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Autore: Teo5Astor    07/02/2019    24 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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2 – Atmosfera e verità
 
 
 
Dimenticarla? La fa facile lei…
Mi rigiro nel letto, mentre la luce del sole pugnala la stanza filtrando dalla tapparella che non tiro mai giù del tutto. Mi piace veder filtrare di notte la pallida luce della luna e quella dei lampioni, come adoro svegliarmi con la stanza già illuminata dal sole.
«Che palle…» sbuffo, mentre il suono della sveglia del mio cellulare sul comodino mi rimbomba nella testa e mi irrita. Ho dormito poco e niente stanotte, non ho fatto altro che pensare a quegli occhi di ghiaccio e a quel costume da coniglietta. A quelle parole enigmatiche.
«Ciao fratellone!»
Una voce squillante, due braccia che mi cingono il collo e mi tirano per abbracciarmi.
«Lasciami tranquillo, Goku…» borbotto, ancora mezzo intontito, cercando di liberarmi della presa di mio fratello. Lui ha quattordici anni, ma è come se ne avesse una paio di meno mentalmente, forse anche di più. Non per colpa sua, in realtà, ma di come ha reagito lui a quello che gli è successo due anni fa.
«Ma Goku ti vuole tanto bene!» esclama, sdraiandosi accanto a me, felice.
Apro gli occhi e gli sorrido, indossa come sempre la sua felpa arancione con in testa il cappuccio a forma di tirannosauro che contiene a fatica i suoi folti capelli neri così spettinati da avere la forma di una palma.
«Stai diventando grande, ormai» gli dico, dopo essermi alzato e aver spalancato la finestra. «Non dovresti più infilarti nel mio letto al mattino».
«Urca! Non essere crudele, fratellone!» replica lui, fingendosi corrucciato. Gli calco il cappuccio sulla fronte e mi preparo, devo andare a scuola.
 
«Ti piacciono le ragazze vestite da coniglietta, Prince?» butto lì dal nulla, senza smettere di fissare distrattamente il paesaggio che mescola continuamente i suoi colori mentre il treno su cui mi trovo col mio amico e compagno di classe Vegeta Princely sfreccia a tutta velocità verso la nostra scuola. Il vagone è pieno, soprattutto di studenti. Noi siamo in piedi e guardiamo fuori dai finestrini, ancora troppo intontiti dal sonno al mattino presto per fare discorsi sensati.
«No, tsk!» risponde, loquace come sempre.
«Dici che non ti piacciono perché le adori, forse?» ribatto, voltandomi verso di lui e accennando un ghigno.
«In effetti le adoro» sta al gioco, sorridendomi sghembo. I suoi capelli neri sono perfettamente sistemati col gel anche stamattina, in quella sua acconciatura a fiamma che, a quanto pare, tanto piace alle ragazze.
«Mettiamo il caso in cui, in biblioteca, tu ti imbatta in un’incantevole “coniglietta”… come ti comporteresti?» riprendo.
«La guarderei una seconda volta per accertarmi di non essere diventato pazzo».
«Giusto, e poi?»
«Poi credo che resterei lì impietrito da una scena così assurda, no?! Ma che cazzo di domande fai, Rad?! Ho sonno…»
«Lascia perdere, Prince» sorrido, mentre scendiamo dal vagone e ci avviamo verso la scuola, il Liceo Minegahara della Prefettura di Kanegawa, circondati da un’ondata di ragazzi e ragazze vestiti esattamente come noi: giacca marrone, camicia bianca con cravatta rossa, pantaloni o gonna corta neri a seconda del sesso.
In mezzo a quella ressa, all’improvviso, la vedo.
Una decina di metri davanti a noi.
Il mio battito aumenta. Cammina da sola tra la gente, mentre il sole sembra rendere ancora più lucenti i suoi capelli biondi. La riconoscerei ovunque, anche di spalle.
«Senti, Prince»
«Uhm?»
«La vedi davanti a noi la senpai Lazuli Eighteen?»
«Certo che la vedo, mi hai preso per un cieco?!»
«Chissà che persona è…»
«Beh, è una celebrità. A me sembra solo altezzosa, Rad».
«A me sembra molto sola» ribatto, senza toglierle gli occhi di dosso. Nessuno le parla, nessuno le si avvicina. «Anche se è una celebrità».
«Anche se si è presa una pausa dal lavoro rimane sempre famosissima, no? Figurati se è sola…» riprende Vegeta, lievemente scocciato.
«In effetti sono rimasto a bocca aperta quando ho scoperto che frequentavamo la stessa scuola» riprendo, notando la molletta nera glitterata a forma di coniglio tra i suoi capelli e riuscendo a intravedere anche il suo sguardo fiero e allo stesso tempo triste, ora che si è voltata leggermente di lato.
«Se devo essere sincero, mi fa piacere che finalmente provi interesse per una ragazza che non sia Videl Satan» mi dice Vegeta, guardandomi fisso negli occhi. «Ma non starai puntando fin troppo alto, adesso?»
«Beh, ma non ti ho mica detto che provo qualcosa per Lazuli. E non mi sono neanche dichiarato a lei, comunque» ribatto, omettendo la parte su Videl.
«E allora perché parli di lei stamattina e mi stai tirando scemo?»
«Niente, è che a scuola non l’ho mai vista parlare con nessuno. È sempre da sola».
«Veggy!»
Non ho bisogno di voltarmi per riconoscere la voce da oca di Marion che mi spacca i timpani. Intravedo Vegeta barcollare leggermente, dato che la sua ragazza deve aver iniziato come sempre a strattonarlo per il braccio e a tirarlo verso di sé. La cosa bella di queste scene è che mi fanno ridere, perché il mio amico è terribilmente a disagio. Veggy… ma come cazzo si fa?! Fatico a non ridergli a faccia.
«Smettila, dai, non starmi addosso! E non chiamarmi così davanti a tutti, tsk!» borbotta Vegeta, imbarazzato e scuro in volto. «A dopo, Rad!» aggiunge, mentre viene trascinato via dalla sua ragazza. «Ok, Veggy!» rispondo ghignando, scandendo per bene il nome e beccandomi un’occhiata che sa tanto di minaccia da parte del mio amico.
Prima che i due si perdano tra la folla, incrocio il mio sguardo con quello di Marion. I suoi grandi occhi azzurri mi guardano con estremo disprezzo anche oggi, come sempre. Sospiro, scuotendo leggermente la testa e sorridendo, mentre lei si volta di scatto e riprende a camminare spedita stretta a Vegeta. Guardo i suoi lunghi capelli azzurri sparire nel mare di divise scolastiche marroni e nere che mi circondano.
Mi odia anche lei, ovviamente, come quasi tutte le persone presenti qui a scuola.
Ma non me ne frega un cazzo, sinceramente.
 
Arrivo in classe e mi siedo al mio solito banco in ultima fila laterale, vicino alla finestra. Mi piace guardare fuori. Pensare. Sognare, a volte.
Si vede il mare, da qui. Se apro la finestra posso anche sentirne il profumo, farmi cullare dal suo canto eterno e immutabile. Mi piace vedere il mare.
Non saluto nessuno, nessuno mi saluta.
Invisibile o quasi. Ma va benissimo così.
Solo Bulma Brief mi fa un cenno col capo, seduta al prima banco davanti alla cattedra, impeccabile come sempre. Capelli turchini e divisa perfettamente in ordine, occhiali e libri già disposti davanti a lei. Maledetto genio travestito da ragazza. Le rispondo con un sorriso, prima di guardare fuori dalla finestra due gabbiani che volano e sembrano rincorrersi.
Mi sembra di vedere due occhi blu nel cielo, occhi che non vedo da due anni. Due codini neri, un sorriso dolce. I contorni del volto di Videl mi appaiono sfocati oggi, però. Chiudo gli occhi per un attimo e li riapro. Sorrido automaticamente nel vedere nel cielo gli occhi di ghiaccio di Lazuli, i suoi capelli biondi. Il suo sguardo triste che per un istante sembra brillare, come ieri in biblioteca. Sento il cuore battere un po’ più forte.
«Ho parlato poco fa con un senpai del club di calcio, te lo ricordi Napa?»
La voce di Vegeta non mi fa distogliere lo sguardo dal cielo, ma lo ascolto con attenzione. È arrivato anche lui in classe, dopo aver accompagnato Marion nella sua, cioè in quella accanto alla nostra. La coppia di gabbiani sparisce dietro una nuvola, diretti verso il mare.
«Chi, il bestione pelato che fa il portiere nella tua squadra? Lui è in classe con Lazuli se non sbaglio».
«Ecco, appunto, gli ho chiesto della senpai Lazuli» riprende Vegeta.
Mi volto e lo guardo dritto negli occhi, in piedi accanto a me con ancora lo zaino su una spalla.
«Però, prima di parlare di lei, mi ha anche detto che ti rivuole in squadra. Senza di te, in difesa facciamo cagare. Se torni in campo possiamo vincere il campionato».
«Me lo dici sempre anche tu, Prince» rispondo, ripensando a quanto mi sia sempre piaciuto giocare a calcio. Ho sempre giocato fin da piccolo. Sono entrato nel club di calcio della scuola insieme a Vegeta, all’inizio del primo anno. Eravamo le uniche due matricole che sono diventate subito titolari, ma ho dovuto mollare dopo tre partite. Non ce la facevo a star dietro a tutto, ho dovuto sacrificare la mia passione, una passione in cui me la cavavo molto bene, tra l’altro. Studio e lavoro, è diventata questa la mia vita. «Ti giuro che vorrei giocare ancora, ma adesso come adesso è impossibile… magari tra qualche mese, o all’inizio del nostro terzo anno…».
«Tsk! Per quanti gol riesca a segnare io in attacco, corriamo sempre il rischio di prenderne uno in più coi difensori del cazzo che abbiamo…» sbuffa, stizzito. Lui è la stella della squadra. Ma un giocatore, da solo, fa vincere una partita, l’organizzazione e il gioco di squadra fanno vincere i campionati. E lui lo sa benissimo.
«Vorrei tanto anch’io vincere il campionato della prefettura e andare ai nazionali con te» gli dico, in tono malinconico, ripensando alla mia maglia da gioco col numero cinque. «Ti prometto che ce la faremo» gli sorrido, allungando il pugno chiuso verso di lui.
«Ovvio» ghigna, battendo il suo pugno contro il mio.
«Dai, parlami di Lazuli… cosa ti ha detto Napa?»
«Stando a quello che dice lui, sembra che non abbia mai frequentato le lezioni durante i primi mesi del loro primo anno» spiega Vegeta.
«Come mai?»
«Per il suo lavoro. Nonostante avesse annunciato di volersi prendere una pausa alla fine della scuola media, alcuni contratti che aveva già firmato l’hanno tenuta impegnata più del previsto».
Il mio amico si interrompe per un attimo e mi scruta, come se volesse studiare la mia reazione.
«E poi?! Cazzo, non farti tirare fuori le parole di bocca con le tenaglie, Prince!»
«Ha iniziato a frequentare regolarmente solo dopo la pausa estiva del loro primo anno» riprende, sorridendomi sghembo.
«Non dev’essere stato facile per lei» sospiro, e mi rendo conto di sentirmi triste.
«Già… Lazuli Eighteen, la celebrità che ha iniziato a venire a scuola solo da metà anno. Napa dice che è una completa estranea per loro» conferma Vegeta, sedendosi al suo banco, accanto al mio.
«Una volta delineata, non è facile cambiare la struttura sociale di una classe» spiego, mentre vengo attratto dalle risate di un gruppo di quattro ragazze che camminano nel corridoio passando davanti all’entrata della nostra classe. La mia attenzione viene catturata da una ragazza minuta dai lunghi capelli blu legati in un vistoso fiocco rosso, che sembra sorridere forzatamente mentre le altre parlano e stringe le sue mani l’una nell’altra tradendo un certo nervosismo. Non sembra a suo agio, non saprei dire perché. Devono essere del primo anno, non le ho mai viste.
«Se ti distingui dalla massa, gli altri iniziano a parlarti alle spalle, a darti dell’altezzoso» riprendo, tornando a guardare Vegeta mentre la nostra classe è ormai quasi tutta piena di studenti che parlano e scherzano tra loro. «A farti passare per “diverso”».
«Non ci metterà del suo anche lei?» domanda il mio amico. «A me non sembra molto simpatica».
«No, è solo che, arrivati a un certo punto, è difficile tornare indietro. Quando ti appiccicano addosso un’etichetta è dura levarsela di dosso» rispondo in tono duro, distogliendo il mio sguardo da quello di Vegeta e riprendendo a guardare il cielo. E poi il mare. Io lo so bene, tutto questo. «L’atmosfera intorno a Lazuli la fa considerare da tutti come se non esistesse, lei non ha fatto altro che abituarsi a tutto questo. Qui a scuola, più che un’estranea, è come se non esistesse. Io almeno gli insulti li becco, no?» sorrido mestamente, non tanto per me, quanto più per la situazione di Lazuli.
«Rad, io…».
«È questa l’atmosfera che si genera in una scuola attorno ad ognuno di noi, semplicemente» lo interrompo, mentre la professoressa di inglese entra in classe ponendo fine ad ogni discorso.
 
All’ora di pranzo vado a sedermi nel cortile della scuola su una panchina isolata, nell’erba, per mangiare tranquillo il panino che mi sono portato da casa.
Penso a Lazuli, come del resto ho fatto per tutta la mattinata.
Credo che nessuno voglia avvicinarsi a lei per parlarle perché teme di distinguersi e di ritrovarsi poi isolato dal resto del gruppo. Dalla massa. Dalle regole dell’atmosfera che si è creata intorno alla figura di Lazuli in questa scuola. Sono certo che lei non stia facendo altro che cercare di interpretare questa “atmosfera”, di immedesimarsi nel ruolo che le hanno cucito addosso.
«Ehi, Son! Dobbiamo parlare!» la voce stridula di Marion mi riporta alla realtà. La guardo, in piedi davanti a me, col suo corpo da favola e il suo cervello da gallina. Mi sta fulminando con lo sguardo, mentre stringe i pugni irritata. La camicia è decisamente sbottonata all’altezza del suo generosissimo seno, ovviamente.
«Ciao dolcezza» le rispondo ironico, distrattamente, dando un morso al panino e soffermandomi in lontananza sul caos che si genera in prossimità del bar della scuola. Visti da qui, quegli studenti addossati gli uni agli altri mi sembrano tutti uguali. Privi di personalità. Formiche in un formicaio. «Perché non sei con Vegeta?»
«Perché aveva una riunione al club di calcio, stupido!» risponde, giuliva e fiera di sé. «Comunque non voglio che tu parli con Veggy. Mai più!»
Osservo perplesso i suoi grandi occhi azzurri carichi d’odio. Un po’ mi viene da ridere, un po’ provo tenerezza per lei. «Non mi sembra di interferire nella vostra relazione» le dico tranquillamente, bevendo un sorso di succo al lampone dalla cannuccia.
«Non intendo questo, e tu lo sai bene!» ribatte lei, incrociando le braccia al petto. «Tutti sanno di quel tuo famoso incidente, quello dell’ospedale!»
Sospiro leggermente, guardandola per un attimo negli occhi e dando di nuovo un morso al panino. Tofu, pomodoro, insalata e maionese senza uova: ho fatto un bel lavoro, penso compiaciuto.
«Veggy finirà in cattiva luce se la gente continua a vederlo insieme al reietto della scuola! E io non potrei sopportare una cosa simile!» riprende Marion. La sua voce mi sembra ancora più stridula, se possibile.
«Stando a quello che hai detto, anche tu adesso stai rischiando di finire in cattiva luce visto che stai passando l’intervallo con me» le sorrido. «Lo sai, vero?»
«Stai cercando di litigare, Son?!»
«Io no, anzi. Ti ringrazio per avermi fatto compagnia durante il pranzo» rispondo, alzandomi in piedi. «Però mi sembri nervosa, hai le tue cose oggi?» aggiungo, ghignando leggermente.
«M-ma.. c-come… come ti permetti!» grida con voce da oca. «Maiale schifoso!» aggiunge, rabbiosa e offesa, decisamente rossa in faccia, prima di voltarsi di scatto e andarsene. La seguo con lo sguardo e la vedo raggiungere un gruppo di suoi compagni di classe che sono arrivati in cortile in questo momento, tutti maschi. Ne abbraccia un paio, si struscia a loro, fa la gatta morta. Tutto nella norma, insomma. Non so come faccia Prince a stare con una come lei, sinceramente.
Guardo le persone che camminano a gruppetti intorno a me e penso che alla fine nessuno ha mai voglia di cambiare veramente. Anche chi si lamenta, chi si annoia, chi non si sente bene dove sta, non avrà mai il coraggio o la capacità di uscire dal gruppo.
Che si fottano tutti.
 
Finite le lezioni mi fermo ancora un po’ a scuola per la mia ricerca di storia giapponese e poi mi avvio a piedi verso la stazione, nella pace più totale, mentre il sole comincia a calare verso l’orizzonte. Quelli dei club, come Vegeta, sono ancora a scuola, gli altri se sono già andati alla fine dell’ultima ora del pomeriggio. Anche in stazione ci saranno di sicuro pochi studenti.
Arrivo sulla banchina e la voce di un ragazzo sui venticinque anni attira la mia attenzione.
«Quella è Lazuli Eighteen! Sì, ne sono certo! Le scatto una foto!» esclama, estraendo dalla tasca il suo cellulare e puntandolo davanti a sé.
«Sì, sì, è lei!» conferma eccitata quella che presumo sia la sua ragazza.
«E dai, Lazuli, girati!» le dice a gran voce lui.
Guardo sulla banchina e la vedo anch’io, girata di spalle, col suo coniglietto nero glitterato tra i capelli biondi e la cartella in mano. Non si scompone, non si volta. È sola.
Sorrido e cammino tra lei e il ragazzo che la sta fotografando, fermandomi giusto in tempo per sentire il clic del suo telefono che ha scattato la fotografia e sforzandomi anche di guardare nell’obiettivo, cercando di non ridere.
«Ehi, ma che cazzo fai?!» mi dice, pensando di farmi paura. Lo guardo meglio: orecchini, anelli, faccia da culo da sottospecie di teppista di quartiere.
«Niente, aspetto il treno» rispondo tranquillamente, fissandolo negli occhi. «Hai problemi?»
«Chi cazzo sei tu per parlarmi così?!»
«Un essere umano, direi. Tu invece sei un depravato che va in giro a fare foto alle liceali, per caso?»
«M-ma… come ti permetti, pezzo di merda!» ringhia, muovendo un passo verso di me. Non smetto di fissarlo, non mi sposto. Non mi scompongo, tengo le mani in tasca. Sono più alto e più grosso di lui, anche se sono più giovane. Voglio vedere se ha davvero le palle questo sfigato. Gli sorrido.
«Dai, basta, andiamo! Ci guardano tutti…» interviene la sua ragazza, trascinandolo via.
Li seguo con lo sguardo finché spariscono dalla mia vista, inghiottiti dalle altre persone e dagli studenti presenti sulla banchina. Mi giro e mi metto accanto a Lazuli, in attesa del treno.
«Grazie» mi dice freddamente lei, voltandosi nella mia direzione e sfilandosi dalle orecchie gli auricolari collegati al suo telefono.
Le sorrido. Il mio cuore batte un po’ più forte. Sento il sangue bollirmi nelle vene. Tengo le mani in tasca, cerco di mostrami sicuro.
«Credevi che mi sarei arrabbiata e che ti avrei detto di farti gli affari tuoi?» aggiunge, mentre il sole crea un gioco di colori bellissimo nei suoi occhi glaciali.
«Se devo essere sincero, sì».
«Volevo dirti così in effetti, ma mi sono trattenuta».
«Forse era meglio se tenevi per te anche questo» le sorrido, mentre lei torna a guardare davanti a sé, imperscrutabile come sempre. Da quello che la conosco, almeno. La imito anch’io e punto lo sguardo verso i cartelloni pubblicitari affissi davanti a noi, anche se in realtà non li vedo. È come se ci fossimo solo io e lei in questo momento. E mi sento bene.
«Ormai sono abituata a quelle cose» riprende lei.
«Però sono cose che danno sempre fastidio, immagino. La gente troppo invadente mi sta sul cazzo, mi porta allo sfinimento».
«Già, allo sfinimento… non potevi usare espressione migliore…» sospira, mentre accenna un sorriso. Un sorriso che si spegne quando inizia a vibrare il suo cellulare ricoperto da una cover fucsia con due orecchie da coniglio che spuntano sulla sua sommità. Sbircio sul display, mentre lei lo fissa tenendolo in mano davanti a sé senza muoversi. Leggo la parola “Manager”.
«Rispondi pure» le dico, riprendendo a guardare davanti a me.
«No, sta arrivando il treno» risponde, gelida, mettendo via il telefono mentre il convoglio si ferma davanti a noi. «Tanto so già cosa vuole la mia manager».
 
Ci sediamo uno accanto all’altra, il nostro vagone è semivuoto per fortuna e non c’è nessuno vicino a noi. Guardiamo entrambi davanti, restiamo qualche secondo in silenzio. Respiro il suo profumo fresco, quello che ho sentito ieri in biblioteca, e sembra baciarmi i polmoni e accarezzarmi l’anima.
«Riguardo a quella cosa di ieri…»
«Non ti avevo detto di dimenticare tutto?!» mi interrompe.
«Quel completino da coniglietta era troppo eccitante per potermelo dimenticare, lo sai, vero?» la provoco, accennandole un sorriso sghembo. Inizio a sentirmi a mio agio in sua compagnia. Penso di potermi concedere il lusso di essere me stesso, quando sono con lei. O almeno, voglio provare a essere me stesso così che lei mi conosca per quello che sono davvero.
«E-ehi! Non avrai mica fatto qualcosa di strano mentre pensavi a me, ieri sera!» esclama, tirandosi su dritta sulla schiena e voltandosi verso di me. Le sue guance sono leggermente arrossate, il suo viso è corrucciato. È bella. Ed è tenera, vista così.
Qualcuno si gira in nostra direzione, attratto dal suo tono di voce improvvisamente alto. Anche alcuni ragazzi e ragazze con la divisa del nostro liceo. Mi viene troppo da ridere, mentre Lazuli incrocia le braccia al petto e guarda di nuovo davanti a sé, sempre più rossa in faccia. La trovo bellissima. E tenerissima.
«Non che mi dia fastidio essere la fantasia sessuale di un ragazzo più giovane di me…» borbotta sottovoce, prima di zittirsi, evidentemente imbarazzata. La adoro.
«Dimmi una cosa, Radish…» riprende, sospirando. Mi sembra di nuovo triste.
«Oh, ti sei addirittura ricordata il mio nome?» le dico, sinceramente stupito e onorato. «Puoi chiamarmi Rad, se vuoi».
«So delle voci che girano sul tuo conto. Le avevo già sentite a scuola e ieri sera ho cercato un po’ in rete e sui social» continua, e mi sembra sempre più triste. Sospiro a mia volta, appoggiando la schiena al sedile e guardando davanti a me. «Dicono che due anni fa hai picchiato tre tuoi ex compagni delle medie fino a farli finire all’ospedale in un lago di sangue…».
«Sono onorato che una mia senpai, e per giunta una celebrità come te, abbia fatto ricerche su di me».
«Certo che internet è allucinante, basta un secondo per accedere a tutte queste informazioni su un singolo individuo» aggiunge, mostrandomi il display del suo telefono con i risultati della ricerca fatta scrivendo il mio nome su Google. Nulla che non sapessi già, in realtà Nulla che mi interessi davvero.
«C’è più roba su di me dell’ultima volta che avevo guardato. Occhio che divento più famoso di te» provo a scherzare. «Io non uso i social e non guardo molto lo smartphone. Mi serve a poco».
«Immagino tu non abbia amici» mi dice.
«Amici? Ne ho ben due, mi ritengo fortunato».
«Ben due?!» ripete allibita.
«Avere due amici veri basta e avanza, a mio avviso. Mi basta restare in buoni rapporti con loro per sempre, no?»
Guardo Lazuli che solleva la testa e apre leggermente la bocca, stupita dalle mie parole. Colpita da quello che ho detto, anche.
«Qual è la tua opinione riguardo alle voci sul mio conto sull’incidente dell’ospedale?» le domando, mostrandomi calmo.
«Basta ragionare un secondo per capire che è impensabile che qualcuno che ha commesso davvero un simile gesto possa venire a scuola come se nulla fosse» risponde di getto, senza scomporsi. Senza il minimo dubbio. Sorrido e la guardo negli occhi. Vorrei abbracciarla, vorrei urlare.
A volte basta poco per essere felici. Basta qualcuno che sappia vederti per quello che sei, senza pregiudizi. Qualcuno che non ha paura di nuotare controcorrente, di uscire dal gregge. Qualcuno che non abbia paura di uscire dalla mischia con la palla ovale in mano, da solo, come durante una partita di rugby, esponendosi ai colpi degli altri che a quel punto gli andranno tutti contro. Qualcuno che non abbia paura di usare la propria testa.
«Quanto mi piacerebbe che anche a scuola facessero il tuo stesso ragionamento, almeno i miei compagni di classe» esclamo sorridente, incrociando le braccia sul petto.
«Dovresti dirglielo tu a loro che quelle voci non sono vere» suggerisce Lazuli.
«Sai, le voci sul conto di una persona sono un po’ come l’atmosfera» spiego, distogliendo il mio sguardo dal suo e abbassandolo leggermente. Il mio sorriso diventa malinconico, come il tono della mia voce, senza quasi che me ne renda conto. «Una persona deve saper interpretare questa “atmosfera”, credo. Anche se per qualche motivo questa “atmosfera” ti etichetta come un poco di buono o come quello che non sei, se mal interpretata. Inoltre, le persone che la creano spesso non sono una parte attiva di questa “atmosfera”, quindi il più delle volte è del tutto inutile contrastarla. A me non interessa quello che la gente pensa di me, in fondo».
«Mi stai dicendo che, invece di provare a chiarire l’equivoco, preferisci arrenderti senza nemmeno provarci?» ribatte Lazuli, irritata e malinconica al tempo stesso, fissando i sedili vuoti davanti a sé. Il suo tono mi fa male. Le sue parole mi fanno riflettere.
Restiamo in silenzio per un paio di minuti, mentre il vagone si svuota ulteriormente. La prossima fermata sarà la mia, e mi spiace che questo viaggio debba finire. Mi rende triste. Sento un nodo in gola a cui cerco di non badare e mi volto di nuovo verso di lei. I suoi occhi di ghiaccio sono leggermente abbassati e mi sembrano di nuovo vacui, come ieri in biblioteca quando se n’è andata. Non è solo bella, non è solo una celebrità. Non so cosa provi, cosa la preoccupi. Ma mi fa tanta tenerezza questa ragazza così enigmatica. Vorrei tanto poterla aiutare. Poterla proteggere.
Respiro profondamente e mi faccio coraggio. Voglio sapere la verità su di lei, o non potrò mai aiutarla. O non potrò mai essere nulla di più per lei che un suo semplice kohai.
«Ora tocca a me farti delle domande, e non rispondermi che devo dimenticare quello che è successo» le dico all’improvviso, rompendo il silenzio e guardandola. Lei si volta leggermente e inchioda i suoi occhi di ghiaccio nei miei neri come la pece. Sospira e accenna un sorriso lieve. Triste, ma pur sempre un sorriso. «Puoi spiegarmi quello che è successo ieri?»
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci qui, dico subito grazie a tutti voi che state dando una chance a questa storia e a questi personaggi magari un po’ insoliti come protagonisti. Sono onorato per il buon riscontro che ha avuto il primo capitolo e per le bellissime parole di incoraggiamento che mi avete detto, spero di aver stuzzicato la vostra curiosità anche in questo. Un grazie speciale a chi mi ha lasciato un commento, soprattutto, e a chi ha inserito la storia nelle liste. Ringrazio anche chi preferisce leggere in silenzio, mi date tanta forza anche voi! Se avete dubbi e curiosità su quello che avete letto, chiedetemi pure!
 
Qualcosa si muove in questo capitolo, anche se le prime vere rivelazioni arriveranno nel prossimo. Vediamo Goku, e scopriamo che anche a lui è successo qualcosa due anni prima, qualcosa che l’ha segnato. Perché parla di sé stesso in terza persona, tra l’altro?
Scopriamo quali sono le voci che girano su Radish e lo rendono un emarginato a scuola. L’atmosfera di cui parla Rad non sono altro che lo voci che girano su una persona, l’etichetta che ti appiccicano addosso in un certo ambiente. Ma, spesso e volentieri, l’atmosfera è molto diversa dalla verità. L’atmosfera, almeno a scuola, ha reso Rad un emarginato da evitare e di cui si può parlare alle spalle, mentre ha reso Lazuli così estranea ai suoi compagni di classe da risultare una sorta di presenza invisibile, visto che nessuno la guarda o le rivolge la parola.
Incontriamo anche Vegeta e Bulma, i due unici amici di Rad. Non stanno insieme i due, sono solo compagni di classe. Vi è piaciuta Marion, la fidanzata del Prince? Immagino di no, a me sembra un po’ odiosetta! Potrà nascere qualcosa tra i due amici di Rad?
Incrociamo anche un altro personaggio che avrà ruolo, anche se per ora l’ho solo descritto senza nominarlo… sapete dirmi di chi sto parlando?
Ma, soprattutto, cominciamo a conoscere un po’ di più Lazuli e la sua personalità. Tra l’altro, il mistero buttato lì nel primo capitolo si infittisce: perché il giorno prima nella biblioteca di Fujisawa nessuno la vedeva, mentre a scuola tutti sembrano vederla normalmente?
Nel prossimo capitolo avremo alcune risposte: quello che sta passando Lazuli e ciò che è successo in biblioteca, quello che è capitato a Goku e la storia delle cicatrici di Rad, legate alle voci che lo riguardano risalenti a due anni prima. Rad e Lazuli iniziano a conoscersi meglio!
 
Ci vediamo giovedì prossimo, spero vi siate divertiti in questo capitolo! Io ci sto mettendo il cuore qui dentro, so che magari sembra stupido, ma mi sto particolarmente emozionando nello scrivere questa long. E la sto scrivendo di getto, spero che in qualche modo possiate rispecchiarvi anche voi in questi personaggi e in quello che provano!
 
Teo
 
 
 
 
 
   
 
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