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Autore: WhiteLight Girl    19/01/2019    4 recensioni
Fanfiction Crossover tra le varie serie di Digimon, in questa prima parte Tamers e Frontier, nella prossima Adventure.
Qualcosa si muove nell'acqua, non è un mistero che sia parte del problema, perché quando Izumi esce dall'ascensore l'acqua scorre sul corridoio davanti a lei e fino ai piedi dei suoi amici. Cosa ci fa quell'acqua putrida nell'ascensore del centro commerciale 109 di Shibuya? Da dove viene? Izumi probabilmente lo sa, ma non è in grado di rispondere a questa domanda.
Personaggi: Takato, Ruki (Rika), Henry, Ryo, Zoe (Izumi), Takuya, Koushi, Kouichi, Junpei (JP), Tomoki (Tommy), Guilmon, Renamon, Terriermon, MonoDramon...
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2
Chi non muore si rivede


SHINJUKU

Takato sistemò il piatto con i sandwich sul vassoio e lo accostò ai bicchieri ed alla brocca colma di succo di frutta, poi richiuse con un piede il frigorifero alle sue spalle e sorrise a sua madre.

«Per essere in ritardo sulla tabella di marcia non stiamo andando male.» la rassicurò.

La sentì sospirare, ma lei rimase intenta a lavare le posate.

«L’importante è che tu passi questo compito in classe con un voto decente, se non vuoi dormire all’addiaccio per una settimana.» gli ricordò.

Takato deglutì, conscio che la minaccia non era a vuoto. «Sì, mamma.»

Prese il vassoio e aprì la porta che dava sul corridoio con una spallata, il succo ondeggiò nella brocca a ogni passo rischiando di strabordare. Salì per le scale in penombra e quasi inciampò sull’ultimo gradino; la porta della sua camera era chiusa, per cui non gli restò che sporgere il gomito ed usarlo per tirare giù la maniglia. Il movimento fece tremare il succo, il piatto scivolò contro i bicchieri con un tintinnio e Takato trattenne il fiato mentre spingeva la porta con il piede.

Hirokazu e Kenta erano esattamente dove li aveva lasciati, il fatto che avessero ignorato la possibilità di poterlo aiutare lo infastidì, ma non disse nulla. Hirokazu si sollevò da letto tendendo il collo, i palmi premuti contro il materasso, solo per dire: «Era ora, pensavo che ci avessi lasciati qui a morire di fame.»

Kenta gli lanciò un’occhiata e si corrucciò, gli occhiali gli scesero verso la punta del naso e la matita che aveva incastrato dietro l’orecchio si mosse, rischiando di scivolargli sulla spalla.

Takato guardò il televisore acceso, il volume era assente ed il telecomando abbandonato in cima ai libri che aveva ammucchiato in un angolo del tavolo prima di scendere al piano inferiore; Hirokazu aveva insistito per tenere d’occhio l’intervista di un nuovo gruppo di idol nonostante sapesse che questo li avrebbe deconcentrati, ma non c’era stato verso di farlo ragionare.

«Ho perso tempo a mescolare il cianuro con la maionese del tuo panino.» gli disse Takato, convinto che fosse già tornato ad ignorarlo.

Invece Hirokazu lo guardò e affilò gli occhi, poggiando i piedi per terra ed alzandosi mentre Kenta faceva spazio tra i quaderni per il vassoio. «Davvero gentile.» disse il ragazzo. Ma Takato si limitò a ridere e raggiungere la scrivania.

Hirokazu afferrò il suo sandwich prima ancora che Takato riuscisse a poggiare tutto, urtando i bicchieri e facendoli rotolare giù dal vassoio e sul libro di matematica.

Kenta sussultò e si tese per impedire che rotolassero verso il pavimento, allora li dispose uno accanto all’altro. «Piano.» disse. Chiuse il libro usando l’evidenziatore per non perdere la pagina e lo spinse di lato, muovendosi sulla sedia per fare spazio a Takato, che si risedette al suo fianco.

Hirokazu addentò il suo panino «Questa pausa ci voleva proprio.» esclamò a bocca piena, spargendo briciole sulla maglia e sul pavimento.

Kenta fece roteare gli occhi al soffitto e si tirò su gli occhiali con l’indice «Come se tu non ti fossi appisolato per tutto il tempo in cui noi abbiamo studiato.» sospirò. «Io non ti suggerirò nulla, dopodomani. Mi rifiuto.»

Takato rigirò i bicchieri e li riempì, Hirokazu ingoiò il boccone e si pulì la bocca con la manica.

«Stavo ripensando a quello che mi è successo l’altro giorno.» iniziò l’amico.

Takato lasciò cadere le spalle e bevve un sorso, offrendo il succo agli altri due.

«Ecco che ci risiamo.» disse Kenta. Prese un pezzo del proprio sandwich e lo portò alla bocca, lasciando il resto all’interno del piatto.

«Non me lo sono sognato.» chiarì Hirokazu seccato, infilò in bocca il dito coperto di maionese e lo riestrasse pulito e umido.

Takato arricciò il naso, invece Kenta afferrò un tovagliolo e glielo lanciò contro, quello fece un paio di giri su sé stesso e svolazzò verso il suolo. Hirokazu lo afferrò al volo prima che toccasse terra, e lo strofinò su una macchia unta che si era allargata sull’orlo della manica, poi lo usò per asciugarsi il dito. «Sono serio, credete che potrei inventarmi una cosa simile?»

Takato sollevò le braccia «No, certo che no.» disse. «Solo che è un po’ strano, non puoi negarlo»

Hirokazu si sporse tra i due e prese un altro tovagliolo. «Lo ammetto, è strano, ma questo non vuol dire che sia impossibile. Ne abbiamo viste di peggio, no?»

Takato sorrise, scolò tutto il contenuto del bicchiere e si concentrò sul proprio panino, Kenta si limitò a scrollare le spalle.

Hirokazu prese al volo il suo bicchiere e si risedette sul letto. «Sul serio, era un bicchiere d’acqua perfettamente limpida, prima di iniziare a puzzare come una latrina.»

Osservò il succo, lo fece ondeggiare nel bicchiere, lo annusò e solo dopo mandò giù un gran sorso.

«Che schifo.» disse, poi avvicinò la mano al petto con uno scatto ed il succo di frutta gli schizzò sul collo e sulla maglia.

«Perché finisco sempre per essere io quello che fa la figura del cafone maleducato che insozza qualunque cosa?» domandò Hirokazu.

DA QUALCHE ALTRA PARTE

La pressione costrinse il petto di Kouichi a spingere l’aria fuori dai suoi polmoni fino a vuotarli, le bolle risalirono in fretta mentre il dolore portato dall’acqua che lo avvolgeva pulsava, pungendogli le orecchie fin quasi ad assordarlo.

Il gorgoglio e il brivido gelido del rivolo di corrente che gli sfiorava i polsi lo riportarono alla realtà, spingendolo a riaprire gli occhi e ad agitare le braccia per ritrovare la superficie. Non un solo raggio di luce lo raggiungeva, facendogli temere di essere troppo in profondità. Si sbracciò, agitò le gambe nell’acqua e si spinse verso l’alto più in fretta che poté. I polmoni vuoti bruciavano, le orecchie dolevano come se qualcosa stesse per esplodere al loro interno e, per quanto riuscisse a risalire, non era ancora in grado di vedere la luce. I vestiti, pesanti e ondeggianti attorno a lui, gli sfioravano la pelle come una trappola, le scarpe gli impedivano di prendere velocità.

I pensieri gli si annebbiarono, il peso che lo opprimeva iniziò a diminuire proprio mentre anche la sua testa si svuotava. Respirò e l’acqua inondò i suoi polmoni prima che potesse fermarla.

Riemerse subito dopo, sputando e tossendo dalla gola bruciante mentre si teneva a galla con le sue ultime forze. Sollevò le gambe dolenti, spalancò le braccia, abbandonò la testa all’indietro e si lasciò galleggiare a pelo d’acqua tremando contro l’aria fredda.

Gli occhi attraversarono l’oscurità, abituandosi lentamente fino a permettergli di distinguere la cupola immensa che lo sovrastava, rilucendo di un verde malato riflesso da chissà dove.

L’acqua gli lambiva le orecchie, la maglia gli premeva fastidiosamente addosso e le scarpe gonfie d’acqua premevano contro le sue dita strette nei calzini zuppi. Kouichi inspirò forte, espirò ed agirò le dita della mano contro la superficie, voltò la testa e percorse con lo sguardo la semioscurità.

Ora che si era abituato all’assenza di luce riusciva ad intravedere la superficie rocciosa che risaliva ripida verso l’alto tra le venature scintillanti. Doveva essere finito in una grotta sotterranea, pensò, e non aveva idea di come ci era arrivato né di come uscirne.

Rimase a fissare le pareti per talmente tanto tempo che l’acqua sulle sue guance si asciugò e le ciocche di capelli posate sulla sua fronte divennero quasi intrecci di paglia crespa.

Da qualche parte, poco distante, ci doveva essere un foro da cui altra acqua scivolava nel lago sotterraneo, il suono ritmico di quelle gocce che infrangevano la superficie gli martellò in testa forse per ore senza dar segno di potersi fermare. Quando ebbe l’impressione che quel rumore l’avrebbe fatto impazzire, Kouichi sentì l’acqua gorgheggiare sotto di lui, il braccio scivolò contro qualcosa di viscido e lui sollevò il busto con un sussulto. Si aspettava di andare a fondo, di dover nuotare per restare a galla, invece scoprì che era finito su uno scoglio muschioso e che la corrente l’aveva trascinato a riva. Dietro di lui c’era quella che sembrava una spiaggetta di ciottoli e pochi metri verso l’interno una sagoma giaceva immobile, raggomitolata e mogia contro il terreno.

Kouichi sentì il cuore fermarglisi nel petto. Si voltò, ignorò il dolore delle ginocchia che urtavano contro le rocce, si arrampico tra i sassi e gattonò fino a raggiungere la figura supina.

La afferrò per le spalle, la voltò e le scostò i capelli dal viso. La riconobbe all’istante, ma Izumi rimase immobile davanti a lui.

Si chinò su di lei, terrorizzato dall’idea che fosse morta, quasi smise di respirare, il mondo attorno svanì per alcuni istanti e lui si piegò ed appoggiò l’orecchio sul suo petto.

Non sei morta. Non sei morta, si ripeté, come se questo potesse aiutarla.

Nonostante la pelle gelida, gli occhi chiusi ed il pallore messo in risalto dalla luce che li circondava, Izumi respirava ancora, il cuore le batteva placidamente nel petto e poi, nel momento in cui Kouichi si cominciò a chiedersi cosa fare, si mosse, tossì, sussultò e si aggrappò a lui spaventata.

   
 
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