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Autore: pattydcm    30/12/2018    2 recensioni
Sherlock si risveglia ferito in un luogo sconosciuto. Si rende conto ben presto che colei che lo ha tratto in salvo non è del tutto sana di mente. Dovrà far fronte ai modi bruschi e violenti di lei e tentare di sopravvivere ai suoi sbalzi d'umore e alle sue differenti personalità. Nessuno sa dove si trovi. Può solo sperare che qualcuno si attivi per cercarlo. Chiunque, ma non John Watson. Del dottore, infatti, non vuole saperne più nulla...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Ciao a tutti!!
Sì, lo so, avevo detto che mi sarei presa una pausa e invece eccomi qua dopo poche settimane dalla conclusione della long. Il fatto è che mi sono messa a riordinare le cartelle e ho trovato questa storiella abbozzata ma praticamente conclusa. L’avevo iniziata in un periodo di blocco durante la stesura della long. Stavo affrontando la complessa psiche di Sebastiana Moran/Mary Morstan e ho sentito il bisogno di fare altro. Questo altro devo dire che ha del potenziale e per questo mi sono rimessa su a riempire i vuoti per potervelo proporre. Un modo come un altro anche per festeggiare il mio primo anno di permanenza su EFP, che compirò il 9 di gennaio.
La sfida, in questa storia, è stata per me seguire le orme (molto umilmente) di un altro genio e mio autore preferito: Stephen King. Il primo romanzo che ho letto, nonché il primo film tratto da un romanzo da lui scritto è stato ‘Misery non deve morire’. Ho provato quindi a ispirarmi alla situazione ricreata dal Re mettendoci gli elementi tipici della Johnlock e le atmosfere cupe della ricerca disperata di una persona scomparsa. Inoltre, ho sentito il bisogno di rendere meno idilliaco il rapporto tra i nostri eroi. Certo nella long gliene faccio accadere di tutti i colori, ma alla fine l’amore trionfa eccetera eccetera. Qui ho voluto sperimentare tutt’altro, ma taccio, altrimenti scivolo nello spoiler. Sono soddisfatta del risultato che ho ottenuto e spero vi piaccia. Ho diviso la storia in capitoli per comodità, ma ne posterò più di uno insieme perché voglio velocizzare la pubblicazione. Proprio per festeggiare questo primo anno insieme a voi.
Ovviamente questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Sir Arthur Conan Doyle e la BBC nella trasposizione realizzata da Steven Moffat e Mark Gatiss. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma per il puro piacere di scrivere e di raccontare. Mi farà piacere leggere le vostre recensioni e spero la storia vi piaccia
Buona lettura
Patty
 
 
 
13 novembre
 
Un orologio a pendolo ticchetta in maniera rumorosa. Segna le sei, ma, data la penombra della stanza, non è facile capire se del mattino o della sera.
Il fuoco scoppietta nel camino e deve essere stato aggiunto alla legna qualche rametto di lavanda. La dolce fragranza si espande nella piccola camera attrezzata per gli ospiti.
Un letto singolo molto simile a quello in uso negli ospedali, un comodino in legno stile arte povera con sopra un’abatjour a frange verdi e una scrivania nella parete opposta. La sedia è stata spostata vicino al letto, per accogliere la persona che l’ha portato lì.
Sherlock porta la mano alla testa e si rende conto di due cose. La prima di essere attaccato a delle flebo di quelle che sembrano essere una sacca di soluzione fisiologica, una più piccola di antibiotico e un’altra di morfina. La seconda di avere la testa fasciata. Fa per mettersi a sedere e si accorge del terzo particolare non trascurabile: la sua gamba destra è in trazione. La osserva come appartenesse a un'altra persona. Ingessata da sopra il ginocchio alla caviglia e appesa a dei pesetti grazie a un gioco di carrucole e pulegge.
<< Perfetto! >> esclama lasciando ricadere la testa sul cuscino. Mossa alquanto pessima, che lo porta ad un’esplosione di lucine dietro le palpebre chiuse.
Le informazioni sembrano arrivargli a tappe, cosa che lo fa seriamente preoccupare sull’entità del danno al suo cervello causato dalla botta.
La finestra a mezzo metro dal letto è piena di condensa. Un residuo di neve si è depositato alla base di ognuno degli otto riquadri nei quali è suddivisa. Sembra proprio che là fuori la bufera annunciata, e che lui avrebbe dovuto scampare, stia dando il meglio di sé.
Annusa l’aria e dietro al profumo intenso della lavanda e del legno percepisce quelli di una preparazione culinaria in corso. Brodo di pollo, parrebbe. Verdure bollite anche. Patate e carote. Anche piselli.
<< Cibo da ospedale >> dice disgustato.
Si accorge di essere nudo. Nudo come un verme. Chiunque lo abbia messo su quel letto lo ha spogliato, lavato, medicato e ingessato prima di rimboccargli le coperte di lana infeltrita sopra lenzuola di cotone grezzo.
<< Altri souvenir ospedalieri >> borbotta e lo stomaco inizia a contorcersi. Si guarda intorno alla ricerca del suo cappotto, dei suoi abiti, del trolley che aveva con sè nell’auto a noleggio sulla quale viaggiava, ma non trova nulla. Non c’è neppure un armadio nella quale possa essere stata riposta tutta la sua roba.
<< Direi che non è un buon segno, proprio per niente! >>.
Sente provenire dei rumori al di là della porta. Passi. Pesanti. Lenti. Affaticati. Un borbottio continuo, che diventa sempre più un chiacchiericcio man mano che giunge verso la stanza. Due piani di scale. È stato trasportato per ben due piani. Per quanto sia magro, un corpo incosciente è molto più pesante di uno cosciente.
“Chiunque sia stato a portarmi qui deve essere notevolmente forte” pensa appuntando l’informazione.
<< Gliel’avevo detto io di non correre, ma lui no, niente, non mi ascoltava mai! >>.
Sherlock coglie uno stralcio di quella che sembra essere una conversazione. La voce è molto bassa. Non sa dire se appartenga a un uomo o a una donna. Continua a parlare di questa persona alla quale aveva detto di non correre, ma che non l’ha ascoltata. Insiste proprio su questo punto, su quanto si sia arrabbiata per non essere stata presa sul serio.
“Converrà che non la faccia arrabbiare” pensa, preparandosi a conoscere il suo sconosciuto benefattore.
La porta si apre e la prima cosa che fa il suo ingresso in scena è un vassoio. Due mani enormi dalle dita gonfie, indice di una cattiva circolazione lo sorreggono. Braccia forti sotto la camicia di flanella rossa a righe blu che si incrociano formando tanti quadrati. Braccia abituate a spaccare legna e fare lavori di fatica, per le quali sarà stato un gioco da ragazzi caricarlo e condurlo per due rampe di scale.
Con un gesto rapido la porta viene aperta del tutto e Sherlock si ritrova al cospetto di un donnone enorme che lo guarda, sorpresa di ritrovarlo sveglio.
<< Finalmente hai aperto gli occhi >> esclama posando il vassoio sopra la scrivania. << Iniziavo a temere non ti svegliassi più. Sono tre giorni che dormi e ho dovuto buttare tanto di quel cibo a causa tua >>.
<< Mi dispiace >> dice rendendosi conto di quanto sia molto meglio per lui assecondarla. Potrebbe ucciderlo con una sola mano nella condizioni in cui si trova. Sembra aver fatto la cosa giusta, dal momento che sul volto fin’ora inespressivo compare quello che potrebbe sembrare un sorriso. Le labbra pallide si curvano appena ai lati mutando di poco l’espressione del viso quadrato dalla fronte ampia.
<< Oh, ma certo che ti dispiace >> annuisce soddisfatta. << E per farti perdonare, ora mangerai tutto, da bravo. Non è vero? >>.
Lo stomaco di Sherlock si contrae inorridito. Vorrebbe metterla al corrente del fatto che è impegnato nella risoluzione di un caso e che è solito non mangiare quando lavora, dato che la digestione lo rallenta. Qualcosa gli dice, però, che è meglio non mettersi a discutere con questa donna.
<< Certamente. Il profumo è squisito >> dice trovandosi alle strette.
La sua benefattrice annuisce, posa il vassoio sulla scrivanie e poi, con movimenti rapidi che non le avrebbe mai attribuito, si porta accanto al letto chinandosi su di lui. Sherlock chiude gli occhi, convinto voglia colpirlo con quelle mani grandi. Le usa, invece, per azionare una leva posta sul fianco della rete. La fa girare, sollevando la parte superiore del letto per permettergli di stare seduto.
<< Oh >> si lascia sfuggire il consulente, sentendo il cuore battere impazzito. << Ci voleva proprio, la ringrazio >>.
<< E’ il minimo per poter mangiare, no? >> sbotta lei ancora chinata su di lui. L’alito pesante, indice di cattiva digestione e scarsa igiene orale, lo investe in pieno viso e Sherlock deve sforzarsi di ricacciare giù un conato. Il vassoio gli viene posato bruscamente sotto il naso, rendendo l’opera ancora più ardua.
<< La ringrazio per avermi tratto in salvo >> le dice, cercando di avviare una conversazione che possa fargli ottenere le informazioni che gli mancano per completare quanto ha già dedotto.
<< Mica potevo lasciarti lì! >> esclama. << Mi sei costato i miei scarponi migliori, mannaggia a te. Come ti è venuto in mente di metterti in viaggio con questo tempo >> dice indicando la bufera fuori dalla finestra.
<< Mi hanno consigliato di partire per raggiungere Threlkeld proprio per evitare la bufera >>.
<< E tu hai visto bene di cadere in un nevaio >> dice disgustata, scuotendo il capo. << Vieni dalla città, non è vero? >>.
<< Londra >>.
<< E che ci fa un londinese qui nel nord west? >>.
<< Sono qui per lavoro >>.
<< Che tipo di lavoro? >> gli chiede, osservandolo guardinga. Sherlock decide di continuare a vestire i panni del personaggio fittizio che si è inventato quando ha raggiunto sotto copertura il Lake District Ski Club. Una donna così potrebbe non gradire l’idea di avere in casa un consulente investigativo.
<< Insegnante di sci >>.
<< Oh, sei uno di quegli idioti che insegna agli idioti a buttarsi giù dai monti con ai piedi stuzzicadenti che a chiamarli sci ci vuole davvero un bel coraggio! >>.
Deve ammettere che per quanto sia inquietante si trova perfettamente in linea con questo giudizio.
<< Sì, sono uno di loro >> abbozza un sorriso. << Edward Nolton >> si presenta porgendole la mano.
<< Ma non sei un po’ gracilino per essere un insegnante di sci? >> gli chiede la donna ignorando la mano tesa. Lo scruta attenta, con una luce per nulla rassicurante negli occhi castani, unica parte vitale e mobile di quella maschera informe che sembra la sua faccia. Sherlock teme di aver fatto un bell’errore nel mentirle. << Mio fratello era un insegnante di sci >> dice senza attendere una risposta da parte sua. << Si è fatto fregare dalla neve fresca ed è caduto in un precipizio, maledetto idiota >>. Gli punta contro la forchetta, muovendosi nuovamente con una rapidità inaspettata che lo sorprende. << Mangia! >> intima.
Sherlock afferra la forchetta e si rende conto di essere debole al punto da faticare a tenerla in mano. Pinza una patata mettendoci una notevole quantità di tempo e la porta alla bocca.
<< Oh, che impiastro sei! Dai qua! >> dice a gran voce la donna, levandogli la forchetta dalle mani. << Si inizia dal brodo >> dice pescando un pezzo di pollo dal fondo dell’altro piatto. Lo tira su e senza mezze misure lo spinge nella bocca di Sherlock.
<< Scotta! >> boccheggia questo portando la mano alla bocca.
<< Non sputare! >> ordina puntandogli contro i rebbi della forchetta. Sherlock rabbrividisce al tono deciso della sua voce. Gli occhi feroci con i quali lo minaccia non promettono nulla di buono. Boccheggia ed esegue l’ordine. Gola e palato ustionati erano quello che ci voleva per completare l’opera.
<< Dove sono le mie cose? >> le chiede mentre questa continua a cacciargli in bocca pezzi di pollo roventi.
<< E che ti credi che avevo tempo di prenderle? >> sbotta lei irritata. << Già grazie sia riuscita a prendere te. L’auto è caduta giù appena ti ci ho tolto. I vestiti ho dovuto tagliarteli di dosso per poterti medicare >>.
<< Quindi non ho più alcun abito? >>.
<< Dove pensi di volertene andare con la gamba in quelle condizioni >> lo aggredisce indicando con un gesto del capo il gesso che gliela fascia. << Ne hai per un mese buono, dammi retta. Le strade per Keswick sono tutte bloccate e non mi è stato possibile portarti in ospedale. Potevo lasciarti lì a morire assiderato o portarti qua. Ho pensato fosse meglio portarti qua >>.
<< La ringrazio per la sua gentilezza >> dice abbozzando un sorriso e per tutta risposta lei gli pianta in bocca un ennesimo pezzo di pollo. << Lei è medico? >> le chiede e ovviamente sa già che una donna così può essere tutto tranne che istruita. Necessita, però, di sapere dove si sia procurata tutta quell’attrezzatura ospedaliera.
<< Mio padre lo era e mi ha insegnato >> risponde e via un altro pezzo di pollo. << Quando la neve diventava troppa le persone venivano qui a farsi curare e restavano per il ricovero. Casa nostra si trasformava in un ospedale e io e la mamma dovevamo fare da infermiere >> dice storcendo la bocca. Non doveva esserle piaciuto poi tanto aiutare il padre. << Tu hai qualcuno che ti aspetta a Londra? >> gli chiede guardandolo sospettosa, cosa alquanto strana.
<< No, nessuno >> dice provando un tuffo al cuore per quella domanda e soprattutto per la sua risposta.
<< Nessuno nessuno? >> insiste la donna facendosi ancora più guardinga.
<< Solo il mio coinquilino >> ammette a malincuore, sebbene questi sia totalmente all’oscuro del guaio in cui si è andato a cacciare questa volta.
<< Coinquilino? >> domanda ignorando cosa voglia dire.
<< La persona con la quale vivo >> risponde Sherlock sforzandosi di non mostrarsi inorridito dalla sua ignoranza. Si rende conto troppo tardi di aver detto la cosa sbagliata e nel modo sbagliato.
<< Non sarai per caso un maledetto pervertito? >> tuona furiosa la donna ergendosi in tutta la sua grandezza.
<< Cosa? >> domanda incredulo dinanzi a una tale furia inaspettata.
<< Sei uno di loro, non è vero? Ho perso i miei scarponi per raccattare un frocio senza dio >> ringhia afferrandolo per il collo. Improvvisamente l’aria gli viene a mancare. Sherlock posa le mani troppo deboli su quella grande e forte della donna e cerca in tutti i modi di liberarsi.
Non è la prima volta che le prende da un omofobo. Ha subìto non pochi pestaggi da studente e li ha sempre affrontati con dignità, facendo sfoggio del suo orgoglio gay.
<< No >> sussurra, invece, questa volta, abbandonando anche l’ultima scorta d’aria. << No >> ripete, temendo di morirci nella stretta del pugno di una timorata di dio con la missione di debellare la feccia omosessuale dalla faccia della terra.
Finalmente la donna lo lascia andare e lui succhia rumorosamente grandi boccate d’aria massaggiando la gola. Mille puntini luminosi gli offuscano la vista e un fischio lungo e continuo gli rimbomba nelle orecchie.
<< Davvero non lo sei? >> sente da molto lontano giungere la domanda e si affretta a rispondere, temendo un’ennesima violenza dinanzi a quella che lei percepirebbe come un’esitazione.
<< Sì, davvero >> dice con un filo di voce. << Io… sono fidanzato >> rincara la dose, vergognandosi di quanto questa situazione lo stia facendo cadere in basso.
<< Ma se hai appena detto di non avere nessuno che ti aspetta a Londra tranne questo coinquilino! >> dice pronunciando con disgusto l’ultima parola.
<< Perché Londra è solo una città di passaggio. Io sono originario di Manchester, così come la mia fidanzata >>.
<< Ah, davvero? >> gli chiede allegra la donna, cambiando del tutto atteggiamento. Si siede sulla sedia, pianta i gomiti sulle ginocchia e il mento quadrato tra le mani a coppa. << Raccontami >> gli dice e lo stomaco gli si chiude terrorizzato.
<< Cosa? >>.
<< Della tua fidanzata >> insiste e a Sherlock sembra di ritrovarsi al cospetto di una bambina di sei anni curiosa e impertinente.
<< Lei… lei si chiama Molly >> dice e lo stomaco gli si contorce.
<< State insieme da tanto? >>.
<< Due anni >>.
<< E la rispetti! >> grida tirando su la testa. I pugni serrati portano Sherlock ad annuire in modo convulso.
<< Certo, certo che la rispetto! >> dice in fretta. << Le ho chiesto di sposarmi prima di partire >>.
<< Oh >> sussurra sognante, tornando a posare il mento tra le mani a coppa. << Avete deciso quando? >>.
<< A maggio. Il 20. Lei vuole ci sia il sole >> dice e anche a lui sarebbe piaciuto ci fosse stato il sole anziché la neve, che lo ha portato tra le braccia di questa pazza furiosa.
<< Per allora sarai in grado di camminare, vedrai >> gli dice e il suo volto muta del tutto, assumendo un’espressività infantile e giuliva. << Vi auguro di avere tanti bambini belli, con i capelli biondi come i tuoi e questi occhi fantastici >> dice posandogli la mano sul ginocchio della gamba sana. Non gli piace avere solo il sottile strato del lenzuolo di cotone grezzo e della coperta infeltrita a separarlo dalla mano umida di questa donna.
<< La ringrazio >> borbotta sforzandosi di essere gentile e sorridente.
Sherlock passa la mano tra i capelli che ha tagliato, allisciato e tinto di biondo per indossare i panni di Edward Nolton. Un brivido gli percorre la schiena al pensiero di quando inizieranno a crescere, rivelando il suo colore naturale.
“Non starai qui così a lungo, sta tranquillo” gli dice la voce di John nella sua testa.
“Già, perché tu sai sempre tutto, vero John?” ribatte infastidito da quell’intrusione.
“Non credo sia il momento più adatto per discutere questo, Sherlock”.
<< Bevi il brodo, ti farà bene >> lo invita la donna interrompendo quel muto litigio. Benchè ne farebbe a meno, Sherlock prende il piatto con entrambe le mani e lo porta alla bocca. Deve il più possibile tenerla nella modalità ‘bambina allegra’ se vuole uscirne vivo.
<< Ora le verdure >> insiste pinzando un pezzo di carota che poi gli caccia in bocca senza tanti complimenti.
Sherlock si sente allo stremo. Non ha mai mangiato così tanto, neppure nel migliore dei momenti, e teme di rigettare ogni cosa.
“Pessima idea, Sherlock!” gli dice John. “Cerca di resistere. Magari la cosa positiva sarà che metterai su qualche chilo. Non cucina poi così male”.
Manda a quel paese il dottore e le sue battute fuori luogo, mentre manda giù velocemente una patata vedendo la donna già pronta a piantargliene in gola un’altra.
<< Bravo ragazzo che ha finito tutta al pappa >> cinguetta allegra alzandosi dalla sedia. Prende il vassoio e si avvia alla porta. << Vista la famooona che hai, stasera porzioni doppie >> ridacchia dirigendosi alla porta e a Sherlock vengono le lacrime agli occhi. La donna si volta di scatto e il volto torna duro e privo di espressioni. << E’ stato di tuo gradimento, vero? >> gli chiede e il consulente annuisce.
<< Tutto davvero ottimo, la ringrazio… non mi ha detto come si chiama >>.
<< Mary Abbott >> risponde solenne. << Puoi chiamarmi Mary >> aggiunge allegra.
<< La ringrazio, Mary, era tutto davvero ottimo >> rincara la dose, cercando di dare forma a un sorriso convincente. Sembra riuscirci, dal momento che vede gli angoli della bocca della donna curvarsi leggermente all’insù.
Mary esce dalla stanza chiudendo la porta dietro di sé e Sherlock si abbandona contro il cuscino, rendendosi conto solo ora di quanto sia rimasto teso e immobile. Lo stomaco è in subbuglio per il grande quantitativo di ansia e cibo che ha introdotto e lo sente pronto a dire la sua esplodendo in un conato. Sherlock chiude gli occhi e si impone di respirare lentamente. Gonfia e sgonfia addome e diaframma per sedare il panico che sente nascergli sotto la pelle e placare lo stomaco.
“Calmo, Sherlock!” gli dice John. “Devi stare calmo. È possibile che ci vorranno giorni prima che si accorgano della tua assenza a causa di questa maledetta bufera e tu devi resistere. È pazza. Totalmente pazza, ma sembra le basti vederti obbedire e se ciò comporta qualche pasto di troppo direi che si può fare, non credi”.
<< Sì, John, si può fare >> sussurra, più per accontentare quella voce e sperare che taccia. Non ne è affatto convinto, infatti. C’è qualcosa in quella donna che lo inquieta. Qualcosa che lo porta a pensare che il suo soggiorno in questo luogo sarà tutto tranne che facile.
 
   
 
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