigarette ma con un sottofondo dolce. Mi voltai per vedere da chi provenisse, c'erano solo quelli che sarebbero divenuti miei kohai, quel profumo era come sparito.

Una volta salutato Yamcha mi diressi alla mia classe, era al terzo piano, la 4E. Ero in mezzo a persone che conoscevo solo di vista. Sospirai. I banchi erano stati presi quasi tutti, scelsi il primo banco vicino la finestra. In genere ero molto socievole ma quel giorno mi sedetti e guardai le nuvole in cielo. La mia testa era altrove. Dopo poco accadde tutto come un deja-vu.

Entrò quello che sarebbe dovuto essere il nostro professore, aveva una maglia bianca con lo scollo a V e un paio di jeans strappati, capelli altissimi pieni di gel. Di nuovo quel profumo e poi quegli occhi neri. Sentii un brivido, non so perchè ma quegli occhi mi trasmettevano sensazioni tutte strane.

“Piacere di conoscervi, io sono il vostro coordinatore e professore di matematica, Sayan Vegeta”.

Io sapevo di averlo già visto, ma dove? Mi crogiolai tutta la mattina senza sentire una parola di quel che gli insegnati dissero. Rimasi a fissarlo continuamente, le linee del suo corpo, i muscoli che si vedevano sotto la maglia, il suo profilo. Non gli staccai gli occhi di dosso neppure un secondo. Cercai di recepire qualche indizio che mi portasse a ricordarmi di lui. Nulla, nella mia testa c'era il vuoto. Sul mio quaderno scrissi solo il suo nome.

Quella mattinata fu eterna, Yamcha aveva degli allenamenti di baseball quel pomeriggio e giorni prima mi aveva chiesto se andavo ad assisterlo. Avevo accettato tutta contenta, invece in quel momento me n'ero dimenticata. Me ne andai semplicemente verso casa, quando iniziai la vedere, venne giù un'acquazzone pazzesco. L'acqua gelida sulla schiena mi risvegliò da tutti i pensieri. Iniziai a correre ed arrivai a casa bagnata come un pulcino. Aspettai sulla soglia di casa mia madre con un asciugamano. Fu lì che rincontrai Vegeta Sayan intento a parlare con mio padre. Quando udii le parole “Camera gravitazionale” mi tornò tutto alla mente.





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spazio La_Birba
intanto Grazie infinite di aver letto questo capitolo,spero di riuscire ad aggiornare con regolarità ma tra lavoro e tutto non garantisco nulla. :/ chiedo venia nel caso. 
come sempre critiche, consigli sono ben accette. sono sempre pronta a migliorare e imparare.
Grazie a tutti :D ;) alla prossima

 

  
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