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Autore: NPC_Stories    16/01/2019    1 recensioni
La guerra contro l'esercito di Sothillis continua, e dopo aver riconquistato Bormton e aver riaperto quel canale di rifornimenti verso l'esercito dell'Amn stanziato a sud, Rebecca sa che deve tornare sul campo di battaglia. Il suo borgo natio è nuovamente nelle mani di suo padre e, si spera, anche il futuro della famiglia.
Trademeet è la prossima città da liberare. L'assedio potrebbe essere lungo, ma forse, più che la guerra, sono le persone ad essere importanti.
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Sequel di "Per sempre felici e contenti", tornano le avventure di Rebecca Dumpling in Finnegan e del suo mal assortito gruppo di amici.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Nota: questa storia è il sequel di Per sempre felici e contenti; consiglio di leggere prima quella.




1373 DR: Se un uovo viene rotto dall’esterno, la vita finisce



Trentesimo giorno del mese di Kythorn, appena fuori dalle mura di Trademeet, un’ora dopo mezzanotte

Beryl stava correndo già da alcuni minuti, ma non sentiva la stanchezza. L’adrenalina e la paura gli mettevano le ali ai piedi. Aveva già esplorato quella zona il giorno prima, con calma e in perfetto silenzio, e sapeva dove stava andando.
Attualmente, dritto contro un muro di terra.
La trincea dove si era infilato piegava bruscamente a destra. L’agile tagliaborse continuò a correre, senza preoccuparsi troppo di sbandare. Anziché curvare, usò la parete davanti a sé come base d’appoggio per un salto acrobatico che lo rimise in carreggiata prima ancora che i suoi inseguitori si rendessero conto della mossa.
Gli orchi lo tallonavano dappresso, nonostante la curva improvvisa che li costrinse a rallentare leggermente. Il ladro aveva guadagnato solo un paio di secondi. Per fortuna la fuga non era l’unico piano di Beryl.
Mentre correva, la sua mano sinistra scese in automatico alla cintura, dove una piccola borsa magica conteneva la sua vasta e rispettabile collezione di Verghe Inamovibili. Bastò infilare l’indice e il medio nella scarsella e pensare a ciò che voleva prendere, perché una di quelle verghe si materializzasse fra le sue dita.
L’altra mano intanto andò a toccare la fibbia della cintura, un colpetto dell’unghia sul metallo fu sufficiente a risvegliare la magia dell’oggetto. Beryl sentì che l’incantesimo lo avvolgeva e lo sospingeva in avanti, rendendo i suoi passi più ampi e più rapidi. Avrebbe avuto bisogno di quell’aiuto magico, perché ora il suo piano avrebbe preteso la sua attenzione su altri dettagli e di norma il suo passo sarebbe rallentato troppo.
Estrasse una Verga Inamovibile dalla borsa, mentre con la mano destra faceva lo stesso pescando da una borsa gemella che teneva sul fianco destro. Adesso aveva in mano due corti bastoni di metallo, ma si trattava di una variante dell’oggetto classico che aveva progettato lui stesso. Quelle verghe di solito erano semplici sbarre che potevano essere fissate in un punto, anche a mezz’aria, grazie all’incantesimo che le permeava. Bastava schiacciare un pulsante situato a una delle estremità, e magicamente si otteneva una base d’appoggio altrimenti impossibile, in barba alle leggi di natura.
Le verghe di Beryl all’altra estremità erano appuntite anziché piatte, come se fossero lunghi paletti di ferro. L’astuto ladro aveva molteplici usi per quegli oggetti: li utilizzava come normali appigli, ma anche come randelli oppure colpendo di punta.
Si diede un ultimo sprint per mettere distanza fra sé e gli orchi, poi posizionò quelle prime due verghe in orizzontale accanto a sé con la punta rivolta alle sue spalle, e premette i due pulsanti con perfetta sincronia.
Osvith”, sussurrò nel frattempo. In draconico significava fuga, ed era il comando che avrebbe attivato un potere ausiliario di quegli oggetti: una volta al giorno, ogni verga avrebbe agito in un istante anziché impiegare alcuni secondi a fissarsi a mezz’aria. Beryl di solito faceva appello quel potere speciale quando doveva usare le sue verghe per una rapida fuga acrobatica o qualcosa del genere. Usarle in contemporanea non era facile, richiedeva concentrazione e questo gli fece comunque rallentare la corsa, ma l’incantesimo di Velocità della cintura lo sosteneva.
Le verghe rimanevano sospese nella sua scia, Beryl le seminava a diverse altezze con la stessa disinvoltura di un ragazzino che si sta lasciando alle spalle briciole di pane. Riuscì a piazzare sei verghe in quel modo, mentre alle sue spalle sentiva i nemici che si avvicinavano sempre di più.
Poi smisero di avvicinarsi. I primi orchi avevano raggiunto le sue trappole creative e ci si erano impalati con slancio. Nell’oscurità della notte non era semplice distinguere le sottili verghe, specialmente se si stava correndo. I nemici tendevano sempre ad accorgersene troppo tardi.
Beryl sorrise soddisfatto sentendo rumori molli di orchi trafitti e rantoli di dolore, tuttavia non si faceva illusioni: non era al sicuro. I nemici erano comunque troppo vicini, e lui non voleva sprecare proprio tutte le sue preziose verghe. Avrebbe già dovuto recuperarne sei dai cadaveri degli orchi.
Gli inseguitori si trovarono presto la strada ostruita dai corpi, bloccati sul posto per colpa delle verghe infilzate nella carne, incastrate nelle armature. Delle persone decenti si sarebbero fermate ad aiutare i compagni ancora vivi; gli orchi si limitarono a scansarli, o spintonarli in avanti se non riuscivano a deviare in corsa, spingendo quelle armi improprie ancor più in profondità. La loro carica rallentò. Ma non si fermò.
Becca, se vuoi fare qualcosa, questo è il momento! Pensò Beryl con una punta di ansia.
L’effetto di Velocità terminò, e il ladro si sentì all’improvviso debole come un vecchio. Aveva recuperato la sua velocità normale, ma dopo aver avuto le ali ai piedi era come camminare nella sabbia. Si stava chiedendo che fine avessero fatto i suoi alleati, quando…
Dovrei fermarmi e combattere, pensò all’improvviso.
Era un pensiero idiota, suicida.
Era un pensiero non suo.
Qualcuno gli aveva appena suggerito quell’idea con un incantesimo, e Beryl pregò che fosse stata Rebecca. Doveva credere che fosse lei e fidarsi di quel suggerimento.
Si fermò di colpo, estraendo altre due verghe e impugnandole come armi. I nemici stavano arrivando un po’ alla volta. Erano equipaggiati in modo eterogeneo, perché l’esercito di Sothillis era più come un’orda di barbari e piccole tribù riunite insieme, in cui i fabbri scarseggiavano e soltanto i soldati d’elite avevano armature su misura. Beryl però sapeva che questi orchi rappresentavano una pattuglia di guardia, che in origine erano una dozzina (ora ne restavano sei) e che erano abbastanza annoiati da desiderare di squartare qualunque sventurato umano si fossero trovati davanti.
Corsero verso di lui, sogghignando nel vedere che si era fermato. Per un momento sembrò perfino che avessero preso velocità, anche se dopo una lunga corsa era impossibile… infatti non stavano più correndo, ma scivolando. Il terreno sotto i loro piedi era diventato improvvisamente viscido, come ricoperto da uno strato di grasso. Tre di loro riuscirono più o meno a pattinare rimanendo in posizione verticale, ma gli altri crollarono a terra sulla spinta del loro slancio. Beryl si occupò prima di quelli ancora in piedi; il solo fatto che dovessero concentrarsi per non cadere li rendeva dei bersagli facili, incapaci di schivare i suoi colpi letali. Un salto acrobatico lo portò ad atterrare sulla faccia di un orco, che cadde sotto il suo peso. Senza interrompere lo slancio, l’agile furfante fece compiere al braccio sinistro un largo giro, caricando il colpo di energia cinetica visto che non aveva molta forza muscolare da mettere in gioco. La verga appuntita penetrò come un paletto nel collo al nemico più vicino.
Ne restava in piedi soltanto uno, più quattro a terra ancora vivi. L’orco cominciò a capire che forse erano caduti in una trappola, e afferrò un corno che teneva alla cintura, per suonarlo e chiamare rinforzi.
Una sacca di pelle gli arrivò dritta in faccia, lanciata da un avversario invisibile.
Immediatamente si aprì, anzi praticamente esplose, inondando il soldato con una colata di melassa appiccicosa. L’orco per automatismo provò comunque a suonare il corno, ma produsse solo una patetica bolla e uno stridio castrato. Beryl gli perforò la gola prima che potesse riprovare, e poi si occupò degli altri che si stavano alzando. Un orco riuscì quasi ad afferrarlo per un piede, una buona idea rispetto al semplice “alzarsi e colpire di spada”, ma il ladro era troppo agile per farsi sorprendere come un pivello.
Alla fine l’ometto rimase solo, in piedi sul cadavere di un orco, con altri corpi riversi a terra intorno a lui.
Il suo udito fine captò dei passi in avvicinamento, ma si rilassò quando vide la figura familiare della sua amica maga.
Rebecca stava cercando di muoversi senza fare rumore, ma non era mai stata molto brava. Era una giovane donna dalle forme gentili e aveva il classico fisico da sollevatrice di cucchiaio. Però nonostante le apparenze era una maga di tutto rispetto e non aveva paura di sporcarsi le mani, una cosa rara per una nobile. In quel momento in effetti le sue mani erano sporche di sangue. Teneva fra le braccia le sue sei verghe che aveva recuperato dai cadaveri delle guardie, e non aveva avuto il tempo di pulirle.
Unto, Becca? Sul serio?” Le chiese sottovoce, con un sorriso sghembo.
La giovane donna scrollò le spalle.
“La nostra missione è segreta, e gli incantesimi potenti attirano l’attenzione.” Gli ricordò lei. “Te la sei cavata, no?”
Beryl non intendeva muovere una vera critica, solo punzecchiare un po’ l’amica. Rebecca era capace di lanciare incantesimi devastanti e di uccidere molti avversari in un colpo solo, invece aveva scelto di usare un trucchetto da principianti per tenere un profilo basso. Il ladro ammirava la sua versatilità, perché rendendo instabile il terreno sotto i piedi dei nemici aveva permesso a un alleato di mettere a frutto le sue capacità e colpire gli orchi in punti vitali. Questo era vero lavoro di squadra, secondo lui, mentre invece molti altri maghi preferivano alzare il tiro e risolvere tutto da soli.
Gli piaceva, Rebecca. Beryl non sopportava le persone con atteggiamento da primadonna, tendeva ad entrarci sempre in competizione.
“La trincea?” Domandò, per tornare allo scopo iniziale della missione. “Hai trovato il passaggio segreto?”
“Non ancora” si adombrò la maga “ma abbiamo quasi un’ora prima del cambio della guardia. Tu sei più bravo di me a trovare i passaggi segreti, quindi ti lascio volentieri questo compito. Io mi terrò pronta a tessere illusioni per far credere che le guardie siano ancora vive.”

Quella notte riuscirono a mappare parte delle trincee sotterranee che le forze degli invasori avevano scavato intorno a Trademeet, e consegnarono tutto al Primo Generale poco dopo l'alba.
Quello dei nemici non era un esercito allo sbaraglio che faceva conto solo sul numero, come i nobili di Athkatla si ostinavano a credere: era una macchina da guerra ben organizzata, con generali che avevano idee interessanti.
Trademeet era stata conquistata circa un anno prima, e in quei mesi tutti gli umani capaci di lavorare erano stati impiegati per scavare gallerie e per forgiare armi per l’esercito di Sothillis, l’ambizioso ogre magi. I bambini, i vecchi e gli inabili erano stati massacrati, molte donne erano state requisite e usate dai goblinoidi e dagli orchi, e quasi tutte ad un certo punto avevano cercato la morte. I liberatori, le forze congiunte degli eserciti di diverse città dell’Amn, non avevano una chiara idea di cosa fosse successo fra le mura di Trademeet, ma qualche sprazzo di informazioni era trapelato.
Rebecca non era riuscita a dormire bene da quando si era unita alle forze dell’Amn che assediavano quella città commerciale un tempo fiorente. Dentro di sé pensava al suo villaggio, la sua amata Bormton, e alla decisione di suo padre di cedere la cittadina fortificata alla fazione dei seguaci di Cyric anziché provare a combattere contro gli orchi.
Alla fine era stata una decisione saggia. Bormton aveva sofferto, lei stessa aveva sofferto, ma Trademeet… era tutta un’altra cosa. Se il suo piccolo borgo avesse subito lo stesso destino di Trademeet, Rebecca non se lo sarebbe mai perdonato. Anzi, probabilmente sarebbe morta già da molto tempo.
Quanti uomini ci erano voluti per scavare quella rete di gallerie in pochi mesi? Cosa ne era stato di loro, dopo? La maga non osava chiederselo. Il pensiero era troppo orribile.
Un tempo Bormton e Trademeet erano state rivali; la città di pianura cercava continuamente di tagliare i commerci diretti a Bormton e di sottomettere la cittadina alla sua influenza, e non erano rari i reciproci sabotaggi e colpi bassi. Ma quello era stato prima della guerra, prima dei massacri e dell’arrivo di un tremendo nemico comune. Adesso quelle dispute sembravano così sciocche.
Rebecca aveva già acconsentito al patto che avrebbe sottomesso Bormton all’autorità di Athkatla, e sperava che accadesse anche a Trademeet: un unico regno, un unico esercito, un’unica forza con cui fare i conti, non più città indipendenti e separate da vecchi dissapori. La giovane donna non si era mai occupata di politica prima (di solito le donne nell’Amn non lo facevano, a parte forse le sacerdotesse), ma adesso si scopriva unitarista.
“...fin quasi alle linee di retroguardia” stava dicendo un generale, indicando qualcosa su una mappa.
Rebecca si impose di tornare al presente: il consiglio di guerra stava esaminando la mappa che Beryl aveva disegnato, anche se il ladro non era presente per spiegare i dettagli.
Ecco, quella era una delle tante forme di stupidità che flagellava la sua cultura, si disse Rebecca alzando gli occhi al cielo. Beryl era motivo di imbarazzo per l’esercito, anche se era uno dei migliori ladri di Athkatla ed era spesso utilizzato dalla città per missioni non ufficiali di spionaggio e sabotaggio. Avevano bisogno di lui, ma pubblicamente lo deploravanono; la ragazza sapeva che la cosa aveva più a che fare con la sua moralità privata che con quella pubblica, per dirla in termini educati. In termini schietti, Beryl non apprezzava molto la compagnia femminile, e questo era un dettaglio da tenere vergognosamente nascosto. Non avrebbe mai potuto ambire a cariche ufficiali, la sua stessa natura lo condannava a dover fare un mestiere al limite della legalità.
Nessun mistero quindi che avesse stretto subito amicizia con una maga che aveva osato alzare la testa e disubbidire a suo padre, e con una veggente che il giorno del suo matrimonio aveva rivolto le sue promesse nuziali al Tempio anziché al suo fidanzato. Già, fra tutti e tre erano una bella compagnia di indispensabili sassolini nella scarpa.
“Consiglio di spostare il grosso dell’esercito” stava dicendo un altro ufficiale “ma lasciamo i fuochi da campo in modo da far credere ai nemici di essere ancora accampati qui.”
“Dovremmo lasciare anche delle tende…”
“Non abbiamo abbastanza tende.”
“Che importa? Voglio dire, è piena estate. I soldati possono accamparsi all’aperto.”
Rebecca lasciò che la conversazione fluisse intorno a lei come la corrente di un fiume. Non c’era bisogno del suo apporto.
“Lady Rebecca?”
A quanto pare era in errore.
“Hm?”
“Quanto tempo pensate che abbiamo?”
La donna ci pensò un attimo, facendo mente locale sulla situazione nelle gallerie.
“Beryl ha trovato dei barili di polvere nera[1], posizionati strategicamente in fondo alle gallerie. Ha bagnato con l’acqua tutti gli esplosivi che ha trovato, ma non siamo sicuri che li abbia trovati tutti. Consiglio di spostare il grosso dell’esercito un po’ più indietro, non ha senso girare intorno alla città e posizionarsi su un altro versante, visto che questi cunicoli potrebbero diffondersi a raggiera in ogni direzione. Io posso coprire i nostri spostamenti con alcune illusioni, ma non reggeranno ad un esame attento. Non sappiamo se i terribili ogre magi siano in città.”
“Se dovessimo agire come se ci fossero, allora qualsiasi mossa sarebbe inutile, e non agiremmo affatto.” La rimproverò un vecchio ufficiale con orrendi baffi a manubrio. Rebecca si chiese con che coraggio un uomo con baffi simili osasse mostrarsi in pubblico e addirittura parlarle con quel tono. Doveva essere un pezzo grosso. Sul petto aveva il simbolo di Imnescar, una città che lei stessa aveva aiutato a liberare.
“Agiamo come se non ci fossero, ma teniamoci pronti a difenderci come se ci fossero.” Intervenne un altro soldato, in tono conciliante.
“Ad ogni modo i barili di polvere nera sono un problema secondario. Li useranno solo in caso di estremo bisogno, perché farebbero crollare i cunicoli, e a loro quei cunicoli servono per sbucare alle nostre spalle e compiere sortite” continuò la maga.
“Pensate che oseranno tanto?”
Rebecca sorrise, giocherellando con un orecchino magico di ametista a forma di goccia che aveva all’orecchio destro. Lo aveva creato lei stessa, nel suo tempo libero, per poter avere un incantesimo di divinazione perennemente attivo. Quell’incantesimo le permetteva di vedere la vera forma delle persone e delle cose. Nessuno però sapeva che ce l’avesse, e dovevano continuare a non saperlo.
Fece scivolare la mano sinistra nella sua borsa di componenti per incantesimi e ne estrasse una fialetta all’apparenza vuota. Con l’altra mano finse di ravvivarsi i capelli, ma dietro la testa piegò le dita a formare una sequenza che avrebbe attivato un incantesimo. Dalle sue labbra non uscì un fiato. Non voleva allarmare nessuno.
Un momento dopo, uno degli ufficiali si alzò di scatto in piedi, portandosi le mani alla gola. Era stato silenzioso e contemplativo fino a quel momento, quindi il suo gesto improvviso colse tutti alla sprovvista. Il soldato tossì, annaspando per cercare aria, gli occhi spalancati e pieni di terrore. Cercava di respirare, ma l’aria semplicemente si rifiutava di entrare nella sua bocca. Molti altri si alzarono allarmati, pensando di essere sotto attacco, alcuni cercarono di aiutare il compagno. L’uomo diventò rapidamente cianotico e crollò a terra svenuto prima che chiunque potesse capirci qualcosa.
Rebecca dissipò l’incantesimo. Voleva farlo svenire, non ucciderlo a sangue freddo.
“Hanno già osato.” Commentò, con tutta tranquillità. “Legatelo, prima che riprenda i sensi. Non è quello che sembra.”
Alcuni di quegli ufficiali le rivolsero uno sguardo vacuo, come se non sapessero cosa pensare, ma un paio di soldati giovani si misero all’opera per legare e disarmare l’uomo svenuto. Un potente controincantesimo per dissolvere effetti magici rese giustizia a Rebecca: l’uomo in realtà era un hobgoblin sotto mentite spoglie.
Dopo questo, neppure l’ufficiale di Imnescar si rivolse più a Rebecca in tono paternalistico. Al contrario, diventarono tutti un po’ più paranoici, come era giusto che fosse. La maga era ancora convinta che stessero prendendo quella guerra un po’ troppo sottogamba.

Più tardi quel pomeriggio si ritirò nella sua tenda. Doveva decidere quali incantesimi preparare per i giorni seguenti e non aveva alcun desiderio di prendere parte alle ricerche per la scomparsa del cavaliere che era stato sostituito dalla spia. Probabilmente era morto e Rebecca riteneva di aver già dato abbastanza per quel giorno. La missione notturna, tutta la mattina in consiglio, un pranzo fugace e adesso stava crollando dal sonno.
Per di più aveva sacrificato la sua scorta di ciambelle per estrarne lo zucchero e preparare melassa alchemica, quindi aveva davvero voglia di rannicchiarsi sulla sua branda e sognare un mondo migliore.
Beryl non era dello stesso avviso. L’aspettava nella sua tenda, con il suo classico sorriso entusiasta. Rebecca trovava un po’ irritante la sua amicizia appiccicosa, ma il ladro aveva così poche persone di cui poteva fidarsi…
“Cosa?” Sospirò la maga, trovandolo seduto sulla sua branda.
“Volevo sapere com’è andata in consiglio” lui scrollò le spalle.
“Mah. Al solito. Qualcuno è ragionevole, qualcuno no, tutti vorrebbero primeggiare, nessuno si era accorto che c’era una spia hobgoblin in mezzo a noi.”
“Non è compito tuo, accorgertene?”
Rebecca scrollò di nuovo le spalle.
“Certo che è compito mio, ma visto che ho una certa utilità vorrei anche che mi fosse riconosciuta.”
“Ah, lo dici a me?” sussurrò il giovane, scuotendo la testa sconsolato. “Hai notizie di Sanna?”
Lo sguardo di Rebecca s’intristì. Non aveva voglia di affondare in pensieri deprimenti, ma sembrava un destino inevitabile.
“Non ci sono miglioramenti. Ieri sono andata a trovarla nella tenda medica e non mi ha riconosciuta. Temo che quell’incidente abbia compromesso la sua salute mentale… spero solo che sia reversibile.”
“Non avrebbe dovuto cercare di divinare Trademeet” Beryl si adombrò, pensando alle terribili conseguenze di quel gesto.
“Certo che avrebbe dovuto!” Scattò Rebecca, perché davvero non sopportava quell’atteggiamento da grande saggio col senno di poi. “Era questo il suo compito, è una veggente. Tutti ci stiamo assumendo dei rischi in questa guerra, i soldati rischiano la vita, lei ha rischiato la sua sanità mentale…”
“E tu cosa rischi?” la interruppe l’uomo, inviperito perché lei gli aveva risposto male. “Dimmi, cosa rischi stando qui nelle retrovie, a preparare i tuoi incantesimi? Cosa rischi a startene invisibile mentre io combatto in prima linea?”
Rebecca impallidì per la rabbia e strinse i pugni. A volte Beryl la faceva proprio uscire di testa.
“Tanto per cominciare, sul campo di battaglia ci sono sempre dei pericoli. Frecce volanti, maghi nemici, polvere esplosiva, trappole e incantesimi ad area! E poi se qualcuno di loro potesse vedere le cose invisibili, io sarei bell’e morta.”
“E allora tanto vale che tu ci vada senza la copertura dell’invisibilità, se è la stessa cosa.” Ritorse lui.
“Mi sembri un deficiente quando parli così!” Lei afferrò un cuscino di stracci e glielo tirò in faccia. Beryl lo schivò agilmente. “Se qualcuno provasse a colpirti, tu sei addestrato a schivare e parare i colpi. Io passo otto ore al giorno a studiare, non ho preparazione bellica, non so nemmeno correre per un intero minuto senza che mi venga il fiatone. Senza protezioni magiche sarei vulnerabile come una pignatta alla festa di Pratoverde!”
Il ladro rimase in silenzio, perché sapeva che lei aveva ragione.
“D’accordo. Non è che io voglia vederti morire, dopotutto.” Borbottò.
Quanta grazia, pensò Rebecca con fastidio, ma non voleva continuare a litigare.
“Sono dispiaciuta quanto te per quello che è successo a Sanna” riprese, abbassando il tono di voce. “Ma devo credere che si riprenderà. Il suo tentativo è stato eroico, lei crede nella giustezza della nostra causa e vuole che l’Amn sia libero dalla piaga degli ogre magi. Posso capire che tu non sia mosso da sentimenti altrettanto patriottici. Posso capire come mai dici che non avrebbe dovuto, e che avrebbe dovuto prima di tutto pensare a sé stessa. Ma lei è una sacerdotessa, ha una responsabilità verso la gente comune.”
“L’Amn non è niente per me.” Confermò lui. “Non mi ha mai dato niente e non mi ha mai fatto sentire a casa. Athkatla mi paga bene. Mi diverte che i nobili, i mercanti e i signori delle gilde abbiano bisogno di me, mi piace vederli ingoiare l’orgoglio per chiedermi favori e ingaggiarmi per lavori clandestini. Ma questa soddisfazione non è abbastanza per ricompensarmi dei rischi che sto correndo in questa guerra, e nemmeno i soldi sono abbastanza. Alla fine, se sono rimasto è solo perché ho fatto amicizia con te e con Sanna. Non voglio vedervi buttare via le vostre vite per qualcosa che… per me non ha nessun valore.”
Rebecca impallidì di nuovo, ma stavolta non per la rabbia.
“Migliaia di vite, Beryl. Centinaia di migliaia. Come puoi dire che non hanno valore?”
“Migliaia di vite che condannerebbero la mia senza pensarci due volte.” Ritorse lui.
“Non ti sto dicendo di approvare la loro ideologia, solo di riconoscere il valore intrinseco della vita umana” cercò di ammorbidirlo.
“Dov’è il valore intrinseco della mia vita umana?”
“Per me la tua vita ha valore” continuò Rebecca, andando a sedersi accanto a lui. “So che sono una persona sola, ma per me ha molto valore. Anche quando fai lo stronzetto.”
Beryl la guardò in cagnesco, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Rimasero in silenzio per un lungo momento, l’uno accanto all’altra. La tenda era una piccola oasi di pace in mezzo alla frenesia dell’accampamento.
Alla fine lui ruppe il silenzio.
“Vorrei andare a trovare Sanna. Vieni con me?”
Rebecca era stanca e affranta, avrebbe solo voluto dormire, non credeva di avere la forza di rivedere così presto la sua amica spezzata e di sopportare il peso di quella perdita. Però che scelta aveva? Beryl aveva bisogno di lei, adesso. Aveva bisogno di sapere che il suo piccolo mondo avrebbe continuato a reggere, anche senza Sanna. Il loro gruppo non poteva disgregarsi.
“Certo.” Sospirò e si alzò in piedi, spazzolandosi i vestiti con le mani. “Andiamo.”



**********
[1] In italiano hanno tradotto con polvere nera quello che in inglese è Smokepowder (Irraggiungibile Est, pag. 184), che non è la stessa cosa di Black powder intesa come la polvere da sparo del nostro mondo. La Black powder, o gunpowder, non funziona su Toril. Il dio Gond lo impedisce a causa del suo potenziale distruttivo. La Smokepowder funziona allo stesso modo, ma il processo di creazione non è solo chimico, serve anche della magia per produrla, quindi è più rara e costosa. Questo suggerisce che l'esercito di Sothillis se la sia procurata o tramite gli alleati sacerdoti di Cyric, oppure perché già presente a Trademeet per qualche motivo.



   
 
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