Film > Animali fantastici e dove trovarli
Ricorda la storia  |      
Autore: padme83    18/12/2018    22 recensioni
{Young!AlbusxGellert}
24 dicembre 1904, da qualche parte sulle coste della Cornovaglia
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'We were closer than brothers'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
(… È il ricordo di sempre.
Tu con me, amor mio …)

~ Quando viene dicembre ~
 
 
 
 
 
Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.

(Dylan Thomas - Do not go gentle into that good night)
 
 

 

 
“A moth into a butterfly and a lie into 
the sweetest truth, I'm so afraid of life. 
I try to call your name but I'm
silenced by the fear of dying 

in your heart once again.”
 
 




 
24 dicembre 1904, da qualche parte sulle coste della Cornovaglia
 
La linea morbida del suo profilo è illuminata appena dal bagliore tremulo delle candele. Giace rannicchiato fra i cuscini del tuo piccolo letto, avvolto dai tentacoli di un sonno irrequieto, i capelli incollati alla fronte e una smorfia distorta a increspare i raffinati tratti del viso.
Non è cambiato molto, in questi cinque anni.
I lineamenti si sono induriti, il corpo irrobustito, la mascella definisce in modo decisamente più marcato la curva del mento, ma davanti a te c’è ancora – e il tuo cuore lo sa – il ragazzo al quale hai consegnato, in un passato che mai come ora t’è parso lontano, il frammento più oscuro e autentico di te stesso.
Non avresti mai creduto di rivederlo tanto presto; eppure, eppure, sei abbastanza sincero da riconoscere come, nei meandri più intimi e tenebrosi del tuo animo, abbia sempre albergato la segreta certezza – o la speranza? – che un giorno le vostre strade si sarebbero incontrate di nuovo. Se per il bene e o per il male – di uno solo fra voi due, oppure di entrambi – non sei onestamente in grado di dirlo.
Tuttavia, rifletti, a volte basta un singolo punto sfuggito all’ordito per sfilacciare e ricomporre da capo la trama labile del destino.
Fino a qualche ora fa te ne stavi seduto nella Sala Grande di Hogwarts, intento a goderti, unito al resto degli insegnanti e agli studenti rimasti a scuola per le vacanze, il sontuoso banchetto organizzato dal Preside per festeggiare tutti insieme la Vigilia di Natale. L’intero ambiente era sommerso da un caleidoscopio vivace di colori vividi e sgargianti, un tripudio di abeti addobbati per l’occasione e di ghirlande d’agrifoglio appese a ogni supporto utile allo scopo; sopra di voi, il soffitto incantato rallegrava l’atmosfera spandendo sugli astanti un turbinio incessante di gemme nivee, perfette ma assai meno pungenti rispetto alle sorelle che volteggiavano leggiadre oltre i vetri istoriati delle finestre.
All’improvviso la vista ti si è offuscata, e un dolore lancinante ti ha trapassato il corpo da parte a parte. Ti sei ritrovato a boccheggiare, appoggiato al tavolo, lo stomaco in subbuglio e la mano sinistra – la sinistra, Dio, la sinistra! – che bruciava quasi fosse stata appena immersa in un cumulo di braci arroventate. Hai avuto l’accortezza di lasciare in fretta il Salone, schivando le domande e le occhiate perplesse dei tuoi colleghi, e di rifugiarti in un corridoio buio, provvidenzialmente vuoto, prima di accasciarti sconvolto sul pavimento, la gola e le meningi serrate in un’implacabile morsa d’acciaio.
E poi lo hai visto, ti è comparso nella mente con la chiarezza violenta di un faro nella notte, un ammasso di stracci mezzo sepolto dalla neve, coperto di sangue, indifeso e tremante nel vento gelido di dicembre. Fra le dita, strette contro il petto ansimante, brillava una reliquia di rara e squisita fattura: un medaglione – il vostro medaglione.
“Albus Albus Albus”
Un’invocazione, una preghiera, una supplica angosciata. Un richiamo impossibile da ignorare. Un imperativo ineludibile, una promessa da mantenere, un patto arcano cui tener fede.
Hai raggiunto i confini del castello correndo a perdifiato, a malapena consapevole degli affilati stiletti di ghiaccio che ti sferzavano il volto lacerandone l’epidermide con una protervia quasi crudele, e non ti sei fermato fino a quando non hai intravisto Fanny a pochi passi da te, un baluardo fulgido e vermiglio nel biancore informe della tormenta.
«Portami da lui» hai esalato in un soffio, permettendo all’animale di poggiarsi saldamente sopra l’ampio arco delle tue spalle. La Fenice ha dispiegato le ali maestose, fendendo l’indaco della volta celeste con un movimento regale e pieno di grazia. Lesta si è sollevata da terra, librandosi in volo, mentre l’aria attorno a voi crepitava, accartocciandosi, e il mondo si dissolveva in un vortice di luce azzurrina.
 

 

 
“I see the seasons changing
and in the heart of this autumn I fall
with the leaves from the trees.

I play dead to hide my heart
until the world gone dark fades away.”

 
 



 
Lo hai rintracciato subito, ferito e raggomitolato su se stesso, semi paralizzato da un principio di ipotermia, ma ancora cosciente. Nel vederti, le sue labbra livide si sono arricciate in un sorriso tirato. Lo sapevo, sembrava dire quel ghigno beffardo, sapevo che saresti arrivato. Gli hai afferrato i gomiti con un gesto ruvido, e in un battito di ciglia eravate già altrove, circondati dalle spesse pareti dell’unico luogo in tutta l’Inghilterra che avrebbe potuto offrirvi un riparo sicuro: casa tua.
Dopo esserti assicurato che il camino funzionasse a dovere, lo hai immediatamente spogliato degli abiti fradici – cercando (invano) di non pensare con quanta naturalezza le tue mani si muovessero sopra la stoffa lacera –, per poi adagiarlo piano fra le coperte del letto, che hai provveduto a rendere ancora più calde grazie ad un semplice incantesimo. Sul suo corpo, esanime e pallidissimo, spiccavano inequivocabili i segni della lotta con una creatura – e forse più d’una – la cui inaudita ferocia è pari soltanto alla penosa tragicità della sua condizione.
«Lupi mannari? Ti hanno morso? Per l’amor di Dio, Gellert, parlami, ti hanno morso?» lo hai scosso più volte, quasi con furia, nell’estremo tentativo di destarlo dal torpore mortale nel quale pareva essere precipitato. «Gellert rispondimi! Ti hanno morso? Ti hanno morso?»
«Non c’è bisogno di urlare in questo modo, ti sento benissimo. No, non mi hanno morso, puoi stare tranquillo.» La sua voce era poco meno di un pigolio spezzato, eppure in essa hai potuto scorgere ugualmente le tracce di quel piglio sanguigno, orgoglioso, altero e spregiudicato che, fin dal vostro primo incontro, aveva pizzicato in te corde profonde, nascoste, che pensavi intoccabili – e che intoccate, dopo di lui, sono rimaste. «Non gli ho permesso di arrivare a tanto.»
«Tu sei pazzo. Pazzo pazzo pazzo pazzo pazzo – » hai imprecato fra i denti, rabbioso, ma al solo fine di ricacciare in fondo all’esofago il sollievo cocente che hai provato nell’ascoltarlo pronunciare quelle poche parole. «Adesso vedi di startene fermo, che tento di rimettere a posto questo cazzo di macello.»
«Agli ordini, professore.»
Tornava a farsi sentire la sua linguaccia sciolta, prova eloquente di un danno assai meno grave di quanto ti era parso all’inizio. Hai prelevato l’Essenza di Dittamo dalle tasche del tuo mantello e ne hai stillata qualche goccia sulle ferite ancora fresche; poi, mentre un leggero sentore dolciastro si diffondeva con rapidità all’interno della stanza, hai aspettato che il medicamento sortisse il suo effetto, osservando Gellert abbandonarsi fatalmente alla quiete ovattata e artificiosa di un sonno indotto. Infine, stremato, ti sei afflosciato sulla sedia posta accanto al focolare, le mani annodate al busto, le gambe incrociate, gli occhi fissi sul vecchio giaciglio che, come un antico scrigno incantato – o maledetto – , custodiva dentro sé il più magnifico e terribile fra i tesori.
 
 


 
“I cry like God cries the rain
and I'm just one step away 

from the end of today.
I see the reasons changing
and in the warmth of the past 

I crawl scorched by the shame.”
 
 
 
 
 
«Dove siamo?»
È sveglio, adesso, e sta chiaramente meglio; lo capisci dal tono limpido della sua voce, dall’espressione rilassata che ne leviga l’elegante fisionomia, dalla luce vibrante che anima e riscalda la trasparenza liquida del suo sguardo.
«In Cornovaglia, vicino a Tintagel.» Soddisfi la sua curiosità, senza nessuna esitazione, perché poter parlare nuovamente con lui è un piacere al quale non sei ancora disposto a rinunciare. «È un cottage che uso d’estate, prevalentemente, quando non insegno e non sono in viaggio. Il mare è qui a due passi. C’è una bella vista, ed è abbastanza isolato da concedermi di ignorare per un po’ il resto dell’umanità.»
«Immagino di dover considerare un privilegio il fatto di trovarmi qui.»
«In effetti, sì.»
Sogghigna, ma non c’è malizia nella piega ironica della sua bocca. Volta il capo verso la finestra chiusa a battente, inseguendo il filo di chissà quale pensiero contorto. Nella lieve penombra che lo protegge, le sue iridi, sfolgoranti d’ambra e acquamarina, ardono simili a stelle di fuoco.
«Posso sapere …»
«No, Albus, ti prego. Non farmi domande e io non sarò costretto a inventarmi scuse per risponderti.»
«Dimentichi che non puoi mentirmi.»
«A maggior ragione allora, non chiedermi di farlo.»
Sospiri. È un sospiro stanco, rassegnato quasi, te lo lasci scappare e lui se ne accorge. D’un tratto, qualcosa nella sua calma imperturbabile comincia a vacillare e, gradualmente, la maschera che sfoggia con tanta superbia si incrina, si crepa, si sfalda come un foglio di pergamena esposto alla pioggia.
«Come hai fatto a …»
«Trovarti? Lo sai come ho fatto. Abbiamo un accordo, ricordi? Ho ottemperato ai miei obblighi, tutto qui.»
«È così, dunque» ribatte, contratto. «Mi odi ancora.»
La sua non è una domanda. Non è nemmeno una constatazione.
È una sentenza. Una scheggia di vetro conficcata nella carotide.
Merlino, quanto è melodrammatico!
«Non è così semplice, Gellert. Magari lo fosse.»
Lo raggiungi a passi lenti, e ti siedi con cautela al suo fianco. Allacci i suoi occhi ai tuoi, e, questa volta, sei fermamente intenzionato a non permetter loro di sfuggirti.
«Odiarti? No, io non ti odio» sussurri, e la tua risposta è chiara come una fiaccola nel buio di una cripta: diretta e sommessa. «Non più di quanto odi me stesso, in qualsiasi caso.»
Nelle sue pupille scure, un muro di mattoni piano piano si sgretola e cade a pezzi.
È rimorso, forse, quello che adesso lo costringe ad abbassare le palpebre?
È rimpianto, senso di colpa, follia, disprezzo, sofferenza, vergogna? Cos’è?
Cos’è, cos’è questo languore acuto che monta nel petto? Questo sfinimento feroce che intorpidisce i sensi? Questo struggimento dolcissimo che accarezza la pelle, riverbera nelle ossa, pungola il cuore?
È rugiada che si posa impalpabile tra i petali di un bocciolo di rosa, è il frastuono di una lacrima effimera che si infrange contro le ciglia, è il canto di un usignolo che s’invola soave nelle sere d’estate.
È una mano che si tende, un palmo che si apre, una bocca che si schiude in una muta richiesta, non mi lasciare, resta con me, non mi lasciareNon mi lasciare.
Non ti lascio, resto con te. Non ti lascio. Non ti lascio.
Non provi neppure a resistere. Intrecci le dita alle sue e, come allora – come sempre –, sono i vostri corpi a parlare per voi, a confessare che avete contato i giorni – e le ore, e i minuti, e i secondi – che hanno scandito gli anni della vostra lontananza, che avete morso i cuscini con baci umidi e cercato tracce di voi tra i lembi immobili di lenzuola troppo fredde, troppo vuote, troppo morte per poter conservare un residuo di ciò che è stato e non potrà più essere – ma non qui, non adesso, non stanotte. Questa notte non esiste, non è mai esistita, né mai esisterà. Questa notte è un sogno esiliato al di là dei confini del tempo. Questa notte è un dono per voi, soltanto per voi.
Ma chi siete, voi? Chi sei tu? Chi è lui?
 
Tu sei il sangue che nelle sue vene si fa ghiaccio bruciante.
Lui è l’ombra fitta che ti segue strisciando attraverso le strade del mondo.
Tu sei il nero impenetrabile dei suoi incubi senza fine.
Lui è il dolore che non puoi – e non vuoi – dimenticare.
Tu sei il pensiero fisso nella sua testa.
Lui è la tempesta nei tuoi sogni agitati.
Voi siete il martellare armonico, pulsante e ossessivo dei vostri cuori gemelli.
 
«Credevo che fossi un sogno» singhiozza, attirandoti a sé. «Credevo che fossi un sogno ...»
Piange. Perle di sale gli bagnano le guance.
Lo baci tra i capelli.
«Ti sembra un sogno, questo?»
Lo baci sulla fronte, sulle tempie, sugli zigomi.
«E questo?»
Lo baci sul mento, sul collo, sulle clavicole sporgenti.
«E questo?»
Lo baci sulla bocca.
«No. Oh no no no no no – »
Ti passa le mani dietro la nuca, aggrappandosi alla tua schiena come se da questo dipendesse la sua stessa salvezza – ci credi, quasi, e, nella tua sciocca illusione, ti perdi. Sprofonda fra i guanciali e si distende completamente sotto di te, arreso, accogliente, vulnerabile. Tuo.
«Toglitela» implora, tormentando le asole della camicia che ancora hai indosso. «Toglitela toglitela toglitela – »
«Toglimela» replichi, succhiando avido il suo labbro inferiore. «Toglimela, che aspetti, toglimela.»
Obbedisce, affannato, e in un attimo più nulla rimane a dividervi.
Resta la pelle, solo la pelle, e il desiderio furibondo, incontenibile, rapace, di svanire l’uno dentro i respiri dell’altro. Ancora una volta. L’ultima?
Dillo, avanti, dillo, e se non vuoi dirlo allora pensalo. Farà più male, ma sarà vero, sarà reale, sarà eterno.
Ti amo. Ti amo ti amo ti amo ti amo ti amo ti amo – 
Lo stringi fra le braccia e affondi in lui, dilaniato, poi lo baci, lo baci, lo baci, lo baci e lo baci fino a quando tutto intorno a voi non scompare.
 

 
 
“I play dead to hide my heart
until the world gone dark fades away.

I stay dead until you veil my scars 
and say goodbye to fate.
Before it's too late.”

 

 

 
La Torre di Astronomia svetta austera fra le guglie di Hogwarts, una ferita color ardesia che si staglia impavida contro un cielo minaccioso, ferrigno, traboccante di nuvole plumbee e gravide di neve.
Cammini stancamente, un piede avanti all’altro, la mente protesa oltre la bordura perlacea delle montagne, il cuore smarrito nel ricordo di un addio silenzioso, ignaro, al quale hai negato persino la consolante tenerezza di un ultimo abbraccio. Alla fine, ti è mancato il coraggio di svegliarlo e guardarlo negli occhi.
«Resta con lui» hai detto a Fanny, carezzandole le piume scarlatte con il dorso delle dita. «Ha bisogno di te.» Ti sei riempito i polmoni vuoti con l’aria salmastra del mare, e hai rivolto lo sguardo indietro, verso la graziosa casupola – bianca e lucida come la valva di una conchiglia – alla quale sai già che non farai più ritorno.
Quante volte si può spezzare un cuore, prima che il suo battito si fermi per sempre?
Come si respira separati da se stessi? Come si sopravvive quando una parte di te è legata al corpo di un altro essere umano?
Oh Dio, è impossibile! Non posso vivere senza la mia vita, non posso vivere senza la mia anima![1]
Sollevi la testa verso le mura del castello, e, all’improvviso, li vedi: tanti visetti eccitati che ti corrono incontro attraverso il parco, felici, impazienti di salutare il loro professore preferito e di coinvolgerlo in una partita di Quidditch o in un’epica battaglia a palle di neve.
«Buon Natale, professor Silente! Buon Natale!» lo gridano in coro e tu per poco non scoppi a piangere lì, davanti a quegli occhi lucenti e puri e ricolmi di tutte le cose belle e preziose che esistono sulla Terra.
Inghiotti le lacrime e sorridi, mentre un timido raggio di sole tinge d’oro l’intero bassopiano e le risa dei bambini echeggiano nella brezza simili al trillo gioioso di mille campanelle di cristallo.
«Buon Natale, buon Natale a voi, ragazzi!» E mai augurio è stato più sentito. «Trevor, come stai? Ti è passato il raffreddore? Joy, sei poi riuscita a ritrovare il tuo rospo? Oliver, lascia in pace Theo e ritira immediatamente quella bacchetta!»
Prendi per mano il piccolo Billy e ti avvii svelto verso l’ingresso della Scuola. Non ti volti. Scegli di non voltarti[2].
Perché loro sono la parte migliore di te. Loro sono qui, adesso, e meritano la tua attenzione e tutto il tuo impegno.
Una melodia sublime si ode in lontananza: sembra il richiamo struggente e malinconico di una Fenice.
Buon Natale anche a te.
Ovunque tu sia. 
 
 
 
“Ed un canto vola via …
Quando viene dicembre.”
 
 
 
 
 



{Words Count: 2480}
 
 


 
[1] sono così brontëani, santo cielo. Emily e Charlotte li avrebbero adorati.
[2] a Shilyss, che capirà.
 
 
 
 

 
Nota:
 
Ci sono storie che non chiedono, ma impongono di essere scritte: “Quando viene Dicembre” è una di queste. Praticamente ha fatto tutto da sola, relegando la sottoscritta al marginale ruolo di dattilografa.

Tendo ad essere una persona di parola: vi avevo promesso l’angst, e l’angst è arrivato – e con gli interessi, per giunta. Confesso che, alla fine, pure a me è scesa una lacrimuccia.

Due righe su ciò che avete letto.

Sono passati cinque anni dai fattaci del 1899, Albus ha già cominciato ad insegnare ad Hogwarts e Gellert gira per l’Europa in cerca dei Doni della Morte. Non so quanto tempo ci abbia effettivamente impiegato a trovare la Bacchetta di Sambuco, ma si può ragionevolmente presumere che non sia stata un’impresa semplice, per cui ho pensato che in questo particolare momento (Natale 1904) lui ancora non l’avesse trovata. Anche perché un Gellert Grindelwald – pur giovane – con la Bacchetta di Sambuco non si sarebbe fatto mettere sotto così facilmente da un branco di lupi mannari. E a proposito di questi ultimi, ho semplicemente immaginato che Gellert volesse studiarli più da vicino, al solo scopo di capire in che modo eventualmente avrebbero potuto tornargli utili in futuro; ovviamente, la cosa si mette male e Gellert si prende la sua buona dose di mazzate, anche se è comunque abbastanza abile da non farsi mordere e scappare. Dopodiché, in sostanza, non riuscendo a mettersi in salvo da solo, chiama il suo Pronto Soccorso personale. I contatti mentali non mancano nel mondo della Rowling, e io, che in queste cose ci sguazzo, ho tirato fuori una sorta di Force-Bond come diretta conseguenza del Patto di Sangue. Potente la Forza in questi due ragazzi è. Daje.

Fin dal momento in cui ho cominciato a raccontare le loro storie, Albus e Gellert mi hanno sempre parlato in prima persona (cosa abbastanza comprensibile, considerato l’ego smisurato che si ritrovano entrambi); tuttavia, questa volta ho preteso di fare le cose a modo mio, tornando alla seconda persona singolare (mio vecchio cavallo di battaglia), che garantisce una maggiore veridicità riguardo a quanto narrato – perché, si sa, la prima persona tende a mentire. Poi, visto che comunque la serietà non è di casa da queste parti, ci ho infilato dentro anche un paio di supercazzole (con scappellamento a destra come se fosse Antani). Siccome, però, è Natale e siamo tutti più buoni, facciamo che me le perdonate e non ne parliamo più.

Naturalmente, dove poteva trovarsi il “buon ritiro” del nostro caro Albus se non vicino a Tintagel, luogo di nascita di Re Artù? (Autocitazioni fantastiche e dove trovarle)

Grazie a chi mi scriverà cosa pensa di questo racconto, a chi lo aggiungerà in una delle liste messe a disposizione da EFP, e a chi invece preferirà non fare niente e rimanere in silenzio.

SoundtrackQuando viene dicembre, dal film “Anastasia” (non credo comunque ci fosse bisogno di specificarlo); Play Dead, HIM (tutta colpa di Nemesis01, mannaggia a lei).

Vi aspetto su Lost Fantasy! (link nella bio, cliccate sul pulsante con i due gioppini) ;)

Alla prossima (avviso che mi prendo una pausa, sinceramente scrivere questa storia mi ha sfinita e ho bisogno di ripigliarmi un attimo e di riordinare le idee) e …

BUON NATALE, BUON NATALE, BUON NATALE e se non ci si legge per tempo FELICE ANNO NUOVO!

Vischiosamente vostra,
 

padme
 
 


P.S: domanda da un milione di dollari: Gellert al mattino dorme davvero o finge spudoratamente, anche lui per evitare un ultimo addio? Io propendo per la seconda ipotesi. D’altra parte, sono entrambi uomini.
 
P.P.S: i riferimenti in carne e ossa per Albus e Gellert sono sempre Toby Regbo e Jamie Campbell Bower, in particolare come appaiono in questo video. Ci tengo a sottolinearlo perché è così che ce li ho avuti davanti per tutto il tempo mentre scrivevo.
https://www.youtube.com/watch?v=i6G6xq8xPBc
   
 
Leggi le 22 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Animali fantastici e dove trovarli / Vai alla pagina dell'autore: padme83