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Autore: Ghen    07/12/2018    6 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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35. La sposa - Prima parte


C'era un rumore lontano nell'aria, fastidioso, che sembrava diventare via via più forte. Persisteva, smetteva per poco e ritornava con prepotenza. Sembrava quasi un campanello. Oh, era un campanello.
Eliza si svegliò di soprassalto, guardandosi intorno, scorgendo la sua futura sposa accanto a lei sul letto, ancora addormentata. Cercò di strofinarsi gli occhi impastati dal sonno e sbadigliò, intanto che il campanello suonava ancora. Si girò verso il comodino per leggere la sveglia, finalmente mettendo a fuoco i numeri, che anche Lillian si mosse.
«La truccatrice?», domandò quest'ultima con voce debole, trattenendo uno sbadiglio.
«No, arriva alle otto e mezza e sono appena le sette e… dieci? Dieci. Dubito siano già i ragazzi». Tornò a sdraiarsi, osservando la donna al suo fianco con la faccia per metà schiacciata dal cuscino. Aveva le guance un po' rosse, le labbra rosa, l'occhio sinistro, l'unico che vedeva, con la palpebra a metà, ancora assonnata. I capelli disordinati formavano un'onda verso il viso. Era così… bella. Le sorrise e la vide imbarazzarsi, coprendo la faccia con una mano, così rise. «Credo sia troppo tardi per nascondersi, futura signora Luthor-Danvers». La sentì lamentarsi, togliendo la mano dal viso.
«Non mi nasconderei mai da te, futura signora Danvers-Luthor».
Si avvicinarono, prese dal loro momento, che il campanello suonò ancora e più a lungo, interrompendole.
«Oh, accidenti, vuoi vedere che-», Eliza si bloccò e l'altra alzò un sopracciglio. «Lo so chi sono, devi prepararti». La guardò spalancando gli occhi e scoprendosi, per poi lanciarsi rapidamente verso di lei e lasciarle un bacio su una guancia. Sparì chiudendo la porta.
«Sono?», bofonchiò Lillian.
Eliza corse per le scale e, una volta all'ingresso, si chiuse bene la vestaglia addosso, prendendosi un attimo per fare un gran bel respiro. Il campanello suonò ancora e una mano batté due volte sul vetro della finestrella vicino. Va bene. Era pronta. Aprì e la famiglia Danvers era lì, quasi al completo. Sorrisero e si riversarono dentro casa per abbracciarla. «Sono abbastanza per tutti?», chiese in una risata. Intanto che le donne e i pochi uomini della famiglia si disperdevano tra il soggiorno e la cucina, guardandosi attorno incantati poiché per molti di loro era la prima volta che ci mettevano piede, sua madre le accolse il viso con le mani calde e le sorrise, strizzandole poi le guance.
«La mia bambina si sposa», le aveva detto la prima volta, prendendole il viso proprio come fece ora. Erano entrambe più giovani ed Eliza non era in vestaglia, ma immersa in un grosso pigiamone rosa. «Se solo tuo padre potesse vederti».
«Oh, mamma, papà mi vedrà in chiesa», le aveva risposto, abbozzando una risata.
«Sì», aveva allora brontolato la donna, lasciandole il viso per scuotere la testa e formare una smorfia contrariata. «Quel disgraziato non è voluto venire alla preparazione perché dice che è roba da donne. Allora, veniamo alle cose importanti: dove hanno lasciato il mio futuro genero?». La signora si era incamminata verso il soggiorno di casa Danvers.
«Jeremiah è in camera, prende lo smoking dall'armadio».
«Cosa?», aveva strabuzzato gli occhi, «Non sono ancora arrivati a portarlo via? Lo sposo non può vedere la sposa prima del matrimonio! Roba da matti».
«Allora…». La voce di sua madre la riportò al presente, mentre le lasciava il viso e, con un'accortezza, le chiudeva meglio la vestaglia sulle cosce. «Veniamo alle cose importanti: dove hanno lasciato la mia futura nuora?».
«È ancora di sopra. Lillian si sta alzando», sorrise, «Non vi aspettavamo così presto».
«Che cosa?», strabuzzò gli occhi, anche se la palpebra destra era ballerina per via dell'età. «Non sono ancora arrivati a portarla via? La sposa non può vedere l'altra sposa prima del matrimonio», alzò le braccia all'aria, «Roba da matti».
Eliza sorrise di nuovo, commossa. Certe cose non sarebbero mai cambiate.

La sveglia suonò solo qualche secondo appena, Lena la spense subito, aveva già gli occhi aperti. Aveva dormito molto poco, assicurandosi che Kara stesse bene, vicino a lei. E comunque, era stato davvero difficile cercare di chiudere occhio pensando alla giornata che le attendeva. Guardò il suo viso ancora rilassato e si mise a sedere, lasciando scivolare sulla spalla destra la spallina della camicetta da notte che indossava. Si portò a bordo dal letto che la sentì muoversi e si voltò, vedendo che aveva gli occhi aperti. Non riuscì a trattenere un sincero sorriso. «Perdonami, non volevo svegliarti. È ancora presto, puoi restare».
Kara tentò di parlare ma le uscì un verso strozzato, così raschiò la gola. «Sei stata con me tutta la notte?».
«Certo». Si protese verso di lei, ricoprendosi almeno le gambe per il freddo. «Non ti ricordi di ieri? Lex ti ha portato qui, a casa nostra, a Metropolis. Sei in camera mia».
Kara roteò gli occhi, scoprendo la tinta color panna delle pareti, un vecchio poster colorato sopra il letto, dei mobili moderni e un po' freddi, come lo era l'aria che respirava. Se possibile, quella casa era ancora più fredda della villa a National City. «Oh…», all'improvviso strizzò gli occhi e trattenne il fiato, ricordando cos'era successo. «Devo… Devo assolutamente chiedere scusa a Selina. E a Ivy e Harley, oh…», incurvò le labbra con dispiacere, «Mi sono comportata da…».
«Sei stata drogata, Kara. Non eri in te», le disse subito, «Qualsiasi cosa sia successa-».
«No, no», la interruppe e si voltò, non riuscendo a guardarla negli occhi. «Io ero in me. Ricordo tutto, ero lucida e volevo dire quelle cose, volevo fare quelle cose».
Lena ansimò un poco, poggiandole una mano su una spalla. «Kara, ascoltami… Ho parlato con Selina Kyle e va tutto bene. Guardami. Era l'effetto di qualsiasi cosa ti abbia messo nel bicchiere Roulette».
«Era… quella Roulette?».
Lena deglutì. «Lavora per Maxwell Lord, adesso. Vende le pillole nel locale e te ne ha somministrata una contro la tua volontà. Non sappiamo in che punti esattamente ti abbia colpita, quando sei arrivata qui l'effetto stava già svanendo, eri… Eri», scosse la testa, «manipolata da qualsiasi cosa ci fosse nella pillola». Finalmente la vide voltarsi.
«Ho baciato Ivy e Harley, ieri».
«… ah». Lena tolse la mano dalla sua spalla e abbassò gli occhi, anche fosse per un breve momento. «Kara, noi non- non stiamo insieme. Va bene, insomma, non devi dirmelo per forza».
Lei si tirò su reggendosi sui gomiti, guardandola attentamente negli occhi. Vedeva che la cosa l'aveva ferita, al di là delle parole. «Volevo farlo. Ero arrabbiata e… non lo so, a un certo punto mi sono sentita in grado di fare tutto quello che mi passava per la testa», strinse le labbra. «Ho urlato a Selina, ho istigato un ragazzo e gli ho rotto un braccio. Volevo farlo», sottolineò ancora. «Era la pillola o mi ha solo dato la forza di reagire?». Cercò di mettere più peso possibile su un braccio solo, poiché uno le faceva male. Parecchio male, se ci pensava. Scorse il livido e trattenne il fiato.
Lena non le tolse occhio di dosso, anzi squadrandola dall'alto al basso, seria, poi ingurgitò saliva. «Eri tu», le disse con sincerità, «Eri certamente tu. Credo che tu fossi sotto pressione e che la pillola ti abbia dato la spinta necessaria per sfogarti. Ma, senza pillola, non lo avresti mai fatto. Ciò che voglio dire, Kara, è che trovo assurdo che tu ti senta in colpa per questo», si sforzò per sorriderle. «Ne stai passando tante e tu sei una persona buonissima: la pillola ti ha colpito dov'eri più vulnerabile. Cerca Selina, chiedile scusa se pensi di doverlo fare, ma non lasciare che a causa di Roulette tu ti senta uno schifo, Kara. Non te lo fare, non lo meriti».
Kara sbuffò, passandosi una mano sul braccio sinistro. Lena le poggiò alcune dita, facendole entrare i brividi.
«Sei fortunata che sia solo un livido».
«So come incassare», rispose in un brusio, alzando lo sguardo il tanto per vederla negli occhi. «Tra me e Ivy e Harley non c'è…».
«Kara», deglutì, «Lo so. Non devi parlarmene, davvero».
«E se volessi farlo?», aggrottò la fronte, scorgendola spostarsi ancora, solo un poco. «I-Io non l'avrei mai-».
«Lo so», le ripeté, «Non sono arrabbiata. E non stiamo insieme. Piuttosto, oggi abbiamo un matrimonio a cui pensare».
«Ooh», si lamentò con una smorfia, ributtandosi sul materasso di peso. «No, no», si coprì gli occhi, «Mi era totalmente passato di testa».
Lena le tolse le mani dal viso e non riuscì a non sorriderle. «Da oggi, saremo ufficialmente sorellastre».
Kara le riprese le mani che stava allontanando, carezzandone il dorso con i pollici. «Grazie», annuì, «Chiederò scusa a Selina, ma grazie, Lena». Si guardarono e, quando si poggiò di nuovo sul materasso anche lei, Kara le si protese accanto, le tolse un capello dal viso e approfittò del momento per sfiorarle una guancia mentre, al suo tocco, Lena socchiudeva gli occhi e tratteneva il fiato.
«Non farlo», sibilò.
Kara si mantenne di nuovo con il gomito del braccio sano, guardando lei negli occhi. «Ero arrabbiata e una parte di me lo è ancora, non posso negarlo», gonfiò gli occhi, «Ma dopo quello che ho passato, e-e per come mi sono comportata… quando ti ho vista, ieri, tutto mi è diventato chiaro. Non voglio che questo si metta tra noi, Lena. Mi dispiace e… Non m'importa se mi hai nascosto qualcosa».
«Sì che ti importa».
«Va bene: m'importa», annuì. «Ma sono sicura che avrai avuto una buona ragione, per farlo».
«Sì. C'era».
«E mi dirai tutto dopo il matrimonio».
«Sì, lo farò».
«Allora va bene», sforzò un sorriso. «Qualsiasi cosa sia, posso accettarlo».
«No, non lo farai».
Kara trattenne uno sbuffo. «Va bene, non lo farò. Mettiamo che sia vero, ti autorizzo a dirmi te lo avevo detto». Le fece scappare una risata, poi scosse la testa, infine tornò più seria, scambiando con lei un lungo sguardo. «Anch'io», le disse Kara, come avesse potuto risponderle a qualcosa di non detto a parole. «Anch'io. Lo sai. E lo sai che ci sei solo tu». Dopo si abbassò verso di lei e, piano, ancora guardandosi, le prese le labbra con le proprie. Socchiusero gli occhi insieme, lentamente, lasciandosi trasportare dal bacio intanto che Kara le carezzava il viso con una mano e Lena il braccio con il livido, attenta a non farle male, prima di decidere di non cedere e allontanarsi.
«Davvero, Kara, non possiamo».
Lei abbassò lo sguardo. «Ti ho ferita».
«No. Smettila, davvero, non è colpa tua. Io ferirei te. Adesso sei così perché hai passato una giornata intensa e… vuoi farti perdonare, anche se non ne hai bisogno», disse velocemente. «Ma sei tu che non perdoneresti me».
Si distanziò, guardandola attentamente negli occhi. «Dunque è… una cosa tanto seria come sembra».
Lena si alzò da letto, sistemando le lenzuola. Si voltò a lei, prendendo fiato. «Rifaremo questo discorso dopo il matrimonio, promesso. Prima di allora… te ne pentiresti».
Kara annuì, rigettandosi sul materasso.

Villa Luthor-Danvers, e prima ancora quando era solo Luthor, non era mai stata tanto chiassosa. Per di più di prima mattina. Aveva visto quella villa poche volte prima del matrimonio con Lionel. Apparteneva ai suoi genitori che avevano deciso di regalarla a loro per le nozze e così di sistemarla. Il giorno del matrimonio avevano sospeso i lavori ma alcune zone della casa erano state piene di teli di plastica, scale, secchi di cemento e mattoni. Già infastiditi che i lavori non fossero stati conclusi prima della cerimonia, i signori Luthor avevano pregato tutti gli invitati di astenersi di mettere piede in zone in via di ristrutturazione. Anche quella mattina la villa era stata piena di persone, ma mai tanto chiassosa. Aveva suonato il campanello e il domestico, a occhi sgranati, l'aveva fatta accomodare. Vedendola attendere nell'ingresso, coperta da un pesante giaccone e in scarpe a spillo, qualcuno dei parenti Luthor si era avvicinato per dirle di dover sparire, perché non doveva farsi vedere dal futuro marito prima delle nozze, ma il signor Luthor si era affacciato poco dopo e le aveva allungato una mano per farsi raggiungere, sorridendo. L'aveva sempre accolta nella sua casa e nella sua famiglia come una vera figlia.
«Non può vederti prima del matrimonio? Noi non crediamo a queste sciocchezze», aveva ribattuto, abbracciandola con garbo.
Lillian aveva salito le scale, evitando qualche cumulo di polvere dei lavori sfuggito alla pulizia prematrimonio della villa, e si era chiusa in una delle stanze, in attesa di parlare con Lionel. Era la camera che ora, nel presente, era diventata di Alex Danvers: la stavano tinteggiando in quel periodo e metà dei mobili, antichi, era stata riversata da un lato. C'era un grande specchio da terra e ci aveva passato sopra un fazzoletto per togliere il grosso della polvere. Così si era specchiata, mento dall'alto al basso, petto in fuori, le mani intrecciate sul grembo. Aveva tolto dalla borsa una scatola in pelle e da lì una grande collana impreziosita da dettagli in oro bianco e smeraldi che si era agganciata abbozzando un sorriso ma, quando la porta si era aperta, si era messa sull'attenti, cercando di nasconderla con il cappotto.
«Lillian! Mi hanno detto che eri qui. Non hai paura che ti veda Lionel?». La ragazza era entrata e aveva chiuso la porta. Era un solo anno più giovane di lei; all'epoca, aveva diciassette anni.
«Lorna! Suvvia, queste sono sciocchezze», aveva riso, attirandola verso di lei con il gesto di una mano. «Sono felice che tu sia qui, mi chiedevo giusto se potessi aiutarmi nella preparazione, se volessi venire nella casa dei miei genitori, solo per poco».
La ragazza aveva sorriso e si era tirata dietro le orecchie i capelli a caschetto neri. «Volentieri! Pensavo che ci avrebbero pensato le donne della tua famiglia». Aveva detto con una mano sul petto.
«No… mh. Ho litigato, di recente… Oh, non voglio ammorbarti con queste quisquilie», aveva gesticolato. «Tra noi c'è semplicemente più sintonia». Si era riaffacciata allo specchio e aveva lasciato che il cappotto mostrasse la collana, al che, Lorna Luthor aveva sgranato gli occhi.
«Ma quella…», aveva sibilato senza fiato. «È stato Lionel a regalartela?».
«Il signor Luthor, naturalmente. Ieri, per indossarla al matrimonio».
«Lo zio?», aveva emesso un verso di sorpresa. «È un cimelio di famiglia, Lillian, apparteneva a nostra nonna. Ne devi essere molto orgogliosa», le aveva sorriso, con gli occhi che brillavano. Ci aveva passato sopra due dita, quando lo sguardo dell'altra le aveva concesso di farlo. «I giornali non parleranno d'altro, puoi starne certa. Non sapevo la tenesse lo zio, da quando lei è morta. Avrei puntato su zia Lara. Avrei tanto voluto averla». A un'occhiata di Lillian, lei le aveva sorriso. «Sta davvero bene intorno al tuo collo, voglio dire. Adesso sei una Luthor, Lillian. La collana appartiene alla storia della nostra famiglia, è giusto che la abbia tu. Sarà sempre sul collo di una Luthor».
Avevano sentito bussare alla porta e il viso di un baldo giovane aveva sorriso, entrando nella stanza. «Discussioni da donne? Posso interrompere?».
Lorna e Lillian si erano scambiate uno sguardo d'intesa e la prima aveva raggiunto il ragazzo, dandogli un colpetto su un braccio. «Sei fortunato, cugino. Non rovinare tutto». Poi era uscita, mentre lui aveva raggiunto l'altra davanti allo specchio.
«Cos'è successo? Non ti aspettavo».
Lei aveva increspato la fronte e poi deglutito. «Quei pezzenti mi hanno aggredita, stamane. Devono davvero partecipare anche loro al nostro matrimonio? Sono contrari, non li voglio».
Lionel aveva ansimato, scuotendo la testa. «Lascia che vedano con i propri occhi la loro figlia, nipote e cugina che va per la sua strada. Lascia che vedano come hai scelto il tuo posto. Farà bene, a quella gente. Non dobbiamo escluderli, potranno fare parte della famiglia se vorranno».
«Ma loro non vogliono», aveva digrignato i denti e il giovane Lionel le aveva passato una mano sul viso.
«Non ti agitare, Lillian. Portare rancore potrebbe far male-», si era interrotto, vedendo la collana. «È stato mio padre?».
Lei aveva sorriso raggiante, specchiandosi di nuovo. «Non ho detto nulla perché volevo fosse una sorpresa».
Lui l'aveva circondata con le braccia, intrecciando le mani sulla sua pancia e appoggiando il mento sulla sua spalla sinistra. «Sei perfetta».
«Lo so».
Lillian si fissò davanti allo specchio da terra nella loro camera. Ritrovandosi più vecchia, eppure sentendosi una donna nuova. Si voltò di scatto verso la porta quando sentì qualcosa che si rompeva, al piano di sotto. Alcune urla. E dopo risate. Normalmente si sarebbe arrabbiata, ma scoprì che, in fondo, non le importava. Aveva tante cose di valore in quella villa, ma quello era il giorno più felice della sua vita, sentiva che si stava realizzando e neanche un vaso rotto avrebbe potuto intaccare il suo buon umore.
«Accidenti, hai sentito?». Eliza era rientrata in camera di corsa. «Mia zia ha fatto cadere un bicchiere, Marielle si è offerta di pulire. Santa donna, le avevo chiesto di essere un'ospite». Correva da una parte all'altra della stanza e Lillian la seguì attraverso lo specchio.
«Marielle è già qui?».
«È arrivata ora, vuole aiutare. Non mi ha sorpreso: da quando le ho detto che mi avrebbe fatto da testimone, è molto più energica del solito. A proposito, ha chiamato la troupe della CatCo: saranno qui a momenti. E sono certa non tarderà la troupe televisiva, sarà un caos tra poco. Janine la wedding planner è già in hotel, tra l'altro. Tra poco si sposterà in chiesa per le ultime preparazioni». Si fermò all'improvviso e la guardò con attenzione, in lingerie, scalza, con i capelli sciolti sulle spalle e ancora un po' ondulati. «Ci credi?», le sorrise, «Stiamo per sposarci».
«E sei perfetta», le sorrise attraverso lo specchio ed Eliza arrossì, ridacchiando e scuotendo una mano. Lillian la vide dirigersi ciondolando verso la cabina armadio, forse troppo con la testa per aria: scomparve dallo specchio improvvisamente, cadendo ai piedi di una panca.
Riprese a specchiarsi e, nei suoi ricordi, Lionel l'aveva lasciata, dandole un veloce bacio sulla fronte. Si era tolta la collana e, delicatamente, l'aveva riposta nel suo contenitore. Il signor Luthor aveva sempre avuto così tanti riguardi per lei che, si era chiesta spesso, negli anni a seguire, se non fosse stato perché all'inizio le faceva pena. O perché aveva visto in lei qualcosa. Aveva lasciato la stanza e, con passo silenzioso, si era affacciata nei pressi di una porta quando aveva sentito dei brusii. Doveva essere il signor Luthor quello che scorgeva dalla porta semichiusa, e l'altro, a giudicare dalla voce, doveva essere il suo futuro sposo.
«Le hai dato la collana? Avrei preferito che mi consultassi, prima di farlo».
«Non devo renderne a te». Il signor Luthor aveva abbozzato una risata, trattenendosi. «Stammi a sentire, figlio. Da oggi, Lillian sarà una vera Luthor e, da tale, dovrai parlarle degli affari che portiamo avanti in famiglia. Erediterete tutto, da parte mia».
«Lo so, lo so». Lillian lo aveva sentito sospirare e non le era parso mai tanto teso come in quel momento. «Ma non voglio spaventarla e-».
«Sciocchezze. Non la vedi ancora come la vedo io. E adesso tira su le braghe e sposa quella donna». Lo aveva sentito camminare verso la porta, ma quando l'uomo era uscito, la giovane Lillian si era già allontanata.

Kara si rivestì di fretta con il cambio che si era portata dietro nello zainetto. Poco prima, aveva chiesto scusa a Selina e l'aveva pregata di rigirarle anche a Ivy e Harley, pentendosi seriamente di come si fosse comportata. E non osava pensare dove si sarebbe spinta se non ci fosse stata Selina. Forse la colpa era davvero della pillola che le aveva scombussolato il cervello, ma ricordava fin troppo bene la sensazione di invincibilità che aveva provato per non pensare che, in fondo, avesse voluto tutto quello che era successo. Così sicura di sé e forte che niente avrebbe potuto piegarla. Si vergognava nel pensare che, a parte ciò che aveva fatto alle sue amiche e involontariamente a Lena, le era piaciuto. Strinse gli occhi, cercando di scacciare quel pensiero lontano dalla sua testa.
Ho visto Ivy poco fa e mi ha chiesto di salutarti. Lei non è per niente dispiaciuta, kryptoniana, credimi.
Kara ansimò, scuotendo la testa.
Per quello che vale, io sono contenta che sei tornata in te.
Le inviò uno smile e alzò lo sguardo verso la porta, riportando i suoi pensieri a Lena. Era vero che non stavano più tecnicamente insieme, ma era certa che doveva averle dato fastidio. Stava per mettere via il telefono quando questo squillò.
«Come sarebbe che sei a Metropolis?».
Sua sorella le perforò un timpano e spostò il cellulare dall'orecchio, avvicinandosi a una vasta e luminosa finestra della stanza: erano su un palazzo particolarmente alto e il cielo davanti a lei era sereno, diventando via via più azzurro. «Ho avuto un imprevisto, a Gotham». Le spiegò tutto, perfino di Roulette; la poteva vedere nei suoi pensieri mettersi una mano sulla fronte. «Arriverò a National City con Lena e Lex. Devo assolutamente passare al campus, prima di andare in villa… Ci sarà il finimondo. E la microspia? Come faremo?».
«Ti sei fatta male? Lascia perdere la microspia, ora: sta registrando tutto da ieri, ero occupata e oggi…», lasciò la frase a mezz'aria, ripensando al matrimonio.
«No, sto bene… Avevo un po' di mal di testa prima, mi sta passando. Più che altro, dovrò farmi truccare per bene per coprire i lividi», sussurrò, dando un'occhiata a quello sul braccio. Le faceva davvero male.
«Lividi?».
«Ma non è niente di che, mi sono scontrata con una sbarra».
«Una sbarra? Hai detto una sbarra, sorellina?».
«Ma sì, emh, nulla… invece il taglio sulla fronte si vedrà anche con il trucco».
«Taglio? Kara, voglio sapere ogni dettaglio sulla serata di ieri».
Lei strinse i denti. «Ma guarda che tardi, devo andare». Chiuse la chiamata prima che potesse replicare.
Dall'altra parte, Alex chiuse con uno sbuffo innervosito, tenendosi un fianco. Sentì la divertita corsa di Jamie dietro di lei, poi quella di Maggie che, con un vestitino giallo tra le mani, si fermò per prendere aria, reggendosi le ginocchia. «Verso dove ha corso la bambina mezza nuda?». Alex indicò e lei sbuffò. «Ho bisogno del poliziotto cattivo: hai sentito tua sorella o devi ancora telefonare?».
«Devo parlare con Lex», cercò il numero, «E sarò subito da te. Mi spiace». Le inviò un bacio, ma Maggie si allontanò sdegnata, stanando dietro un mobile la bimba che girava per casa con le sole mutandine addosso.

Un lungo abito bianco, uno scialle sulle spalle, il velo sui capelli arrangiati a spirale sul capo: Eliza aveva sorriso, in casa Danvers, vedendo il suo futuro sposo Jeremiah in piedi in salone che la aspettava, in mezzo ad alcuni amici. Sapeva che l'aveva aspettata, che non sarebbe riuscito a farsi portare da loro in chiesa prima di vederla. Era rimasto a bocca aperta e si era avvicinato.
«Oh mio Dio… sei uno splendore», le aveva allungato una mano per attirarla verso di lui, intanto che gli amici fischiavano e applaudivano.
Lei aveva arrossito e per poco non inciampava incastrando il vestito sotto una scarpa.
«Nooo!», le urla della madre della sposa avevano riecheggiato per la casa. «Noo! Non dovete vedervi prima, siete degli irresponsabili». Aveva colpito entrambi con un buffetto, ma loro si erano messi a ridere.
«Mamma, stiamo insieme da anni, non sarà questo a portare sfortuna».
Lei aveva grugnito. «Ne riparleremo al vostro divorzio».
I due futuri sposi si erano guardati ancora, sorridendosi lentamente. Poi, Jeremiah aveva portato la sua mano sinistra sul grembo di lei, accarezzando il gonfiore sotto il vestito. «Almeno una cosa buona l'abbiamo fatta».
«Lascia perdere mia madre», lo aveva baciato, «Ci sposiamo per dare stabilità alla nostra famiglia. Per lei, è già scandaloso che sia incinta ora».
Lui aveva sorriso. «Sarà un bambino fortunato. O bambina».
«Bambino», aveva sussurrato lei con convinzione. «Alex sarà un bel maschietto, me lo sento». Eliza gli aveva regalato un altro bacio e si era spostata, tornando al presente: il soggiorno della villa era pieno di persone che andavano a venivano da una parte all'altra, e la povera Marielle era quella che correva più di tutti, lavorando anche quando non avrebbe dovuto. La troupe televisiva riprendeva ogni centimetro della casa, fermando qualcuno per intervistarlo rapidamente. La troupe inviata dalla CatCo stava girando ogni angolo per trovare quello migliore per le foto. Intanto, Danvers e Luthor erano quasi tutti lì, che parlavano e cercavano di conoscersi e trovare un punto d'incontro, qualcosa che li unisse, Eliza lo sapeva, per scoprirsi famiglia al di là di quel matrimonio. Tanto diversi, tutti sotto lo stesso tetto.
«Signora Danvers, se vuole possiamo scattare le prime foto», le disse una ragazza con la macchina fotografica al collo, a fondo delle scale. La truccatrice, al suo fianco, che aveva appena finito di sistemarla, le fece cenno positivo.
«Lillian è ancora impegnata con l'acconciatura e i nostri figli non sono ancora arrivati».
«Non importa, ne facciamo qualcuna solo con lei. Credo che anche la troupe televisiva voglia parlarle appena possibile».
Eliza sospirò, dando una nuova occhiata in fondo alle scale. Tanti ridevano, altri correvano, sua madre la guardò con apprensione e scosse la testa. «Oh, e va bene», sorrise e sollevò l'abito bianco, mentre la truccatrice tornava indietro per Lillian. «Mi sono già sposata, ma le interviste e tutte queste attenzioni sono ancora una cosa molto nuova, per me». La fotografa rise a sua volta, facendole strada. Presentò la villa accanto a Marielle che le faceva da supporto. Le fecero delle foto, alcune con qualche parente e i suoi genitori, un'altra con Marielle, parlando di lei come un'amica. Davanti alla telecamera, sul divano in soggiorno, parlò di come non fosse stato affatto difficile trovare una chiesa che le ospitasse.
«Non solo siamo due donne, ma siamo anche due donne già state sposate, credevo sarebbe stato complicato trovare un parroco disposto a sposarci, pur se con rito civile, non religioso», spiegò. «Ci tenevo, in un certo senso, perché è così che ho sempre immaginato il mio matrimo- beh, il mio secondo matrimonio?!», rise. «È tutto come un sogno, eppure, la cosa mi rende un po' triste perché capisco che se abbiamo tutto questo, è per lo stesso motivo per cui ci siete voi: perché non siamo persone comuni. Non lo sono più io per la futura moglie, per la mia nuova famiglia», spiegò.
«Può parlarci del suo primo matrimonio?».
Lei sorrise, portandosi una mano sulla pancia. «Ah… cosa dire? Ero incinta».

«Incinta», aveva detto a voce alta quella giovane, «Incinta. Ve lo dico io, ho ragione».
Dopo essere passata in villa da Lionel, alcuni ragazzi Luthor e Lorna l'avevano riaccompagnata nella sua casa, più in periferia. Avevano preso una delle loro auto, pagando il tassista che l'aveva portata da loro e ringraziandolo per il disturbo. Erano stati fatti accomodare; anche quella casa, molto più modesta a ciò a cui erano abituati, era piena di gente.
«È incinta, vi dico. Si è fatta mettere incinta», aveva detto di nuovo lei, nascondendosi dietro ad alcune cugine allo sguardo acido di Lillian, fingendo disinvoltura. Sua cugina Bernadette, naturalmente. Aveva sempre avuto la lingua lunga e velenosa.
«Ti sembra il modo di scappare di prima mattina? Ero preoccupatissima», sua madre l'aveva guardata assottigliando i suoi occhi chiari. «Ci vuoi andare vestita e conciata da sposa a questo matrimonio, o vuoi scappare ancora? È tardi».
Lorna aveva risposto per lei, mettendosi in mezzo e stringendo un braccio di Lillian per farle sapere la sua vicinanza. «Adesso siamo tutti calmi e ci prepariamo per questo matrimonio. Sono qui per aiutarla, quindi sarà un successo, signora».
La giovane Lillian le aveva seguite verso la sua camera, dando un'ultima occhiata alla cugina che sparlava e le sorrideva con malizia, ancora vicina alle altre cugine.
La Lillian presente, invece, si alzò e si guardò allo specchio, portandosi poi una mano contro la bocca dall'emozione. La truccatrice le disse che era bellissima, ma lei faticò a rispondere. Si rivide per un attimo ancora diciottenne, davanti a uno specchio più rovinato e antico, che si passava le mani sulla pancia, lisciando il suo costoso abito bianco da Luthor. Così stonato nel grigiore di quella vecchia casa. Era l'inizio di una nuova vita allora, e lo era ora. Lorna Luthor l'aveva abbracciata e le aveva fatto i complimenti, agganciandole la collana di oro bianco e smeraldi. Nel presente si toccò il collo spoglio.
«Oh, sì. Aveva già in mente qualcosa da indossare?», le domandò la stilista. Era un peccato che Felipe sarebbe stato impegnato, quella mattina.
Lillian annuì.

«A che ora ci aspettano?», domandò Maggie, vedendo Alex infilarsi la giacca. Era appena riuscita a vestire Jamie e pregava che sarebbe riuscita a tenere quel vestito ancora giallo canarino per almeno la cerimonia in chiesa.
«Ci aspettano già, ma purtroppo devo andare da una parte, prima», si avvicinò a lei, dandole un veloce bacio a stampo. «Sarò alla Lord Technologies, ci metterò solo qualche minuto».
«Adesso?», spalancò gli occhi, «Vuoi mettermi al corrente di quello che sta succedendo o devo tirare a indovinare?».
«Incomincia ad andare, se vuoi».
«Scherzi? È il matrimonio di tua madre e mi chiederà dove sei».
«Va bene, aspettami, sarò di ritorno tra poco, devo solo fare due chiacchiere con Maxwell Lord». Aprì la porta di casa e si tuffò fuori.
«Non hai preso al pistola, vero?».
«Ti amo», urlò, chiudendo velocemente.
Non si aspettava la fanfara ad accoglierla, ma di certo nemmeno che, al primo tentativo in portineria, le dicessero di salire. Se pensava di trovarsi davanti la dolce Alex Danvers venuta a trovarlo, quell'uomo si sbagliava di grosso. Appena aprì la porta del suo ufficio con una spinta, Lord si allisciò la cravatta e, con un cenno per farla accomodare e un gran sorriso, aprì bocca per darle la benvenuta, ma lei lo interruppe. «A che gioco stai giocando?». Veloce, ferma, dritta al punto.
Lui spalancò gli occhi, ma non spense il sorriso. «Devo sapere di cosa stai parlando, prima di poterti rispondere in modo accurato».
«Vendi le pillole nel pub, e questo lo sapevamo, ma metterle nei bicchieri di persone che non sanno cosa stanno per bere è… inaccettabile», sbatté le mani contro la scrivania.
«Come? Sei sicura? Metterle nei bicchieri di alcuni clienti inconsapevolmente mi porterebbe in perdita. Perché dovrei fare una cosa del genere?».
«Mia sorella era nel tuo pub, ieri sera. E una certa Roulette l'ha drogata».
«Kara era nel mio pub, ieri? Le è piaciuto? Disgraziatamente, alcuni teppisti hanno superato la sicurezza e hanno sfasciato tutto. Dovrò tenerlo chiuso per ristrutturazione, ma i lavori vanno veloci».
«Mi stai ascoltando?», spalancò gli occhi, battendo di nuovo una mano. «Questa Roulette l'ha drogata».
Lui ansimò, lisciandosi di nuovo la cravatta. «Non vendo droga, Alex. Se anche il fatto sia realmente accaduto, ed è da accertare, ciò che Kara ha ingerito non è droga. Tutt'al più stimolanti». La vide alzare gli occhi al soffitto, allontanandosi dalla scrivania. «In ogni caso, farò accertamenti e ti ringrazio per il feedback. Chiamerò Roulette e ispezionerò i video delle telecamere. Con il pub chiuso, se non altro saprò come tenermi impegnato», sorrise.
Alex guardò l'orologio sul polso e prese un gran respiro: era quasi metà mattina, doveva andare. «Tornerò».
«Le mie visite preferite», rise, restando seduto. «E auguri per la nuova famiglia», quasi le gridò, quando lei era già fuori dall'ufficio. La tenne d'occhio e aspettò che salì sull'ascensore, prima di prendere la cornetta del telefono sulla scrivania e comporre una serie di numeri. Ora era serio. «Devo parlarti, riguardo ieri sera. No, non al telefono, ti voglio qui entro giornata». Chiuse e, con il portatile sulla scrivania, accedette velocemente alle telecamere del pub, ricercando un video in particolare e mettendo play, osservando Kara e Roulette parlare al bancone.

In quello stesso momento, i fratelli Luthor e Kara erano da poco arrivati da Metropolis. Avevano lasciato Kara davanti al campus mentre loro si dirigevano in villa per il matrimonio. La ragazza fece in fretta: salutò Megan, smistò la posta e nascose l'ennesima lettera di sua zia nell'armadio, prese l'abito da damigella e lo mise in borsa per portarlo via; in cinque minuti di pausa sedendo sul letto, riprovò a bassa voce alcune frasi della canzone che avrebbe cantato quel pomeriggio.
«Sei in ansia. Lo vedo che sei in ansia», annuì Megan, seduta sul letto davanti. Kara la guardò e trattenne il fiato. «E sei anche rotta», le indicò il taglio sopra l'occhio. «Di questo passo, John non ti ridarà il ruolo di capitano».
Kara sbuffò. «Ho ben altro per la testa». Si alzò e prese la borsa in spalla, decidendo che era ora di andare.
«Dunque, posso fare il capitano al posto tuo?».
Kara aprì la porta e tornò indietro solo di un passo, facendo sobbalzare la coda dei suoi capelli. «Scordatelo».
L'ansia la stava mangiando dentro. La sola idea del matrimonio, in quel momento, la stava divorando come un pasto caldo. Eliza si sposava. Si sposava con Lillian Luthor. Era fatta, finita, era il capolinea. Ora la conosceva, poteva dire che quella donna non era più una completa estranea, e di certo avevano passato del tempo assieme, ma l'idea del matrimonio… Ma non avrebbero potuto stare insieme senza sposarsi? Due donne con altri matrimoni alle spalle, che avevano vissuto un'altra vita prima di conoscersi, che erano tanto diverse… Si rendeva conto di parlare da egoista, ma una parte di lei era fermamente convinta che, se le avessero detto che annullavano le nozze, avrebbe saltato di gioia.
Stava uscendo dal campus, quando il telefono le vibrò dalla tasca. Per un attimo pensò davvero che le avessero letto nel pensiero. Ma uff, era solo solo Barry Allen:
Tanti auguri per il matrimonio di tua madre, Kara!
Lei alzò gli occhi al cielo.
Per quanto riguarda mio padre, ne stanno ancora discutendo ma ti farò sapere presto qualcosa!
«Kara?».
Stava per rispondere che la chiamarono e si voltò, scorgendo Mike Gand che veniva verso di lei in calzoncini e pieno di sudore. «Auguri per il, sai, matrimonio di Eliza».
«Non toccarmi», mise le mani in avanti. «Mi devo ancora fare una doccia, ma la villa sarà piena di gente quando arrivo e non voglio puzzare di sudore», ridacchiò. «Di uomo. Di s-sudore di… uomo».
«Che hai sulla fronte?». Alzò la mano destra per toccargliela che lei si scansò. «È un livido, quello?».
«Sì, beh, ieri mi sono scontrata… beh, nulla di che, una specie di rissa».
«Rissa?», sgranò gli occhi. «Hai fatto a botte? Con chi? Chi è stato?».
«Ma niente, lascia perdere… Più che altro sono preoccupata che non mi si copriranno con il trucco e», ansimò, spalancando le braccia, «sarò immortalata nelle foto delle nozze come Frankenstein Junior».
Il viso di Mike si contorse di rabbia, pestando un piede a terra. «Questo è perché sei testarda e non vuoi che torniamo insieme! Avrei dovuto esserci. Avrei dovuto proteggerti».
Kara deglutì, aggrottando la fronte. «Non avresti potuto fare niente».
«Sì, accidenti, Kara, non capisci! Sei ti fai del male, io mi sento responsabile», si portò una mano sul petto, guardandola attentamente negli occhi. «Dovrei stare al tuo fianco e proteggerti come mi ero promesso di fare. È il mio compito! Una ragazza da sola non-».
«Non ero sola».
«E dai, piantala! Ancora con questa storia del ragazzo?», spalancò le braccia, guardandola duramente. «Lo so che non è vero. Non sono scemo e so che torneremo insieme, ma nel frattempo che non sei con me, io non so come fare per-», si bloccò, indicandole la fronte, «evitare cose come questa».
«So difendermi da sola, Mike».
«Lo vedo come lo fai bene».
Kara fece due passi in avanti per andarsene, poi tornò indietro di uno, riguardandolo negli occhi. «Sei possessivo, maschilista ed egocentrico», lo indicò, «Per questo non siamo insieme e non lo saremo mai più. E ora scusa, devo rispondere». Riguardò il cellulare, accendendo lo schermo e prendendo passo per andarsene.
Mike restò fermò per un po', con lo sguardo basso e l'orgoglio ferito. «A chi devi rispondere? Il tuo ragazzo che non esiste?».
«Barry Allen».
«Oh, con lui riesci a sentirti, eh? Un grande amico… e magari vuole solo portarti a letto. Gliela darai?».
Lei si fermò, prendendo fiato. «Lui è un vero amico, Mike. Non lo fa per interesse. E se vuoi saperlo, mi scrive per dirmi di suo padre che uscirà di prigione e forse lo raggiungerò a Central City per festeggiare. Per qualcosa di serio, non per sminuirmi come persona come fai tu, convinto che non vivrò senza di te». Si voltò, scrivendo il messaggio. «E magari adesso raccontalo ai tuoi amici al telefono di come sono stata cattiva nel rifiutarti di nuovo». Se ne andò velocemente e Mike restò senza fiato, immobile, ripensando alle sue parole.
Quando arrivò in villa, Kara restò pietrificata dalla mole di persone che andavano e venivano ovunque. Si premurò di nascondersi la fronte con una mano, cercando di adocchiare i suoi colleghi della CatCo e la troupe televisiva, che di certo non doveva riprenderla in quello stato. Poi prese passo per salire una scala e cercò di farlo velocemente quando scorse Lena avvicinarsi all'ingresso. Oh, o almeno ci avrebbe provato se non avesse già indosso il vestito da damigella e lei era così bella da farle immaginare di andarle incontro e baciarla davanti a tutti, curiosa di come si sarebbe svolta la mattina da lì in avanti. Forse avrebbero rubato la scena al matrimonio delle loro madri. Avrebbero scritto un articolo su di loro. La troupe televisiva si sarebbe focalizzata sui loro primi piani. Eliza e Lillian le avrebbero odiate per aver rovinato le nozze. Accidenti, doveva smetterla di fantasticare a occhi aperti su Lena e quel vestito e sulla loro relazione. Relazione che Lena non voleva riprendere, per di più. Se ne sarebbe pentita, erano le sue parole, ma al momento l'unica cosa di cui si pentiva davvero era non poterle sfilare quel vestito di dosso, in camera sua, mentre tutti al piano di sotto pensavano ad altro. Oh no, ci era ricascata: stava di nuovo fantasticando su Lena e quel vest-
«Zia Kara».
Jamie le venne addosso e per poco non cadde contro il primo scalino. Scese la mano per reggersi e di nuovo si ricoprì la fronte e tirò sul naso gli occhiali, guardandosi a destra e sinistra assicurandosi che nessuno l'avesse notata.
Alex le arrivò tanto vicino che non l'aveva vista, anche lei vestita da damigella, e prese la bambina per mano, scambiando uno sguardo con Lena, davanti, appena arrivata. «Vieni, Jamie. Zia Kara ha da fare, adesso, giocherai con lei più tardi». Pensò di darle un colpo su un braccio prima di allontanarsi, Kara lo notò, ma ci ripensò all'ultimo: era già abbastanza rotta.
Lena le lanciò un'occhiata e poi chiese a Kara di seguirla, salendo le scale. Non le rivolse la parola fino a quando non aprì camera di Alex ed entrarono entrambe, scoprendo Maggie che parlava con un'altra ragazza.
«Oh, eccovi», le sorrise la prima, andandola ad abbracciare e scorgendole il taglio sulla fronte. «Bruttino, ma ho visto di peggio. Lei ti aiuterà a coprirlo», indicò l'altra ragazza, la truccatrice, che le porse la mano per stringergliela.
«Hai camera mia a disposizione», esclamò Lena, guardandola negli occhi il meno possibile. «Così avrai bagno e camera per prepararti. Poi tornerai qui e lei ti farà il trucco. Cercherà di… sistemarti».
Kara e Lena uscirono, mentre Alex rientrava e Maggie, braccia a conserte, le faceva un segno col capo. «Dove hai lasciato Jamie?».
«Oh, è in buone mani», sorrise.
Al piano di sotto, in cucina, Lillian Luthor in abito da sposa guardava Jamie vestita di giallo e Jamie vestita di giallo guardava Lillian Luthor vestita da sposa. «Allora», deglutì la donna, «Bambina… Come ti vanno le cose?». La piccola non si mosse e continuò a fissarla, con serietà. «Va bene, allora… vuoi una caramella?». All'improvviso la vide sorridere e sorrise fiera di rimando, alzando il mento.
«Puoi restare». Kara la fermò davanti alla porta di camera sua e Lena abbassò gli occhi. «Non-», deglutì, «mi vedrai nuda, mi cambio in bagno. Co-Così, però, se vuoi parlare…».
«No, torno da Alex e Maggie. È meglio così, credimi».
Kara s'imbronciò. «Non vuoi neanche parlarmi?».
Lena arrossì. «Non è questo. Se penso a te, nuda, nella mia vasca… Sono umana, Kara, e ancora decisamente attratta da te e
», poi abbassò la voce, «anche se non arrabbiata, decisamente propensa a farti dimenticare di aver baciato quelle due».
«Ah…», arrossì anche lei, sentendo le orecchie farsi bollenti. «Beh, sareb
umh», si schiarì la gola. «A-Allora è meglio se non vieni den- Vo-Voglio dire», sobbalzò, «Nel bagno. Venire dentro in bagno, cioè, c-con i piedi». Alla fine, mentre Lena spalancava gli occhi imbarazzata, Kara decise di entrare e chiudere velocemente la porta.
Maggie e Alex, origliando davanti alla porta dell'altra stanza, si scambiarono un'occhiata e scossero la testa: non avevano parole.

I fotografi avevano scattato diverse foto alla casa dove Lillian aveva passato l'infanzia e l'adolescenza. Aveva sempre ricordato quei momenti con profonda vergogna ma, adesso che era adulta, si chiedeva più a fondo qual era stato il reale punto di rottura tra lei e la sua famiglia, che era di certo avvenuto prima del suo matrimonio. Aveva conosciuto Lionel Luthor per caso, ma non per caso aveva continuato a ricercare contatti con lui: a Lillian piaceva studiare fin da piccola e lui andava nel suo liceo, voluto dagli insegnanti, per parlare di commercio e finanza; lei alzava sempre la mano, lo ricercava nei corridoi e una volta, pur di parlare con lui, si era assicurata di sbattergli addosso una porta e mentirgli che le dispiaceva. Avevano iniziato a parlare, trovando cose in comune. Se non fosse che lei, a dispetto di lui, veniva da una famiglia qualsiasi, comune, avrebbe detto povera. Quattro anni più grande di lei, Lionel era già maggiorenne quando avevano iniziato a frequentarsi ma nessuno aveva osato denunciare il loro rapporto. Lui era un Luthor e i Luthor erano intoccabili, allora. Lillian lo ammirava e ammirava la sua famiglia; si sentiva capita, accettata, mentre dai suoi zotici genitori riceveva solo lamentele e urla per farle smettere di studiare e pensare a crearsi una famiglia. Loro non volevano Lionel. Non volevano i Luthor. In famiglia le ripetevano che quel ragazzo si sarebbe stancato di lei, ma Lillian non avrebbe mai permesso che il futuro che si meritava le sarebbe sfuggito di mano. Così, quando i fotografi si erano tanto impegnati per scattare foto a quella casa sporca e vecchia, Lillian aveva cercato di non farci caso. Le aveva fatto schifo, ma era inevitabile che i giornali avrebbero pubblicato le sue origini: era il prezzo da pagare.
«La vedi? La vedi, adesso?». Bernadette aveva picchiettato con un gomito un'altra cugina ed entrambe avevano riso, guardando Lillian, in abito bianco, che usciva dalla casa mentre i fotografi scattavano altre foto. Nemmeno vedere quella costosa collana intorno al suo collo era motivo per zittirla.
«Io non vedo niente. Ma tu sei sicura?», le aveva chiesto di nuovo l'altra cugina, pur sempre ridendo.
«Si è fatta ingravidare». Avevano riso di nuovo entrambe, mettendo una mano per coprirsi la bocca.
Avrebbe voluto ignorarla, ma stava iniziando a ribollire di rabbia.
Tutti i presenti si portarono una mano alla bocca, vedendo Lillian scendere dalla scala per il soggiorno in villa. I parenti Luthor applaudirono, mentre la telecamera della troupe la riprendeva e riprendeva loro, mentre suo figlio Lex, in completo, la aspettava in fondo alla scala. Il ragazzo le tese il braccio destro e lei infilò sotto il suo, dopo aver toccato e odorato il fiore all'occhiello di Lex. La telecamera riprese più volte sulla collana e poi sui sorrisi dei due. Quando staccarono le riprese, i fotografi e giornalisti della CatCo la puntarono subito. «Sarò da voi tra un momento».
Vide la giornalista e la fotografa scambiarsi uno sguardo e poi controllare gli orologi, decidendo che erano ancora in tempo, correndo verso il resto della troupe.
«Hanno accompagnato Eliza in chiesa, sua madre ha insistito perché non ti vedesse vestita da sposa prima della cerimonia», le sussurrò Lex, quasi all'orecchio. «Le troupe si sono divise e Alex e Kara sono andate con lei, insieme ai parenti Danvers. Anche Lena».
«Ma naturalmente», sibilò a denti stretti, sorridendo per una foto. «Mi sorprende che tu sia rimasto». Salutò con una stretta di mano alcuni parenti che non vedeva da tempo, facendosi immortalare insieme a loro per un'altra foto.
«Non adagiarti sugli allori. Se sono qui», sorrise e anche lui salutò verso la telecamera, che di nuovo riprendeva la casa, «è solo per tutto questo e per il futuro della Luthor Corp».
Lillian annuì. «Mi sta bene», concordò, «Per ora».
Madre e figlio si impegnarono a farsi riprendere, intervistare brevemente e a farsi scattare foto separati e insieme, prima che conducessero anche loro in chiesa. Impiegarono solo pochi minuti di limousine, seguiti dalle altre automobili. Le strade bloccarono il traffico per farli passare. All'arrivo in chiesa, questa era già piena di altri fotografi e giornalisti con microfoni e telecamere, anche semplici curiosi tenuti indietro da uomini in divisa e transenne. Fecero entrare i parenti Luthor per primi, dalle porte sul retro, e dopo Ferdinand l'autista scese per primo dalla limousine, anche lui in smoking e farfallino, per aprire la portiera davanti a Lillian. Tre uomini la aiutarono con lo strascico che si fece aggiungere da Felipe giorni fa, e Lex le prese di nuovo il braccetto per accompagnarla all'altare. Non essendoci suo padre, né più il signor Luthor, Lex era l'unico che poteva prendere quell'incarico.
Janine, loro wedding planner, si affacciò sulle porte della chiesa, riguardò di nuovo dentro, e dopo fece loro un cenno positivo con la testa, il via libera che aspettavano. Degli uomini spalancarono del tutto le porte e Lex e Lillian percorsero lentamente gli scalini d'ingresso.
La chiesa era enorme, con soffitti altissimi, archi a tutto sesto a destra e sinistra, vetrate che si estendevano per metri, raffiguranti angeli e santi. Eliza aspettava davanti al parroco, vicino ai testimoni, Lorna Luthor per Lillian e Marielle per lei, e alle loro figlie che, tutte vicine, si sforzavano per restare serie e sorridere, con dei mazzolini di fiori in mano.
«Vi sento tremare», soffiò Eliza.
«Noi non-», Kara provò a parlare.
«Smettila o ti sentirai solo tu», brontolò Alex, interrompendola.
«Non sto parlando a voce alta», si giustificò e il parroco le rivolse mezza occhiataccia.
«Sì, un po'», tentò di dirle Lena.
«Non è vero».
«Shh», sibilarono insieme Alex e la loro madre. «E dopo mi racconterai come ti sei tagliata in fronte».
Kara sbuffò: nonostante il trucco, era impossibile sfuggirle.
Eliza deglutì e, dall'ansia, si portò una mano sulla pancia. Al pancione al suo primo matrimonio. Jeremiah era davanti a lei già sull'altare e, con un braccio a suo padre e l'altro a reggere la personcina che portava in grembo, stava andando da lui in sposa.
«Questo velo mi prude», aveva detto a denti stretti, mentre suo padre l'aveva ignorata, sorridendo alla loro famiglia a lato della navata. «Mi prude parecchio, spero me lo sollevi presto. E ti sento picchiettare i denti, smettila». Lui aveva sgranato gli occhi. «Per di più, il mio bambino si muove. Ed è pesante. Avrei dovuto scegliere altre scarpe?».
«Eliza, figlia mia, rilassati. Il bambino nascerà in preda a una crisi di nervi, se continui così», le aveva sussurrato suo padre, ormai vicinissimi a Jeremiah. «Prego che quella creatura saprà tenere testa il tuo carattere eccentrico».
«Alex?».
«Non mi riferivo a tuo figlio». Con qualche capello sugli occhi che sballottava, suo padre le aveva fatto un cenno con la testa in avanti ed Eliza aveva arrossito, guardando Jeremiah. Guardando Lillian, finalmente davanti a lei. Ricercò lo sguardo di suo padre che, solo pochi attimi prima, l'aveva accompagnata all'altare una seconda volta. Non aveva più capelli che gli ricadevano sugli occhi, era stempiato, con qualche ruga in più intorno agli occhi e sul naso, ma il suo sguardo era rimasto lo stesso e le indicò Lillian con un cenno del capo.

Le immagini di Lillian che in abito da sposa saliva i gradini della parrocchia, insieme alle prime foto della villa, di Eliza e le sue figlie in giardino, di quelle dei parenti che applaudivano e ridevano, rimbalzavano già in televisione, mettendo Rhea Gand di malumore. E non che ultimamente ci volesse molto per vederla in quello stato. «Ne fanno una schifosa questione di Stato», brontolò, «E neanche un invito, Luthor». Strinse i pugni e con rabbia ordinò vocalmente alla televisione di spegnersi, così lasciò quel soggiorno, percorrendo il corridoio assicurandosi di pestare i piedi. Stava per scendere gli scalini per il salone vicino all'ingresso, che la porta di casa scattò e suo figlio Mike entrò con il viso a terra, quasi più nero del suo. «Problemi agli allenamenti?», le domandò curiosa, avvicinandosi.
Lui scosse la testa. «Macché. Sto alla grande, sono in forma».
«E allora perché quella faccia tanto giù?».
Mike la guardò con attenzione, a quel viso affranto e tirato, pensando se dire o meno la verità. Alla fine sospirò. «Ho incontrato Kara al campus, oggi».
«Oh, certo», spalancò le braccia, «Ancora lei».
«Puoi stare tranquilla, mi ha fatto capire molto bene cosa ne pensa di me e perché non vuole tornare insieme», sbuffò. «Non le interesso, c'è solo Barry Allen nella sua testa». Stava per prendere passo che la madre lo fermò per un braccio, dandogli una carezza su una guancia.
«No, resta. Parlarmene. Sono tua madre, mi preoccupo per te… Chi è questo Barry Allen? Il suo ragazzo?».
«Mah, un amico suo, dice», strinse le labbra infastidito, alzando gli occhi al soffitto. «Un tipo di Central City, ha il padre in prigione e Kara ne è preoccupata. Forse lo liberano e vuole andare lì a festeggiare, non mi interessa. Per lui, Kara c'è sempre. È con me che ha dei problemi». Si separò dalla donna. «La cosa che più mi ha dato fastidio è stato scoprire che sapeva che parlavo con alcuni amici di lei al telefono e vorrei tanto sapere chi di loro ha fatto la spia… Se lo trovo, passerà dei brutti momenti». Scosse la testa e si allontanò, mentre Rhea Gand restò ferma e perplessa, nell'ingresso.
Spia. Qualcuno aveva fatto la spia? Scese gli scalini della sala di corsa e inquadrò suo marito davanti alla scrivania che prendeva degli appunti con carta e penna. Appena la vide arrivare, nascose tutto in un cassetto.
«Avevo ragione», starnazzò.
«Su cosa?».
«È lei. È Kara Zor El che ci spia». Vide suo marito trattenere il fiato e passarsi due dita in mezzo agli occhi, ma non cedette. «So che devo sembrarti un po' fuori di me in questi ultimi tempi, e di certo il fatto che Lillian Luthor non mi abbia invitata al suo matrimonio mi ferisce profondamente, ma non sto perdendo la testa, Lar, so quello che dico: lei conosce cose che non dovrebbe conoscere. Cose che nessuno di noi direbbe e che lei viene a sapere comunque».
Iniziò a guardarsi intorno e l'uomo si alzò dalla sedia, dando un'ultima occhiata al cassetto, assicurandosi che fosse ben chiuso. «Rhea», la prese per le spalle. «Ma ti senti? Lei non ci spia, sei tu che vuoi che sia lei per forza. Crei il tuo capro espiatorio per ciò che ci sta succedendo, ma è solo una ragazzina, nulla di più».
«No», gli puntò addosso un dito, allontanandosi dalla sua presa. «Sei tu che sei sempre stato troppo indulgente con quella piccola ficcanaso: avremo dovuto ucciderla quando era bambina, quando ti avevo suggerito che avremo dovuto prendere provvedimenti per lei e per quell'altro moccioso che è sopravvissuto. Ora non staremo qui a litigare come due sciocchi, quella Leslie Willis non avrebbe scritto di te, non saremmo dovuti andare da Oprah a chiarire la nostra posizione e lo stesso in altri programmi del genere», spinse il dito indice destro con il suo petto. «Lo sai che se mi invitano da Oprah piacerebbe decidere a me, di cosa parlare».
«Cara, per favore», tentò un riavvicinamento, passandole una mano su un braccio. «Siamo cambiati, non siamo più quelle persone. Ricordi? Abbiamo abbandonato certe… attività», prese fiato. «Ci siamo dedicati al futuro. Tutti sono andati avanti. Abbiamo perso quel potere perché ci siamo spinti troppo oltre e non quel giorno, Rhea, ma da anni fino a quel giorno. Devi lasciar vivere in pace quella ragazzina-». Lei improvvisamente sorrise e lui si fermò.
«Sei sempre stato un ingenuo, Lar», si tolse la sua mano di dosso, scacciandola con un colpetto. «Nessuno di noi ha mai perso il potere o è andato avanti. Abbiamo solo deciso di nasconderci e io dico basta». Il sorriso si spense e uscì dalla sala, intanto che il senatore Lar Gand restava lì, in piedi, senza più fiato.
«Stai uscendo?», la vide riprendere il loro figlio.
«Devo trovare chi ha fatto la spia a Kara, tornerò tardi. Forse», aggiunse Mike, chiudendo la porta dietro di lui.


***


Eliza aveva sorriso di gioia, accarezzando il pancione.
Lillian aveva accarezzato il suo, solo un momento, allungando uno sguardo alla cugina pettegola seduta in mezzo ai suoi zii, in chiesa. Quando l'aveva vista guardarla, Bernadette aveva unito le braccia e le aveva fatte dondolare come per simulare l'atto di cullare un neonato. Lionel le aveva detto di essere bellissima, ma lei ci aveva fatto caso appena. «Mi stanno guardando? Lo sanno?».
«No», aveva aggrottato la fronte lui, dando un'occhiata ai parenti e, alzando lo sguardo, chiedendo un momento al parroco, prima di procedere con la cerimonia. «Solo i miei genitori ne sono al corrente, lo sai. E non lo direbbero a nessuno. La gravidanza è una sorpresa».
«Lei lo va a dire a tutti», aveva stretto le labbra con odio.
«Lei può dire quello che vuole, Lillian», le aveva passato una mano su una guancia. «Nessuno le crede».
Sangue. Allora non era ancora successo,
ma sarebbe capitato entro un'ora dallo scambio degli anelli.
«Pensa di sapere la verità, ma in realtà-».
Il viso di sua cugina ricoperto di sangue.
«lo fa solo per farti arrabbiare».
Il suo sorriso strafottente, solo pochi attimi prima.
«Perché non ammetti e basta che ti sei fatta mettere incinta perché altrimenti il ragazzo ricco ti avrebbe lasciata?».
Erano sole. In una camera a parte nel locale in cui avevano deciso di festeggiare il ricevimento.
Era entrata lì per prendere aria, ma Bernadette l'aveva seguita. C'erano solo loro.
«Allora? A me puoi dirlo. Dimmi la verità, cuginetta».
Lillian si era sganciata la collana e l'aveva adagiata con cura su un mobile di legno.
«Allora? Allora? Allora? Non ti lascerò in pace fino a quando non dirai la verità».
Lillian l'aveva guardata con odio, impassibile, sguardo fermo.
«Allor-».
La sua ultima parola: Lillian aveva stretto tra le mani una targa di marmo del locale,
un soprammobile che era lì, alla sua portata, e gliela aveva sbattuta in faccia.
Era pesante, aveva faticato a reggerla, ma l'avrebbe aiutata a colpirla con più forza.
Lei era a terra, grondante di sangue, ma non era abbastanza.
L'aveva colpita.
Colpita.
Colpita.
Colpita più volte, macchiando tutto di sangue.
«Devo dirti una cosa, Lillian», aveva deglutito Lionel e lei si era distratta, ritrovando un senso di paura riflesso nei suoi occhi. «È meglio che tu lo sappia prima di dirmi di sì. Riguarda la mia famiglia, i Luthor. Forse non sono esattamente ciò che pensi che siano».
Lei aveva sollevato le labbra fini, sorridendo. «Oh, Lionel, mi sottovaluti. So benissimo chi sono i Luthor».
«Lo sai?».
La giovane Lillian aveva annuito, fermando il proprio sguardo sui suoi occhi. «L'ho sempre saputo».
Due ragazzi che lavoravano per i Luthor erano entrati in quella stanza.
Avevano guardato la ragazza a terra e il viso e il vestito bianco macchiato di rosso di Lillian.
«Qui ci pensiamo noi», le aveva assicurato uno dei due.
«Lei si vada a sistemare, può stare tranquilla», aveva preso parola anche l'altro.
«La portiamo noi all'ospedale».
Lillian l'aveva guardata a stento, passandosi una mano sporca di sangue per togliersi un ciuffo di capelli dal viso, sfuggito all'acconciatura nel movimento. «Parlerà?».
Loro avevano scrollato le spalle, guardando la ragazza esanime con sufficienza.
«Ci assicureremo che non lo faccia».
Allora Lionel aveva sorriso, come sollevato. «Ma chi sei, tu?», aveva scrollato le spalle, «Mi sorprendi sempre».
Sangue. Si era guardata le mani ricoperte di sangue.
Lillian aveva sorriso di nuovo, fiera. «Sono una Luthor».

Eliza la guardò negli occhi, faticando a mantenere la concentrazione. «Non ho fatto altro che pensare a questo momento e… adesso che è arrivato, non ho più», rise con un accenno di singhiozzo, facendo sorridere i presenti, «parole. E voce, come sembra». Anche il parroco rise. Così, la donna cercò di trovare di nuovo una certa serietà, abbassando solo un attimo gli occhi. «Sai, non è stato per niente facile aprirmi a te, agli inizi. Ammettere di provare qualcosa e poi è stato tutto così bello che temevo perfino a condividerlo con le mie figlie, perché l'incantesimo non si spezzasse, e… ammetto di aver cercato di sabotare i nostri incontri con loro».
Mente i parenti ridevano, Kara aggrottò lo sguardo e Alex roteò gli occhi.
«La verità, però, è che quell'incantesimo andava spezzato. Una relazione vera non è fatta di incantesimi, ma di pazienza, complicità, di forza e… Perché è tutto bello quando si comincia a stare insieme, siamo al settimo cielo, ma è momentaneo, la vera relazione inizia dopo, dopo, quando ci accorgiamo dei difetti e impariamo ad amare anche quelli. O a provarci».
Kara deglutì. Improvvisamente si sentì di nuovo calda, troppo vicina a Lena; sentiva un braccio strofinare sul suo. Cercò di vederla con la coda dell'occhio, accorgendosi che lei faceva lo stesso.
«Perché tu non sei perfetta, Lillian». Quella frase la colpì, lo vide attraverso i suoi occhi che si muovevano incerti. «Ti chiudi in te stessa e sei un muro impenetrabile. A volte temo di non riuscire a raggiungerti, ma sei tu che mi cerchi, che mi trovi, e posso tirare un sospiro di sollievo. Sei una persona difficile, testarda», le sorrise, «scostante. Spesso arrabbiata nemmeno tu sai di cosa e ami guardare per ore le televendite alla tv quando vuoi rilassarti. E quando sei soprappensiero, oh beh, allora ti chiudi in biblioteca e cammini, cammini avanti e indietro cercando di sciogliere un nodo invisibile, arrovellandoti il cervello. E non parli di cosa pensi, no, questo mai, cascasse il mondo sei chiusa come un forziere. Sei una sfida continua», aveva detto a voce un poco bassa. «Lo so chi sei, Lillian».
Sangue. Aveva avuto le mani bagnate di sangue.
«E ti amo. Ti amo davvero».
Lillian spalancò gli occhi lucidi, sentendo il suo cuore perdere un battito. In un attimo, erano di nuovo solo loro. C'era Eliza all'interno di un laboratorio alla Luthor Corp e lei che, dietro la porta, cercava di spiarla. C'erano i suoi sorrisi e le sue gaffe. C'era il modo in cui la guardava. C'era il modo in cui stringeva le sue figlie e si rivolgeva a loro; l'aveva sempre osservata bene, lo faceva anche con Lena, accogliendola come un cucciolo bisognoso di cure. Amava come si prendeva cura degli altri; era una cosa che lei non sarebbe mai riuscita a fare. E anche se, aprendo bocca per dire le sue promesse, cercò di dirle a parole come la faceva sentire a starle vicino, amarla anche lei, sapeva che non sarebbe mai riuscita a fare abbastanza. Eliza lo sapeva fare meglio. Qualsiasi cosa, tutto. Lillian era una persona rotta ed Eliza stava ricomponendo i pezzi.
«La sposa può baciare la sposa».




































***

E la prima parte è andata!
Allora, come vi sembra questo matrimonio? :D Essendo una prima parte, continueremo a imboccare tutte le strade intraprese in questo capitolo (che non sono solo Eliza e Lillian, o Lena e Kara, ma anche un pochetto di Alex e Maggie, Maxwell Lord e Roulette, Rhea e Lar e Mike) nel prossimo ;)
Allora. Abbiamo esplorato un po' del passato di Eliza e Lillian e le loro differenze: al matrimonio della prima c'era sicuramente più armonia, mentre in quello della seconda una “guerra” aperta. Entrambe erano incinta! Eliza però si era sposata a un'età più “matura” rispetto a Lillian, solo diciottenne. Il suo matrimonio è quindi avvenuto anni prima di quello di Eliza e Jeremiah, occhio.
E poi c'è la questione “Bernadette”: beh, Lillian si era sicuramente presa un certo riscatto nei suoi confronti e l'aveva fatta smettere di ghignare, ma… Insomma, pare si fosse comportata da Luthor, dopotutto. Pare avesse ragione il padre di Lionel.
Cosa ne pensate delle famiglie delle due? Spero vi abbiano convinto questi personaggi inventati di sana pianta :)
Aggiungo che la scena dove Lillian prende a colpi di targa la cugina, essendo avvenuta sempre nel suo passato, ma dopo la cerimonia in chiesa tra Lillian e Lionel, ho dovuto cambiare “stile” e presentarla a destra del testo per separarle adeguatamente. Spero non sia stata in un qualche modo confusionaria, mi sono un po' arrangiata XD Ho scritto che “sarebbe avvenuta di lì a un'ora”, più o meno, ma comunque…
E le promesse! Ho lasciato immaginare al lettore le promesse di Lillian, mentre per quelle di Eliza mi sono un po' lasciata andare.
A parte le due spose, abbiamo Lena e Kara che erano a un tanto così da un riavvicinamento vero. Dopo aver passato una giornata particolare, Kara era pronta a riappacificarsi con lei, ma non ha voluto. Pensate che Lena abbia fatto bene?
Poi Alex è andata a parlare con Maxwell, non ha perso tempo, e lui pare aver invitato Roulette a raggiungerlo. Mentre Rhea… eh, lei ormai è certa che sia Kara a spiarli, Mike ha alimentato le sue paranoie. Cosa accadrà adesso?

Ora. Abbiamo una notizia buona e una notizia cattiva.
Iniziamo con quella buona: presto sarà Natale! (O almeno è una notizia buona per la maggior parte delle persone)
La cattiva è che mi era completamente passato di mente che presto sarà Natale! Quindi le mie giornate saranno diverse da ora e avrò molto meno tempo per scrivere D: Sapete cosa significa? Già: pausa. Devo per forza mettere in pausa la pubblicazione della fan fiction, perché se continuo a pubblicare ma non ho tempo per scrivere, non avrò più nulla da pubblicare entro due settimane. Senza contare che volevo dedicarmi anche ad altre cosettine da scrivere e non so se farò in tempo :/
E sì, ve lo dico, sarà una pausa piuttosto lunghetta. Mi dispiace, ma non ho scelta. Spero di ritrovarvi tutti qui al mio ritorno :)
I dettagli alle note sul prossimo capitolo!

Bene, dunque ci rileggiamo sabato 15 con il prossimo capitolo, l'ultimo prima della pausa, per concludere il matrimonio: La sposa - Seconda parte. Cosa vi aspettate? Fatemi sapere :)


   
 
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