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Autore: Luinloth    25/01/2019    2 recensioni
What If tra la terza e la quarta stagione.
Dopo aver salvato l’Uomo Giusto dall’Inferno, Castiel viene a conoscenza dei piani di Michael per scatenare l’Apocalisse e decide di ribellarsi. A causa della sua disobbedienza, privato per sempre delle sue ali e della sua grazia, viene scaraventato sulla terra dove, per sopravvivere, inizia a vendersi lungo la statale. I Winchester, ignari delle sorti decise per loro dal Paradiso e di come Dean sia stato riportato in vita, hanno abbandonato la vita da cacciatori e vivono in una palazzina anonima alla periferia di Lawrence. Una notte di pioggia Dean incrocia Castiel sulla sua strada e l’Inferno riemerge prepotentemente dai suoi ricordi sotto forma di due occhi blu.
Dal testo:
“Volevi parlare” – il moro lo interruppe, serafico – “Parla”
Ero all’Inferno e ho visto i tuoi occhi.
Non era decisamente un buon modo di intraprendere una conversazione.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Quarta stagione
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




“Si può sapere che fine avevi fatto?”
Si era perfino tolto le scarpe sullo zerbino per fare il minimo rumore possibile, ma vatti a fidare del sonno di un ex-cacciatore.
Le chiavi di casa in una mano, i cartoni delle pizze pericolosamente in equilibrio sull’altra, Dean non era neanche riuscito a raggiungere la cucina che un Sam scarmigliato, assonnato e visibilmente incazzato gli si era parato davanti con un cipiglio che non lasciava presagire nulla di buono.
“Scusa Sammy… è stata colpa del temporale”
“Sei stato via tre ore! Tre ore! E – per inciso Dean – ha smesso di piovere un’ora fa”
Le pizze atterrarono con malagrazia sul tavolino di vetro piazzato sotto al televisore (tubo catodico, modello anni ottanta, chissà per quale miracolo ancora perfettamente funzionante).
“Adesso piantala di fare la fidanzatina gelosa Sammy, o il prossimo Natale la signora McAllister ci regalerà sul serio una scatola di preservativi!”
Sam si sedette – o meglio crollò – sul divano con aria afflitta.
“Avresti potuto telefonare almeno, hai idea di quanto io mi sia preoccupato? Non hai controllato la segreteria?”

Due messaggi, quattro chiamate perse.

“Probabilmente la pioggia avrà creato problemi alla linea”

Il che non era del tutto falso, per una mezz’oretta le comunicazioni si erano interrotte a causa di un fulmine caduto troppo vicino ad un ripetitore, non che lui avesse minimamente pensato di telefonare a suo fratello – per dirgli cosa poi? Che aveva appena caricato sull’Impala una marchetta che pensava di aver incontrato all’Inferno? A quel punto Sam avrebbe rubato lo skateboard del figlio dei vicini e si sarebbe precipitato da lui dimenticandosi di mettere le scarpe, pur di arrivare il più in fretta possibile. “Dean?” – suo fratello lo guardava con l’aria di chi sta sul punto di avere un collasso.
“Sai che non abbiamo idea di cosa ti abbia tirato fuori da là sotto – né perché – e ogni volta che sparisci io non riesco a evitare il pensiero che… che…”
Tuffò il viso tra le mani, le dita scivolarono docilmente tra le ciocche disordinate e Sam Winchester si ritrovò a iperventilare con la testa tra le ginocchia, combattuto tra l’istinto di prendere a pugni suo fratello e il desiderio di scoppiargli a piangere tra le braccia.
Esattamente come succedeva quindici anni prima, quando rimaneva ad aspettare che Dean e suo padre ritornassero da una caccia – solo, con una pistola sul comodino e una paura ingestibile per un ragazzino della sua età – e ogni scricchiolio, voce lontana, frusciare attutito di passi sulla moquette del corridoio poteva trasformarsi in un agente della polizia locale venuto a comunicargli la tragica scomparsa di quanto rimaneva della sua già sgangherata famiglia.
Poi la porta si spalancava, Dean mollava il borsone da qualche parte – brandelli di mostro ancora attaccati ai vestiti, una volta era tornato ricoperto di bava verde dalla testa ai piedi – gli lanciava un sacchetto unto che poteva contenere patatine, hamburger o muffin al cioccolato a seconda di quale fosse il piatto forte della tavola calda più vicina e lui giurava a se stesso che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui li avrebbe lasciati andare.
Ma John era John, e la stessa scena si era ripetuta ancora tante, troppe volte.

“Ho passato tutta la notte a ricucirti, dopo che i cerberi ti avevano fatto a pezzi”
“Sam…”
“Alla fine avevo talmente tanto sangue addosso che pensavo di essere morto io. Sarebbe stato giusto, in fondo: avrei dovuto esserlo già da un po’ ”
Dean si era seduto accanto a lui, sul divano di seconda mano comprato un mese prima.
“Ascoltami” – gli mise una mano sulla spalla e lo costrinse a voltarsi verso di lui – “Non volevo. Mi dispiace per averti fatto preoccupare: ma sta sicuro che qualunque cosa mi abbia recuperato dall’Inferno non sarà in grado di risbattermici dentro tanto facilmente: questo te lo prometto”
Sam abbozzò un sorriso stanco, e la signora McAllister non trovò momento migliore di quello per bussare alla loro porta – a quanto pareva con tutte le intenzioni di abbatterla – al grido di “Va tutto bene, giovani?”
Le pareti di quegli appartamenti dopotutto erano fatte di cartongesso e lei aveva l’udito più fino di tutto il quartiere.

“Si signora McAllister, non si preoccupi”

Vecchia ciabatta impicciona.

Dean lanciò un’occhiata fintamente distratta ai cartoni delle pizze – ghiacciate, ma ormai per la fame le avrebbe divorate anche crude.
“Vuoi mangiare qualcosa?” – domandò – “Le metto in microonde e tornano come nuove”
Suo fratello scosse la testa.
“No grazie, ora ho solo voglia di ritornare a letto. Ne riparliamo domani, che magari l’FBI della terza età è in giardino e non arriva a sfondarci la porta” – si avviò sbadigliando verso la sua stanza – “Buonanotte coglione”
“ ’Notte puttana”
Dean allungò i piedi sul tavolino.

Puttana. Pessima scelta di parole.

Strada statale 201. Castiel.

E domani cosa dico a Sam?


Venerdì mattina, altre otto ore di lavoro e poi due giorni di meritata nullafacenza spalmato sul divano con una birra ghiacciata in una mano e il telecomando nell’altra. Con la bella stagione e la chiusura estiva dell’officina avrebbero persino potuto organizzare qualche giorno al mare, dodici ore di macchina e poi il golfo del Messico, litorali di sabbia bianca, ragazze in bikini e quel margarita con ombrellino che sognava da quando aveva diciassette anni.
Aveva evitato Sam in ogni modo possibile, aveva preparato i waffle alla banana – ormai anche la sua colazione doveva sottostare al regime salutistico del fratello – e si era chiuso in bagno non appena aveva sentito la porta della sua camera da letto cigolare. Per fortuna avevano dimenticato di nuovo di oliare i cardini.
Quando un fruscio di fogli lo informò che – alle otto del mattino – Sam aveva già affondato il naso nei libri, si affrettò a raggiungere l’ingresso con le chiavi dell’Impala già in mano, salutò il più rapidamente possibile e si fiondò fuori di casa prima che suo fratello esordisse con qualche scomodo argomento di conversazione.

Al suo ritorno, più tardi, notò con molto disappunto che il suo adorato Sammy e la sua nuova fiamma – Glen, aspirante veterinaria dagli occhi scuri con la passione per gli sport estremi e le piante grasse – si erano dedicati in sua assenza ad una serie di attività non esattamente accademiche. Nella sua stanza. Più propriamente, nel suo letto.
“A mia discolpa” – Sam neanche si sforzava di nascondere le risate mentre Dean risistemava il letto, indeciso sul se portare le lenzuola usate in lavanderia, lavarle con l’alcol o bruciarle in giardino – “Non era previsto che Glen venisse a trovarmi stamattina”

“Sei un gran bastardo, sappilo!”

Non si aspettava niente di meno, sperò soltanto che non avesse anche vandalizzato la sua collezione di riviste porno, oh quello non sarebbe riuscito a sopportarlo. Una volta litigarono di brutto – Dean aveva sedici anni – e, tra un insulto e l’altro, il minore aveva estratto dal suo comodino una delle sue edizioni preferite e gliel’aveva stracciata sotto gli occhi: a quel punto era dovuto intervenire John per evitare che uno dei due finisse al pronto soccorso con il naso spaccato.

A conclusione della serata, dopo essersi assicurato che le sue riviste fossero ancora sane e salve nel loro nascondiglio – sperava – segreto, quando Sam tirò di nuovo fuori la questione sparizione di tre ore con cena e Impala nel cuore della notte, Dean decise di rifilargli la ben orchestrata serie di panzane che ormai suo fratello aveva imparato quasi a memoria: un ritardo nella preparazione delle pizze, una bionda un po’ troppo procace, le solite scuse che aveva imparato ad accampare e che non si discostavano troppo da quella che poi era davvero la sua vita prima.
Perché adesso, quando spariva a bordo dell’Impala lasciando uno striminzito bigliettino sul tavolo della cucina in cui raccomandava al fratello di non preoccuparsi, non era per andare al night sulla trentaquattresima, né perché la barista che lavorava nel locale accanto all’officina finiva il turno.
Certe sere – spento il televisore e portata fuori la spazzatura – sentiva che gli sarebbe bastato chiudere gli occhi per tornare di nuovo sulla ruota. Se aspettava abbastanza, la voce di Alastair si insinuava nel suo cranio come una tenia e lui trascorreva la nottata a fissare il soffitto pregando soltanto di non addormentarsi; allora tanto valeva prendere le chiavi della macchina e guidare finché il rombo del motore non sovrastava le urla dei dannati che gli riecheggiavano nella testa.

Sam gli aveva chiesto più d’una volta di raccontargli qualcosa degli anni trascorsi là sotto, lo aveva pregato, lo aveva minacciato addirittura, per estorcergli qualche parola in più dei suoi smozzicati “non voglio parlarne”, dei lamenti sommessi provocati dagli incubi notturni durante i quali il minore fingeva di dormire, di non svegliarsi di soprassalto ogni volta che sentiva gli stessi gemiti soffocati nel cuscino rompere il silenzio della casa. Glielo aveva chiesto più d’una volta e Dean si era odiato per non avergli risposto – per aver alzato quel muro d’angoscia tra loro due – avrebbe voluto sedersi di fronte a lui e raccontargli ogni cosa, ogni fottuta ora passata in quel buco, ma non ci riusciva.

Non aveva le parole.

Avrebbe potuto dire dolore, ma non era stato dolore; disperazione, ma non si era sentito disperato; sangue, ma non era così rosso il liquido che zampillava da ogni ferita che gli veniva inferta.
Era stato peggio.
Era stato tutto molto peggio. Al punto che ogni aggettivo, verbo, qualsiasi parola utilizzata per descrivere ciò che aveva subito gli sembrava tanto inadatta da risultare quasi ridicola.

Perciò, alla fine di ogni discussione, Sam si accontentava di avere suo fratello di nuovo con sé e, almeno per un po’, decideva di abbandonare l’argomento.
Finì così anche quel venerdì sera di inizio inverno.

Ma nella vita dei Winchester – ormai avevano imparato – rimaneva sempre qualche questione in sospeso.


Il parabrezza aveva una piccola crepa all’altezza degli occhi del guidatore; non più lunga di un centimetro, probabilmente era stata causata da una pietruzza incastratasi chissà come tra il vetro e il tergicristallo, o magari da un piccione investito in autostrada.
Castiel aveva imparato a focalizzare la sua attenzione su qualsiasi dettaglio che lo distraesse dal rumore osceno che il suo bacino produceva contro le cosce sudate dell’uomo sotto di lui.
Il trench che aveva sistemato sul cruscotto – lo notava solo ora – aveva due macchie brune sul bordo della manica: mentre ripercorreva mentalmente la sua giornata cercando di ricordare in che modo avrebbe potuto procurarsele – caffè? inchiostro? l’olio delle uova che aveva mangiato a colazione? – l’uomo gli artigliò i fianchi e venne con un grugnito soffocato.
Castiel si lasciò cadere sul sedile del passeggero sistemandosi la camicia stropicciata e si asciugò la patina di sudore che gli velava la fronte con il dorso della mano. Il suo cliente abbassò il finestrino quel tanto che bastava per gettare via il preservativo usato e si tirò su i pantaloni arrotolatiglisi alle caviglie. “Non ti è piaciuto nemmeno un po’ eh?” – esordì, elargendo un’ eloquente occhiata alle parti basse del moro, seminascoste dai jeans sbottonati.
“Dovresti rilassarti un po’ di più” – la sua mano gli si posò delicatamente sul ginocchio – “Sai, se non avessi una moglie e un marmocchio non ci avrei pensato due volte a portarti a casa con me, begli occhioni
Gli allungò un buffetto su una guancia. Castiel serrò le palpebre e si ritrasse appena, quel tanto che bastava affinché si notasse: l’uomo si infastidì.
“Con tutto quello che pago ti si dovrebbe drizzare prima ancora di entrare in macchina” – sibilò rimettendo in moto.

L’alba era ancora lontana ma faceva troppo freddo per continuare a rimanere immobili sotto la luce sfarfallante del lampione. Castiel si strinse un po’ di più nel suo trench decisamente inadatto alla rigidezza dell’inverno di Lawrence – due macchie di caffè sulla manica sinistra – e si appuntò mentalmente di comprare un paio di guanti per la sera successiva, prima che le dita gli si congelassero nelle tasche.
Oltre a begli occhioni, l’impiegato postale che passava regolarmente a trovarlo una volta a settimana, quella notte non aveva avuto altri clienti. Poco prima, un vecchio maggiolone azzurro si era fermato a qualche metro da lui ma non aveva fatto in tempo ad avvicinarsi che quello era subito ripartito sollevando una nuvola di puzzolente fumo grigiastro.

Gli avevano consegnato quel che gli spettava per la prestazione e lui si era incamminato verso casa: Matt gli aveva trovato un monolocale arredato da centotrenta dollari al mese, che a stento riusciva a pagare, sulla centonovantasettesima. Faceva abbastanza schifo ma piuttosto che rimanere in uno di quegli edifici fatiscenti della 201 e rischiare di svegliarsi con la gola tagliata avrebbe preferito dormire sotto un cavalcavia.
Rispettava troppo la vita che gli era stata donata dal Padre per gettarla via: avrebbe atteso la morte e aspettato il Suo ritorno, e infine avrebbe rimesso serenamente la propria anima al Suo giudizio. Nessuno – neanche gli Arcangeli – conosceva le sorti degli angeli caduti, una volta che questi soccombevano alla vita mortale.
O forse aveva soltanto paura di soffrire: per quel che ne sapeva, il suicidio non era mai indolore.

“Castiel!”

Una figura allampanata emerse dall’oscurità all’angolo della 200, tra una villetta disabitata e un bar con le luci spente. Non sentiva la sua voce – sebbene quella non fosse la sua vera voce – da talmente tanto tempo che gli pareva fossero passati secoli, invece che pochi mesi.

“Haziel!”

L’angelo lo invitò ad avvicinarsi: le ali ripiegate dietro la sua schiena, nere e lucenti come quelle d’un corvo, gli facevano tremare i polsi.

La abbracciò con la foga di un bambino che ritrova la madre dopo essersi perso tra le corsie del supermercato; le braccia magre – ossute – di Haziel si posarono sulle sue spalle per un istante appena, prima di allontanarlo con un movimento impacciato.
“Quindi sono queste le emozioni di cui parlavi tanto, fratello?” – gli domandò con una certa titubanza – “Bizzarre, senza dubbio”
“Sorella” – Castiel aveva gli occhi lucidi e il respiro affannato: quale fosse il motivo che l’aveva spinta a scendere sulla terra senza neanche un tramite non gli importava, lei era lì e il calore della sua grazia si diffondeva a ondate intorno a lui dandogli l’impressione di essere finito in un’enorme bolla di beatitudine. Bastava.
“Sorella non sai quanto sono felice di rivederti”
Haziel lo squadrò con espressione indecifrabile, i suoi occhi di ghiaccio scintillavano nella penombra.
“Non posso restare a lungo: se Michael lo venisse a sapere non so quali potrebbero essere le conseguenze”
Lui sussultò.
“Dopo la tua caduta ci sono stati dei disordini in Paradiso: Ezekiel ha accusato Michael di sacrilegio ma non è riuscito a convincere gli altri angeli a ribellarsi. Ricorderai che ha sempre avuto un temperamento piuttosto difficile
“Era nella mia guarnigione” – annuì – “Ma era un soldato fedele”
“Ad ogni modo, Ezekiel non ha mai avuto il tuo potere e gli Arcangeli riescono ancora a tenere salde le redini del Paradiso, ma temono il manifestarsi di nuove agitazioni. Michael ha intenzione di rompere personalmente l’ultimo sigillo: se vuoi fare qualcosa per il tuo protetto sarà bene che tu lo faccia il più presto possibile”
Si era alzato un vento secco e gelato che faceva turbinare le cartacce ammucchiate ai lati della strada.

“Perché mi stai dicendo tutto questo?”
L’angelo si torceva in grembo le dita scheletriche.
“Come ti ho detto, la tua cacciata ha provocato molta confusione tra le nostra fila: nemmeno il Padre si era mai arrogato il diritto di privare forzatamente un nostro fratello della sua grazia, nemmeno quando fu costretto a rinchiudere Lucifero nella gabbia, e noi… ” – esitò.

“In Paradiso si piange ancora per la tua caduta” – confessò con voce incrinata.

Per la prima volta da quando era diventato mortale, Castiel percepì tutta la potenza dell’umana rabbia ribollirgli nel petto come un globo di lava.

“Davvero?” – sputò, e per un attimo il suo sguardo tornò infuocato come un tempo, quando i suoi nemici si disperdevano al solo stagliarsi della sua sagoma nera contro il sole – “E dimmi sorella, dove erano le vostre lacrime mentre la grazia scivolava via dalla mia gola squarciata? Mentre Michael mi strappava via le ali?”

“Mi dispiace Castiel” – il corpo magro di Haziel fu scosso da un fremito.
“Mi dispiace” – gemette – “Nostro Padre ci ha lasciati, siamo spaventati, soli, la Terra non fa che accelerare la sua corsa verso il baratro e Michael…Michael è l’unico in grado di guidarci. Non potevamo permetterci un altro scisma come quello di Lucifero, non in questa situazione”

“MICHAEL È UN FOLLE!” – alcune grida di protesta si levarono da una finestra aperta, ma nessuno ci badò – “Vuole riportare il Paradiso in terra soltanto perché non sopporta l’esistenza di un mondo che non obbedisca alle sue regole, e vuole distruggere metà della razza umana perché crede che non sia abbastanza degna di assistere alla sua gloriosa venuta, come se gli uomini fossero una sua creazione e lui potesse giudicarne il giusto e l’ingiusto!”

Una folgore tagliò in due il cielo, illuminando a giorno i profili dei palazzi; Haziel spalancò le ali e in quel momento era tanto bella e terrificante che Castiel dovette reprimere l’impulso di cadere in ginocchio ai suoi piedi e implorare pietà.

“Chi ti ha concesso il diritto di pronunciare simili parole?” – il lampione più vicino esplose, seguito a ruota da ogni altra lampadina accese nel raggio di cento metri, e le schegge piovvero sull’asfalto come una grandinata di vetro ferendogli il viso e le mani.

“Tu, bestemmia, come osi profanare il nome dell’Arcangelo?”

Haziel splendeva di luce sanguigna; Castiel temette che stesse per imporre la sua mano mortifera su di lui ma quando parlò la sua voce era ritornata gelida come i suoi occhi.

“Siamo tutti addolorati per te fratello, ma non abusare dell’amore che nutro ancora nei tuoi confronti”
I suoi piedi si sollevarono dal terreno e lei iniziò a trasfigurare.
“L’umanità è stata già sterminata una volta e chissà, dopo la sua scomparsa nostro Padre potrebbe anche fare ritorno: forse sono stati proprio le sue creature preferite a deluderlo tanto”

L’angelo scomparve in un fruscio di ali, lasciando Castiel immerso nell’oscurità di una strada semideserta ad interrogarsi sul celeste senso di colpa che aveva portato sua sorella ad allontanarsi di nascosto dal Paradiso per rivelargli i piani di Michael.

E comunque Haziel non aveva idea di che cosa fosse davvero, l’amore.






*Haziel (pietà di Dio) non è un angelo che compare nella serie, semplicemente perché non volevo utilizzare un personaggio che fosse già “schierato”

Eccoci qua!
Questa storia era inizialmente nata come una OS, ma dopo un po’ di vicissitudini e un paio di recensioni galeotte (a tal proposito, grazie grazie grazie per chiunque abbia speso una parola e/o abbia messo la storia tra le preferite) ho deciso di darle un seguito (che spero vi piaccia, ndr).
Alla prossima settimana!
   
 
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