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Autore: dreamlikeview    27/01/2019    3 recensioni
Il regno di Camelot è in guerra con il popolo dei druidi da tempo immemore e il capo dei druidi, Mordred, tende una trappola ad Arthur Pendragon, il re di Camelot, per mettere fine all'antica guerra tra di loro. Invece di uccidere il re, il druido lo manda con un incantesimo in un mondo nuovo, moderno, in cui il re del passato e del futuro incontrerà non poche insidie. Nel suo peregrinare, farà la conoscenza di Merlin Emrys, un giovane infermiere che sarà l'unico a tentare di dargli una mano. Riuscirà il re a tornare a Camelot e a porre fine alla guerra con i druidi? E se, invece, scoprisse l'amore, riuscirebbe a rinunciare ad esso per amore del suo popolo?
[Merthur, semi-AU, modern!Merlin, king!Arthur, time-travel, mini-long]
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!

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La foresta era immensa, sembrava infinita, mille insidie si nascondevano in essa: dietro le fronde degli alberi, i nemici giurati di Camelot, i druidi, erano appostati per un agguato, ogni cavaliere lì presente quel giorno lo sapeva; Arthur Pendragon, il re di Camelot, guidava una spedizione di uomini – i cavalieri più valorosi del regno – per sconfiggere definitivamente il magico nemico. I druidi erano sempre stati un popolo pacifico, prima che Uther Pendragon, il padre di Arthur, dichiarasse loro la guerra, vedendo quel popolo come una minaccia per il suo regno, a causa della loro magia. Da quel momento, non erano mancati agguati e attacchi al regno, e anche quando Uther era morto, e suo figlio aveva preso il suo posto sul trono, le divergenze non si erano appianate, tuttavia il giovane re, differentemente dal genitore, aveva deciso di essere aperto al dialogo con i nemici, e quando il nuovo capo dei druidi, un certo Mordred, aveva chiesto udienza a re Arthur, quest’ultimo era stato disposto ad accoglierlo e a cercare di risolvere ogni controversia tra i loro popoli in modo pacifico, ma il druido, forte del suo rancore e del suo odio, invece di ricercare la pace, aveva attaccato e cercato di uccidere il nuovo re, alimentando ancora di più l’odio tra i due popoli. Come prova della sua buona fede nei confronti della magia - era fermamente convinto che non tutti i praticanti di essa fossero crudeli, come sosteneva suo padre - quando sua sorella Morgana ne aveva avuto bisogno, aveva contattato uno stregone e si era fatto aiutare da lui. Arthur era davvero convinto che, essendo i due capi in guerra ormai defunti, lui e Mordred avrebbero potuto trattare una pace adeguata, e aveva tentato davvero, anche dopo essere stato attaccato, ma appianare divergenze ed odio perpetuati per così tanti anni, era impossibile e alla fine nessuna pace era stata stipulata. La magia a Camelot era ancora bandita e chiunque la praticasse, sebbene non venisse giustiziato, come accadeva al tempo di Uther, veniva imprigionato.

Fonti attendibili dicevano che i druidi stavano preparando un agguato alle soglie della foresta, e Arthur aveva deciso di anticipare i nemici, sperando di sconfiggerli definitivamente; aveva scelto personalmente i cavalieri da portare con sé in battaglia, aveva organizzato la spedizione ed era partito con loro, all’alba di un nuovo giorno, per mettere fine all’antica guerra. Fece segno a sir Lancelot, uno dei suoi più fidati cavalieri, di seguirlo, e agli altri di restare indietro a controllare la zona, avanzarono piano, tra le fronde, aguzzando l’udito per captare qualsiasi, anche il più piccolo, spostamento d’aria e cercando di anticipare il nemico, del quale non c’era alcuna traccia. Qualcosa non quadrava, pensava il re, erano ben oltre le soglie della foresta, avrebbero dovuto trovare i druidi già da un pezzo, eppure di loro non c’era traccia.
Qualcosa non andava, il suo sesto senso da guerriero gli diceva che stavano andando dritti in una trappola, ma come era possibile? Le sue fonti erano attendibili e le persone che gli avevano dato tali notizie erano fidate, possibile che i druidi avessero anticipato le loro mosse, ancora una volta? Che a Camelot ci fosse una spia? Un traditore tra i suoi?
Poi i due cavalieri udirono un fruscio sospetto, sguainarono le spade e si prepararono all’agguato, tuttavia, quando si voltarono, davanti a loro trovarono solo Mordred, che li guardava con astio.
«Posate le spade, guerrieri» disse il druido «Oggi finirà la nostra guerra» dichiarò solenne.
«Dovrai passare sul mio cadavere» sibilò il re, mettendosi in posizione di combattimento davanti a lui «Non ti lascerò il mio regno, Mordred!»
«Come tuo padre, Arthur Pendragon, non hai capito nulla. Noi druidi siamo sempre stati un popolo pacifico, tuo padre ci attaccò per primo, temendoci senza alcun motivo» raccontò il giovane capo druido, guardando il re di Camelot «Ho deciso di porre fine a questa guerra, mai più un Pendragon regnerà su queste terre» dichiarò, tendendo le sue mani davanti a sé, verso il re. Sir Lancelot subito cercò di pararsi davanti al suo re, ma una forza invisibile lo sbalzò via, facendolo cadere, privo di sensi, per terra «Oggi, io, Mordred, capo dei druidi, pongo fine alla tirannia dei Pendragon» dichiarò «La mia gente soffre da troppo tempo a causa vostra e ho intenzione di porre fine a quest’assurda guerra» disse «Ti manderò in un luogo, Pendragon, dove il tuo titolo non varrà nulla, dove capirai cosa significa patire la sofferenza e tutto ciò che tu e tuo padre avete fatto patire al mio popolo» proferì «Io oggi ti maledico, Arthur Pendragon, mai più uno col tuo nome siederà sul trono di Camelot e senza di te, Albion potrà sorgere dalle ceneri dell’Antica Religione!» il re tentò di attaccare per primo, ma improvvisamente si sentì bloccato, come legato da corde invisibili, mentre il druido iniziava a pronunciare delle parole nella lingua della magia, parole antiche e sconosciute, che nessuno conosceva veramente, a parte gli stregoni.
Man mano che lo stregone pronunciava quelle parole, Arthur avvertiva la foresta tutto intorno a sé iniziare a svanire, la sua testa girava in un modo incredibile, si sentì tirare e sbatacchiare ovunque e perse i sensi dopo un po’, udendo alla fine le parole finali del druido, che gli auguravano di non tornare mai più a Camelot.

*°*°*°
 
Arthur riaprì gli occhi, dopo essere rimasto incosciente per un tempo sembratogli indefinito; le corde magiche attorno a lui erano svanite, era in un antro oscuro, una grotta forse, c’era un odore nauseabondo che non conosceva, sentiva dei suoni poco rassicuranti intorno a lui e avvertiva strane sensazioni. Era prigioniero, era evidente, ma per un fortuito caso, i druidi l’avevano lasciato libero di muoversi in quella grotta. Atteggiamento strano e sospetto, comunque, Arthur, restando vigile, cercò un modo per uscire da quella grotta, doveva esserci un’uscita, no? Si toccò il corpo, alla ricerca di eventuali ferite, ma non ve ne erano, e, nel farlo, si rese conto che la sua cotta di maglia fosse ancora al suo posto insieme all’armatura. Bene
Avanzò di un passo e mise il piede su qualcosa di metallico. Si abbassò subito per prendere l’oggetto e si rese conto che si trattasse della sua spada. I druidi lo avevano imprigionato in una grotta, lasciandolo libero di muoversi e in possesso della sua spada? Cosa speravano? Che si togliesse la vita da solo con essa? Atteggiamento davvero sospetto, il loro; Arthur comunque realizzò di avere un’arma con cui difendersi in caso di attacco, e saggiamente decise di riporla nel fodero. Scandagliò con lo sguardo la grotta, era assurdamente lunga, e non si vedevano luci, a parte quella flebile che filtrava dal soffitto. Si sedette sul pavimento della “cella”, notando che fosse leggermente umido, forse era vicino a qualche fiume sotterraneo, e si mise a riflettere su cosa fare, se la luce filtrava dall’alto, voleva dire che, da qualche parte, doveva esserci una botola. Volevano farlo morire senz’aria, forse? Lui era il re di Camelot e di certo non sarebbe morto senza combattere; si alzò di nuovo in piedi e si guardò intorno, osservò bene il soffitto, se quella cella si trovava sotto ad una botola, allora doveva solo trovarla e sollevarla. Guardò meglio attorno a sé, e alzando la testa, la notò, era tonda e non di legno – strana per essere una botola – e fece il tentativo di sollevarla, aspettandosi comunque di trovarla chiusa in qualche modo, ma stranamente quella si alzò con facilità. Senza pensarci due volte, il re si arrampicò e quando mise la testa fuori da quella grotta, si ritrovò in un luogo assurdo, non fece in tempo a notare delle strane costruzioni enormi, che un mostro metallico passò sopra la sua testa velocemente, e Arthur rientrò appena in tempo nella strana cella, evitandolo per un pelo, era una fortuna che non fosse morto, era forse questo il piano dei druidi? Farlo combattere contro mostri e sperare che restasse ucciso? Giammai, lui era il re di Camelot, non si faceva intimorire da un mostro qualsiasi, così, facendosi coraggio, uscì definitivamente dalla prigione inutile in cui era stato rinchiuso, attento a quei mostri, che si muovevano molto velocemente attorno a lui, emettendo flatulenze strane. Una volta fuori si guardò intorno, doveva assolutamente trovare il sovrano di quel luogo e chiedergli ospitalità e un cavallo con il quale tornare a casa. Il re, allora, superò i mostri metallici, senza avere bisogno della spada, erano tutti fermi al suo passaggio – ecco bravi, inchinatevi davanti al vostro re, stupidi mostri metallici e puzzolenti – mentre un simpatico omino luminoso di verde, appariva e spariva da quel palo luminoso davanti a lui.
Che simpatico oggetto – pensò, raggiungendolo, lo osservò da vicino, ma non vide nessuno che lo illuminasse, che fosse stregoneria, quella? Quando questo divenne rosso, i mostri ripresero a sfrecciare e Arthur rimase sorpreso dalla cosa. I villici intorno a lui lo guardavano in maniera strana ed erano vestiti in maniera buffa, dov’erano le armature? E le cotte di maglia? Forse non erano cavalieri, ma uomini del popolo, e tuttavia erano ugualmente vestiti in modo ridicolo, secondo lui. Rivolse loro un saluto cortese, come gli era stato insegnato, ma nessuno sembrava aver notato il suo gesto; indispettito per la mancanza di rispetto, iniziò a camminare cercando un castello, o un qualcosa che gli dicesse dove fosse, ma niente sembrava fargli capire nulla, niente gli era familiare; davanti a lui c’erano degli strani oggetti rettangolari, che mostravano alcune specie di ritratti o dipinti, non sapeva bene cosa fossero, quel luogo era alquanto bizzarro e strano, sicuramente era opera di Mordred; doveva essere per forza così.
Iniziò a vagare per le strade di quello strano villaggio, mentre teneva stretta Excalibur al suo fianco, sperando di incontrare qualche villico di buon cuore che potesse aiutarlo. Dopo parecchio peregrinare, decise di chiedere a qualcuno dove si trovasse, e quale ameno luogo fosse quello: di sicuro si trattava di un villaggio, su questo non c’era alcun dubbio, un villaggio molto grande ed esteso, ma comunque un villaggio che faceva parte di un regno, ovviamente. Doveva solo trovare il re o il capo di quel regno e farsi aiutare a tornare a Camelot. Non era poi così difficile, no? Era solo questione di pazienza, e così sarebbe riuscito a tornare nel suo regno per salvarlo dai druidi.
Giunse in uno spiazzo gigante, dove c’erano molte persone, c’erano diverse donne, vestite con abiti eleganti e sperò che tra di esse si celasse una dama che potesse aiutarlo a trovare il re o la regina o il lord, insomma un nobile qualsiasi. Si sistemò l’armatura alla meglio e si lisciò per bene i capelli, e poi avanzò verso quel gruppo di donzelle. Erano abiti davvero succinti, le buone maniere non le conoscevano, da quelle parti? Che razza di posto era quello?
«Scusate, mie signore» disse il re con il suo tono più cordiale «Potreste indicarmi la residenza del vostro sovrano?» chiese con altrettanta gentilezza, con le dame bisognava usare la massima cortesia, così come gli aveva insegnato suo padre.
«Ehi amico, quanto sei ubriaco? Chi credi di essere, il re d’Inghilterra?» domandò retoricamente e frivolamente una delle donne, le altre dame sghignazzarono, udendo la risposta che gli aveva dato la dama, Arthur si indignò, ma cercò di non darlo a vedere. Come si permetteva di ridere di lui?
«No, sono Arthur Pendragon, il re di Camelot» rispose con sincerità, mantenendo un tono pacato, a quel punto, la donna con cui stava parlando, scoppiò a ridere in maniera sguaiata, Arthur accusò il colpo, ma non disse niente, aveva bisogno di informazioni. «È così che si chiama questo regno? Inghilterra?» chiese perplesso il re, guardando la dama che stava rispondendo alle sue domande. Si chiese se fosse usanza di questa Inghilterra, parlare così ai reali e ridere di loro o se fosse prerogativa di quelle donne maleducate, quell’atteggiamento irrispettoso; in entrambi i casi, non gli piaceva per niente.
«Sei reduce da una di quelle assurde feste medievali, vero?» chiese lei ridendo ancora, Arthur si stava innervosendo, come poteva quell’oca giuliva continuare a ridere di lui? Lui era un re, non il suo giullare di corte.
«Vi invito ad assumere un atteggiamento più consono per un reale, mia signora, la mia pazienza sta arrivando al limite» la avvisò, non consentiva a nessuno di parlargli in quel modo, e quella giovane non aveva nulla di regale o nobile, era solo una popolana che si spacciava come dama, forse una serva o qualcosa del genere, ma a Camelot aveva conosciuto nobildonne e serve ben più educate di loro. Sbuffò irritato, stavano giocando con la sua pazienza e non ne era per niente contento.
«Oh mi scusi, sua maestà» fece lei inchinandosi davanti a lui, senza riuscire a trattenere le risate «Dovresti andare a casa a smaltire la sbronza, amico, davvero» disse, indicando con un dito un mostro metallico altissimo e rosso, che si fermava lì davanti a loro. Prima che Arthur potesse ribattere, le dame erano state inghiottite dal mostro rosso. Mise la mano sull’elsa della spada per estrarla, combattere il mostro e trarle in salvo – anche se erano state maleducate con lui, non significava che lui si tirasse indietro davanti ad una sfida con un mostro – ma fu sballottolato a destra e a sinistra da una mandria di persone che si riversarono fuori dal mostro, mentre altre vi entravano. Il mostro mangiava le persone e poi le sputava? Che razza di mostro era? Mordred, in quale luogo mi hai imprigionato, si può sapere? – imprecò mentalmente.
Qualcuno lo etichettò come pazzo e gli intimò di togliersi di mezzo e lasciar passare le persone; con il suo buon senso, il re riprese l’esplorazione del luogo. Londra, aveva sentito dire dalle persone che uscivano dal mostro. Non aveva mai sentito parlare di questo villaggio, non era nei territori di Camelot, era ovvio. Dove altro poteva trovarsi questo villaggio? Dove si trovava? Ormai aveva capito che Mordred lo aveva mandato con la magia in un altro luogo, lontano da casa, ma quale? Doveva tornare a Camelot prima che fosse tardi, prima che i druidi distruggessero il regno, rendendolo un futile ammasso di sterco, perché era questo che suo padre gli aveva insegnato, i druidi, gli stregoni, portavano solo distruzione e scompiglio dove passavano.
Continuò a peregrinare, il cielo si tingeva sempre più di colori scuri e non si vedeva alcuna stella da quel posto. Le cose che, maggiormente lo incuriosivano, erano le luci, dov’erano nascosti i fuochi? Come era possibile che i fuochi di quelle luci non si vedessero? Era stregoneria? Chi era lo stregone responsabile di tutto quello? Era un popolo da liberare da uno stregone folle?
«E sta attento a dove vai, idiota!» lo apostrofò con poca delicatezza ed educazione uno dei villici che passavano di lì, il quale gli era andato a finire addosso; Arthur si innervosì, ed era sul punto di sguainare la spada e duellare con il villico, tuttavia non sapeva quanto fosse vantaggioso per lui provocare uno di quei villici, non sapeva ancora di cosa fossero capaci, quindi era meglio restare nell’anonimato, finché non avesse capito cosa fare.
«Chiedo perdono» rispose, superando, senza troppi complimenti, il bifolco, continuando il suo girovagare. Forse avrebbe trovato una taverna o una locanda, dove chiedere ospitalità e informazioni, solo che non aveva idea di che aspetto avessero le taverne e le locande in quel posto.
Vagò ancora, arrivando in una parte del villaggio meno illuminata e popolata. Doveva trovare un giaciglio dove passare la notte, gli sarebbe bastato poco, in fondo, lui era abituato alle missioni fuori dal castello, e con i suoi cavalieri aveva trascorso infinite nottate, immersi nei boschi e nelle lande desolate, ci era abituato. Doveva solo trovare della legna da ardere, della paglia e accendere un fuoco, da qualche parte in quel luogo ci doveva essere un bosco o qualcosa del genere.


«Ehi, ti sei perso?» chiese una voce gentile alle sue spalle, improvvisamente. Arthur sobbalzò, si voltò immediatamente, sguainando la spada, ignorando il tono gentile con cui si era rivolto a lui quel giovane; non ne poteva più di bifolchi che si rivolgevano a lui con poca educazione, ma dove era finito? Brandì la spada contro il nuovo arrivato a denti stretti, minacciandolo con lo sguardo, questo ragazzo alzò le mani in segno di resa e lo guardò «Ehi, manteniamo la calma. Voglio solo aiutare» disse lentamente «Lavoro all’ospedale, lì» continuò, indicando un edificio bizzarro con una lettera H luminosa «Ti ho visto vagare qui intorno e credevo avessi bisogno di una mano» proferì, erano le parole più gentili che qualcuno gli rivolgeva, in quel giorno sventurato; il giovane gli porse una mano «Come ti chiami?» chiese gentilmente.
«Sono Arthur Pendragon, re di Camelot» rispose il re, afferrando con la mano guantata quella del giovane davanti a sé, che alzò un sopracciglio con fare divertito. Arthur si chiese come mai avesse quell’espressione.
«Sì, e io sono il principe William» rise scuotendo la testa. Il volto di Arthur si illuminò, finalmente un nobile! Lo sapeva che, prima o poi, ne avrebbe trovato qualcuno da qualche parte; in tutti i suoi viaggi, in ogni regno che aveva visitato aveva sempre incontrato dei nobili, e gli era sembrato strano non trovarne in quel luogo. Certo, quel giovane era un po’ bizzarro per essere un nobile, eccessivamente magro e non indossava alcuna armatura, ma il suo titolo era ciò che contava in quel momento.
«Oh, mio signore!» esclamò con enfasi, facendo un inchino, che fece alzare un sopracciglio al nuovo arrivato «Potrei chiedere la vostra ospitalità per questa notte?» chiese «Poi potremmo allearci e combattere contro i druidi!»
«Sì, okay, combattere i druidi» commentò il principe «Io credo che tu abbia bisogno di una bella dormita e di smaltire la sbornia» gli disse con serietà guardandolo, sì, in effetti Arthur era stanco morto, il tanto peregrinare per quella landa sconosciuta, lo aveva sfinito «Io sono Merlin» aggiunse, sorridendo. Ma non aveva detto di chiamarsi William? Forse aveva due nomi? Era uso di questo luogo avere due nomi? E perché non si era presentato immediatamente con entrambi?
«Non ho idea di cosa abbiate detto, mio signore, ma accetterò qualunque cosa vogliate offrirmi» rispose il re, guardando quel principe, che non sembrava essere tale. Beh, era in un altro posto, non era a Camelot, magari lì i reali si comportavano tutti così e forse quella dama di qualche veglia prima era davvero una dama un po’ maleducata, ne aveva incontrate tante, soprattutto quando suo padre cercava una sposa per lui, inorridì pensando a Lady Vivian e a Lady Helena e ai loro atteggiamenti poco raffinati. Il ragazzo davanti a lui era bizzarro, aveva delle enormi orecchie, i capelli scuri, gli occhi di un azzurro indefinibile, la pelle chiara e indossava degli abiti buffi, non usuali per lui, ma non importava, davvero.
«Posso chiamarti un taxi che ti riporti a casa, riesci a ricordare il tuo indirizzo?» Indi-cosa? E cosa era questa cosa che aveva definito taxi? Mai sentita una cosa del genere dalle sue parti.
«Cosa?»
«Il posto dove vivi» rispose il giovane, con tono comprensivo.
«Oh! Sì, vivo a Camelot!»
«Camelot, sì, certo» rispose l’altro, con tono fastidiosamente ironico «Senti, vengo da un turno asfissiante di dodici ore al pronto soccorso, ho visto di tutto e sono stanco morto, sto cercando di aiutarti perché ti vedo confuso, ma dovresti smetterla di prenderti gioco di me».
«Io sono il re di Camelot! Esigo che voi mi portiate rispetto, signore!» esclamò indignato «Come io sono rispettoso verso di voi!» esclamò ancora, innervosito.
«Okay, okay» alzò le mani «Facciamo così, non abito lontano da qui. Perché non vieni a casa mia, e domani, a mente lucida troveremo un modo per rimandarti a casa tua, sire?» a calci magari, aggiunse mentalmente il giovane, ma non c’era bisogno che il biondo sapesse la sua aggiunta.
Arthur ponderò la sua risposta, era il primo che gli offriva ospitalità, doveva cogliere l’occasione e farsi ospitare, così avrebbe potuto far ritorno a Camelot.
«Certo, mio signore, la vostra ospitalità sarebbe davvero l’ideale per me» rispose abbassando il tono e riponendo la spada nel fodero «Il regno di Camelot ricorderà il vostro gesto e ve ne sarà grato in eterno» aggiunse alla fine guardandolo con riconoscenza. Il moro sorrise, scuotendo la testa e lo guardò come se fosse pazzo, ma Arthur sapeva di non essere pazzo.
«D’accordo, d’accordo, apprezzo la gratitudine di Camelot, ma è meglio che tu sappia che io non ho alcun titolo e che non vivo in un castello» disse guardandolo «Mi chiamo Merlin, se non lo avessi capito».
«Non avete detto di essere il principe William?» chiese, guardandolo confuso.
«Era una battuta» disse con ovvietà nella voce, un’ovvietà che Arthur non colse «Una battuta, ero sarcastico… ma penso che tu non l’abbia colto».
«Non è bene mentire al re, sapete? A Camelot vi avrei fatto stare almeno per tre giorni nelle segrete per questo» disse serio, e Merlin si trattenne dallo scoppiargli a ridere in faccia. Da quale festa medievale era saltato fuori questo tipo? E quanto poteva esserne rimasto esaltato se continuava a stare al gioco? Forse aveva assunto delle droghe, e lui avrebbe sul serio dovuto farlo ricoverare, urgentemente magari.
«Mi dispiace, chiedo perdono» affermò divertito «Da questa parte, non dobbiamo camminare molto». Arthur annuì e si disse che non era bene far arrabbiare il suo salvatore di quel giorno, aveva ancora bisogno di riposo e ospitalità, altrimenti non avrebbe potuto far ritorno a Camelot e distruggere per sempre i druidi «E comunque, ti prego, dammi del tu, abbiamo la stessa età!» esclamò.
«D’accordo» concesse il biondo, facendo sorridere il suo soccorritore; poi, in religioso silenzio, lo seguì per la strada fiocamente illuminata, verso la sua dimora, giunsero davanti ad un edificio e Merlin aprì l’enorme portone con delle chiavi. Bene, così quello era il suo castello, li facevano proprio strani, i castelli, da quelle parti.
«Questo è il tuo castello?» chiese mentre entravano; Merlin trattenne una risata divertita alle sue parole.
«Castello? Oh no, questo è un condominio» rispose allegramente, conducendolo verso una strana scatola grigia. Premette un bottone e attesero, quella scatola davanti a loro sembrava una grande gabbia, ma Arthur non sapeva cosa fosse davvero.
«Condominio» mormorò pensieroso «Mai sentita questa parola» Merlin rise di nuovo e Arthur non badò a quell’ennesima mancanza di rispetto, quando la gabbia si aprì da sola, come per magia «Stai indietro, ti difenderò io!» esclamò, portando la mano sull’elsa della spada. Era il minimo che potesse fare per lui, dopo che lo aveva salvato da quel luogo strano.
«No, non c’è nessun mostro, Arthur» disse con dolcezza appoggiando una mano sul braccio, istintivamente il re si rilassò a quel tocco gentile «Questo è un ascensore, ci porterà a casa mia, abito al quarto piano, non voglio fare le scale a piedi» disse «Ricordi? Sono stanco» il biondo quindi annuì e, senza indugio, si lasciò condurre all’interno della gabbia metallica, Merlin premette un altro bottone, le porte si chiusero e la gabbia si mosse. Il re di Camelot si bloccò, stringendo tra le dita l’elsa della spada con una mano e con l’altra afferrò l’avambraccio del suo soccorritore, senza nemmeno accorgersene. Dov’erano? Cos’era quel posto? Cos’erano questi mostri che si muovevano da soli e inghiottivano le persone? Cercò di non farsi prendere dal panico, perché lui era un re, ma prima di tutto era un cavaliere di Camelot e i cavalieri di Camelot non si facevano terrorizzare dai mostri, neanche da quelli che non conoscevano. Maledizione, lui aveva sconfitto armate di guerrieri e di druidi, non poteva lasciarsi spaventare da quelle diavolerie che sembravano saltate fuori dagli inferi. Appena la gabbia si fermò, Arthur tirò un sospiro di sollievo, e fu il primo ad uscire, trovandosi davanti numerose porte.
«Queste sono le tue stanze?» chiese, indicando il corridoio pieno di porte.
Merlin scosse la testa «No, sono gli appartamenti degli altri condomini. Vieni, ti faccio strada verso il mio» Arthur, allora, in silenzio lo seguì, guardandosi le spalle. Non gli piaceva quel condominio, ma Merlin era stato gentile con lui, fin dal primo istante e non sembrava intenzionato a fargli del male, quindi poteva fidarsi. Con altre chiavi, il moro aprì una porta e lo fece entrare in una di quelle innumerevoli porte, come le aveva chiamate?
«Questo è il mio appartamento» disse, e con un altro bottone accese le luci della casa, dalla porta si accedeva ad un piccolo ingresso, dal quale si apriva un corridoio che portava alle altre stanze.
«Questa è stregoneria!» esclamò indicando il moro «Sei uno stregone! Lavori con Mordred?»
«Non so di cosa tu stia parlando» rispose l’altro con tono calmo «La magia non esiste, Arthur, questa si chiama corrente elettrica, siamo nel ventunesimo secolo» disse a quel punto. Il biondo inclinò la testa confuso. Cos’era il ventunesimo secolo? E cos’era la corrente elettrica? Un altro tipo di stregoneria? Non aveva mai sentito cose del genere a Camelot.
Merlin entrò in quella dimora, chiamata appartamento, posò per terra una borsa marrone e gli fece cenno di entrare in casa. Titubante, il re entrò e il moro chiuse la porta dietro di loro e lo guardò per capire cosa gli passasse per la mente. Si stava chiedendo se fosse o meno il caso di chiamare il 911 e farlo ricoverare. Sembrava messo male, eppure i suoi occhi, il suo sguardo spaesato, gli suggerivano che avesse bisogno di una mano da lui e non da altri. Perché doveva essere così buono di cuore con gli sconosciuti?
«Non capisco cosa significa» ammise Arthur, dopo diversi minuti di silenzio e di scrutamento del misterioso appartamento. Era davvero spaesato, tutte queste nuove informazioni lo stavano confondendo più della magia stessa – e lui era uno che davvero ne capiva poco, di magia.
«D’accordo, diciamo che sei molto stanco, hai fame?» chiese Merlin, l’altro annuì «Va bene, io preparo qualcosa per la cena. Tu vorresti toglierti… quella roba? Sembra pesare parecchio, posso darti qualcosa con cui cambiarti, se vuoi» disse indicando la sua cotta di maglia e il resto «Vieni, ti mostro il bagno e ti do qualcosa con cui cambiarti» disse, quando non ottenne una risposta. Arthur non voleva essere maleducato e non rispondere, era solo, sinceramente, scioccato da tutte quelle novità. Non sapeva dove si trovasse, e a quanto pareva nemmeno quando, era nella casa di uno sconosciuto che lo aveva soccorso e lontano da tutto ciò che conosceva. Non si sarebbe fatto prendere dal panico solo perché era un cavaliere e i cavalieri non potevano permettersi di farsi prendere dal panico in nessuna situazione. Quindi si lasciò trascinare da Merlin in una stanza dell’appartamento dove c’erano un letto e un armadio, e da quest’ultimo prese dei pantaloni e una strana tunica.
«Ecco, questi sono del mio ex, dovrebbero starti, sono di un paio di taglie più grandi dei miei» disse sorridendo, porgendogli degli indumenti che lui mai in vita sua aveva visto.
«Il tuo ex? Un… maschio?» chiese curioso, prendendo comunque gli indumenti.
«Sì, hai qualche problema con gli omosessuali?» chiese stranito il moro. Per omosessuale si intendevano uomini che stavano con altri uomini, lo sapeva, ma in quel tempo era concesso liberamente parlare di determinati argomenti? Beh, sapeva delle tresche dei cavalieri con i servitori, certo, e non ne faceva un affare di stato, ma a Camelot non andavano esattamente a sbandierarlo ai quattro venti, e anche lui aveva avuto una relazione con un uomo, quindi era a suo agio con la cosa, ma non si aspettava che Merlin ne parlasse con così tanta facilità. Forse le cose in quell’epoca erano diverse?
«No, no… insomma, so che i miei cavalieri hanno delle tresche con i loro servitori, anche se beh, non lo dicono a chiunque, ma io sono il re quindi so ogni cosa» disse, Merlin si accigliò alle sue parole, credeva davvero a tutta la storia di Re Arthur di Camelot, due erano i fatti: o aveva partecipato a qualche assurda festa medievale ed aveva bevuto troppo, o era un pazzo invasato fuggito da qualche clinica, e forse era il caso che lui chiamasse quel suo collega di psichiatria…
«O-Okay» balbettò Merlin, impacciato «Vado a preparare la cena, il bagno è alla fine del corridoio sulla destra».
Alle sue parole Arthur annuì, senza ovviamente ringraziare, non era suo costume ringraziare, in fondo, era il re, era ovvio che gli altri si comportassero in quel modo nei suoi confronti.
Merlin si affrettò a lasciare la stanza e ad andare nella cucina, che era un unico ambiente con il salone, non aveva molto: solo delle librerie (sia con libri sia con dvd), un divano e due poltrone (regali di sua madre) e un televisore con lettore dvd che aveva comprato con il suo primo stipendio, un tavolino davanti alla tv, e una penisola a dividere i due ambienti, con due sedie che lui usava come tavolo; giunto lì, iniziò a preparare gli ingredienti per preparare la cena e a stendere una tovaglia sulla penisola della cucina, ma non fece in tempo a prendere una padella e una ciotola per preparare una perfetta omelette, che un urlo terrificante proveniente dal bagno, ferì le sue orecchie. E adesso che succede? – si domandò, temendo che Arthur si fosse ferito con una spazzola (ne sarebbe stato capace, ne era certo) percorse velocemente il corridoio fino al bagno, aprì la porta di scatto e si ritrovò davanti Arthur mezzo nudo, e… oh santo cielo, da quale sogno era venuto fuori? Era un vero essere umano? Come poteva essere così attraente? Arrossì di botto, senza nemmeno accorgersene: «Santi numi, Arthur! Che diavolo succede? Perché urli?» domandò voltandosi dando le spalle al biondo. Non guardare – si disse – non guardare.
«Come faccio a lavarmi senza una tinozza, Merlin? E senza acqua calda?» chiese con un tono che indispettì il moro. Chi credeva di essere, davvero il re? «E poi mi sono dovuto spogliare da solo, ti rendi conto? Perché non mi hai aiutato?»
«Perché, non so come funziona dalle tue parti, qui non si spogliano gli sconosciuti» borbottò – a meno che tu non voglia portarteli a letto, ecco – aggiunse mentalmente, entrando con grandi falcate nel bagno, cercando di non guardare i muscoli tonici del petto del pazzo che stava ospitando e aprì l’anta del box doccia.
«Ecco qui» disse semplicemente, poi aprì il getto della doccia e regolò la temperatura su calda «La vostra doccia è pronta, maestà» esclamò con tono di scherno. Arthur lo guardò perplesso, spostò lo sguardo da lui alla scatola magica diverse volte, prima di capire cosa fosse. Ah. Lo sapevo che era alleato di Mordred! pensò, credeva davvero che non lo avrebbe scoperto?
«Questa è stregoneria. Confessa! Lavori con Mordred!» esclamò, cercò la spada con lo sguardo, ma si rese conto che fosse troppo lontana e probabilmente il nemico lo avrebbe ucciso prima.
«Non so chi sia Mordred, santo cielo, l’ultima volta che ho studiato il ciclo arturiano ero un ragazzino delle scuole superiori!» esclamò alzando gli occhi al cielo «Questa si chiama doccia. Ed è acqua corrente. Forza, entra».
«Ma se non è stregoneria, come può la pioggia arrivare in questa scatola?» domandò mettendo un piede nel box «Ed è anche calda» disse, poi sembrò rifletterci sopra e «Mi piace questa stregoneria» affermò, ma prima che Merlin potesse ribattere, dicendogli di nuovo, che quella non era stregoneria, il biondo era già entrato nella doccia e stava mormorando qualcosa su quanto gli piacesse la pioggia calda, e che la pioggia avrebbe dovuto essere sempre così. Merlin rise leggermente scuotendo la testa, gli mise un asciugamano pulito sul mobiletto accanto al box doccia e tornò in cucina per preparare la cena. Doveva togliersi dalla mente il petto nudo di Arthur, davvero, non andava bene che quel tizio che aveva soccorso, sembrasse uscito direttamente da uno dei suoi sogni erotici: gli occhi azzurri e profondi, quei capelli biondi così simili a spighe di grano, che sembravano soffici al tatto, e il fisico che sembrava temprato da anni di allenamento o di palestra, santo cielo, doveva smetterla di pensare a quello che aveva visto. E no, non aveva intravisto anche le sue gambe toniche e le sue braccia muscolose, no. Doveva smettere di pensare a lui, e a quello che aveva visto in quel bagno, doveva solo essere bravo a superare quella notte e a non pensare a lui, poteva farcela, no? Aveva appena finito di montare le uova, quando la voce di Arthur raggiunse le sue orecchie. Ecco, anche la sua voce aveva un che di erotico. Oh smettila, Merlin, smettila. Pensa a cose orribili. Come gli scarafaggi o al fatto che dovresti deciderti a sgrassare la cappa della cucina, o alle braccia muscolose di Arthur… maledizione.
«Quella scatola magica con la pioggia calda è meravigliosa, Merlin» disse entrando nella cucina.
«Si chiama acqua corrente e…» iniziò a dire voltandosi, ma la voce gli morì in gola, e deglutì quando si ritrovò davanti, nemmeno troppo lontano da lui, Arthur con solo un asciugamano attorno ai fianchi, i capelli umidi, alcune gocce che scivolavano lente e attraenti lungo quel collo che ispirava morsi e succhiotti – oh no, ti prego, ti prego, no. Non farmi essere attratto da lui, ho già sofferto abbastanza per stronzi affascinanti come lui – pregò mentalmente, mentre la voce proprio non voleva saperne di uscire; tossì un paio di volte per eliminare l’imbarazzo «Cosa ti serve?»
«Quegli indumenti non vanno bene, ho bisogno dei miei calzoni e delle mie tuniche di lino» disse il biondo con quel tono da principino viziato.
«Sì certo, aspetta che cerco nella mia tenuta estiva, forse ho delle tuniche di lino» rispose sarcasticamente il moro, portandosi le mani ai fianchi, guardando l’altro allibito. Poi si voltò verso la cucina e versò l’omelette nella padella calda, per cuocerla.
«Cosa aspetti?» domandò Arthur dopo un po’. Era ancora lì? Davvero?
«Cosa ci fai ancora lì, mezzo nudo? Vai a vestirti» Arthur stava per ribattere «Ero sarcastico, nel Medioevo non avete il sarcasmo?» domandò ironico l’altro «Forza, che se resti così ti viene un malanno e asciugati i capelli! Il phon è nel bagno vicino allo specchio, devi solo accenderlo, è già collegato alla corrente» disse tutto insieme stordendo per un attimo il re di Camelot, che lo guardò allibito e scioccato. Chi parlava in quel modo ad un re? Solo uno stolto che di etichetta non sapeva nulla, tuttavia il suo aiuto gli serviva, come minimo per trovare un modo per tornare a casa, così senza dire altro, borbottando solo lamentele, tornò nel bagno e indossò quegli indumenti bizzarri. Per lui erano scomodi e quella specie di tunica pizzicava leggermente, ma erano caldi, a Camelot non c’erano cose così calde, a meno che non fossero pellicce di animali, come orsi o lupi. Poi guardò l’oggetto strano che Merlin aveva detto chiamarsi phon. Cos’era quell’arma? Serviva per difendersi? Lo prese tra le mani, era nero, l’impugnatura aveva degli strani bottoni, uno rosso e uno blu, e l’altro lato era allungato come il manico, ma aveva dei fori. Premette il tasto rosso e non successe nulla, poi quello blu. E fu in quel momento che il mostro prese vita e iniziò a sputare fuoco, anzi vento caldo e Arthur urlò lanciandolo per aria, l’oggetto si infranse al suolo e smise di fare rumore – ah! Il mostro è abbattuto, un’altra vittoria per il re! – dopo un po’ sentì i passi di Merlin giungere fino a lui. Come minimo avrebbe dovuto ringraziarlo per averlo liberato da quel mostro spaventoso.
«Quel mostro ha cercato di aggredirmi per conquistare la casa!» esclamò «Ma l’ho sconfitto, adesso sei al sicuro» disse passando accanto a lui con aria di superiorità «Non c’è bisogno che mi ringrazi» aggiunse alla fine, poi prese un asciugamano bianco e si asciugò i capelli con quello, superando il moro e raggiungendo la cucina da dove proveniva un delizioso odore di cibo.
Merlin osservò il suo phon per terra, lo prese tra le mani e controllò se funzionasse, e niente, era morto. Arthur lo aveva rotto gettandolo per terra in quel modo; si guardò intorno, il bagno era davvero un disastro, i pezzi dell’armatura di quel tipo erano ovunque e gli asciugamani che gli aveva prestato altrettanto, uscì dal bagno e notò che sul pavimento, c’era l’ultimo che aveva utilizzato e gettato sul pavimento senza grazia; Merlin si infuriò e, irritato, percorse velocemente il suo piccolo appartamento raggiungendo il biondo in cucina.
«Senti! Non so chi tu sia, o da dove tu venga, ma non puoi venire qui e distruggere casa mia!» esclamò arrabbiato «E adesso, sei pregato di mettere in ordine la tua armatura, perché io non ho intenzione di toccare quella roba!»
«Merlin, io sono il re» disse, regalmente accomodato su una delle sue sedie di legno «Non metto le mie cose al loro posto, lo fanno i miei servitori» disse con una serietà che fece infuriare il dolce e pacato Merlin.
«Adesso tu vai nel bagno, re dei miei stivali, e raccogli ogni pezzo di quella ferraglia e li riponi qui» disse, porgendogli uno strano sacco di un materiale a lui sconosciuto «E poi te la riporti da dove sei venuto!»
«Ci tornerei volentieri se potessi» disse il re, afferrando il sacco dalle sue mani «E sappi che quando tornerò a Camelot, sarai bandito dal mio regno! Se ci metterai piede, ti farò giustiziare come stregone!» esclamò dirigendosi di nuovo verso il bagno, solo per orgoglio personale – e perché sapeva che non sarebbe sopravvissuto in quel tempo da solo, con tutte le diavolerie magiche di quel tempo.
«Oh, per tutti i santi numi, io non sono uno stregone! Siamo nel ventunesimo secolo, è progresso, stupido asino pazzo e ubriaco!» esclamò ad alta voce alla schiena del biondo, che non gli prestava più ascolto.
La discussione stava prendendo una strana piega, Arthur non sembrava ubriaco – sì, al pronto soccorso ne aveva visti tanti – e nemmeno pazzo. Sembrava serio nelle cose che diceva, ma non poteva essere vero. A parte il fatto che re Arthur di Camelot era solo una leggenda… ma poi come avrebbe potuto trovarsi nel ventunesimo secolo? Era assurdo. Prese un respiro profondo e si rese conto di non essere stato esattamente accogliente con un tizio che forse aveva sul serio bisogno d’aiuto, e tornò sui suoi passi, spense la fiamma sotto l’omelette – non voleva rischiare di bruciare anche la cena – e raggiunse il bagno; vide Arthur lottare letteralmente con il sacco nero di plastica che gli aveva dato. Un piccolo sorriso comparve sulle sue labbra, sembrava davvero spaesato, era questo che l’aveva spinto ad avvicinarsi a lui quella sera.
«Dai a me, ti do una mano» disse abbassandosi accanto a lui, togliendogli la busta dalle mani «Mi dispiace, sono stato scortese, è che mi sembra assurda la tua storia».
«Non dirlo a me. Sono bloccato in un posto strano, che gli dèi mi aiutino, in un tempo diverso, con cose che sembrano stregoneria» disse affranto, alzando i pezzi della sua armatura «Sono abituato ai servitori a Camelot».
«Sì, d’accordo…» mormorò, mettendo tutti i pezzi dentro il sacco, rivolgendo un sorriso al biondo «Per diana, come pesano. Come fai a portarli addosso?» chiese allibito.
«Duro allentamento di anni e anni» disse, raccogliendo Excalibur da terra «Questa la terrò vicino al mio giaciglio» disse «Hai della paglia? Qualcosa su cui dormire?»
«Perché dovresti dormire sulla paglia? Ho una stanza per gli ospiti con un letto comodo e un cuscino, anche due se vuoi» scherzò Merlin, Arthur sorrise per la prima volta da quando era lì, era strano questo Merlin, gli ricordava un po’ uno stregone che aveva conosciuto a Camelot, solo che il suo nome era Dragoon ed era anziano, però gli occhi erano molto simili «Vieni dai, porta la tua spada, se ti fa sentire al sicuro, ma non tentare di uccidermi» scherzò cercando di smorzare la tensione.
«Non potrei mai. Sei l’unico che sta cercando di aiutarmi» ammise con un sospiro prolungato.
Merlin gli rivolse un sorriso dolce: «Vieni, la cena è quasi pronta» disse, poi lo condusse in cucina di nuovo, Arthur strinse la sua spada tra le mani, mentre raggiungeva la cucina con Merlin e quest’ultimo gli servì un piatto con una strana pietanza dentro. Il biondo appoggiò Excalibur al muro accanto a sé e poi squadrò il piatto, dopo essersi seduto, lo rigirò tra le sue mani un paio di volte, prima di alzare lo sguardo su Merlin.
«Quale pietanza è questa?» chiese.
«Si chiama omelette» disse «Sono uova, formaggio, latte, prosciutto…» spiegò lentamente la ricetta al biondo che annuì «Sono certo che ti piacerà, prova» lo invitò il moro «Giuro che non è avvelenata».
«Non l’ho mai messo in dubbio» disse affondando la forchetta in quella prelibatezza, gustandone subito dopo un pezzo. Oh dèi, era buonissima. Aveva assaggiato molte prelibatezze a Camelot, ma questa cosa che Merlin aveva preparato, era divina. Fantastica. Perfetta. Merlin sarebbe stato il perfetto cuoco di corte, sì. Se mai fosse tornato a Camelot, lo avrebbe portato con sé, ne era certo. Non lo avrebbe lasciato da solo in quel luogo infestato da mostri metallici e gabbie che si muovevano. Dopotutto, il moro era stato gentile ad ospitarlo ed era compito suo, da re grato e in debito, soccorrerlo.
«Deliziosa, è davvero deliziosa, Merlin» si congratulò con lui sorridendo, continuando a mangiare «Considera la minaccia di bandirti dal regno ritirata, saresti un cuoco di corte fantastico» affermò con serietà.
«Ti ringrazio» rispose il ragazzo, guardandolo divertito. Dopo un po’, anche Merlin iniziò a mangiare la sua parte di omelette in silenzio. Si interrogava sul giovane che aveva di fronte e non riusciva a capire dove iniziasse la sua serietà e dove finisse il gioco che aveva messo su. Non poteva essere reale.
«Cosa ti è successo?» chiese il moro.
«Ero con i cavalieri nella foresta, mi avevano detto che i druidi ci stavano aspettando lì» disse lui con serietà «Poi è arrivato Mordred, il capo dei druidi» raccontò «E mi ha maledetto con un incantesimo, poi mi sono risvegliato in una grotta» continuò il suo racconto «C’era una botola, l’ho aperta e mi ha portato qui».
«Una grotta?»
«Esattamente! C’era un cattivo odore, davvero nauseabondo, e poi quando ho trovato la botola, mi sono ritrovato davanti a un mostro di metallo che emetteva flatulenze disgustose».
«Eri in un tombino. E ti sei ritrovato in strada, nel bel mezzo del traffico londinese» disse Merlin annuendo, cercando di capire cosa stesse accadendo, non sapeva ancora se credere a quell’assurda storia, o continuare a credere che fosse irrimediabilmente fatto e l’effetto delle droghe non fosse ancora passato.
«Londinese? Ha a che fare con Londra, vero?» chiese «Questo è il nome di questo regno? Londra? Ho sentito alcuni villici nel mio peregrinare, parlare di questa Londra».
Merlin rise, una risata cristallina e non denigratoria «Amico, ti trovi nella città di Londra, che si trova in Inghilterra» spiegò guardandolo «Nel Regno Unito».
«Capisco…» mormorò il biondo, annuendo tra sé e sé «Unito da chi?»
Il moro rise ancora e scosse la testa divertito, borbottando qualcosa sul fargli leggere qualche libro di storia, perché non aveva mai incontrato un asino come lui. Nel frattempo, iniziò a sparecchiare e a riporre i piatti sporchi nella lavastoviglie.
«Non puoi chiamarmi asino» si lamentò Arthur «Non puoi rivolgerti a me in questo modo».
«Scusa» si scusò senza riuscire a smettere di ridere «Preferisci che ti chiami asino regale, mio signore?»
«Insolente!» esclamò, lanciandogli contro un cucchiaio come se fosse un’arma, mancandolo per un pelo e continuando a guardarlo indignato, come si permetteva di parlargli in quel modo? «Se fossimo a Camelot ti avrei fatto già rinchiudere nelle segrete!» esclamò irritato, incrociando le braccia al petto «O alla gogna. Ti vedrei bene a prendere frutta marcia in faccia».
Merlin continuò a ridere, mentre riponeva i piatti sporchi in uno strano oggetto con lo sportello abbassato. Che buffo, Merlin aveva tanti oggetti buffi in quella casa.
«Quello cos’è?» chiese curioso, guardando quell’oggetto come se fosse stato un nuovo demone.
«Oh, la lavastoviglie è l’invenzione migliore del mondo» disse Merlin «Metti tutti i piatti sporchi qui, e lei li lava al posto tuo» disse, ridacchiando. Mise dentro ogni cosa, posate, piatti, pentole, poi chiuse e premette un tasto, poi l’oggetto bizzarro fece un gran rumore e si sentì uno scroscio d’acqua.
«Quindi lei lava le stoviglie al posto tuo» disse, l’altro annuì «In poche parole è la tua servitrice».
«Certo, come la lavatrice che lava gli abiti e l’asciugatrice che li asciuga» rise Merlin.
«Hai servitori efficienti, Merlin, sembri quasi un nobile, nonostante tu non abbia un titolo» disse con convinzione «Sono sorpreso!» esclamò felice «Anche se i tuoi servitori non sono persone» commentò, e davvero il moro non sapeva se ridere o piangere davanti alle sue parole, sembrava davvero credere a tutta la faccenda.
«Ho un buon posto di lavoro e ho risparmiato abbastanza» disse in risposta, con una scrollata di spalle. Arthur lo guardò sorpreso e confuso allo stesso tempo «Te lo spiegherò domani, adesso penso sia il caso di andare a letto». Il re annuì, rendendosi conto di essere davvero molto stanco, il tanto peregrinare per il nuovo mondo, lo aveva davvero sfinito, per non parlare di tutte le novità moderne – come diceva Merlin – che aveva scoperto. Assurdo, semplicemente assurdo.
«Sono d’accordo, dopo una bella dormita, sapremo come fare per sistemare la faccenda». Merlin annuì e lo condusse nella stanza degli ospiti, dove prima aveva riposto l’armatura di Arthur. Lo fece entrare e gli spiegò che quello era il letto dove avrebbe dormito e che poteva considerare quella stanza come la sua, finché ne avesse avuto bisogno.
«Merlin?»
«Sì?»
«Sei stato gentile con me oggi, non lo dimenticherò» disse, a mo’ di ringraziamento. Ringraziare non rientrava nelle sue abitudini, ma quello poteva dirlo, perché gli era grato, era stato l’unico che aveva chiesto se avesse bisogno d’aiuto ed era stato disposto a farlo, pur non conoscendolo, e quanto pareva, ad ignorare il fatto che fosse un re.
Il moro sorrise e «Nessun problema, è stato un piacere» gli disse e «Buonanotte» aggiunse, prima di chiudersi la porta alle spalle e andare in camera sua, per gettarsi sul letto e godersi il suo meritato riposo.




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Hola fandom di Merlin!
Sebbene io non sia nuova su EFP, è la prima volta che appaio in questo fandom con una Merthur. Io non pensavo alle due patate medievali da secoli, davvero, anche se sono sempre stati nel mio cuoricino da shipper, essendo tra le primissime coppie slash che abbia mai shippato (quando avevo solo 15 anni, andavo al liceo e scrivevo in modo osceno, che non sto qui a raccontare), ma poi è successo, ho avuto una ricaduta. Dopo essere ricaduta nel tunnel, causa Colin (con The Happy Prince) e Bradley (con i Medici) che mi colpiscono negli affetti, essendo io una studentessa di lettere e filosofia, amante di letteratura, storia e tutto il resto; non ho resistito, ho avuto un attacco di nostalgia e ho riguardato alcuni episodi di Merlin (me tapina) e niente da "guardo solo qualche episodio" a "oh mio dio ho scritto una Merthur" il passo è brevissimo. Quindi eccomi qui, con una (delle quattro/cinque) Merthur che ho scritto nell'ultimo periodo. Questa rispetto alle altre è già finita, solo 6 capitoli + un piccolo epilogo. 
In questa storia Arthur è il re di Camelot, ma Mordred (non è un cavaliere, ed è il capo di druidi) invece di ucciderlo lo manda nel mondo moderno (personalmente mi sono divertita da morire a scrivere Arthur alle prese con "i mostri" moderni) ovviamente fate finta che ci sia un enorme Tardis sulle loro teste (che non potevo mica far parlare ad Arthur l'inglese antico, sarebbe stato un casino ahah) e ovviamente Merlin ha già un debole per lui (e dai, chi non lo avrebbe, pft). 
E nulla, spero che questo capitolo sia piaciuto a chiunque lo abbia letto!
Mi sono presa una pausa dallo studio per postare questo primo capitolo, ne avevo bisogno, stavo un attimo impazzendo e mi sono detta, “perché non pubblicare la Merthur ed evitare che prenda altra polvere sul pc?” La storia è finita quindi gli aggiornamenti saranno abbastanza costanti, settimanali presumo (università permettendo, ho tre esami questo mese, povera me). Un'ultima cosa, di solito i capitoli tendono a sfuggirmi di mano; la storia era nata come one shot, lo giuro, ma poi all'improvviso è lievitata in modo esponenziale (da che era "dai facciamo che Arthur arriva nel mondo moderno e fa qualche figura di merda e Merlin lo salva, è diventata una roba lunga e piena di roba mitologica, ma i primi due capitoli dovrebbero essere "divertenti", poi inizia la parte seria lol). Quindi la lunghezza di ogni capitolo potrebbe variare, ma non dimuinire. Sorry. 
So, people, alla prossima! Spero di avervi detto tutto.

PS sebbene abbia riletto infinite volte il capitolo, qualche errore di battitura potrebbe essermi sfuggito. Chiedo perdono nel caso ce ne fossero!
 

   
 
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