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Autore: Happy_Pumpkin    23/12/2018    4 recensioni
Woodstock, estate del 1969. Naruto e Sasuke incontrano Sakura al festival che presto sarebbe entrato nella storia.
Questo è il racconto di tre ragazzi che si sono amati nei turbolenti anni '70 e di come riuscirono, dal nulla, a creare una band destinata a raggiungere il successo e loro a essere rockstar venerate dalla folla.
Non poteva baciare Sasuke, non in quel momento. Ma avrebbe voluto. E si disse che forse il basso era lì per un motivo, come il palco e le luci e l’istante meraviglioso in cui erano davvero unici e assieme.
“Sì.” Mormorò.
Sorrise, ma gli occhi erano fuoco, passione, calore, quel calore che faceva sudare e non consumava, non era l’incendio divampante, era energia. E con quell’energia si piegò sulle ginocchia, le fece strisciare a terra, sul palco calpestato e si chinò di fronte a Sasuke

[SasuNaru | SasuSakuNaru | MadaSaku | Accenni ShiIta]
Genere: Angst, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Madara Uchiha, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Threesome | Contesto: Nessun contesto
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interstellar
Cara  Eleonora, questa storia è per te. Purtroppo non abbiamo mai avuto modo di dialogare granché, ma da quello che ho potuto vedere tramite le tue foto e il tuo modo di interagire, ti reputo una persona sensibile e artistica. Destino ha voluto che fossimo l'una il Secret Santa dell'altra e spero di riuscire a darti almeno in parte le stesse emozioni che ho provato io vedendo i tuoi bellissimi disegni che conserverò con amore.
Auguri di uno splendido Natale!

A tutti coloro che si avventurano per questi lidi, Buone Feste, che possano essere serene, passate con chi si ama e un'occasione per assaporare tanta felicità.

N.b: Questa è una storia particolare. Ci saranno numerosi riferimenti a canzoni e artisti degli anni '70 ma, oltre a essere tutto spiegato al fondo, sarà comunque godibile da chiunque non bazzichi granché di musica, specie della corrente rock/hard rock/acid rock etc. Soprattutto, ogni riferimento a una canzone specifica avrà un link inserito su cui cliccare per aprire una finestra su youtube con la canzone stessa. Alla fine, ci sarà una sorta di playlist della storia: magari può essere un'occasione per scoprire qualcosa di nuovo da ascoltare.
Grazie e buona lettura!




Playing kozmic blues may cause an interstellar overdrive





Martedì, 20 dicembre 1994

“Sasuke, ho la sabbia in gola, ce la facciamo una birra?”

“Madara, quanta pazienza devi avere con uno come me?”


Le cassette nel mangianastri giravano gracchiando appena, come la puntina metallica del giradischi sul vinile. Riproducevano registrazioni degli anni ’70 fatte tra i vari studi come il Record Plant o gli Electric Lady Studios1, a New York, prima che le cose cominciassero a cambiare e, in seguito, a degenerare.

In quei vecchi nastri c’era musica, in ogni sua forma: canzoni, estratti di brani, assoli di chitarra, tutti appartenenti alle stesse persone; Sakura, fino a che aveva potuto, Sasuke e Naruto, anche quest’ultimo finché aveva potuto – sembrava che quegli anni fossero stati una faticosa maratona di possibilità.
Sakura, Sasuke e Naruto. Ovviamente, quelli non erano i veri nomi ma ormai, dopo tutti quegli anni, il loro manager e tecnico del suono si era abituato a chiamarli come la folla voleva e loro, all’inizio di quella sfolgorante carriera fatta di luci, droghe e suoni selvaggi, avevano deciso.
“Madara.”
Si riscosse, abbassando le cuffie per poi mettere in pausa la registrazione. Segnò su un blocco per gli appunti l’ultima canzone sentita e mai pubblicata ufficialmente in alcun album: dal 1971 al 1978 ne aveva già trovate una trentina, avevano materiale a sufficienza per almeno tre album di inediti.
Sollevò lo sguardo verso la donna che lo aveva chiamato; sua moglie, contro tutte le aspettative di quegli anni folli:
“Sakura.”
Le fece un mezzo sorriso e lei colse ogni sfumatura un po’ folle e provocatoria che, tempo fa, in un certo senso l’avevano salvata.
“Stavi ancora ascoltando le vecchie registrazioni? Sembra che tu ne sia ossessionato, per quanto mi riguarda... le brucerei.”
Ammise, appoggiando sul tavolo una bottiglia di vino e due bicchieri, per poi sedersi accanto a lui con un piede scalzo sotto la coscia e l’altro ciondolante. Osservata dallo sguardo penetrante di Madara, la donna versò a entrambi da bere, sistemò una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio e bevve un sorso dal proprio calice senza attendere l’altro o fare un brindisi.
“Sono ricordi. Tutto sommato nemmeno infelici – appoggiò un gomito sul proprio schienale, allungando una gamba fino a poggiare il piede sulla sedia di Sakura – e poi sono io quello stronzo e insensibile, vero?”
A dire il vero, sapeva quanto in realtà la moglie fosse persino troppo sensibile e, in fondo, innamorata di tutti quei ricordi trascritti su nastro. Ma, a volte, proprio per quell’amore era difficile rivivere ciò che non poteva più tornare. Se ne rendeva conto. Per quello Sasuke aveva incaricato lui e non Sakura di custodire, infine catalogare, registrazioni che altrimenti forse sarebbero sparite per sempre.
La donna bevve un altro sorso, infine posò il bicchiere e domandò, all’improvviso:
“Credi che questo Natale sarà diverso? Magari…”
Lasciò la frase in sospeso. Tempo fa, ormai nel 1978, dopo quasi sette anni di musica assieme Sakura aveva deciso di allontanarsi dal gruppo e proseguire con una brillante carriera solista; all’epoca era convinta di salvarli, perché pur con ostinata determinazione Naruto non stava più riuscendo a contenere in un unico progetto i gusti e le necessità di tutti i componenti del gruppo. A distanza di anni, invece, più volte ci ripensava e riteneva di essere stata semplicemente codarda. Il fatto che con il tempo Naruto avesse trascurato le sue corde vocali, con tanto di emorragia e recente operazione, non la faceva decisamente propendere verso un giudizio positivo nei riguardi delle proprie scelte.
“La riabilitazione sta procedendo, l’ho visto piuttosto bene. È sempre una testa di cazzo, ma...”
“Madara!” gli lanciò un’occhiataccia.
“Ma sembra più motivato.”
Fece tintinnare il proprio bicchiere contro quello di Sakura ed esclamò: “Alla salute! Al coraggio e alla capacità – guardò sua moglie – di non farsi schiacciare dai sensi di colpa. Altrimenti finiremo tutti sotto terra, a forza di farci spingere.”
Bevve. Sakura sospirò, guardò i nastri e gli domandò, sfiorandogli le cuffie sul collo dopo aver accarezzato le rughe attorno agli occhi:
“Posso?”
“Vuoi?” ribatté, fissandola attentamente.
Sakura ci pensò un istante, poi annuì: “Voglio.”
Allora Madara le sistemò dietro le orecchie un ciuffo di capelli nuovamente sfuggitole e si tolse le cuffie per sistemarle sulla testa della propria compagna, tenendone una sollevata in modo da avvicinarsi e bisbigliare:
“Sono arrivato al ’78. Pessimo anno. Che ne dici se li riavvolgiamo?”
“Ma perderesti il segno e...”
L’uomo nemmeno ascoltò la protesta e cambiò cassetta, riavvolgendo la nuova. Si sentì il caldo ronzio del mangianastri, anticipato dal clack pesante sul tasto del rewind che si abbassava; il camino scoppiettava, facendo sembrare quella casa elegante più amichevole.
Appesi ai muri c’erano dischi di platino, fotografie di Sakura bellissima e sfavillante, i capelli tinti di quel rosa dalle varie sfumature che l’avrebbe contraddistinta su ogni palcoscenico, accanto a critici, presentatori, altre rockstar come lei.
Madara alzò lo sguardo, prima che la cassetta fosse del tutto riavvolta e si fermasse, per scorgere una foto in un locale con Sakura e... loro. Sasuke e Naruto. Tutti e tre abbracciati, sorridenti, ebbri di vita, in cerca di successo e gloria, colti in un momento assieme quando ancora frequentavano posti come lo Studio 66
2, dove ogni notte era un ‘party da fine del mondo’ .
La cassetta si fermò.
“In che anno siamo?” domandò la moglie, portando la sua mano più minuta su quella di Madara.
“1969. Woodstock. Le mie registrazioni quando, nel mezzo di tutto quel caos, ancora non ci conoscevamo: fango, insieme ad altro fango.”
Lasciò andare la cuffia, appoggiandola sull’orecchio di Sakura che chiuse gli occhi. Lo scoppiettio del fuoco cessò, il respiro di Madara, lo scrosciare simile a onde placide della bobina: ogni cosa si zittì. Ci fu solo il proprio, di respiro, e all’improvviso... il suono di una chitarra, l’acclamare della folla, i passi di quello stesso uomo ora di fronte a lei all’epoca più giovane; ventisei anni e il mondo davanti: non forse proprio tutto il mondo, ma una folla intera sì e, oltre, un palco.
Era l’estate del ’69. Più precisamente il 15 agosto del 1969.
Il primo giorno del festival di Woodstock. E il primo giorno in cui Sakura aveva conosciuto Naruto e Sasuke: gli uomini della sua vita, oltre a Madara, e gli uomini che si erano amati più di ogni altra vita conosciuta.
All’epoca, ogni cosa sembrava destinata alla grandezza.



15 agosto 1969


Harry aveva ammirato il sole all’orizzonte e, poi, il palco di Woodstock, attorno al quale la gente si era alzata in piedi battendo le mani al tempo di una canzone che, anni dopo, l’allora ragazzino di diciassette anni avrebbe conosciuto come Freedom. Sfavillante di entusiasmo, con ancora le gambe che dolevano per il lungo viaggio in macchina seduto troppo stretto – compressato tra tende, casse di birra, qualche panino, strumenti musicali e amici – avanzò tra la gente con sulle spalle la vecchia chitarra acustica appartenente a suo padre, un pezzo della tenda e una delle famose casse di birra.

Si bloccò quando vide il musicista suonare in mezzo al palco, accompagnato dai tamburi e da un’altra chitarra, con un ritmo talmente trascinante da aver fatto alzare centinaia di persone. Richie Havens, il primo ad aprire il festival di Woodstock: Harry avrebbe ricordato per sempre il nome di quell’uomo dai bizzosi capelli afro, la maglia arancione impregnata di sudore e la pennata vigorosa sulle corde spesse.
“Oi, non stare lì impalato. Questi oggetti pesano, cerchiamo uno spazio per montare la tenda!”
Richiamato all’ordine, Harry si voltò verso chi aveva parlato: Sasuke Uchiha. Osservò un istante il volto asciutto dell’amico, gli occhi dal taglio orientale che rivelavano le sue origini per metà asiatiche, neri esattamente come i capelli lisci che andavano fin sotto le orecchie, in quella lunghezza indefinita di chi li stava facendo crescere:
“Siamo appena arrivati e già mi metti fretta. Senti che musica!”
“È un tizio che manco conosci e probabilmente sotto effetto di acidi: tra un paio di giorni manco ti ricorderai di lui.” Ribatté asciutto, per poi superarlo.
Harry si aggiustò la canotta slargata che stava scivolando assieme allo zaino e ribatté: “Oh, beh, scusa tanto se non sono i Pink Floyd.”
“Infatti i Pink Floyd non ci sono.”
“Chissà perch...” fece per prenderlo in giro, consapevole che era il suo gruppo preferito di sempre. Sasuke li aveva scoperti grazie al fratello Itachi; questi ormai era impegnato a studiare ad Harvard, ragion per cui la musica, la sua chitarra e i suoi album erano passati tutti al fratellino, il quale aveva imparato come farne buon uso, con grande preoccupazione dei suoi genitori. La fotografia era stata però l’unica passione irrinunciabile, così, quando rientrava a casa, Itachi nei ritagli di tempo passava intere ore nella camera oscura in soffitta a sviluppare le foto scattate.
La presa in giro di Harry venne bonariamente interrotta da Shisui, il quale gli dette una spintarella per  incoraggiarlo ad andare avanti; già, Shisui Uchiha: capelli scombinatissimi legati da un abbozzo di codino, barba non fatta, il naso tondeggiante che ormai aveva perso ogni vago riecheggio infantile, una cordicella usata stupidamente come cerchietto e grandi occhialoni neri da divo. Tale trasandato divo si abbassò solo per dire:
“Ignora mio cugino, non sa quando è tempo di divertirsi.”
“Fottiti.” Sbottò Sasuke continuando ad avanzare, mentre la folla applaudiva le ultime note di Freedom.
“Perché, Itachi sì?” domandò Henry, a metà tra il divertito, lo scettico e il curioso.
“Chissà... peccato sia già rientrato dalle vacanze estive, questi sarebbero stati dei bei momenti da condividere con lui. E qui avrebbe fatto un sacco di foto interessanti – puntò un dito – guardate, c’è già qualcuno che balla da solo e senza musica. Top!”
Iniziò a saltellare avanti, anche lui con lo zaino in spalla e altri beni di prima necessità in mano, infilandosi tra la gente per superare Sasuke. Questi incrociò lo sguardo con Harry, fissando un istante i suoi occhi azzurri, i capelli chiari e l’abbronzatura fastidiosamente californiana – anche se in realtà frutto di duro lavoro nei campi dei nonni – e si lamentò:
“È un idiota. Ricordami: perché ce lo siamo portati dietro?”
“Perché è l’unico che ha la patente. Meglio: tu ce l’hai, ma sei senza macchina. Ed è simpatico.” Aggiunse.
“Devi rivedere il tuo concetto di simpatia.”
“Sasuke, giro con te, sono tuo amico da una vita, direi che ho ben in mente cosa implichi frequentare una persona non esattamente simpatica.”
Scoppiò a ridere, per poi mettergli un braccio sulle spalle e annunciare:
“Ci divertiremo. Saranno tre giorni... wow!”
Sasuke sospirò, ma il broncio iniziale sparì: “Mia madre non dimenticherà che...”
Deviò lo sguardo. Un indiano dalla lunga barba salì sul palco, acclamato come se fosse stato David Gilmour
3.
Harry colse ogni sfumatura del suo disagio, appoggiò la testa contro la sua tempia e si affrettò a ribattere:
“Dai, andiamo, altrimenti perdiamo Shisui tra la folla e con lui anche le nostre cose.”
Sasuke finì per annuire e insieme si addentrarono nel fiume di persone, mentre un guru di nome Swami Satchidananda parlava alla folla declamando la pace. Pace ripeté Sasuke guardando l’amico camminare davanti a sé, con la schiena dritta nonostante il peso; si disse che la pace doveva essere anche interiore e non poteva trovarla in un perenne stato di conflitto.

Ormai era sera, Harry e Shisui avevano già conosciuto un sacco di persone, bevuto, fumato cannabis e sembravano aver vissuto da quelle parti da più o meno tutta la vita. Sasuke, per contro, non ricordava manco un quinto dei volti che gli altri gli avevano presentavano e aveva parlato ancora meno, cominciando a domandarsi se davvero la musica, per la quale avrebbe parlato con tutte le persone del mondo se meritevole, valeva tutti quegli sforzi mentali.
Sentì le chitarre e le note trillanti di Joan Baez, gli entrava nelle orecchie il ritornello I dream one dream at a time: yesterday's dead, and tomorrow is blind and I live one day at a time
“Assurdo: non posso fare un sogno alla volta, ne ho troppi e non voglio dimenticarli.” Sussurrò, per poi sentirsi chiamare da Harry: lo intravide appoggiato contro una staccionata in compagnia di una ragazza.
Perfetto.
Quel perfetto gli uscì così, d’istinto, ma rimase incastrato sotto la lingua. Fece un cenno di saluto alla giovane, forse anche più giovane di loro: nella penombra, rischiarata appena dalla sigaretta bruciante incastrata tra le labbra sottili, scorse un volto pieno e la fronte alta lasciata scoperta, perché i capelli di un rosa slavato erano stati portati indietro da una fascia.
La vide fumare e infine ricambiare il cenno. Indossava un poncho liso ma portava delle infradito sotto i jeans.
Harry aveva in mano una birra e non smetteva di guardarla, distolse gli occhi per offrirgli un sorso che Sasuke, dopo un istante, prese.
“Stavo parlando con Jane di Janis Joplin. E gli Who! Ancora non ci credo che sono venuti fino a qui.”
La ragazza tese la mano verso Sasuke che la guardò, come prima aveva guardato la birra, con quell’incertezza espansiva che lo allontanava dal mondo.
Finì per stringergliela e lei si presentò, schiacciando il mozzicone di sigaretta a terra:
“Jane.”
“Sasuke.”
“Ehi, pronto? Facevo un discorso qui.” Sbottò Harry, gonfiando le guance.
La ragazza rise: “Non ci eravamo ancora presentati. Spero comunque gli Who introducano l’album Tommy in grande stile. Magari senza spaccare un timpano a qualcuno
4.”
Scoppiarono a ridere, mentre Sasuke osservava entrambi. Scambiarono ancora qualche chiacchiera, poi Sakura domandò rivolta al ragazzo dai capelli scuri:
“Hai origini asiatiche?”
“Giapponesi. Per parte di padre, è tra i nisei
5 rimasti in America da prima di Pearl Harbor e sopravvissuti alle deportazioni.”
Non seppe perché avesse dovuto precisarlo, forse era una questione di orgoglio, forse era per spiegare che era americano da generazioni e non doveva esserci solo Star Trek a ricordare che gli orientali parlavano come tutti gli altri.
La ragazza fece un fischio: “Accidenti, mi ha sempre affascinato il Giappone – si toccò le ciocche colorate e gli domandò, curiosa – che soprannome mi daresti, per questi capelli? Ah, pazza non vale; almeno, non solo per i capelli.”
Sasuke la guardò un istante, cercando di capire se facesse sul serio o lo stesse prendendo per il culo. Ma Harry gli dette una leggera spintarella, incoraggiandolo in maniera fastidiosa, dunque rispose:
“Sakura. Sono i ciliegi. Ma... non conosco molte parole nella lingua, con la fine della guerra i giapponesi che vivevano in America non sono stati esattamente propensi a ricordarsela.”
“Wow! E Sundance Kid? – indicò Harry, che agitò la mano in segno di saluto – che soprannome gli daresti?”
“Sundance Kid?” domandò Sasuke, non senza nascondere un mezzo sorriso di presa in giro rivolto all’amico.
Questi allargò le braccia: “Perché sono un sole!”
“Harry, Sundance Kid era un bandito del farwest.” Replicò tagliente l’altro, ma con ovvio divertimento.
“Il mucchio selvaggio! Tu sei Butch Cassidy e io Etta Place – esclamò Sakura, sedendosi sulla staccionata, per poi prendere un sorso di birra da Harry e spiegare – adoro i soprannomi, la creazione di personaggi. È con quelli che ti ricorderà il grande pubblico; credetemi, farà così anche David Bowie
6.”
La ragazza restituì la bottiglia a Harry e si accese un’altra sigaretta, rimanendo con le gambe a ciondoloni. In lontananza, sul palco Joan Baetz stava finendo la sua esibizione, chiusura del primo giorno del festival.
“David Bowie? Avanti, abbiamo parlato fino a poco fa di gente come gli Who, adesso te ne esci con questo semisconosciuto. Sei stata in Inghilterra?” domandò il giovande dai capelli biondi, fissandola con un po’ di ammirazione nonostante la finta protesta.
“Già. Londra, baby! Ho fatto la cameriera, recitato un po’ in giro, suonicchiato in qualche club. Ho visto Bowie recitare alla Oxford Playhouse. Secondo me è un grande interprete – soffiò una boccata di fumo – dobbiamo tutti essere un po’ pagliacci nella vita.
Allora, Sasuke: Harry. Come vogliamo chiamarlo? Cosa gli piace?”
Sasuke spostò lo sguardo sull’amico che gli sorrise in maniera stupida, fiero e contento. Forse aveva bevuto troppo. Meglio dei trip in cui aveva visto certa gente.
“Cosa gli piace? Suonare la chitarra. E cantare. Ma fa piuttosto schifo in entrambe le cose – Ehi! Esclamò Harry, ma Sasuke proseguì, sulla falsariga dello scherzo – gli piace mangiare. Non conosco molti cibi giapponesi. Forse il ramen...”
Sakura schioccò la lingua, scrollando la cenere dalla sigaretta: “Bah, ha un suono orrendo.”
“Come dovrei chiamarlo? Naruto?” ribatté.
Sakura sgranò gli occhi, battendo una volta le mani così da scrollare altra cenere: “Sì! Scivola via che è un piacere!”
“Ma anche no, che roba è?” borbottò Naruto.
“La rotella di pasta che si mette nel ramen, ha una forma stupida e simpatica, più o meno come te.” Spiegò blando Sasuke.
Portò lo sguardo su Sakura e, improvvisamente, scoppiò a ridere. Harry incrociò le braccia, poi rise a sua volta:
“Va bene, ho un soprannome tremendo. Sakura, Sasuke e Naruto. Cosa vogliamo farci con questi bei nomi adesso?”
Sakura guardò entrambi, poi il palco. Dopo un profondo respiro annunciò:
“Fonderemo un gruppo. Non vi conosco, ma siete simpatici. Potrebbe funzionare.”
Naruto le domandò, senza smettere di ridere: “Sakura, tu sei ubriaca! E la cannabis non migliora la situazione.”
“Ah, vedi che cominci già a chiamarmi Sakura? Vuol dire che funziona!” esclamò la ragazza, puntandogli un dito sul petto con la sigaretta ormai spenta.
Sasuke li osservò e le chiese, appoggiandosi a sua volta contro la staccionata:
“E a che nome avresti pensato per il gruppo?”
“Non saprei ancora. Domani ci uniamo al delirio lisergico collettivo: qualcosa verrà fuori. Le cose improvvisate sono sempre le migliori.”
Entrambi i ragazzi scoprirono quanto Sakura avesse ragione: sulle cose migliori e, a posteriori, anche su David Bowie.

Quel giorno del 16 agosto del 1996 Sasuke fu testimone di tante scene diverse, con Naruto ubriaco che aveva ballato come un esagitato sulle note dei Santana; si erano ritrovati con Sakura, la quale gli si era avvicinata e l’aveva coinvolto in un lento, proseguito assieme a Naruto. Attorno a loro vi erano altre persone, la musica prorompente, il fango e il disagio degli scarsi servizi igienici.
Forse perché anche lui aveva fumato, tutto quel contatto non gli dette fastidio come avrebbe pensato, anche se finì per ritrovarsi a guardare Naruto e Sakura ballare assieme, coi capelli incollati all’indietro per l’acqua che si erano tirati addosso, i vestiti larghi e le collane schiacciate sul petto, mentre i braccialetti tintinnavano per cantare un’ode alla vita.
Scorse poco distante un mixer in fiamme e dei tecnici del suono intenti a ballarci attorno, anziché cercare di spegnerlo. Fumò un’altra boccata, espirò e vide due tizi avvicinarsi, forse gli unici davvero lucidi, per chiedere:
“Nessuno lo spegne?'
Qualcuno sollevò lo sguardo, smise di ballare e replicò con serietà impressionante per essere mezzo nudo, accaldato dalle fiamme e stordito dall’odore di plastica bruciata:
Noi non rubiamo il lavoro alle nuvole.”
Nel sentire quella frase, Sasuke sorrise ma dentro di sé rimase colpito, come se ci fosse una grande verità molto più profonda di tutto quell’insieme di gente e ideali destinati a morire, foglie essiccate con l’arrivo dell’inverno.
Schiacciò il mozzicone di sigaretta e riportò lo sguardo su Harry. Naruto. Che nome assurdo. Sentì la testa leggera, il corpo involarsi, mentre i suoi occhi erano lì, incollati addosso a lui, come per ricordargli che la vera assurdità era rimanere fermi in un mondo abituato al movimento.
Si sciolse i capelli, l’elastico gli cadde e il respiro fu calmo, il cuore controllato, anche se la mente stava viaggiando nell’iperspazio. E Naruto aveva gli occhi troppo chiari, di quell’azzurro che sapeva di luce anche in quell’istante, nel quale la notte calava e il terreno era costellato di stelle, di proiettori, di ulteriori luci dal palco.
Finirono per guardarsi ma fu Sakura ad avanzare e avvicinarli, così bella, geniale nella sua follia ribelle, nei suoi capelli schiariti e tinti di rosa che odoravano di sigaretta, mentre la pelle sapeva d’alcool e fiori dimenticati sul tavolo. Gli accarezzò la guancia e Sasuke non si ritrasse, poi avvertì la propria mano presa da quella di Naruto che era calda, le dita ispessite dal lavoro, le nervature in evidenza al pari delle vene vascolarizzate che pulsavano, un battito accelerato dalla danza.
Era notte, c’erano altri fuochi distanti, diversi da quelle del mixer in fiamme, diversi da quelli del palco, forse era la gente, forse erano Naruto e Sakura. Camminarono, passando attraverso folle danzanti nella semioscurità, mentre Janis Joplin aveva cominciato a cantare ed era più fatta di loro, un satellite luminescente su una struttura metallica. La sua voce graffiava l’aria e armonizzava il respiro della gente.
“Ho un nome.” Annunciò Sakura, sulle note energiche di Raise your Hand
“Anche io.” Replicò Sasuke, parlando quasi senza rendersene conto.
Il battito accelerò, anche il senso di calore, incalzato dalla musica e dalla tensione per qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita, lo sapeva.
Naruto urlò di rimando, un urlo di guerra e di euforia, al quale Sakura replicò scoppiando a ridere. Poi Harry sollevò un braccio e annunciò, con la stessa serietà dei tecnici del suono davanti al mixer in fiamme:
“Un momento. Ritiriamoci nelle nostre stanze private a deliberare che fuori non si capisce nulla con tutto questo caos.”
Chissà perché, persino a Sasuke in quel momento l’idea sembrò ragionevole, anche se si concluse con Naruto davanti alla tenda portata da Shisui, la cui struttura di tessuto non li avrebbe certo isolati granché dalla musica e dalle ovazioni della gente.
Per qualche istante, Uchiha osservò Harry intento prima a cercare di sollevare la zip, per poi fallire miseramente fino a cascare per terra, ridere, e chiedere di aiutarlo a scardinare la porta; a quel punto, Sasuke si risolse ad aiutarlo: quando toccò la zip gli sembrò immensa, fredda, mentre la cerniera era una gigantesca rotaia percorsa da loro, il treno diretto verso una destinazione ancora sconosciuta, anche se tracciata nelle onde delle cuciture.
Ruzzolarono tutti e tre dentro, Sakura richiuse l’apertura e si sedette tra i sacchi a pelo, sorridendo, gli occhi verdi accesi di vita e di sogni. Occhi che Sasuke avrebbe divorato, assieme a quelli di Naruto. In quel momento si pentì di averli così scuri, bui, soffocanti.
I tre riuscivano a intravedersi, le luci al di fuori erano filtrate attraverso il tessuto della tenda e sembravano rossastre, mentre dentro c’era odore di umido, di plastica chiusa e di loro che avevano assorbito il mondo là fuori. Trovarono qualche birra, la aprirono usando in emergenza le chiavi della macchina e si rovesciarono addosso della schiuma, cosa che li fece ridere tantissimo.
Fu Sakura a dire dopo una sorsata:
“Haearts in flame.”
Naruto la guardò, bevve e rise, battendo una mano sulla coscia: “Il nome del gruppo.”
“Il nome del gruppo – asserì la ragazza, sorridendo a sua volta con aria di sfida – perché voglio che qualcosa vada a fuoco, con passione.”
Poi spostò lo sguardo verso Sasuke e domandò: “Tu a cosa stavi pensando?”
Il ragazzo prese la birra offerta dall’amico e replicò: “Riding clouds. Perché voglio andare in alto.”
Naruto li ascoltò, ammirandoli mentre erano così vicini, così in sintonia, bellissimi entrambi e con quella sfumatura di struggente malinconia; infine mormorò:
“The Flaming Clouds. Perché anche le nuvole possono andare a fuoco, quando riusciremo a raggiungerle suonando. Su un palco ancora più grande di Woodstock, con più gente e più vita. Fino alle stelle.”
Gli altri due si voltarono verso di lui. Janis Joplin cantava con la sua voce roca you don't know what it's like, baby, to love somebody the way I love you.
E Sasuke credette di saperlo, domandandosi se Naruto o Sakura potevano capirlo allo stesso modo. Quel nome, quell’ambizione che apparteneva a entrambi, anche se Jane amava troppo, troppo a fondo e con troppa devozione per bruciare davvero.
Poi la vide slanciarsi in avanti e baciare Naruto, dicendogli di voler essere una di quelle nuvole, perché sulla Terra aveva già passato troppo tempo. E Naruto ricambiò il bacio senza dire altro, travolto e attirato da tutto di quella donna giunta tra di loro con il suo atteggiamento forte, irriverente, eppure capace di mascherare come trucco tante fragilità.
Guardandoli, Sasuke conservò il ricordo della loro passione ed energia, riflettendo anni dopo che, se lui non ci fosse stato, probabilmente si sarebbero amati e sarebbero stati molto più felici.
Ma Sakura, nelle sue fragilità, era la più empatica e con quell’empatia si voltò verso Sasuke, afferrandogli la mano. Sorrideva, accaldata, estatica e Naruto continuava ad ammirarla:
“Lo so.”
“Cosa sai?” domandò il giovane dai capelli scuri, prendendole a sua volta la mano, anche se la domanda era guardinga. Percepiva calore, credeva che il fuoco fosse arrivato fin dentro lui. Avvertì il cuore ribollire di sangue e desiderio.
“Che c’è altro di più profondo dell’amicizia, tra di voi. I tuoi occhi, Sasuke. Vorrei essere guardata sempre con quegli occhi.”
Gli accarezzò poi la guancia e Sasuke ricordò quando sua madre aveva visto lui e Naruto baciarsi, nella propria stanza. Una cosa stupida, una provocazione ancora peggiore, e si era sentito morire nel realizzare che poteva essere sbagliato. Ora invece la donna dei ciliegi lo accarezzava e parlava di nuvole, di fiamme, di Harry, con il sorriso troppo schietto che gli bucava il cuore.
Spostò gli occhi verso di lui, finalmente senza imbarazzo, con quella leggerezza e quel fuoco alimentato dalle note della chitarra, dalle grida della gente e dai respiri racchiusi in una tenda. Vide che si era tolto la maglia e guardava entrambi, in trionfante attesa. Nella sua nudità, con il volto accaldato e gli occhi scintillanti, infatti Naruto esclamò, travolgendoli:
“So cosa vuol dire amare, cazzo!”
Selvaggio, si slanciò verso Sasuke per baciarlo e trascinarlo tra i sacchi a pelo, così che questi si trovò avvolto dal peso dell’altro, dal suo sguardo e dal sorriso irriverente. Vide il cuore del ragazzo riverberare di una luce rossa, di sangue e desiderio attraverso la pelle e la cassa toracica, come le luci del palco filtrate dalla tenda, mentre Janis gli parlava di amori distruttivi e la sentiva chiedersi I live and I breathe for you but what good does it do if I ain't got you?
Ma cosa poteva saperne, in quel momento e a quell’età, di un amore non ricambiato e del dolore?
Per questo smise di pensare; contemplò Naruto, i muscoli del torace e del ventre tendersi per toccare Sakura, al loro fianco, e trascinarla verso di sé, fino a baciarsi. Un bacio più lento, forse più musicale, e con altrettanta lentezza lei si sdraiò accanto a Sasuke, il quale finalmente voltò la testa verso di lei: si guardarono, intersecando le luci visionarie degli occhi, così che il giovane ammirò le stelle nel suo sguardo e il cuore che, come il proprio, era un fiore bruciante che esplodeva nel petto. Le toccò il ventre, sollevando la maglia leggera, larga e bollente, per poi baciarla a sua volta e avvertire il proprio respiro contro. La sua lingua dentro la bocca e, in basso, le mani di Naruto che gli slacciavano i jeans.
Non sapeva perché lo stessero facendo, perché avessero iniziato a baciarsi, a toccarsi in carezze che percorrevano le arcate delle scapole, le colline guizzanti dei muscoli tesi verso la ricerca dell’altro, del corpo eccitato e del calore, mentre attorno a loro le persone, forse innamorate, forse solo conosciute nella folla, si baciavano a loro volta e Janis Joplin cantava con la sua voce rauca, calda di altrettanta passione e vita al limite. Piece of my heart, perché forse, davvero, dall’amore non si doveva pretendere nulla.
Vide Sakura, su di sé, osservò le proprie mani scendere lungo i fianchi stretti ma di donna, dopo aver sentito la consistenza morbida del seno piccolo eppure sodo, i capezzoli turgidi che Naruto, ora intento ad abbracciarlo da dietro, poco fa aveva succhiato e mordicchiato con un tocco leggero.
Avvertì l’erezione di Harry contro le proprie natiche, mentre erano uniti da quella stretta di braccia avvolte e dalle gambe intrecciate. Espirò, chiudendo e aprendo lentamente le ciglia, con il cuore che batteva impazzito; sì, lo vedeva, il proprio cuore, ma anche quello di Sakura, tra i seni dove scendeva una goccia di sudore, e quello di Naruto che gli bussava contro la schiena, in vibrazioni d’amore dirette alla spina dorsale, perché gli chiedeva di entrare e farlo camminare.
Prendilo, un altro pezzo del mio cuore.
Glielo disse, o fu convinto di averlo fatto, forse era Janis a gridarlo, mentre le luci sul palco erano talmente intense da sembrare che lei stesse bruciando, coi suoi vestiti capaci di catturare tutti i colori del mondo e i capelli gonfi spettinati in un’esplosione di vita.
Spezzalo. E io te ne darò ancora. Perché sono fatto così, perché non sono bravo ad amare ma con poco posso donarti quello che sono.

Ah, you never, never hear me when I cry at night
And I, I tell myself that I can't stand the pain
But when you hold me in your arms, I say it again
So come on, come on, come on, come on
Take another little piece of my heart now, baby!


Era l’alba del 17 agosto e Sakura sollevò la testa, dopo aver spostato il braccio di Naruto da contro il proprio corpo. Si mise seduta, con le gambe incrociate e le braccia avvolte attorno a se stessa, come per occupare meno spazio possibile; da lì, contemplò i suoi due uomini, in realtà ragazzi – com’erano giovani loro tre, allora, così pieni di sogni e di ambizioni – che aveva amato per quella notte e, una parte di sé già lo sapeva, che avrebbe amato per molto altro tempo ancora, un tempo fatto di infinite ulteriori notti.

Sentiva la testa scoppiarle, aveva sete e provava un senso di vuoto misto a una felicità strana, capace di stordirla. Si portò una mano al petto, per capire se il cuore le facesse male, se davvero era andato a fuoco in un’esplosione di attrazione – quello di Sasuke era così brillante da averle fatto credere di poterlo tenere in mano mentre erano uniti, mentre quello di Naruto era fiamme che divoravano e avvolgevano, in una morsa che lei era andata consapevolmente a cercare.
Si portò poi una ciocca di capelli dietro le orecchie; subdoli, i Jefferson’s Airplane sembravano chiederle can anybody find me somebody to love?
Erano le otto passate del mattino, a giudicare dalla luce del sole che filtrava attraverso la tenda, ma anche dalla sporadica gente che aveva cominciato ad alzarsi dopo una notte lunghissima di musica e viaggi spaziali nella mente.
Guardò un’ultima volta Sasuke e Harry, il loro Naruto, e li trovò bellissimi, così vicini nella loro vulnerabile nudità, accaldati e coi capelli scombinati dopo il sesso, i marchi d’amore sulla pelle e il diaframma che si abbassava espirando aria. Poi si vestì, alzandosi in piedi con la schiena curva, e uscì.
Decisamente, The Flaming Clouds era il nome più bello che potessero trovare in assoluto, perché in quella notte Jane aveva sentito di essere arrivata davvero fino alle nuvole e di averle viste bruciare. Per questo se ne andò. Perché ebbe paura di quel fuoco e di non riuscire più a scendere, una volta toccate le stelle.

Naruto aprì gli occhi. Vide tutto annebbiato, dunque decise di stropicciarseli ancora e trarre un profondo respiro. Ancora sdraiato, nudo, vide Sasuke poco distante seduto intento a dargli le spalle. I capelli lunghi gli nascondevano appena la cervicale, ma la spina dorsale incurvata regalava proiezioni d’ombra seducenti sul corpo magro da diciassettenne.
Si rese conto di non averlo mai visto prima di quella volta così nudo e vulnerabile, fragile nel suo umore a tratti oscuro, profondo nei suoi pensieri distanti che lo rendevano più immortale di quanto fosse lui, un ragazzino che lavorava nei campi e cantava blues bruciandosi la pelle sotto il sole dell’America, mentre ricordava canzoni dei Rolling Stones o dei Led Zeppelin passate in radio.
Si mise a sedere e allungò un braccio, sfiorandogli con le dita la schiena. Avevano fatto l’amore, forse gli aveva perfino fatto male, aveva sentito il suo corpo, la sua virilità, le spigolosità tardo-adolescenziali delle ginocchia, ma anche la morbidezza di quello di Sakura, gli odori e i respiri di entrambi, attorno a sé.
Arrossì, eppure avvertì un compiaciuto senso di serenità, come se i loro sogni fossero lì, in quella tenda, e loro li avessero finalmente compresi, afferrati, senza però inscatolarli. Perché le cose intrappolate, si sa, sono forse più facili da possedere ma tanto più difficili da far crescere.
“Jane se n’è andata.” Annunciò all’improvviso Sasuke, senza ancora voltarsi.
“Sakura?”
“Sì, lei, Sakura. Questa cosa dei nomi è una cazzata, come tutto il resto.” Sbottò, per poi alzarsi, mostrargli il culo senza farci davvero caso e cominciare a vestirsi con la schiena curva.
“Aspetta, aspetta – Harry si slanciò in avanti, afferrandolo per una coscia, solo allora Sasuke voltò lo sguardo verso di lui – cosa stai dicendo? Ci alziamo e la andiamo a cercare, sarà là fuori da qualche parte, no?”
Ma Sasuke se lo levò muovendo la gamba, per poi finire di infilarsi pantaloni e mutande:
“Smettila, ha fatto sesso con due uomini che a loro volta hanno scopato. Eravamo fumati da far schifo e ubriachi a merda, che futuro vuoi ci sia per noi? Per lei? Cos’è questo festival se non un’immensa, gigantesca presa in giro? Il movimento hippie, i figli dei fiori e tutte le stronzate che si portano dietro sono alla fine, questo è l’ultimo canto del cigno. Noi siamo i suoi scarti, nient’altro che quello, niente nuvole in fiamme.”
Uscì dalla tenda senza attendere oltre. Naruto boccheggiò un istante, poi si infilò veloce le mutande, una maglia e gli corse dietro, affondando i piedi nel fango. Il palco era vuoto, gli artisti avrebbero iniziato a suonare solo nel primo pomeriggio, mentre la gente si aggirava come confusa, vittima di una guerra persa contro le allucinazioni di una notte infinita, stanca e solitaria.
Raggiunse Sasuke, lo costrinse a voltarsi e in mezzo a quello stesso fango, alla pioggia leggera della mattina, gli disse:
“Noi non siamo gli scarti di nessuno. Noi siamo i The Flaming Clouds e questo palco, questa terra, non sono abbastanza, Sasuke – allargò le braccia, il volto era ancora accaldato e sulla pelle si vedevano i segni dei baci e dell’amore – la gente ci cercherà, ci adorerà, imparerà a memoria le nostre canzoni, entreremo nelle loro teste, giorno e notte. Faranno sesso ascoltando le canzoni composte da noi che passeremo in radio, compreranno i nostri vinili e li metteranno su dopo essere rimasti soli, perché sarà allora che canteranno a squarciagola e crederanno di avere una chitarra in mano.
Sakura ci ritroverà, se lo vorrà. O forse la ritroveremo noi, se è destino che accada. Ma aveva ragione: noi saremo quei personaggi che rimangono in testa, quel look, quella storia da cantare in album simili a libri.”
Espirò, riprendendo fiato. Gli occhi brillavano. Sasuke si portò una mano sugli occhi, sigillò le labbra, infine decretò:
“Perché anche in mezzo a tutto questo schifo tu ci credi così tanto da rendere le cose migliori?”
Naruto sollevò un sopracciglio: “Era... un complimento?”
Rimasero seri entrambi per un po’, finché Sasuke scoppiò a ridere e gli dette una leggera spinta, così da scatenare anche la sua risata: “Sì, sì, era una sorta di complimento.”
“Che poeta. Dovresti scrivere tutti i nostri testi.”
“Ci penserò.” Replicò l’altro, con la risata che lentamente si spense.
Più avanti ritrovarono Shisui, che aveva dormito e fatto l’amore con qualche ragazza e un ragazzo, aveva l’aria distrutta ma felice, instupidita proprio da quella felicità, ancora più bello nel suo essere selvaggio. Puzzavano tutti e tre, avevano fame e sete, anche se gli idranti li lavarono dalla testa ai piedi.
Però, persino in mezzo a quel caos non trovarono più Sakura. Se n’era andata davvero, senza di loro.
Il mattino seguente, dopo aver ascoltato fino all’ultimo Jimi Hendrix che li lasciò sulle note di Purple Haze, Shisui, Naruto e Sasuke si rimisero in macchina, per ritornare alle loro vite dimenticate in quei tre giorni.
Sotto la doccia, una volta rientrato a casa, Sasuke si sfregò con forza fino a far arrossare la pelle, approfittando del fatto che non c’erano i suoi genitori, andati a lavoro come in un qualunque lunedì; probabilmente si sarebbero arrabbiati per le lezioni saltate, ma avrebbe trovato modo di recuperare.
Poco dopo, quando Naruto gli suonò alla porta chiedendogli di potersi lavare da lui, perché a casa sua, nelle campagne, mancava l’acqua, Sasuke lo fece entrare.
E si lavò di nuovo con Harry, baciandolo, mentre la rabbia e la sfiducia, la paura che loro sarebbero cresciuti senza realizzare nulla, fango in un mare di altro fango, scivolò via lentamente, prendendo consapevolezza dei baci e della vergogna che si annullava. Il profumo di Sakura, della birra e del fumo riecheggiò nel vapore bollente, mentre dalla camera accanto si sentivano le note di Set the Controls for the Heart of the Sun, l’unica canzone dei Pink Floyd suonata sia da Barrett che dal suo futuro e definitivo sostituto David Gilmour.
Il suo suono ipnotico li accompagnò, portatrice di una grande verità: la conoscenza dell’amore, in fondo, vuol dire anche conoscere l’ombra. Forse era per quello che Sakura se n’era andata, rifletté Sasuke, osservando attraverso il vapore della doccia il capo di Naruto, i suoi baci, la schiena bollente contro le piastrelle fredde: l’amore ha tante zone d’ombra, per quello può fare così male.
“Cosa siamo, noi due?” gli domandò all’improvviso, afferrandolo per i capelli in modo da costringerlo a guardarlo.
“Ragazzi. Sasuke e – sorrise, avvicinando le labbra alle sue – Naruto.”
“Andremo avanti così ancora per molto? Finché mia madre lo dirà a mio padre, e ai tuoi nonni, e... non ci sarà alcuna musica, alcuna giustificazione. Non siamo rockstars, non possiamo fare tutto quello che vogliamo.”
“Hai paura, Sasuke?”
Ci pensò un istante, poi ammise, incupendosi: “Sì.”
“Anche io. Ma... la vita è troppo breve e io sono troppo stupido per non approfittare di ogni singolo momento.”
“Vivi di quelle allucinazioni a Woodstock, della creatività folle delle ore dentro una tenda. Pensi che scopare in una doccia, con me, ti riporti quei momenti?”
Era stato crudele, diretto, ma Sasuke era così: feriva per vedere l’altra persona sanguinare di più e sentirsi meglio.
“Hai paura di essere gay, Sasuke?”
“Fottiti.” Lo respinse, per poco l’altro non scivolò.
“A me piaci – replicò Harry, appoggiandosi contro la parete – mi piace anche Sakura. E... cosa vuol dire amarsi? Forse questo movimento di pace e amore che critichi tanto ha portato anche questo: me che posso baciarti e non sentirmi in obbligo di giustificare niente con nessuno.”
“Potresti venire isolato, per questo. La gente non è pronta per l’innovazione, per il pensiero diverso, folle, com’è folle il tuo, o quello di Sakura.” Replicò Sasuke. Gli appoggiò però la mano contro il petto fradicio, dove picchiettavano gocce d’acqua dalla doccia.
“Trascinerò la gente. Quando saremo su quel palco, assieme. Ci chiederanno di essere più folli perché, esattamente come noi in quella tenda, le rockstar coi controcoglioni esistono per far vivere un sogno, tramite un dio che si muove sul palco e canta, suona, declama quello che tutti vorrebbero sentirsi dire, ma che nessuno ha avuto mai il coraggio di fare.
Ora – gli portò le mani tra il collo e le guance, per domandare con voce intensa ma carica di sentimento – vorresti non essere più arrabbiato, non avere più paura, anche solo per poco? E... baciarmi, visto che, lo sai, te l’ho detto, sono scemo, folle e sognatore e la vita è davvero troppo breve perché io mi accontenti di lasciarti andare.”
Sasuke non capì fino in fondo quel discorso, nonostante i voti alti e le pretese d’intelligenza. Ma baciò ugualmente Naruto, dato che una parte di sé dava ragione a quelle parole: il tempo non era infinito, non lo sarebbe mai stato, nemmeno se fossero stati un giorno dei, acclamati da folle in adorazione. E lui, in fondo, lo desiderava tanto al punto da arginare il resto e comprimerlo, assecondando Harry, il suo Naruto, per smettere di provare rabbia e trascinarlo verso di sé, con la puntina del vinile che raschiava alla fine del disco in un ultimo ruggito caldo d’amore.


24 gennaio 1970

Il Mamsen era un locale che si espandeva all’interno di uno scantinato, con luci morbide che ricordavano candele e l’odore di sigaretta che aleggiava nell’aria sopra le loro teste. Chitarra dietro la schiena, Naruto avanzava tra la gente, fino a trovare un posto decente vicino al palco; Sasuke si piazzò al suo fianco, a sua volta con il basso infilato nella custodia maltrattata dai numerosi spostamenti. Entrambi sentivano male ai polpastrelli, perché mai come in quei mesi avevano suonato e toccato le corde dei loro strumenti con così tanta intensità.
Da dopo Woodstock, si erano messi a provare quasi tutte le sere nel garage di casa di Naruto, dove non poteva disturbare i suoi nonni, anche se entrambi erano stanchi per il lavoro o per lo studio. I finesettimana prendevano il bus fino a New York e arrivavano nella metropoli dove giravano per locali a suonare i loro pezzi; qualcuno aveva preso a notarli, la gente che frequentava quei posti aveva cominciato nei mesi a conoscerli, Naruto era andato a letto con qualche ragazza mentre Sasuke esitava, finendo per terminare le sue serate in baci e sentirsi il petto stringere all’idea che nessuna di loro era Sakura, la ragazza dei ciliegi.
Ogni tanto ci provava qualche ragazzo, giovane come loro, ma il tutto non si concludeva in altro che parole, perché per entrambi l’unico uomo era lì e suonava un basso o una chitarra.
Non dovevano suonare al Mamsen, anche se avrebbero voluto. Naruto però aveva insistito per andarci prima di bivaccare fino al prossimo autobus che li avrebbe riportati all’alba al loro paesino.
“Chi c’è che suona? Sembrava che andare in questo posto fosse questione di vita o di morte.”
Naruto si voltò verso di Sasuke, per fargli l’occhiolino. Sul palco stava suonando un gruppo acid rock con suoni psichedelici.
Si presero una birra, attesero qualche altra canzone, infine, prima che Sasuke si spazientisse e decidesse di andarsene, perché era stanco, sfibrato ed erano mesi che non dormiva in maniera decente, ecco, prima di un fatale addio le luci si spensero, gli strumenti cambiarono e salì sul cambio qualcuno di nuovo.
Nuovo per molti, forse, ma non per loro.
“Sakura.” Mormorò, sgranando gli occhi quando vide la ragazza dai capelli ancora più rosa, legati in una crocchia che sparava ciuffi da tutte le parti, una maglietta strappata vicino alla vita e dei provocanti pantaloncini corti che lasciavano scoperte le cosce.
Non lo sapeva, o forse sì, ma sarebbe stata una delle prime donne negli anni ’70 a lanciare la moda degli shorts. Aveva un atteggiamento irriverente, ma professionale, in una contraddizione che in futuro sarebbe stato impossibile da trovare persino nel punk dei Clash o in quello modaiolo dei Sex Pistols, forgiato da Vivienne Westwood e dagli echi di Andy Wharol. Sakura aveva ideato se stessa, consapevole della propria forza e di ciò che voleva trasmettere; in quel momento, infatti, vendeva sogni e la gente l’ascoltava caricata dai suoi riff alla chitarra acustica e dalla sua voce leggermente roca, graffiante ma più melodiosa di Janis Joplin, anche se altrettanto struggente.
Naruto e Sasuke rimasero a guardarla fino alla fine, come il resto del pubblico. Poi lei smise di suonare, mormorò un grazie al microfono tra gli applausi della gente, emettendo un leggero fischio nelle casse, ma quando fece per andarsene Naruto la fermò, gridando in uno slancio energico:
“Sakura!”
Sasuke lo fissò, sgranando gli occhi. Poi lo vide partire, carico, energico, con la chitarra sulle spalle che ondeggiava a ogni suo passo deciso. Scorse anche Sakura, la vide con il respiro bloccato, gli occhi palesemente stupiti, i muscoli altrettanto immobili di chi era già fuggito e non sapeva più che fare.
Uchiha si chiese quanti trafiletti e annunci Harry si fosse letto in quei mesi per trovarla, perché non si era mai arreso all’idea che i The Flaming Clouds fossero morti a Woodstock, espirati come il fumo di una sigaretta.
Qualcuno mormorò, ma Sakura, con il cuore che batteva a mille, la visione di loro due, dei sogni e dei personaggi, riuscì a dire verso il microfono:
“Questa sera ho una sorpresa per voi. Facciamo un pezzo... inedito.”
Non sapeva cosa stesse dicendo, era confusa e felice. Senza che ci fosse nulla di speciale, in quella serata, tranne l’improvvisa consapevolezza di tutto quello che non avrebbe mai potuto lasciarsi alle spalle, delle serate come cameriera prima di staccare e andare a suonare, coltivando il suo sogno che cresceva troppo lento e troppo sterile, con l’affitto di un buco d’appartamento da pagare e l’incertezza di un futuro in guerra.
Naruto annuì, in piedi sul palco:
“Sei bellissima.”
Mormorò, per poi voltarsi verso il pubblico. Socchiuse leggermente gli occhi, le luci erano intense e calde, la gente un mare d’ombra. Qualcuno applaudì.
Sasuke si decise a salire a sua volta, anche se le mani erano incerte e una volta si inceppò la zip della custodia. Naruto accordò la chitarra, scambiò due parole con il tecnico del suono, mentre la gente mormorava, in attesa. Uchiha guardò entrambi, toccò le corde spesse del basso con le dita, infine fece un cenno con la testa.
“Ho pensato a un riff con la chitarra. Sasuke, come nel garage, tu tieni il tempo. La tua linea andava benissimo, anzi potresti cominciare con quella. Sakura – la donna sciolse i capelli, ma non rifece la coda, ascoltando l’altro attentamente – lasciaci il primo giro, andremo in quattro quarti, quindi dovrebbe essere facile seguirci. A un certo punto accelereremo con le ottave. Ma nulla di impossibile.”
“Siete... – lanciò un’occhiata a Sasuke, che stava accordando velocemente il basso, l’apoteosi della serietà e concentrazione – sei un pazzo. Non so neanche perché vi ho fatti salire. Se qualcosa va storto quelli del locale mi cacciano a calci nel culo, ma... cazzo, facciamolo. Forse sono pazza anche io.”
Naruto rise, complice, gli occhi erano fiamme e le dita che più volte avevano sanguinato già toccavano le corde:
Let’s rock. Il fuoco... per sempre.”
Sakura annuì. Accarezzò il microfono, osservò le ombre della gente, parlò, raccontando una storia veloce, e nel raccontarla ricordò le parole infinite tracciate sui taccuini quando si muoveva sul pullman, tra il lavoro e i locali. Poteva trovare un testo, aveva tante storie nella propria testa.
Sasuke cominciò a suonare il basso. Nella sala cadde il silenzio. Il suo giro di note era convincente, incalzante, e la chitarra di Naruto, una versione più economica e probabilmente usata di una stratocaster, attaccò con perfetto tempismo. Si sentiva che avevano suonato assieme e che quel pezzo lo conoscevano, lo avevano plasmato, era parte di loro.
Naruto guardava il pubblico, toccava le corde come se toccasse loro. I capelli biondi erano davvero quel fuoco, erano le fiamme delle luci sul palco che lo facevano splendere di energia. Gli sguardi vennero catturati dalla sua presenza, dal modo in cui sollevava il ponte e scivolava sulle corde.
Poi Sakura iniziò a cantare, teneva il tempo nella testa, adattando le parole alla melodia, mentre il tecnico cercava di lavorare nell’ombra sulle spie, gli ingressi e le uscite per far sì che nessuno dei tre coprisse troppo l’altro. Il ritmo crebbe, Sakura avvertì il vibrato della propria voce espandersi nel petto e farle tremare la cassa toracica, assieme al suono degli strumenti amplificati dalle casse alle spalle. Afferrò il microfono e sollevò un braccio al cielo, in quello che, guardandosi, avrebbero deciso essere l’ultimo ritornello, con un insieme di parole improvvisato perché ancora Jane non se le ricordava tutte e non aveva idea di cosa esattamente avesse detto, trascinata dalla musica e dall’effetto sul pubblico che ora batteva le mani, andando a ritmo.
Batté anche lei le mani, incoraggiandoli, e concesse a Naruto l’assolo. Lo vide inginocchiarsi e tirare la testa indietro, con esaltante esibizionismo, il volto accaldato e un rivolo di sudore che gli cadde dietro il collo.
Qualche ragazza urlò, qualche ragazzo fece i complimenti a Sakura che dette un calcio all’aria e cantò un’ultima volta, prima di tacere e far piombare nel silenzio anche gli strumenti, tranne il basso di Sasuke che fece un giro finale di accordi, identico a quello dell’inizio.
Quando davvero tutti e tre smisero di suonare, per qualche istante nessuno parlò. Finché ci fu uno scroscio di applausi e complimenti, al punto che, ansimando, i musicisti guardarono inebetiti il pubblico per poi scambiarsi un’occhiata incredula ma euforica. Solo in quel momento ringraziarono e, inchinandosi, ringraziarono ancora.
Una volta raggiunto il retro, qualcuno offrì loro una birra, batté delle pacche sulle spalle, mentre ricevevano il cambio da altri musicisti; con le orecchie che fischiavano leggere, Sakura afferrò le maglie di entrambi e se li portò vicino, esclamando:
“Cazzo! Cazzissimo! Come... come avete fatto a trovarmi? Dove suonate? Cosa... ah, dannazione, sono su di giri!”
Si morse un labbro, scuotendo la testa.
Naruto rise: “Ti ho cercata. Suoniamo in posti meno fighi, ci mancavi tu, Sakura.”
“Ci mancavi.” Confermò Sasuke, apparentemente serio, anche se il volto era arrossato e gli occhi altrettanto brillanti.
Si guardarono.
Dopo un istante, fu Sakura a dire, con una sorta di emozione palpabile: “Beh, suppongo che abbiamo dato fuoco se non proprio alle nuvole, almeno al locale. E magari ci chiederanno di incendiarli ancora.”
“Vorresti? – le chiese Naruto parlando a voce più bassa, come se le stesse confidando un segreto importante – Suonare con noi, intendo.”
Sakura rimase in silenzio. Buttò giù un bicchiere di birra, l’appoggiò su una cassa, si legò i capelli e ammise:
“Me ne sono andata perché credevo che per me non ci sarebbe stato posto. Ma questa sera... questa sera non mi sono mai sentita così viva.”
“Nemmeno io.” Ammise all’improvviso Sasuke.
La ragazza lo fissò, sorpresa, infine sospirò. Sapeva che da lì in avanti la sua vita sarebbe cambiata per sempre, era una di quelle cose che si potevano sentire a pelle.
“Va bene. Suoniamo assieme, ragazzi.”
Naruto l’abbracciò. E abbracciò Sasuke.
Il 24 gennaio nacquero i The Flaming Clouds. Così avrebbero raccontato tutte le numerosissime biografie uscite sul gruppo nel corso degli anni, persino il documentario girato su di loro alla fine degli anni ’90, quando erano entrati ormai da tempo nella Rock’n’roll Hall Fame e la Rivista Rolling Stones aveva dedicato un lungo articolo alle rispettive carriere, o a come il gruppo fosse stato tra i più influenti del periodo per innovazione musicale e spregiudicatezza.
Ma per quanto riguardava tutti e tre, erano nati mesi prima, a Woodstock, mentre dicevano addio alla protesta del movimento hippie per gridare a gran voce con la ribellione sfrontata del rock.

14 marzo 1970

In quell’anno sarebbero usciti grandi album e singoli destinati a rimanere nella storia della musica, da Paranoid dei Black Sabbath a Neil Young con After the Gold Rush, per non parlare di III e canzoni quali The Immigrant Song dei Led Zeppelin, una raccolta insomma di vere e proprie pietre miliari ascoltate anche dalle generazioni a seguire. In quell’onda di creatività e cambiamenti, un sabato di metà marzo anche i The Flaming Clouds ebbero la loro primissima, fondamentale, rivoluzione: incontrarono colui che all’epoca era un tecnico del suono giovane, a sua volta travolto da quell’ondata musicale nonostante il carattere propenso a distanziarsi. In futuro, quello stesso tecnico sarebbe diventato loro manager, uno degli elementi mancanti per aiutarli a scalare il successo ed essere a loro volta onde prorompenti nel mare di innovazione.
Il secondo elemento mancante, invece, venne suggerito proprio da quel tecnico del suono, durante la fatidica sera del 1970.
Naruto e gli altri avevano appena finito di esibirsi allo Studio 66, in una serata tra eccessi visivi, coriandoli e musica ad alto volume, così che quando uscirono sul retro a fumare per un attimo le orecchie fischiarono a causa dello sbalzo tra il caos interno e il silenzio del vicolo, frequentato solo da poche persone che come loro cercavano un istante di tregua. Scambiarono quattro chiacchiere con qualcuno venuto a vederli, con Sasuke avvolto nel cappotto lungo per combattere il fresco di marzo, Sakura che ancora accaldata si era limitata a mettere un maglione sopra e Naruto che come sempre sapeva tenere banco persino dopo un’esibizione intensa.
Poco dopo si avvicinò loro un uomo parecchio giovane, con una sigaretta in bocca appena accesa e l’aria di chi li stava studiando con spirito critico, ma anche un certo divertimento.
“I The Flaming Clouds, giusto?” domandò, scrollando la cenere.
Sakura osservò i capelli lunghi dell’uomo, spettinati e con ciuffi scuri che andavano da tutte le parti, gli occhi altrettanto neri incavati in leggere occhiaie e un accenno di barba non fatto. Lo trovò particolare, anche se non seppe se trovare apprezzabile o irritante il mezzo sorriso sulle labbra sottili.
“Siamo noi – confermò Naruto, facendo per stringergli la mano – e tu sei?”
L’uomo però si limitò a soffiare il fumo e replicare: “Madara. Mi chiamano tutti così. Ma come mi chiamo è irrilevante, forse vi interesserà di più sapere cosa faccio: sono un tecnico del suono e lavoro in diverse case di registrazione.”
Li vide trattenere il fiato, anche quel tizio dai capelli lisci e la faccia a metà tra il trucido e il tentativo di apparire indifferente. La cosa lo fece sorridere, specie perché poi aggiunse, diretto e senza filtri:
“Mi piace quello che fate, come vi esibite: lasciate il segno e questo è fondamentale, perché si tratta di un periodo competitivo, con centinaia di musicisti disposti ad affossarvi, pur di ottenere il successo.”
“Beh, ecco, grazie...” fece per dire Naruto, anche se senza attendere oltre Madara gli parlò sopra:
“Ma, ve lo dico francamente, siete incompleti. Un aborto, sostanzialmente.”
Sakura sgranò gli occhi, battagliera: “Ehi... – però tacque, mentre Naruto si accingeva a protestare e Sasuke lo osservava, correggendosi – spiegati.”
L’uomo gettò la sigaretta a terra, la spense con il tacco della scarpa e ribadì: “Quello che ho detto: siete incompleti. Su, quanto sperate di poter andare avanti con solo un bassista a tenere il ritmo? Avete bisogno di un batterista. Trovatevi un batterista, poi ci vediamo davanti a una birra e ne riparliamo.”
I tre si bloccarono, increduli. Fu Naruto il primo a riscuotersi e commentare:
“Noi pensavamo che proprio la presenza del basso potesse essere un elemento distintivo, Sasuke è bravo e...”
“No – intervenne questi, fissando attentamente l’uomo che aveva gli occhi puntati già da prima su di lui – è vero, il basso da solo è vuoto. Può andare bene per un album, forse due, ma a lungo andare ci precluderemo delle possibilità.”
I suoi due compagni si voltarono a guardarlo, Madara percepì l’orgoglio dietro quelle parole e gli piacque, perché consentiva comunque di riconoscere i problemi.
“Precisamente. E non è mia intenzione perdere il tempo a mia disposizione a seguire progetti già destinati a fallire in partenza.”
“Ma tu non sei un manager. Cosa... cosa ti porta a voler avere a che fare con noi?”
Domandò Sakura, fissandolo, con occhi verdi capaci di portarlo a fermarsi e togliere ogni traccia di sarcasmo malevolo:
“Guardate alle vostre spalle – istintivamente i tre si voltarono verso l’ingresso posteriore dello Studio 66, dal quale proveniva musica e chiacchiericcio di gente – siamo in un’epoca di eccessi, di rivoluzione, di guerra. Amo il mio lavoro, sono stato tra la merda di Woodstock per registrare con Kramer, ho detto addio a un’epoca e voglio accoglierne una nuova, con quello che porta. Non quel circo di pagliacci da dove siete usciti, no: voglio essere il domatore, avere i leoni ruggenti e far sì che la folla idolatri quei leoni, che li segua perché hanno una paura fottuta e al tempo stesso sanno di non poter trovare niente di così bello e potente come loro. Ma per smettere di essere un pagliaccio e di avere a che fare coi pagliacci, il mio lavoro da solo non basta, devo guardare oltre.
E voi mi ispirate quel cambiamento che stavo cercando, ma non così, non come siete. Non so cosa uscirà fuori dopo, magari troverete un ciccione di merda pieno di soldi che vi prometterà miniere d’oro e montagne di successo, magari io me ne andrò a ‘fanculo in uno studio di registrazione fuori da New York, ma a prescindere... lo dico per voi: trovatevi un cazzo di batterista.
Ci vediamo.”
Si sistemò meglio la giacca e fece per allontanarsi, quando Naruto lo fermò, catturato da quelle parole:
“Madara, aspetta! Troveremo il batterista. Ma tu dove sarai?”
“Questo è un locale che frequento spesso.”
Il chitarrista allora gli sorrise e annuì, promettendo qualcosa di vitale in quello sguardo. Con uno scatto rapido, Naruto si girò verso i due compagni, con aria pericolosamente esaltata.
“Dove lo troviamo un batterista di cui fidarci, ora? – domandò Sakura, per poi assottigliare gli occhi, stringersi nel maglione e concedere – ok, lasciami indovinare: hai l’aria di uno che lo sa. Spara.”
Naruto passò dal guardare prima lei, poi l’amico, e replicare: “Oh, lo sa anche Sasuke: a chi stavo pensando?”
Il bassista lo fissò un istante, poi roteò gli occhi e scosse la testa: “No. No, scordatelo.”
La donna li osservò, infine incalzò: “Quindi?”
Naruto le prese le mani ed esclamò, facendo voltare qualcuno dei presenti: “Shisui! Il cugino di Sasuke!”
“Quello mezzo partito a Woodstock? Cioè, molto, molto più partito di noi?” Domandò la ragazza, perplessa e in un certo senso divertita.
“Sì. Beh, insomma, lì si è un po’ lasciato andare ma è geniale. In qualche forma. E alle superiori suonava la batteria. Secondo me se lo convinciamo ci può stare.”
Sasuke tornò a sentirsi osservato con vivida aspettativa da parte dei compagni, infine cedette, esasperato:
“E va bene, va bene, poi non ditemi che non vi avevo avvisato che è un cazzone.”
Ma Naruto aveva un’aria così su di giri da ma a noi cazzoni piacciono che Sasuke non protestò oltre e finirono per bersi un’ultima birra, ritirare gli strumenti e separarsi, con la promessa di reclutare il quarto e ultimo componente dei The Flaming Clouds.

La stanza di Shisui Uchiha era un completo disastro, meglio ancora, un incrocio tra il frutto di un’esplosione atomica e una discarica, anche se il ragazzo sosteneva di sapere dove trovare le proprie cose in un disordine altamente organizzato. Non che qualcuno gli credesse, ma tanto bastava per evitare che sua madre, approfittando delle numerose giornate in cui il figlio era fuori per gli studi universitari o per il lavoro part-time, decidesse di dare fuoco a tutto quell’accumulo di oggetti inutili raggruppati in pochi metri quadrati.
Appese alla parete c’erano però, ancora ben visibili, le fotografie scattate da Itachi ai tempi in cui aveva molto più tempo libero e Shisui passava intere ore con lui nella camera oscura, costruita in mansarda per attendere e controllare lo sviluppo delle foto.
Una passione, a dire di Shisui, mai coltivata in piena libertà, dato che il padre di Itachi faceva molta pressione per gli studi e per portare avanti una carriera degna di quel nome, dato che già Sasuke con quella storia assurda della band gli dava notevoli preoccupazioni. Ma in ogni caso, la passione era per sempre e Itachi non aveva mai davvero rinunciato alla fotografia, al punto che il cugino riteneva dover essere quella la sua professione principale e non il chiudersi in qualche banca a far di conto nell’aspirazione di ascendere la scala sociale.
Non fece in tempo ad alzarsi dal letto e spendersi in altre considerazioni che sua madre bussò alla porta e, logicamente, senza nemmeno attendere un suo consenso – cosa che aveva comportato spesso sbrigative sistemazioni dei pantaloni durante atti non esattamente casti – l’aveva aperta per annunciare:
“Shisui, c’è Sasuke con il suo amico.”
Il ragazzo annuì, si grattò l’accenno di barba giovanile e salutò il cugino che dopo un ringraziamento rivolto alla zia entrò nella stanza, seguito da Naruto.
“Ehilà, a che devo la visita? New York vi ha prosciugati per le troppe serate? Ti vedo stressato, cuginetto.”
Si alzò in piedi, indossando le infradito mentre i pantaloni larghi gli lasciavano quasi scoperte parte delle natiche.
“Vedo di arrivare al punto, perché, davvero, non so Itachi come fa a stare qui dentro quando viene a trovarti.”
“Infatti non stiamo qui dentro.” Replicò Shisui, con un velo di malizia e un sorrisetto sardonico.
Sasuke lo fissò un istante ma, mentre Naruto ridacchiava, proseguì: “Ho una domanda da farti, voglio l’onesta verità: sapresti ancora suonare la batteria?”
Shisui lo fissò, bloccando il sorriso in una paralisi di stupore, per poi domandare a sua volta, appoggiando le natiche sulla scrivania, tra una serie di libri e schizzi di disegni:
“Ehi, ehi, a cosa devo questo improvviso interesse?”
Sembrò conoscere già la risposta e divertirsi semplicemente a pungolarlo. Il cugino borbottò qualcosa, ma fu Naruto a spiegargli, con trascinante entusiasmo:
“Ci hanno fatto notare che ai The Flaming Clouds manca un elemento fondamentale, la batteria. Se tu puoi riprendere a suonare, avremmo pensato a te come batterista. Sei carismatico, sai metterti sotto a lavorare quando serve e... beh, chi meglio di te per le grandi cose che abbiamo in mente?”
Sasuke roteò gli occhi, nauseato da tutti quei complimenti persino troppo sinceri, mentre Shisui allungò le gambe, sfogliò distrattamente un libro e roteò la mano domandando:
“Aspetta, quindi staresti dicendo che sono super affascinante, capace di distinguermi in mezzo a un mare di cessi a pedali, duro lavoratore, talentuoso...”
“Sì, Shisui, sì, sei figo e tutto il resto, quindi, la batteria – tagliò corto Sasuke – sai suonarla oppure no?”
Shisui rimase un istante in silenzio, quella volta intento a riflettere in maniera seria, infine replicò saltando in piedi con uno scatto:
“Devo riprenderci la mano, ma ovvio che mi ricordo come si fa. Dovremo lavorare un sacco, davvero un sacco assieme, sicuro di reggere, Sasuke?”
Lo provocò, ridacchiando appena. L’altro ribatté: “Ovvio.”
“Grazie – aggiunse Naruto – mi rendo conto che è un salto nel vuoto e che a tua volta hai un mucchio di impegni, ma sono convinto che verremo ricompensati.”
Shisui si portò all’indietro un ciuffo dei folti capelli mossi, scrollò le spalle e ammise: “Beh, riuscirò a gestirmela e, sai, se qualcuno vi ha fatto notare delle cose è perché gli siete piaciuti. Credo che già questa sia un’enorme conferma del potenziale. La vita è una sola, tanto vale tentare e non pentirsi delle occasioni mancate, no?”
“La penso come te.” Ammise Naruto.
Shisui batté una pacca sulla spalla a entrambi e annunciò: “Andiamo, prendiamo la macchina. Vi porto al diner: lì ci prendiamo una birra, festeggiamo le occasioni acchiappate e annunciamo a Itachi il nostro grande progetto!”
“Itachi?” domandò schivo Sasuke, mentre Shisui stava già afferrando la giacca.
“Già, Itachi. Qualcuno dovrà pure fare le foto per la copertina dei nostri album, no?”
“Tu sogni.”
“Nah, io penso in grande.” Ribatté e Sasuke finì, suo malgrado, per sorridere.
Con una birra e quattro chiacchiere avevano confermato il loro batterista e, con una telefonata a chilometri di distanza, confermato anche il loro fotografo e primo fan, Itachi, che non avrebbe dunque mai rinunciato a fotografare. Soprattutto Shisui, il suo soggetto preferito; quando era nudo sul letto dopo aver fatto l’amore, per parlare anche se doveva tacere di fronte al resto del mondo.
Luci e ombre: così era la vita, la fotografia era solo un modo per ritrarla.

10 aprile 1971

Poche settimane dopo quella fatidica giornata del marzo 1970, Madara aveva assistito a una rinnovata esibizione dei The Flaming Clouds, in quel caso con un nuovo batterista fiammante. Dando prova di grande presenza di spirito, il recentissimo acquisto della band aveva prima fatto roteare le bacchette, poi era riuscito a riprenderle senza farle ruzzolare a terra e infine aveva attaccato con un giro di batteria piuttosto semplice ma energico. Si sentiva che doveva ancora allinearsi con il resto del gruppo e fare suo sia lo strumento che i pezzi, ma per essere passate poche settimane i quattro avevano compiuto davvero un miracolo per riuscire a esibirsi così in fretta, oltre chiaramente ad aver messo anima e corpo nel provare ogni notte.
Dunque, proprio perché adesso sia sonoramente che visivamente funzionavano, oltre che per la dedizione, Madara li raggiunse e propose loro una collaborazione con la casa discografica dove stava lavorando, casa che aveva conosciuto pezzi grossi del rock e poteva mantenere le promesse, ma allo stesso tempo poteva affossarli con uno schiocco di dita, questo Madara lo aveva messo ben in chiaro.
Ma quel gruppo di quattro pazzi non era spaventato, solo esaltato e pronto a quel salto nel vuoto, con tutte le conseguenze del caso. Erano giovani, ma non completamente stupidi.
Alla casa discografica la loro demo era piaciuta, come era piaciuta la figura di Sakura e l’idea che fosse totalmente fuori dagli schemi, specie perché cantante in un gruppo di uomini nel quale ciascuno aveva una sua importanza; nulla come Joan Baetz, la Joplin che nel frattempo era stata trovata morta per overdose il 4 ottobre del 1970 in un albergo di Hollywood, o Jimi Hendrix che solo un mese prima era stato trovato soffocato nel vomito in un appartamento affittato a Londra.
Insomma, se quell’anno aveva portato via tante figure soliste accompagnate da una band destinata a cadere nell’anonimato, nel 1971 trionfarono in grande stile i The Flaming Clouds con una donna talentuosa e dalla voce graffiante, ma anche un chitarrista che sapeva tenere la scena, un batterista eccentrico e un bassista più introverso eppure di indubbia bellezza e fascino oscuro che scatenarono la curiosità delle giovani dell’epoca, per quanto la critica stessa ne cominciasse ad apprezzare il talento musicale.
Infatti tutti i mesi successivi dall’incontro con Madara e dall’approvazione della demo da parte della casa discografica, vennero passati a produrre pezzi nuovi da inserire in un primo album capace di racchiudere il loro stile genuino, per quanto forse ancora acerbo nella genialità dei pezzi un po’ folli e carichi di sperimentazione. Continuavano a esibirsi per presentare in anticipo qualche nuovo singolo e così ampliare la cerchia di fan, iniziando a far parlare di loro, spesso anche per fatti più legati allo showbusiness, come le esibizioni a torso nudo del chitarrista o gli shorts indossati da Sakura che, assieme ai capelli, sarebbero diventati il suo marchio di fabbrica.
Così, già chiacchierati e attesi, il 10 aprile del 1971, a pochi giorni dall’uscita del loro primo album Higher and Higher, i The Flaming Clouds aprirono il loro tour negli Stati Uniti, proprio a New York, dove sarebbero ritornati per la tappa finale, così da omaggiare la città che li aveva accolti sin dagli esordi.
Il loro singolo Good for Me aveva scalato rapidamente le classifiche e l’incalzare perfetto della batteria accompagnata dal basso era diventato un simbolo musicale di quel periodo, passato in radio e noto per il suo testo dalle note ribelli, capace di esprimere il potenziale artistico dei componenti e di identificarli in quel mare di novità e di addii ai grandi della musica.
Con quelle premesse, le vite rivoluzionate e l’inizio del successo, Naruto si accingeva a salire sul palco, l’ultimo dei suoi compagni. Doveva entrare già suonando la chitarra, in un assolo trascinante che avrebbe decretato l’apertura in grande stile di una lunga serie di concerti.
Nella penombra del dietro le quinte, tra tecnici, elettricisti, esperti d’illuminazione, Naruto sfiorò le corde della propria chitarra, comprata non appena avevano ricevuto entrate dal contratto annuale stretto con la Green Leaf Records. Controllò la respirazione per cercare di calmarsi, anche se sentiva allo stesso tempo un’esaltazione profonda, di quelle da far girare la testa.
Aveva bevuto qualcosa, fumato altrettanto, ma per quanto già fosse stata offerta loro eroina, Madara aveva preso a botte e cacciato chiunque ossasse proporla ai componenti del gruppo dicendo, testuali parole, che la droga potevano anche ficcarsela in culo e che nessuno dei suoi ragazzi si sarebbe fottuto con quella merda, li avrebbe uccisi prima.
Per quanto pignolo, rompicoglioni, maleducato e spietato, Madara teneva davvero a loro, anche se si era ritrovato sostanizalmente nello scomodo ruolo di manager perché credeva in quei ragazzi più di quanto ci credesse la casa produttrice, cosa che lo aveva portato a sostenerli e a lavorare come un pazzo per stare dietro anche al suo ruolo di tecnico del suono. Naruto considerò a posteriori tutte quelle cose e quanto il loro scorbutico e insofferente manager avesse sacrificato per loro. Si sentì in colpa per non averlo mai ringraziato abbastanza.
Quella sera, dentro la sua testa però lo ringraziò, così come ringraziò i suoi compagni. Incrociò gli occhi con Sasuke e il cuore perse un battito, perché sapeva che la prossima volta che si sarebbero guardati sarebbe stato su un palco, davanti a tutta quella gente.
Non erano più andati a letto assieme, se non con Sakura, in uno sperimentale intreccio di anime e sentimenti. Si rese conto che senza di lei mancava qualcosa, c’era la passione, ma dopo il legame stretto in sala prove, le bevute, gli incontri con altra gente, loro due, soli, cadevano in una sorta di imbarazzo e disperata attrazione che si concludeva magari in un bacio, ma nulla di più. Era Sakura a scardinarli, a viverli e farli vivere, con disinibita ecletticità e passione; la amavano entrambi, Naruto non aveva dubbi, e lei amava loro.
Ma Sasuke... Naruto non riusciva a concepire l’idea di non poterlo vedere più un giorno, sarebbe stato come amputare una parte di sé. Anche quello, come i grazie mancati, non glielo disse mai, forse perché era egoisticamente convinto di leggere la stessa cosa negli occhi dell’altro.
Occhi che quella sera erano seri, concentrati, eppure impazienti, impazienti di salire gli ultimi gradini ed esordire sul palco.
Si sfiorarono con la mano, Naruto sentì i brividi e li avvertì anche Sasuke. Naruto pensò che dopo il concerto avrebbe voluto scopare, prendere Sasuke da dietro e sentirlo afferrare con le mani per strappargli la pelle e chiedergli di dargli di più, divinità esaltate dalla folla, mentre Sakura l’avrebbe baciato e le sue labbra sarebbero state sue, marchiate e succhiate in un diluvio di alito dolce e retrogusto di birra, mentre sigarette consumate a metà fumavano nuvole sopra le loro teste.
Harry vide finalmente i suoi compagni salire sul palco, passando oltre le tende. Udì le acclamazioni della folla, immaginò i gesti di saluto collettivo, il salto energico da parte di Sakura che aveva bracciali larghi e tintinnanti, una maglietta dipinta da lei schizzando vernice e gli shorts con cui sarebbe stata immortalata nelle primissime foto scattate in una gloria bruciante d’artista.
Avvertì il cuore rimbombargli fin nella testa, la cassa toracica esplodergli.
Espirò.
Chiuse gli occhi, poi li riaprì. Pochi istanti dopo, aprì anche la tenda, le luci dei riflettori lo inondarono per un istante, il calore del palco, il respiro dei compagni che ritenne così vivo dentro di sé da sembrare stessero già suonando. Toccò le corde, mosse il plettro e le prime note riverberarono dagli impianti: la folla in visibilio applaudì, quasi fossero testimoni di un’annunciazione. Le luci del palco illuminarono in maniera divina Naruto che guardò il suo pubblico di ombre, cominciando a suonare per loro.
Shisui attaccò con la batteria e Sasuke lo imitò con il basso. Al giro seguente, staccando il microfono come se fosse stato un fiore, Sakura cantò e la gente comprese che stavano testimoniando l’inizio di una nuova storia, diversa, folgorante, rispetto a tutte quelle che credevano di aver già conosciuto.
Seguirono la scaletta, altre volte improvvisarono, spinti dall’onda del momento, dalle richieste, da uno scambio di sguardi che diceva facciamolo, cazzo! Con il sudore lungo la schiena, accaldati, eccitati, Sasuke e Naruto si guardarono.
Naruto lo vide, il suo uomo, scorse in un attimo di perfezione le vene gonfie di vita e avide di sangue come di battiti frenetici, notò l’ombra del suo collo asciutto lungo la canotta grigia, soffermò gli occhi sul pomo d’Adamo e la deglutizione mentre le dita affusolate, bellissime, giocavano con le corde del basso.
Era il momento dell’assolo di chitarra. Quell’assolo Harry, il ragazzo del ramen, lo stupido che lavorava in campagna sotto il sole cocente e sognava, sognava cantando blues contando i calli delle proprie mani, se lo era immaginato ogni notte, in quegli ultimi giorni. E in nessuna di quelle notti era mai abbastanza, mai all’apice di quell’onda di esaltazione collettiva, come se non riuscisse a tradurre in corde e scale ciò che sentiva.
Si umettò le labbra e Sasuke lo guardò ancora, il busto voltato verso di lui. Naruto smise di pensare, trattenne il fiato e gli sorrise. Iniziò a stridere sulle corde, a tenderle sotto il peso dei polpastrelli, ad avvertire la robustezza elastica e l’assedio feroce dei tasti che le soffocavano fino a farle vibrare. Pensò per un attimo di romperle e strapparle via, di morderle come se la sua bocca fosse stata una cassa di risonanza dalla quale gridare quanto amava e quanto era felice di quel momento, della sua vita, dell’esistenza che nel mare di delusioni aveva saputo comunque regalargli altro, qualcosa di bello, qualcosa per cui dire non ho lottato per nulla.
Non poteva baciare Sasuke, non in quel momento. Ma avrebbe voluto. E si disse che forse il basso era lì per un motivo, come il palco e le luci e l’istante meraviglioso in cui erano davvero unici e assieme.
“Sì.” Mormorò.
Sorrise, ma gli occhi erano fuoco, passione, calore, quel calore che faceva sudare e non consumava, non era l’incendio divampante, era energia. E con quell’energia si piegò sulle ginocchia, le fece strisciare a terra, sul palco calpestato e si chinò di fronte a Sasuke che non si mosse, continuando a suonare, con i suoi capelli d’ombra che ogni tanto gli sfioravano le ciglia e la pelle chiara di stelle. Qualcuno gridò, esaltato, qualcun altro cercò di capire ma la musica era talmente travolgente da far scorrere i pensieri.
E sotto gli occhi della folla, Naruto sollevò i propri. Fece scivolare le mani sulle corde, vibrarono e il suo cuore martellò andando a mille. Incrociò lo sguardo con Sasuke: lo vide trattenere il respiro, scorse il ventre asciutto ritrarsi come se le viscere potessero rifugiarsi in una conchiglia.
Allora, onda e spuma, l’oceano di parole non dette, Naruto aprì la bocca e così, in un gesto di passione, leccò le corde bollenti del basso. Avvertì il loro sapore metallico e poi, un istante dopo, sfiorò le dita di Sasuke, le sentì leggermente ruvide e bollenti, gonfie per la circolazione e quel caldo che li legava, come il pensiero, come le note che loro avevano creato su fogli e desideri.
Dall’alto, Sasuke contemplò Naruto, la sua testa su di sé, sul proprio basso, gli occhi limpidi, agitati e sfrontati che lo guardavano, mentre l’umidità della lingua gli toccò la pelle, e se lo sentì duro, perché fu come se glielo stesse succhiando mentre gli rigettava addosso il mare.
Ogni cosa attorno a loro andò veloce, ma anche le dita sulla chitarra, la batteria e quelle corde del basso che vibravano fin dentro le orecchie di Naruto. Eppure lui paradossalmente era fermo, la sua testa, i suoi occhi; anche Sasuke nella sua testa era immobile: si resero conto del desiderio e della vita frenetica attorno a loro e di essere stati talmente veloci, impulsivi, catapultati nelle stelle, schizzando tra asteroidi dei secondi che correvano rapidi, proiettati nello spazio, da essere andati oltre. Suonavano blues cosmico davanti al pubblico esaltato, sbalordito ed altrettanto eccitato che li applaudiva, i loro cuori in fibrillazione per un perfetto, meraviglioso, sovraccarico interstellare.



20 dicembre 1994

Sakura si versò da bere fino a svuotare del tutto la bottiglia. Madara la guardò, spegnendo l’ennesima sigaretta. La moglie si tolse le cuffie e si massaggiò gli occhi, per poi ammettere:
“Cavoli. Quante cose abbiamo fatto in quegli anni.”
“Vero, dei pazzi fottuti. Avevate il mondo in mano.”
Sakura lo guardò, osservando le sfumature bianche dei suoi capelli ancora tenuti lunghi e le rughe sul volto, leggere, per avere molti anni in più rispetto a lei. Madara era stato sempre un uomo bellissimo, anche se difficile; scioccamente, Jane parecchie volte si era chiesta quanto successo avrebbe avuto Madara come cantautore, visto lo sguardo magnetico e il suo eccellente orecchio musicale.
“Sai – ammise la donna, sfiorandogli con un dito la mano – è grazie a te se siamo arrivati fino a qui. Se siamo vivi. Come dicevi tu, ci saremmo fottuti il cervello molto tempo prima.”
L’altro schioccò la lingua, sbottando qualcosa di rimando, ma fu solo dopo diversi istanti che si alzò e con le mani in tasca guardò il secondo album dei The Flaming Clouds, la cui foto di copertina era stata incorniciata con cura da Sakura. Come Shisui aveva voluto, presentava una foto che Itachi aveva scattato a loro quattro, ciascuno intento a sporgersi da una finestra diversa.
Out of the world.
Che nome arrogante ma perfetto per loro che aspiravano ad andare sempre più in alto, fin nello spazio. D’altronde già nel ’71 Naruto aveva fatto un pompino al basso di Sasuke, da lì in avanti potevano solo osare di più e sfidare i benpensanti dell’epoca. E lo avevano fatto, reinventandosi ogni volta. Finché era scoppiata e nemmeno Naruto, con il suo entusiasmo e la sua carica, aveva potuto far granché per far convergere le diverse necessità di ognuno.
Si voltò verso la moglie quando ammise, ripensando a come all’epoca anche il rapporto tra di loro fosse mutato: “Il mio primo errore, Sakura, è stato innamorarmi di te. Ho smesso di essere imparziale come avrei voluto. Il problema era che eravamo stronzi entrambi, ma io di più e, ne sono convinto, più innamorato. Una combinazione pessima.”
Sakura fece ondeggiare il vino. Le sue parole non la ferirono, erano vere, le facevano male, ma proprio perché consapevole di ciò che era stata, la cantante apprezzò la sincerità e comprese il discorso di Madara.
“Tu mi hai sempre affascinato, Madara. E mi dispiace che tu abbia visto la parte peggiore di me, quando la mia bolla fragile di illusioni è miseramente crollata e... ho lasciato il gruppo. Ma mi hai accettata comunque e io ho accettato te, le tue spigolosità che non mi hanno mai reso le cose fragili. Suppongo che se non ti avessi a mia volta davvero amato – sospirò, con gli occhi leggermente lucidi – non saremmo arrivati fino a questo punto.”
Madara espirò a sua volta, poi prese la sedia e si avvicinò alla moglie, guardandola negli occhi:
“All’epoca hai preso una decisione difficile, potenzialmente autodistruttiva, ma la migliore, per tutti e tre. L’amore... suvvia, l’amore è una merda: non rende mai le cose chiare e comporta sacrificio, soprattutto quando ci si rende conto che non è ricambiato. Ma è allora, nella separazione, che si può davvero ricominciare a esistere.”
La donna lo guardò. Si portò le dita sulle labbra, come per frenare il leggero tremito. Infine espirò ma non aggiunse altro, perché di tanto in tanto per tutti quegli anni il senso di colpa per aver lasciato i The Flaming Clouds si faceva sentire. Aveva avuto successo, nulla da rimpiangere in quel senso, ma avrebbe sempre, sempre, avvertito la mancanza dei momenti coi suoi compagni. Quando se ne era andata, esasperata dalle divergenze artistiche tra Sasuke, che voleva maggiore sperimentazione, e Naruto, che insisteva verso la strada del rock orecchiabile e un po’ pazzo, Sakura fingeva di averlo fatto perché in quel modo i due testoni avrebbero dovuto rimanere uniti. Le menti creative non potevano pensare di dividersi senza mandare in fumo tutto quello che avevano progettato fino ad allora. Ed effettivamente così era stato: con determinazione e dolore, si erano rimboccati le maniche e Naruto aveva cominciato anche a cantare.
Eppure, una parte di sé, della donna dei ciliegi, all’epoca della separazione era triste, amareggiata, svuotata dalla consapevolezza che Naruto e Sasuke sarebbero stati sempre su un piano diverso dell’esistenza, per lei inaccessibile. E a venticinque anni d’età, con una carriera alle spalle e un futuro ancora più brillante, Jane aveva bisogno di sentirsi amata, amata pienamente e in quella maniera un po’ egoistica con la quale si vorrebbe sempre essere desiderati da un altro essere umano. Quell’essere umano sorprendentemente fu Madara che la scuoteva e si incazzava quando lei si buttava giù e le diceva di essere bellissima, geniale, baciandola, fino a sciogliere in un pozzo strabordante i sensi di colpa, annegati ma mai seppelliti.
Le mancavano, i suoi ragazzi. E lei si era sempre vergognata troppo, stupidamente forse, per essersene andata e per aver smesso di parlare con loro; parlarci, infatti, all’epoca le era sembrata un’idea pericolosa, perché sarebbe ricascata in quella spirale di illusioni.
Fece per alzarsi, ma qualcuno suonò alla porta. Lei si voltò verso Madara e, quando suonarono di nuovo, domandò:
“Aspettavamo un corriere?”
“Credo di sì. Avevo un ultimo regalo per Natale, meglio tardi che mai.”
L’uomo si alzò e per qualche istante Sakura rimase immobile, guardandolo andar via. Udì i suoi passi, la porta aprirsi e un silenzio improvviso. Il proprio cuore cominciò a battere più forte, senza motivo.
Si alzò, quasi in maniera automatica, poi coi piedi scalzi iniziò a camminare veloce, sempre più veloce. Man mano che avanzava verso l’ingresso, il cuore le risalì fino in gola e lei respirò con la bocca, come colta da un senso d’agitazione e d’impazienza.
Però, si bloccò. Si bloccò quando vide il corriere sulla soglia d’ingresso, anche se il cuore continuava a battere impazzito, rimbombando nelle orecchie.
“Naruto... – mormorò – Sasuke...”
Sentì gli occhi lucidi e aprì ancora la bocca, ma emise un rantolo e decise che non avrebbe pianto, ma stupidamente lo fece comunque e iniziò lenta a camminare, poi si bloccò, confusa, emozionata, nel suo personale sovraccarico interstellare.
Sasuke le sorrise, non aveva saliva per deglutire, agitato. Aveva qualche capello bianco, leggere rughe attorno ai suoi occhi dal sapore orientale.
Fu infatti Naruto a mormorare, con voce ancora bassa per via della recente operazione:
“Siamo ancora qui, Sakura.”
Quest’ultima si morse il labbro, che tremò. Tirò su con il naso, poi annuì, come per dire va bene, va bene, non volevo altro, mi siete mancati, mi siete mancati così tanto.
Corse. Corse e li abbracciò, loro la abbracciarono, mentre si tenevano per mano; perché si amavano, sì, Naruto e Sasuke erano uniti, oltre le nuvole e le stelle, in uno spazio dove volevano anche Sakura, e Madara e Shisui e tutto quello che avevano compiuto in quegli anni, da Woodstock ad allora, interi decenni con lei e senza di lei, chiedendosi quando avrebbero avuto a loro volta il coraggio di chiederle di provarci ancora, fino alla fine.
Madara indietreggiò di qualche passo. Prese una sigaretta e se l’accese, quindi li osservò un’ultima volta prima di andarsene di là con un pretesto qualsiasi. E in quell’istante, quando li guardò tutti e tre assieme, abbracciati, in lacrime, Madara non vide tre adulti con ormai tanti anni sulle spalle, anni di delusioni, trionfi, sogni e aspettative. Vide invece i tre ragazzini di un tempo, quelli che nel ’69 avevano sguazzato nel fango, parlando di quei sogni e delle stelle, del fuoco e di come il mondo poteva bruciare per tutto l’amore che avevano da dare. Sentì i discorsi ascoltati in nastri vecchi durante quei giorni, le battute scambiate, le promesse e le correzioni, parole dimenticate che scorrevano sulle incisioni come le dita su di una chitarra.
Vide Sakura coi capelli nuovamente rosa, brillanti, i suoi shorts e le magliette slargate, vide Naruto a torso nudo coi pantaloni di pelle e la chitarra in mano, quando la elevava fino in cielo, poi vide Sasuke che aveva di nuovo i capelli lunghi, per difendersi con le proprie ombre mentre la canotta grigia gli avvolgeva il torso asciutto che si dilatava in grandi respiri d’amore.
Li vide innamorati e felici. E carichi di una comprensione maggiore: che il fuoco non sempre brucia per distruggere. A volte brucia per creare energia, e calore. E quel calore era l’abbraccio dopo anni di distanza, in una casa, con una luce e la certezza che le separazioni o le lontananze, in fondo, non contavano nulla: quel calore era per sempre, stretto attorno al petto di un cuore di fuoco.



Note:
1 Studi di registrazione realmente esistenti in quegli anni.
2 Omaggio allo Studio 54 aperto a New York nel '77, dove davvero l'obiettivo era fare parties da fine del mondo.
3 Chitarrista dei Pink Floyd entrato progressivamente in sostituzione dell'allora leader Syd Barrett.
4 Il 17 settembre 1967 il batterista Keith Moon, durante uno show e la performance di My Generation, aveva caricato la batteria con delle bombe carta che sono esplose alla fine, facendo quasi volare la band giù dal palco. Pete Townshed ha avuto problematiche al timpano, in realtà aggravate negli anni dall'amplificazione dei suoni troppo alta.
5 giapponesi di seconda generazione in America.
6 In effetti David Bowie all'epoca non aveva avuto grandissimo successo di vendite e si dedicava a molti spettacoli di tipo quasi teatrale. Bowie sarà noto per interpretare appunto personaggi nei suoi album e narrarne le loro storie, da Ziggy Stardusta al Duca Bianco.




Sproloqui di una zucca

Era da tempo che non scrivevo di Sasuke e Naruto, nonché Sakura. Ci tenevo dunque a farlo in una chiave diversa ancora e in un contesto altrettanto particolare. Se ci fosse qualcosa di non chiaro o qualche curiosità in merito al periodo, non esitate a chiedere.
Cara Eleonora, spero davvero che la storia ti sia piaciuta, che ti siano piaciuti Sasuke e Naruto assieme, per quanto fuori dal normale.
Ancora tanti auguri di buon natale!


P.s. il titolo della storia è un mix tra la canzone (e band di supporto) di Janis Joplin, Kozmic Blues, e la canzone dei Pink Floyd Interstellar Overdrive.
P.s. 2 la scena di Naruto che lecca il basso di Sasuke è ispirata al film Velvet Goldmine


   
 
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