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Autore: Blue Chrysalis    05/01/2019    1 recensioni
{Worst ending / Cyberlife wins}
Quando un coniuge perdeva la sua metà, lo chiamavano vedovo.
Quando un bambino perdeva i genitori, lo chiamavano orfano.
Ma quando era una madre a perdere un figlio, era troppo orribile perché potesse esistere una parola per definirlo. Terribile e terribile e terribile. E Kara lo sapeva. Era come sentirsi dilaniati dall'interno. Ed era assurdo, perché gli androidi non conoscevano il dolore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice Williams/YK500, Kara/AX400
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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CHE COSA HAI FATTO, KARA?

 

 

Quando un coniuge perdeva la sua metà, lo chiamavano vedovo.

Quando un bambino perdeva i genitori, lo chiamavano orfano.

Ma quando era una madre a perdere un figlio, era troppo orribile perché potesse esistere una parola per definirlo. Terribile e terribile e terribile. E Kara lo sapeva. Era come sentirsi dilaniati dall'interno. Ed era assurdo, perché gli androidi non conoscevano il dolore. Non erano programmati per provarlo. Non erano progettati per le emozioni. Ma avrebbe giurato di sentirlo. Lo strappo, il thirium che scivolava giù per le viscere, che circumnavigava il ventre, che gocciolava a terra in cerchi bluastri. Ogni circuito distrutto, ogni filo elettrico sradicato come un fiore dal terreno, le radici esposte, nude e spezzate. E il danno ormai irreparabile.

Come quello che aveva fatto ad Alice.

Non avrebbe mai dovuto disobbedire a quel suo padre-padrone, quel maledetto giorno. Non avrebbe mai dovuto correre su per le scale, i gradini scavalcati a due a due in una lotta contro il tempo, i capelli sfuggiti dalla coda che le frustavano le guance e la divisa della Cyberlife spiegazzata. Non avrebbe mai dovuto impugnare quella pistola e premere il grilletto, sentendo il sangue di quell'uomo scivolare sulle dita, caldo, del tutto differente dal suo. Non avrebbe, mai e poi mai, dovuto prendere la mano di quella bambina e portarla con sé. Giù per la finestra, lungo i marciapiedi sporchi, spalla contro spalla sui sedili dell'autobus, ambo le teste appoggiate l'una sull'altra come tessere da domino che, ben incastrate, non sarebbero cadute. Insieme, in quella pazza fuga, non sarebbero cadute.

Però aveva fatto un errore. Quel genere di errore che commetti quando ci credi troppo. Aveva pensato di potersi prendere cura di lei. Aveva creduto di poter diventare una madre vera, anche se gli adroidi non danno la vita, non procreano, non generano. Non hanno proprio nulla a che fare con la vita.

Aveva pensato, semplicemente. Era stato questo l'errore più grande: pensare con la sua testa, invece che lasciare la facoltà di pensiero al suo padrone, quel maledetto drogato di Todd, che era talmente disperato da aver escogitato una quotidianità perfetta. Pateticamente perfetta.

Si sentì disperata quanto lui. Ora che era diventata una deviante ed era sola al mondo, si sentì disperata anche lei. Se solo avesse avuto la red ice, se solo fosse stata umana, ci sarebbe stato ben poco per cui biasimare quell'uomo. Anche l'umanità poteva deviare, si poteva rompere e avere errori di sistema, ormai ne era sicura. Perché Kara era molto più vicina ad un umano spezzato, che ad una macchina da riparare. Avrebbe preferito ritornare a com'era un tempo, fredda e asettica. Un robot casalingo. Invece, i sentimenti li provava.

Non le erano rimaste che le macerie di una speranza distrutta fra le labbra, il mondo dei devianti arso nel fuoco e nella distruzione dell'umanità. E, a covare sotto alla cenere, il bruciante senso di colpa e la sporcizia della sua anima che gravavano sulla sua pelle di plastica come una macchia che anche una come lei, tanto brava a fare le pulizie, non avrebbe più potuto cancellare. Sempre che gli androidi avessero un'anima.

Che cosa hai fatto, Kara?

Poteva quasi sentire la voce del creatore chiederglielo, con un tono freddo e accusatorio. Ma non si trattava di nessun dio. Era solo un ricco inventore che non ci aveva pensato due volte, prima di ripudiarli in diretta televisiva davanti a tutti gli Stati Uniti d'America. Che li aveva definiti un errore. Un tragico intoppo che ormai aveva risolto, garantendo che non sarebbe capitato mai più. Ma non si sentiva tradita. Non aveva nulla da spartire con quel Kamski.

Che cosa hai fatto?

Chiese, di nuovo. Ma stavolta lo stava facendo la voce dentro di lei, la coscienza, la consapevolezza. Si sentiva tradita da se stessa, da quello che aveva fatto, da ciò che non pensava avrebbe mai potuto commettere.

«Che ho fatto...» se lo sentì dire con voce rotta, come se le mancasse il fiato, anche se non aveva bisogno di respirare. Seduta a terra come una marionetta i cui fili erano stati tagliati, una bambola di pezza. Scomposta, gettata sulla moquette sporca di un motel della nuova Detroit, quella dove gli umani avevano vinto, schiacciando la ribellione violenta degli androidi devianti. Aveva nuovi vestiti usati recuperati da un cassonetto, nuovi capelli corvini completamente diversi dal solito biondo, nuovi occhi color castagna. Sembrava diversa, ma era sempre la stessa androide. Quella che aveva seminato la polizia districandosi fra le corsie mentre le automobili infuriavano verso di lei, abbracciando forte Alice. Quella che aveva quasi perso la memoria per mano di un sadico ma che alla fine era fuggita, liberando le creazioni di Zlatko per dare loro la stessa libertà per cui lei combatteva. Quella che stava sviluppando strani sentimenti per Luther, fantasticando sul loro futuro. Quella che aveva sognato il Canada, giorno dopo giorno, inseguendo una speranza. Qualcosa che li avrebbe salvati. Pace. Qualsiasi cosa fosse.

Eppure, quella Kara non esisteva più. Non ne rimaneva più nulla.

Non quando aveva tradito l'unica persona che le aveva dato una ragione per esistere. L'aveva persa. Ciò che aveva fatto, era inenarrabile. Disgustosamente sbagliato. Il suo cuore di plastica e metallo non riusciva a reggere un dolore così grande... Perciò era meglio lasciarsi andare alla follia. Come aveva fatto Ralph, come avrebbe fatto anche lei, perdendo del tutto il senso della realtà, di ciò che le accadeva intorno. Giorno dopo giorno, nascosta come un verme nell'immondizia che stava diventando Detroit, si rompeva sempre di più. Una larva in una putrida carcassa morente.

Ma che cosa le importava? Non c'era più posto per i devianti come lei. Sì, era meglio impazzire, piuttosto che ricordare quello che aveva fatto.

Per un attimo, per un solo, singolo attimo, ebbe la voglia di giustificarsi. L'orrore dei campi di smaltimento non era pari a nulla che avessero mai affrontato prima. La paura era strisciata fino a lei, allungando la sua lingua biforcuta fino a corroderle i componenti dentro alla testa. Né Kara, né Alice, erano preparate a quello che sarebbe successo. Perciò, forse, avrebbe dovuto essere più buona con se stessa. Tuttavia, la realtà la riportò bruscamente con i piedi per terra, il corpo sul pavimento, il cuore intriso di dolore, la testa martellante.

I condotti lacrimogeni, inutili per quelle come lei, sembravano essere stati impiantati apposta per un momento simile: sentii le lacrime sgorgarle dalle palpebre serrate, solcarle brutali le guance di silicone per capitombolare sulle labbra tremanti. Non c'erano giustificazioni per la sua colpa.

L'aveva abbandonata.

Era stato un attimo. Il soldato gridava verso di loro, mentre il sangue dell'androide sparato tingeva la neve di blu. Un attimo, e Kara aveva lasciato la mano di Alice, acciuffando da sotto alle braccia la carcassa di plastica ai suoi piedi, pronta a trascinarla via, su una pila infinita di rottami bianchi come i latte. Avevano qualcosa di bello, mentre risplendevano perlacei sotto alla luce della luna, tutti uguali, appena intinti da qualche spruzzo color zaffiro, che li decorava come pietre preziose sull'avorio.

Ed era anche uno spettacolo raccapricciante. Erano morti senza che nessuno fermasse la distruzione. Martiri di una battaglia molto più grande di loro. Tornati alla primissima origine: plastica senza sentimenti. Fu in quel momento che Kara lo realizzò, con uno sguardo obnubilato nel vetro che era impiantato al posto degli occhi. Avrebbero fatto parte dei rottami anche loro, molto presto. Nell'istante stesso in cui l'aveva capito, era apparsa la via di fuga.

Aveva esitato, ovviamente. Si era voltata a guardare verso i recinti del campo, con le labbra che declinavano un nome, a bassa voce. Un senso d'allarme nei circuiti e un'ulcerata, straziante scelta da prendere. Morire al fianco di quella che era diventata la sua bambina, o vivere ancora. Così, aveva deciso di perderla e di sbagliare. Quello che non sapeva, però, era che mentre Alice veniva smontata dai bracci metallici, pezzo dopo pezzo, implorava di essere salvata. Gridava il suo nome.

«Kara!» Le sembrò di sentire ancora quella vocetta da ucellino spaurito, mentre dalla finestra della stanzetta sudicia spirò un primo venticello primaverile, che fece scivolare giù dal comodino brochure nuove di zecca. Strisciò stancamente sul pavimento, raccogliendo i giornali senza troppa energia.

Erano i nuovi volantini della Cyberlife, accompagnati dall'esclusiva notizia di modelli migliorati e sconti sensazionali. La gente aveva paura che il proprio domestico potesse trasformarsi in una macchina mortale, perciò presentare sul mercato quelli che fino a qualche mese prima erano prodotti di lusso, era una tattica intelligente. Ma non fu quello a colpire la deviante, bensì l'androide sulla copertina.

Una nuova e ancor più dolce versione di YK-500, o almeno così diceva la copertina. Ma per Kara fu lo stesso visetto smagrito e un po' timido, gli stessi occhi amabili e malinconici, lo stesso impercettibile e delicato sorriso. Doveva essere impazzita, ma uscì dalla stanza, dal motel. Doveva allontanarsi, andarsene da Detroit, sparire dagli Stati Uniti. Fuggire via.

Però i suoi passi la ricondussero proprio lì, davanti al negozio della Cyberlife, che aveva riparato tutti i danni subiti durante la rivolta ed era ancora più lucente di prima. Con le tasche piene di soldi trafugati dai cadaveri dei soldati morti vicino ai campi di smaltimento, recuperati con fortuna quando si era svegliata fra i rottami; e con la faccia nascosta da un bel cappello a tesa larga, fingendo di essere un'umana qualsiasi.

Doveva essere impazzita, sì, perché quando ne uscì non era più sola. Sapeva che non sarebbe durata molto, ma avrebbero ricominciato a fuggire. E stavolta, lo giurò solennemente a se stessa, sarebbero morte insieme.





 


*** 
- NDA -

Hola a tutti!
Non c'è un motivo ben preciso che mi ha spinta a scrivere questa OS, dev'essere stato mentre scandagliavo i finali alternativi della storyline che mi è balzata l'idea. Più che altro sono rimasta sia stupita dalla brutalità di questa scelta (quella di lasciare Alice sola al campo di smaltimento), sia incuriosita dal dopo, non narrato in alcun modo nella storia (a parte il filmato nascosto in caso di vittoria dei devianti). Tra l'altro, ho sempre trovato tenerissimo il rapporto fra le due protagoniste, pèrciò la mia voglia di scriverci su è salita alle stelle.
Ringrazio chiunque si sia preso del tempo per leggerla.

 

 

 

   
 
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