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Autore: MaikoxMilo    06/03/2019    3 recensioni
Settembre/Ottobre 2011.
Dopo il concatenarsi di avvenimenti dell'estate, tutto sembra tornato alla normalità al Santuario di Atene, nuovamente ricolmo di pace. I Cavalieri d'Oro sono tornati alle loro faccende, le ragazze, ovvero Marta, Michela, Francesca e Sonia, hanno ripreso i loro allenamenti sotto gli occhi vigili e premurosi di Milo e Camus e l'aiuto di Hyoga, Cavaliere del Cigno, desideroso anch'egli di allenarsi ulteriormente per impedire che i piani del Mago, interessato da sempre al corpo di Camus e al Potere della Creazione, si attuino spietatamente nei confronti del proprio amato maestro. Tuttavia una nuova minaccia sembra incombere, non solo su di loro, ma sull'intera dimensione detta "delle possibilità"; un qualcosa che sembra fuggire alla logica e che può potenzialmente mettere in pericolo il corso del tempo medesimo, un qualcosa di imponderabile legato al passato ma che si proietta anche verso il futuro, oscurando la luce e la speranza di una pace perpetua...
Prologo della terza storia della mia serie principale che si chiamerà proprio "La melodia della neve", è successivo ai fatti narrati in "Sentimenti che attraversano il tempo", del quale è necessaria la lettura per capirne al meglio il significato e l'intreccio.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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LA MELODIA DELLA NEVE - PROLOGO

 

 

 

Si tramandava a Cerviasca l’usanza di riunirsi, la notte della Vigilia di Natale, davanti alla cappelletta del paese per intonare i canti del giorno di festa, in un coacervo di fiaccole e balli che avevano origini antiche, antichissime.

Quel tempo era ormai finito, non ve ne era più traccia nel mondo del presente, solo le scritte sbiadite dei documenti contenuti nell’archivio parrocchiale di Senarega, di cui, in passato, faceva parte anche Cerviasca, mantenevano una pallida memoria di quel che era stato. Il tempo era stato sempre tiranno degli uomini, ancora di più in quella valle un poco nascosta.

Il ragazzino dagli occhi di cristallo se ne stava con le gambe a penzoloni su un muretto a secco parzialmente coperto dalla nevicata della notte precedente. Il freddo non lo intorpidiva più del dovuto, del tutto abituato al rigido clima del paese in quella stagione. Quelle vecchie case ormai in larga parte diroccate erano situate in cima alla valle in una posizione del tutto panoramica, come un vecchio re su un trono; lui stesso si percepiva come un po’ come un sovrano nel suo regno.

Aspettava. Aspettava con infinita pazienza, ma il suo giovane cuore non ne poteva più di quell’attesa. Finalmente scorse un movimento sulla strada lastricata di ghiaccio, un gruppo di persone che si avvicinavano. Era il segno.

Nonno! Nonno! Ci siamo, ci siamo! Sono arrivate!!!” trillò con foga, saltando giù dalla sua postazione e prendendo a correre per andare incontro ai nuovi arrivati. L’attesa era infine finita.

Quando lo scorsero dall’altra parte, ormai giunti nei pressi dell’entrata del paese, una piccola ed esile figura si staccò dal gruppo, correndo velocemente in direzione contraria alla sua. Non seppe spiegare perché, ma tanto bastò per farlo fermare di colpo, giusto in tempo per essere avvinghiato da due giovani braccia. Parevano due ramoscelli tremanti, da quanto erano piccole, eppure lui sapeva che racchiudevano una grande forza e perseveranza.

Hai visto?!? Hai visto?!? Te l’avevo detto che quest’anno sarei tornata per Natale!” esclamò al settimo cielo Marta, stringendolo a sé con forza inaudita. Sembrava felice di rivederlo.

Il ragazzino strabuzzò gli occhi, incespicando nei piedi, mentre inspiegabilmente si sentì avvampare. Non vedeva Marta dall’estate precedente, da settembre, per precisione, e non si riuscì a capacitare, non subito almeno, di quanto l’amica era cambiata in quei pochi mesi di distanza. Certo, Marta aveva ormai compiuto dieci anni da un po’, ben presto, a fine inverno, avrebbe varcato gli undici, ma diavolo se le sembrava più grande rispetto a come l’aveva lasciata!

L’amica gli sorrise nuovamente con gioia, baciandolo sulla guancia, vicino a quei tre strani nei che si ritrovavano a formare insieme una sorta di triangolo. Non disse niente per l’imbarazzo, ma ricambiò goffamente la stretta.

Oh, Stefano, sei già qui, scusa se ti abbiamo fatto attendere!” disse gentilmente la madre di Marta, avvicinandosi a lui con fare gentile. Assomigliava alla figlia in tutto, dalla punta dei piedi ai capelli, ad eccezione degli occhi blu, quelli sì che erano un mistero inspiegabile; quei meravigliosi occhi blu che parevano carpire tutto… chissà da chi li avesse ereditati.

Mamma di Marta, su, sai che nessuno lo chiama così, no?! - intervenne una bambina dallo sguardo vispo e i capelli raccolti in una coda – Il suo nome è Stevin. STEVIN!”

Michela, e tu dovresti ricordare che la mamma di Marta ha un nome, ed è Antoinette, non ‘mamma di Marta’!” la riprese scherzosamente in giro una ragazza dai lunghi capelli corvini e gli occhi glauchi. Non vi era quasi più nulla di lei nell’infanzia, essendosi già sviluppata, ma qualcosa nel viso la rendeva ancora un poco infantile.

Stefano…. Stevin dal dialetto locale. Era quello il suo nome. Ma nessuno lo chiamava mai con l’appellativo così lungo, preferendo usare l’altro che, per inciso, gli aveva appioppato Marta in uno dei loro primi incontri. Andava bene così, del resto. Il bambino dagli occhi di cristallo era talmente intessuto nel cuore della valle, che non si sarebbe riconosciuto con altri nomignoli.

Vi erano proprio tutti del gruppo di Marta, le amiche che aveva incominciato a conoscere, la madre e persino i nonni, con cui il suo, di vecchio, aveva già instaurato rapporti profondi perché residenti in valle, anche se non originari. Vi erano quindi tutti, mancava solo…

Oh, Percival! Ci siete già tutti ed io non ho preparato ancora niente, per la capra di belzebù!”

Eccolo, quando arrivava era impossibile che non attirasse l’attenzione con il suo strano modo di imprecare, infatti in pochi secondi catalizzò tutti gli occhi dei presenti su di sé. Non per niente era chiamato simpaticamente, dai nonni di Marta, ‘il flagello della Valle Scrivia’!

Non potevi che fare un’entrata simile, Signor Mario, non mi sarei aspettata niente di meno da te!” lo salutò allegramente Antoinette, avvicinandosi a lui con passo leggero ma deciso.

Oh, mia Signora, è un piacere averla qui, nel mio umile paese. Trepidavo dall’attesa di incontrare Lei, i suoi genitori e la sua meravigliosa figlia Maria!” rispose immediatamente Mario, chinando leggermente la testa in avanti in segno di riverenza.

Marta!” lo corresse lei, con educazione ma con un cipiglio d’urgenza, che non sia mai che qualcuno potesse sbagliato il nome di sua figlia.

Mario aveva un debole per lei, o meglio, aveva un debole per tutte le belle donne che avessero meno di cinquant’anni, ma soprattutto per lei, Antoinette, e questo malgrado NON se lo potesse permettere, data l’età avanzata.

Già, già, non poteva permetterselo, e invece guardalo lì a fare il galletto piacentino e il gran piacione. Stefano ne ebbe un moto ti vergogna. Era davvero irrecuperabile.

Ste, tuo nonno è sempre così simpatico!” cantilenò Michela che, per avere nove anni, quasi dieci, possedeva un discreto occhio lungo per quel genere di cose.

Già, già… come un pugno in un occhio!” si lamentò Stevin, sospirando sonoramente.

Nel frattempo i grandi avevano cominciato a discorrere sui canti di natale, sul programma della serata e sui propositi dell’anno nuovo. I soliti discorsi noiosi, ripetitivi e superflui. Ai bambini interessava solo stare insieme, giocare, vivere quel giorno speciale con gioia e aspettare l’arrivo di Babbo Natale, anche se Francesca e Stefano non ci credevano più da un pezzo; poco importava, era la prima festività che avrebbero trascorso così, non vedevano l’ora.

Per i canti di Natale, abbiamo pensato a Bianco Natale, Jingle Bells e we wish you a Merry Christmas, che alle bambine piacciono molto, lei che ne dice? Come è messo Stefano con l’inglese?” chiese intanto Ines, la nonna di Marta, stringendo cordialmente la mano di Mario.

Oh, Stefano sta imparando l’inglese a scuola, da quando è alle Medie ha una professoressa madrelingua che è molto brava, nessun problema! Le bambine, invece?”

Marta parla correntemente l’italiano e il francese. Sull’inglese è un po’ più traballante, ma per l’occasione ha imparato a memoria le canzoni. Francesca parla perfettamente la lingua, mentre Michela...”

Anche io! Anche io me la cavo!” la interruppe la bambina in questione, saltellando con gioia, che già di stare lì fermi e immobili in mezzo al bianco della neve, non le aggradava più. Voleva azionarsi, mettere i festoni, preparare da mangiare…

Nonno Mario ridacchiò, percependo il desiderio della piccola come proprio. Anche lui non ne poteva più di non ‘muovere le mani’, la sua vita era costruire e ricostruire cose, abbattere alberi che ostruivano la vista, recuperare le vecchie periferiche che erano state abbandonate. Era sempre stato un uomo di azione, un uomo incapace di girare senza un martello in mano, perché se il Signore aveva creato gli esseri umani con il pollice opponibile, un motivo c’era.

Fece quindi un cenno in direzione del paese, portandosi alla testa del gruppo, che si mosse verso le case in gran parte abbandonate a sé stesse durante quella stagione e, in certi casi, per sempre.

Stefano fece per seguire gli altri, ma la manina di Marta lo bloccò, portandolo a vedere la bambina più piccola di lui di due anni e mezzo, in faccia.

Sono davvero felice di poterti rivedere, gli autunni e gli inverni sono così tristi senza avere l’occasione di venire qui in valle. Sono davvero emozionata all'idea di trascorrere questo Natale con te… Stevin!” gli sorrise con naturalezza, neanche fosse la cosa più facile da dire, come buttare i sassi nell'acqua, a volte torbida, del Brevenna.

Stefano avvampò, sentendosi arrossire di botto e provando una certa, quanto inspiegabile, sensazione di disagio. Che strano, non gli era mai successo prima, eppure si conoscevano da tanto. Automaticamente si grattò la testa con la mano libera, indicando con un cenno la strada da intraprendere.

Era il dicembre del 2004, i cristalli di neve sul terreno parevano cantare in attesa dei nuovi fiocchi che sicuramente sarebbero caduti, intonando anch'essi una melodia. Tale particolarità, inaccessibile ai più, veniva chiamata la ‘melodia della neve, Nonno Mario lo sapeva bene e lo aveva raccontato alla piccola Marta. La melodia della neve… il sostrato che ricopriva totalmente la loro dimensione, un po’ come una barriera. La melodia della neve...

 

 

* * *

 

 

30 settembre 2011, sera

 

 

La melodia della neve, giusto! Stefano ed io eravamo così presi dai racconti favoleggianti del nonno da non renderci nitidamente conto che ella esisteva per davvero nel nostro mondo. Diceva che ogni fiocco avesse facoltà di produrre un proprio suono e che, affinando i restanti sensi, dopo aver chiuso gli occhi, si poteva percepire uno ad uno, mentre, durante la nevicata, danzavano nell’aria. Non ci sono mai riuscita, troppo difficile per me, altri erano i suoni che avvertivo, ma la neve è sempre stata un esempio per me, nonché una attrazione. Ne ero indissolubilmente legata, lo percepivo, anche se non ne capivo il senso. Ora l’ho capito.

Mi stiracchio pigramente la gamba destra, avvertendola atrofizzata e dolorante. Sentivo caldo, poco prima di addormentarmi, un caldo atroce, anche se il mio corpo era scosso dai brividi, ora invece mi sento tutta bagnata, neanche avessi fatto un bagno termale o una sauna.

Finalmente l’avverto, la mano fresca sulla mia fronte, è come se ci fosse sempre stata ma solo ora riuscissi a distinguerla con certezza dal resto del mio corpo. Apro stancamente un occhio, sorridendo appena nello scorgere la persona a me più cara seduta vicino a me.

“Ciao, Cam!” lo saluto, affabile.

Camus al solito non ribatte nulla, si limita ad annuire e ad accarezzarmi delicatamente la fronte con le sue consuete dita eleganti. Apro anche il restante occhio, focalizzando la mia attenzione su di lui. Ha gli occhi lucidi e sembra profondamente scosso, ma cerca di non darlo a vedere, nascondendosi nella penombra della stanza. Tutto inutile, perché ho compreso: deve aver visto il mio stesso sogno dopo essersi addormentato qui di fianco a me, ma educatamente rispetta la mia privacy, non facendo domande inopportune. Gli sono grata, tuttavia ormai ci stiamo compenetrando sempre più in profondità, non ha più senso tacere, anche se il passato mi fa male ancora adesso.

“Proprio una grande idea portarti in Siberia con solo il peplo addosso, eh? Talvolta mi chiedo da dove derivino queste meravigliose decisioni che prendo nell’ultimo periodo... Milo, a quindici anni, sarebbe stato più cauto; il che è tutto dire!” ironizza lui ad un certo punto, rimproverandosi per la sua scelta.

Effettivamente, di ritorno dalla “gita” in Siberia, non è successo nulla… almeno per i primi quattro giorni! Alla vigilia del quinto, la gola ha preso a bruciarmi con insistenza, accompagnata da una tosse secca ma insistente. Ovviamente, neanche a starlo a dire, non ci ho dato peso, desiderando recuperare il tempo perduto nell’allenamento. Ho continuato così per un altro paio di giorni, finché ho potuto, ma agli albori del 25 settembre, il mio fisico non ha più retto e sono caduta malata. Geniale e assolutamente nel mio stile, non c’è dubbio!

“Cam, la colpa non è tua, sono io che mi sono impuntata, come di consueto...” biascico, avvertendomi la testa pesante.

“Anche questo, sì! Ma dovrei ormai esserci abituato! Fai l’opposto di ciò che ti si dice, non ammetti mai di stare male e, anche quando sei al limite, continui dritta per la tua strada!” afferma lui, sorridendomi appena.

Io arrossisco ma la risposta pronta mi giunge subito sulla punta della lingua.

“Ho un buon maestro, Cam, non credere di essere tanto diverso, anzi!” ribatto, divertita. E’ il suo turno di arrossire, colto in fallo. Stavolta siamo 1 a 1, Camus!

Mio fratello non dice più niente, si limita ad asciugarmi il sudore sul viso utilizzando un panno bagnato. Effettivamente sono grondante, la febbre deve essere tutt’altro che scesa. Che seccatura!

“Camus, mi rimetterò presto, te lo prometto, non voglio rimanere indietro con gli allenamenti, quindi non fare quella faccia preoccupata. Siamo già al quinto giorno, ormai dovrei quasi essere arrivata alla guarigione!” gli dico, sforzandomi di essere ottimista, in verità il mio fisico è tutt’altro che ristabilito. So che, se solo provassi a mettermi seduta, la testa mi girerebbe di almeno 180 gradi, costringendomi a sdraiarmi di nuovo.

Camus fa un sonoro sbuffo, forse nel tentativo di mascherare il fatto che ho indovinato in pieno i suoi pensieri, mi stringe delicatamente il braccio, portandomi a guardarlo nuovamente negli occhi.

“Non lo metto in dubbio che una piccola peste come te si rimetterà presto, solo che dovresti accelerare la tua convalescenza, sai? Mi hai detto che vuoi diventare più forte, ma non posso allenarti finché questa febbre non sarà scesa!” mi prova a rincuorare lui, posandomi un leggero bacio sulla fronte. Strizzo gli occhi compiaciuta da quel gesto di affetto, prima di ridacchiare, ma i miei polmoni non sono molto d’accordo sullo sforzo che gli faccio fare e mi puniscono con una serie di colpi di tosse che mi sconquassa fin nelle viscere. Sì, forse sono stata super ottimista con quel ‘presto’, neanche riesco a ridere senza ritrovarmi poi in affanno!

Eppure non è così male, questa sensazione di caldo nel petto che so per certo non provenire soltanto dalla febbre. Da tempo non la provavo, da tempo non mi sentivo interamente al sicuro, a casa mia, con la mia famiglia…

Automaticamente sorrido tra me e me, mentre il mio pensiero corre brevemente a mia madre, alla mia scuola, che sarà incominciata da un pezzo, e alla mia Genova. In questi mesi è cambiato tutto, sono stata allontanata dai miei affetti, dal mio stile di vita e dal mio luogo natio, nondimeno adesso come non mai mi ritrovo interamente ricongiunta. E’ una sensazione strana da dire a parole, per certi versi mi sento ancora irrimediabilmente fratturata, ma mio fratello è qui, le mie amiche sono qui; ho conosciuto Sonia, Milo, gli altri Cavalieri d’Oro… mi sento in pace e non ho più paura, anche se forse, chissà, dovrei averla…

“Fratellino, non immagini quante cose vorrei raccontarti...” mormoro, cercando di recuperare il suo sguardo.

“Marta… non c’è fretta alcuna! Come hai detto tu stessa all’isba, ci siamo ritrovati, avremo il tempo per discorrere di qualunque cosa tu vorrai, ma non adesso! Non affaticarti più del dovuto, non ce ne è bisogno!”

Lo guardo in silenzio, scorgendo tremore in lui. I suoi occhi sono sfuggenti e un fremito lo ha scosso, anche se è stato abile a celarlo velocemente a me. Sicuramente ha capito dove sto andando a parare e, avendo anche intuito il peso che questa cosa ha ancora su di me, cerca di evitarmi di rimembrare momenti dolorosi. Sospiro pesantemente, ricercando maldestramente le parole per cominciare il discorso.

“Tu lo hai visto, vero? Hai scorto Stevin, il luogo da me tanto amato, i miei ricordi più agrodolci...”

Il silenzio cade nella stanza, mentre Camus si blocca sul posto, teso più che mai.

“Ecco, sì… mi spiace immensamente, io… non riesco a controllarlo! Sogno sempre più spesso di te, del tuo passato… non vorrei farlo, Marta, preferirei me lo raccontassi tu, quando ti sentirai pronta, ma… non so proprio come bloccare il processo!”

“Lo supponevo… - commento, nascondendomi interamente sotto le coperte, come immaginavo, è ancora troppo doloroso per me – Succede… succede anche a me, ed è sempre più frequente!”

“Di vedere il mio passato, intendi?”

“Sì, vedo la Siberia, scorgo te, gli allievi… nell’ultimo parlavate dell’aurora e della creatura mitologica che, si dice, corra per tutta la taiga, producendo l’affascinante fenomeno”

“E’ successo davvero, sì...” dice solo alzandosi in piedi di scatto.

E tace, Camus, Cavaliere d’Oro dell’Acquario, discostando lo sguardo dolente dalla mia figura per smarrirlo nel vuoto della stanza, correndo, per un breve attimo, ai ricordi passati. Lo avverto irrequieto e spaventato, come già mi era capitato nei suoi sogni ricchi di sentimenti che passano anche attraverso la mia, di pelle. Perché non basta, no, vedere nel sogno dell’altro, noi proviamo anche i sentimenti di quel particolare frangente, come se fossero nostri. E’… è potenzialmente devastante, comprendo la sua paura. Le emozioni si fanno sempre più insostenibili. Per entrambi.

“Ha ragione Milo... ci stiamo compenetrando sempre di più, i sogni si fanno via via sempre più accesi e le emozioni sono sempre più difficili da controllare… - parafrasa lui, palesando anche il mio pensiero - Non vorrei in alcun modo che tu patissi tutto questo, Marta, davvero, perché so cosa significa… ma non so come arrestare il processo. Crono è sparito da quando ci ha ricondotti qui, ed io non so più che pesci pigliare...” asserisce ancora Camus, sempre più affranto.

“Ma a me piace, fratellino… certo, soffro, ma ti vedo, posso vedere la tua vita come se non fossimo mai stati separati!” mi oppongo, agitandomi tra le coperte del letto. Non voglio in alcun modo affogare dentro di me questo potere, malgrado tutto, è ciò che rende ancora più speciale il rapporto tra me e lui, non voglio rinunciarci.

“Tu… riesci a tollerare, sul tuo corpo, i ricordi di un’altra vita? - mi chiede, serio in volto – Marta, di questo passo, sognerai anche l’attimo prima del sopraggiungere della mia morte, rivivendolo sulla tua pelle, non voglio che accada ciò!”

“Mi stai chiedendo se tollero i ricordi di una terza vita, giusto? Voglio essere franca: non è affatto facile, talvolta mi sembra di impazzire e, se solo penso di vederti soffrire, sto male anche io, ma ho tollerato Seraphina dentro di me, anche se è stato dolorosissimo e, per i primi momenti, non ero in me. Pensi che non lo possa fare per mio fratello?!” gli dico, imprimendo fermezza nella mia voce.

Mi sarei aspettata una opposizione, un ribaltamento del mio pensiero, o anche solo un ‘sei un’incosciente’, ma inaspettatamente l’espressione di Camus si addolcisce mentre mi sorride con affetto, regalandomi una carezza tra i capelli.

“Ma certo, che domanda sciocca che ho posto! Tu hai già preso su di te il peso della vita si Seraphina, lo stesso vuoi fare con me, incurante della sofferenza che questo ti possa procurare. Sei davvero un essere speciale, Marta!”

Gli sorrido, gli occhi luminosi come non mai e le guance, lo so, rosso papavero, giacché me le sento ribollire, ma accetto di buon grado quella dimostrazione di affetto, un po’ come un cane in attesa delle coccole. Adoro mio fratello, farei di tutto per lui!

“Hai presente quando mi dici che le cicatrici che hai sul petto sono fonte di orgoglio perché dimostrano il tuo volermi proteggere a qualunque costo? Ecco, lo stesso vale per me, Cam, il fatto di averti donato il sangue per permetterti di continuare a vivere, nonché il potere che ne è derivato, è per me fonte di un profondo, quanto arcano, calore che provo nel petto. Se penso a questo, nessun dolore è pari a questa sensazione – continuo a parlare, cercando di afferrare la sua mano, desiderosa di continuare il dialogo con lui – Io… io vorrei davvero parlarti della mia infanzia, ma… COUGH! COUGH!”

Uno sciame di colpi di tosse mi costringe a girarsi di lato e ripararmi la bocca con la mano, nel mentre, una stilettata al petto, tanto per ricordarmi che la guarigione è tutt’altro che vicina, mi investe ad intermittenza, procurandomi fitte di dolore simultanee. Che seccatura, proprio adesso che è il momento propizio per parlare in tutta sincerità con lui!

“Marta, non ti sforzare in questa maniera, avremo tempo per parlare quando ti sarai ristabilita. Ora dormi, piccola mia! Io sono qua, non scappo più da nessuna parte!” mi prova a tranquillizzare lui, posandomi una mano dietro la nuca per permettermi di respirare meglio. Proprio una bella bronchite ho contratto, un graditissimo regalino da Pevek, non c’è che dire!

“Ancora una cosa, Cam, prima di chiudere gli occhi e riposare...” biascico, appena recuperato il fiato.

“Qualunque cosa, basta che poi dormi, ti sei stancata anche fin troppo stasera!”

“Promettimi… promettimi che torneremo insieme in Siberia altre volte!”

Camus mi fissa stupito, permettendosi di dischiudere le labbra in un’espressione sorpresa. Probabilmente mi crederà ammattita visto che là non c’è proprio niente e mi sono pure ammalata, come dargli quindi torto?! Gli ho chiesto di andare in un luogo sperduto in mezzo al freddo con lo stesso desiderio con cui si esprimere di andare alle Hawaii.

“Ti è piaciuta così tanto la Siberia dell’Est?”

Nego dolcemente con la testa, sorridendo appena, nel farlo stringo il suo polso con tutta la forza che possiedo, probabilmente facendogli percepire un po’ le unghie.

“Non mi dispiace, anche se amo di più il sole e il caldo, il che è assurdo visto che dovrei controllare il gelo, non ti pare?! Comunque no, Cam, la ragione della richiesta è perché, almeno così, posso stare un po’ da sola con te, e ho... tanto bisogno di stare con te!”

Camus spalanca gli occhi e la bocca, ancora più sorpreso da una frase che molto probabilmente non si aspettava. Poi mi sorride, chinandosi dolcemente verso di me per regalarmi un leggero bacio sulla fronte. Due in poco tempo, uao! Stiamo davvero migliorando!

Preme, per una serie di secondi, sulla mia pelle, allo scopo di controllarmi la temperatura corporea. Quando si stacca, i suoi occhi sono assai luminosi, sembrano quasi produrre luce propria dal bagliore che emanano.

“Va bene, piccola peste, te lo prometto! Ma ora preoccupati di guarire in fretta, che se continui a stare così male avrò timore a riportarti là, intesi?” mi prende scherzosamente in giro, quasi come se si volesse burlare di me, ma il suo sguardo è caldo; caldo come non è mai stato. Detto questo, si volta verso l’uscita. La sua mano è già sulla maniglia quando aggiungo dell’altro.

“Mi allenerai anche? Sai, sono sorella di un Cavaliere d’Oro, devo essere alla sua altezza!” affermo, vivace. Camus ridacchia tra sé e sé, poco prima di scoccarmi una nuova occhiata ricca di affetto.

“Ti allenerò anche, mon petit chou, ma solo quando sarai tornata in forze, va bene?”

 

 

* * *

 

 

2 ottobre 2011, mattino

 

 

Zampetto cautamente giù dalle scale, tenendomi alla ringhiera per paura di capitombolare per terra. Non sono ancora del tutto guarita, lo so, ma sto nettamente meglio e voglio dimostrarlo a mio fratello, non sia mai che davvero, per il fatto di essere malaticcia per un’inezia simile, non mi porti più in Siberia. Indosso ancora il peplo, anche se, rispetto a quest’estate, è un po’ più lungo, merito delle inservienti che ce ne hanno procurato uno per la cosidetta ‘stagione di mezzo’. La Grecia ha l’enorme vantaggio di non essere per niente fredda almeno fino a novembre, permettendo così a noi di girare con abiti leggeri e, perché no, di fare un bel bagno nell’Egeo la domenica, giorno in cui gli allenamenti sono sospesi. Oggi infatti è domenica.

Arrivata agli ultimi due scalini, un leggero capogiro mi investe, obbligandomi a fermarmi un attimo prima di continuare nei miei intenti. Stringo con forza le palpebre, respirando con calma, attendendo che se ne vada, nel farlo, il mio peplo compie un sinuoso movimento in avanti prima di arrestarsi del tutto. Chissà se avremo davvero degli indumenti nuovi, non che il vestire alla greca mi dispiaccia, anzi, se potessi girerei sempre con i vestiti così, però ho bisogno di recuperare le mie sane abitudini passate, cioè maglietta, felpa e pantaloni, mi farebbe sentire più a casa.

Ancora un po’ traballante sulle caviglie, mi dirigo verso la cucina, dove vedo, girata di spalle, una figura che non ci dovrebbe essere. Rimango un poco a fissarlo, mentre noto la sua irrequietezza nel guardarsi intorno nervosamente, spaurito e titubante. Non deve avermi avvertito, perché non si gira nella mia direzione. Poco male, lo farò io.

“Ehi!” lo saluto, dandogli una pacca sulle spalle in maniera virile. Il soggetto in questione prende un risalto non da poco, scattando in avanti e voltandosi tutto trafelato, prima di tranquillizzarsi nello scorgermi.

Ehi un corno, mocciosa! Mi hai fatto prendere un colpo!”

Inarco teatralmente un sopracciglio con fare enigmatico, più o meno come fa mio fratello. D’accordo, dopo così tanti giorni di febbre non devo essere di certo uno spettacolo, ma da lì a spaventarsi mi pare un po’ eccessivo.

“Non ti facevo così intraprendente da venire nella tana del nemico, Death Mask, e tutto per amore, giusto?!”

“Tze, devo far vedere alla mia donna che riesco ad affrontare quel ghiacciolo ambulante per venirla a prendere!”

“La tua donna, eh?! - lo canzono, sorridendo appena – E lo fai guardandoti intorno terrorizzato neanche Camus fosse un velociraptor?! Hai presente, no, Jurrassic Park?”

“Uuuuuh, non rompere, mocciosa! Bisogna andare per gradi, giù questo è un passo avanti!” ribatte lui, seccato.

Sembra davvero talmente sul chi vive da aspettarsi chissà quale attacco, fa quasi tenerezza, a modo suo, anche se ancora di più mi fa ridacchiare l’esagerazione di cui è vittima. Va bene, mio fratello non è di certo un agnellino calmo e tranquillo con il Cancro, ma da lì a tremare come un poppante mi pare eccessivo. Comunque vorrei tranquillizzarlo.

“Non preoccuparti, Camus è uscito stamattina e...”

“...E già rientrato, sì, trovando, nella cucina della propria casa, due persone che non ci dovrebbero essere!” finisce per me una voce gelida, inflessibile. Automaticamente Death Mask ed io ci raggeliamo seduta stante. AHIA!

Death Mask fa tre passi indietro -oh, deve avere proprio paura di lui- scoccandomi delle occhiate nervose e una tacita richiesta di aiuto. Tuttavia anche io non sono proprio al cento per cento per affrontarlo, men che meno in questa situazione. Camus rimane zitto e immobile per diversi secondi, forse allo scopo di incutere maggior timore, o chissà, per caricare ancora più la sua voce quando essa uscirà. Intanto posa dei sacchetti a terra, non discostando però il suo sguardo dalle nostre figure. Diretto anche quando non parla!

“Ora mi direte perché una malata è scesa in cucina con ancora la febbre e perché un altro tizio è entrato nella mia casa senza chiedere il permesso a me, Camus dell’Acquario, dato che ne sono il custode!” va dritto al punto, senza remore alcuna.

“Oh… ehm...”

“Parti pure tu, Death Mask, sto attendendo!”

Lo vedo guardarsi nervosamente intorno, in cerca di qualcosa da dire per tenergli testa, nel farlo si gratta i capelli, producendo smorfie facciali che mi fanno ridacchiare. A me, ma non a mio fratello.

“Hai perso l’uso della parola?” lo incalza Camus, asettico.

“Al diavolo! - impreca Death Mask, tornando serio più che mai e affrontando direttamente l’Acquario negli occhi – Sono qui perché sono venuto a prendere Francesca, dato che dobbiamo uscire. Oggi è domenica, c’è il sole e vogliamo passare la giornata tra gli affaracci nostri!” afferma, irreprensibile.

Lo guardo per un attimo ammirata. Alla fine il coraggio di essere diretto l’ha trovato anche lui, del resto deve farlo se vuole continuare la relazione con la mia amica, nonostante la ferma opposizione di mio fratello.

Camus lo scruta nel profondo con espressione glaciale, come a voler testare se ci siano incertezze in lui. Death Mask mantiene il suo sguardo determinato, lo stesso fa l’Acquario.

“D’accordo… - acconsente, placido, meravigliando totalmente me e Deathy che ci fissiamo sbigottiti – E tu, Marta, che scusa hai per essere scesa in simili condizioni?” passa ad interrogare me, spostando il suo sguardo gelido dal parigrado alla mia figura.

“Oggi mi sentivo meglio, per cui… volevo dimostrartelo, fratellino! L’altro giorno hai detto che, se non mi fossi rimessa in fretta, non saremmo più andati in Siberia insieme, ed io non voglio, Cam!” decido di essere franca con lui, arrossendo un poco.

Nel giro di un secondo, l’espressione di Camus, prima glaciale, passa da essere genuinamente sorpresa ad addolcirsi di un bel po’, neanche avessi detto le paroline magiche per renderlo di umore migliore. Death Mask è sempre più sbigottito ad assistere a quel, per lui insano, prodigio.

“Era un battuta, Marta… l’ho detta solo per spronarti a guarire. Non avrai pensato davvero che non ti avrei più portata in Siberia?!”

Istantaneamente avvampo, vergognandomi oltremisura.

“E-ecco, io… no… sinceramente non l’avevo capito, pensavo fossi serio!” pigolo, abbassando lo sguardo.

Effettivamente in questi mesi di conoscenza non credo di aver ben intuito il lato umoristico di mio fratello, anzi, fino ad ora, pensavo che non ce l’avesse proprio!

Camus sospira, un poco affranto dal non essersi fatto intendere, poi si avvicina, mi accarezza delicatamente i capelli, e passa oltre, dirigendosi verso la dispensa più in là con i sacchetti della spesa.

“Sei proprio una testa, Marta! Non avere fretta a guarire, rischiando una ricaduta, io ti porterò senz’altro in Siberia appena le forze ti torneranno. Anche io desidero trascorrere del tempo con te, sai?” mi dice con affetto, sorridendomi, per poi tornare alle sue faccende. Arrossisco felice, mentre lo vedo girare l’angolo e sparire. Poco dopo torno a concentrarmi su Death Mask che mi fissa sconvolto con, letteralmente, la mandibola spalancata. E’ adorabilmente buffa la sua espressione!

Dopo essersi ripreso, si avvicina a me, sbracciandosi come un forsennato prima di parlarmi.

“Hai visto? Hai visto? Abbaia tanto ma poi è un cucciolo di Labrador, a saperlo prima non mi...”

Ma forse il tono in cui si è espresso è un po’ troppo alto perché, dall’altra stanza, sento provenire la voce di Camus.

“DEATH MASK! - tuona infatti , facendogli rizzare il pelo subito – Ti do cinque minuti di tempo per andartene, quindi ti consiglio di incentivare Francesca a scendere, chiaro? Altrimenti sarò costretto, scaduto il tempo, a prenderti a calci nel… per buttarti fuori dalla mia dimora. Sono stato chiaro?”

“CHARO! CHIARISSIMO!” ribatte Death Mask, sull’attenti, esattamente come un buon soldato risponde al proprio sergente maggiore.

Istantaneamente scoppio a ridere nel vederlo così agitato per una quisquilia simile, e dire che sono entrambi Cavalieri d’Oro di Atena, dovrebbero essere alla pari, e invece no, visto il comportamento di Deathy. Che questo sia causato dal suo senso di colpa o, più generalmente, al modo di porsi di mio fratello non lo so proprio, ma e davvero adorabilmente divertente.

“Che ti ridi, tu?! Lo vedi come mi guarda quello lì, di solito? Sembra voglia mordermi! Non c’è un altro modo per… - poi si blocca, placcato da una misteriosa nuova idea, nel farlo mi stringe convulsamente le spalle con enfasi – Ma certo! Tu sei l’unica che lo riesce a rabbonire, con te diventa un soffice agnellino inoffensivo, non è che puoi dare una buona parola per me?!” mi chiede lui, una nuova speranza negli occhi.

“Difficile dire una parola buona su te se non so cosa hai combinato in passato. Voglio sperare che almeno Francesca… - ma la sua espressione mi fa comprendere che non si è ancora chiarito su questo piccolissimo particolare – No, ok, come non detto, dovresti farlo, Deathy...”

“Lo farò ma… solo che non è facile!”

“Il passato non è più, giusto? Come diceva anche Agostino, il passato è solo ciò che ricordiamo con la nostra mente, in verità non è più esistente… - inizio a dire, filosofeggiando un poco come mi è sempre piaciuto fare – Tuttavia proprio perché è retaggio della nostra mente può coinvolgere anche il momento attuale, rovinandolo. Se vuoi un consiglio, non farlo, non aspettare troppo, rischiando di non vivere pienamente questo attimo...”

“Ehi, ma dico, il viaggetto nel passato ti ha fatto girare male le tue rotelle, che parli per enigmi?! Oppure sei sempre stata così?!” ribatte lui, arrossendo un poco. Il messaggio lo ha completamente assorbito, lo so.

Sorriso tra me e me, dirigendomi verso le scale che portano alle camere.

“Eh, chi lo sa… - faccio la misteriosa, scambiandogli una occhiata furba – Per questa volta cederò il passo anche io, Deathy, vado a chiamare Francesca, non sia mai che, allo scadere del tempo ti troviamo ibernato appena fuori dal tempio, ahaha! Passate una bella giornata, mi raccomando!” affermo, non rispondendo volutamente alla sua domanda e anzi cominciando a salire le scale.

 

 

* * *

 

Erano ormai calate le tenebre nei dintorni di Pevek, il sole, in quegli ultimi giorni, pareva sempre più vacuo ed etereo dalla poca luce che riusciva ad arrivare in quelle lande desolate. Gli abitanti sapevano che presto la lunga notte artica sarebbe scesa su di loro, oscurando completamente il cielo per più di un mese. Era la routine. Ormai anche Isaac si era avvezzato, del resto, non era molto diverso dalla sua terra natia, la Finlandia, e ormai erano passati una serie di anni dalla sua iniziazione per diventare Cavaliere. Ma non era comunque ciò a tenerlo lontano dall’isba a rimuginare tra sé e sé, bensì altro.

Incedeva lentamente sul permafrost, teso come non mai. Un’oscura ombra incombeva su di lui, impossibile evitarla, perché era dentro; dentro di sé. Non vi era via di fuga.

Era il 15 novembre, una giornata marchiata a fuoco nella sua memoria, come segno incancellabile. Si sentiva teso, arrabbiato, anzi di più, furibondo. E sapeva di andare contro gli insegnamenti del suo Sacro Maestro, che non si sarebbe mai stancato di ripetergli che le emozioni, quelle fastidiose spine nel fianco, andavano rimosse in battaglia e tenute a freno nelle altre circostanze. Lo sapeva ma non era in grado di adempiere a quel precetto. Non quel giorno. Probabilmente proprio per quello si teneva ben distante dall’isba, oltre a nutrire il forte desiderio di stare da solo.

Con un enorme sforzo di volontà, si concentrò sul presente, sul discorso che quella mattina gli aveva fatto Pavel a proposito di Camus, sull’ammirazione che gli abitanti di quelle lande desolate nutrivano per il suo maestro, sui suoi poteri, sulle sua abilità sovrumane. Isaac voleva diventare imperturbabile come lui, eppure non vi riusciva, men che meno quel dannatissimo giorno che gli riportava alla memoria ricordi troppo dolorosi. La rabbia e frustrazione sgorgavano all’ennesima potenza, spietate. Non sarebbe mai diventato come il suo ammirabile mentore, non ci sarebbe mai riuscito ostinandosi a percorrere quella strada, eppure era solo quella la motivazione che lo spingeva a voler diventare Cavaliere.

Lasciati quindi al sicuro in un anfratto Nikita e Sasha, i due cani Husky più giovani della muta, si era diretto a contemplare il mare ghiacciato davanti a lui, come carpito dal suo fascino immenso e profondo. Non seppe quantificare il tempo in cui rimase lì a fissare l’immensa distesa davanti a sé, che proseguiva a perdita d’occhio, ma si accorse di una presenza immediatamente dietro di lui solo quando percepì visivamente la luce della torcia. Istantaneamente balzò indietro, lanciando, senza pensarci due volte, la Diamond Dust, che aveva imparato a padroneggiare totalmente, contro il nuovo venuto, il quale, senza alcuno sforzo, la deviò di lato. Isaac sussultò nello scorgerlo, cadendo automaticamente per terra a causa dello sbilanciamento del colpo medesimo. Si aspettava un rimprovero, invece la persona appena sopraggiunta si sedette sulla neve al suo fianco senza proferir parola. Non subito almeno.

Isaac attese. Attese. Attese. Fino a che non decise di parlare per rompere quella situazione imbarazzante.

Maestro, se dovete rimproverarmi fatelo, ma non sopporto questo lungo silenzio che si perde nel vuoto… mi mette a disagio!”

Silenzio? In verità, se solo facessi attenzione, il mondo intorno a te sarebbe pieno di suoni!”

Isaac sbuffò, discostando lo sguardo. Il Camus filosofo era quasi peggio di quello severo e imprescindibile, nonché di quello taciturno.

Vedo che tu e Hyoga non avete ancora idea di cosa significhi ascoltare la melodia della neve!” proseguì ancora Camus, a metà strada tra l’affranto e il rassegnato.

Isaac optò di fare un nuovo tentativo, concentrandosi massimamente sull’ambiente circostante, ma non captava proprio niente. Non vi era nulla, di suono, in quell’ambiente etereo, checché ne dicesse il suo maestro. Non nevicava, eccezionalmente non c’era neanche vento né nient’altro, a che suono si riferiva quindi? Quale melodia? Anzi, come era possibile che la neve producesse una melodia?! Andava al di là del semplice suono!

Non volendo dare l’impressione di non aver capito, tacque, sperando di non apparire così tremendamente incapace, ma sapeva che Camus lo conosceva bene, non era facile dargliela a bere.

Ti faccio i miei complimenti per aver percepito la mia presenza dietro di te, sebbene avessi azzerato il cosmo, ma ti devo comunque far notare che in un campo di battaglia saresti stato colto impreparato. - lo provò ad incoraggiare il maestro, alla sua maniera, prima di proseguire - Sei abile, Isaac, ma ne hai ancora di strada da fare! Prima di tutto le tracce, se davvero non volevi farti trovare, avresti dovuto celare meglio l’impronta delle zampe di Nikita e Sasha, per non parlare dei segni della slitta!”

Un secondo, come sapete che ho preso proprio loro due da Pavel? Li avete visti, o...”

No, non li ho visti, era troppo buio e la mia vista da umano non mi permette di riconoscere concretamente le sembianze di uno o dell’altro, ma riconoscerei le singole orme dei miei cani tra mille altre anche senza l’uso della vista!”

Isaac stentava ancora a crederci, se Camus fosse stato un buon tempone avrebbe pensato che stesse scherzando, invece no, era serissimo, come di consueto.

Davvero formidabile… hanno ragione quelli di Pevek e Kobotec a parlare così di voi...”

Sei qui per questo motivo?” il tono del maestro era strano, pareva come se si rendesse conto che altre erano le ragioni, ben più serie, per cui il suo allievo più capace si era allontanato così tanto.

No… ma la domanda mi rimane comunque: chi siete realmente, Maestro Camus? Non siete solo un Cavaliere di Atena, vero? E’ da quando sono giunto qui 4 anni fa che avverto qualcosa di immenso provenire da voi. Nessun uomo che abbia mai incontrato in vita mia è capace di mettermi così in soggezione come riuscite a fare voi senza nemmeno usare il vostro cosmo. Anzi… non è soggezione, è qualcosa di oltre, di superiore… so solo che non riesco a fare altro che ammirarvi con tutto me stesso!”

Hai sentito alcune voci dei paesani sul mio conto? Non darci peso, Isaac, la gente comune ama favoleggiare su leggende e personaggi mitologici. Qualunque cosa sia uscita di così magniloquente dalle loro bocche, non ascoltarli. Sono un semplice uomo, dotato di poteri sovrumani, è vero, ma pur sempre un uomo!”

Eppure ad Isaac non bastava come risposta, non era sufficiente. Quelle voci, nonostante la modestia del mentore, dovevano essere per forza vere. Lo sentiva dentro di sé.

Ma Pavel, Leila, Igor e tutti gli altri dicono che siete un mago, uno sciamano, un dio… affermano che possiate aiutare un bambino a nascere con i vostri poteri, avete aiutato a mettere al mondo Jacob, no? Dicono che voi stesso possiate creare la vita con le vostre mani, non possono esserselo inventati! Ed io… io… - si fermò un attimo, frastornato da quell’enfasi che avvertiva sempre più pressante – Io voglio essere come voi, ma se siete così superiore come dicono, non ho speranze!”

Per quale motivo vuoi attingere ad un potere simile, perché brami così tanto essere come me, cosa ti muove?” chiese Camus, guardandolo intensamente negli occhi. Isaac sbuffò, ridacchiando tra sé e sé: tipico del maestro rispondere ad una domanda con un’altra domanda, quindi non rispondere alle questioni scomode.

Oltretutto Camus sapeva già le circostanze che avevano mosso il piccolo Isaac ad incrociare la strada con la sua, le sapeva e le rammentava perfettamente. Eppure eccolo lì ad incalzarlo con quel velo di disapprovazione che lo metteva ancora più in soggezione.

Lo sapete, Maestro… la mia famiglia è stata trucidata da degli assassini, mi hanno ucciso tutta la famiglia senza pietà, solo io sono scampato, nascondendomi sotto il letto. Non voglio che ad altri succeda qualcosa di simile… - si prese una breve pausa, mentre la rabbia saliva – Non permetterò più che accada tutto questo, se i malvagi adoperano tutta la loro forza per stragi e uccisioni, anche io allora sarò implacabile con loro, distruggendoli e sradicandoli via da questa bella terra!”

Camus rimase zitto a guardarlo con espressione apparentemente imperturbabile. Sì, lo sapeva; sapeva che il piccolo Isaac, prima di giungere in Siberia aveva passato un’esperienza simile, ma voleva comunque indagare se i suoi propositi fossero rimasti uguali.

E’ dunque per questo che sei qui… è questo il giorno in cui avvenne il massacro – ne dedusse, rimettendosi in piedi prima di aiutare anche l’allievo ad alzarsi – Le ragioni che ti muovono sono giuste, i Cavalieri difendono la giustizia e i più deboli dai soprusi, ma… quel qualcosa che scorgo in te non mi piace per niente, è… è distruzione, rabbia repressa, irrazionalità… non è il modo giusto per diventare simile a me!” lo redarguì, gentilmente; gentile sì, ma sempre di rimprovero si trattava.

Isaac fremette, mentre, con uno scatto si allontanò di qualche passo: aveva ragione Camus, era furibondo, ma come non esserlo visto quello che aveva passato?!

Lo vedi? Questa insana rabbia porterà alla distruzione anche te, e un Cavaliere non deve mai...”

Sì, sì, lo so che non deve mai permettere alla furia di prendere le redini del comando, ma cosa ne volete sapere voi di sentimenti e di rabbia sviscerale?!? Siete superiore all’umana specie, facile per voi parlare di non farsi coinvolgere dalle emozioni, siete orfano, non avete un passato che penda su di voi! Per quello che dicono gli abitanti di Kobotec e Pevek siete sceso in terra come un dio e una divinità non si cura di queste bazzecole!!! Cosa ne volete quindi sapere se non avete alcun motivo per farvi coinvolgere da qualcosa?!?” ribatté, iracondo fremendo visibilmente.

Camus tacque ancora, mentre Isaac, accorgendosi di aver osato troppo, prese un profondo respiro per calmarsi. Stava facendo solo una brutta figura contro chi ammirava di più, nient’altro! Imperdonabile...

Perdonatemi, io… so che devo mantenere la calma ed essere rigoroso in qualsiasi situazione, ma in questa giornata non ce la faccio. Per quanto mi sforzi, i ricordi ritornano, opprimendomi il petto. Avevo bisogno di stare solo proprio per risparmiarvi questa figura...”

E’ comprensibile il tuo stato attuale, la ferita è ancora relativamente fresca, per questo ti ho detto che hai ancora molta strada da fare… - lo provò a tranquillizzare Camus, sospirando sonoramente – Ma sbagli a pensare che io non avessi una famiglia prima di diventare Cavaliere… Ce l’avevo, il Santuario mi ha strappato da loro! Ti sembra un motivo sufficiente per essere arrabbiato?! Avevo anche una sorellina, non mi ricordo quasi più nulla di lei, tranne il fatto che avrei voluto proteggerla e me l’hanno impedito!”

Fu il turno di Isaac di tacere, affranto per le parole del maestro che parevano aghi acuminati di ghiaccio da quanto erano state taglienti. Si ritrovò a sbattere le palpebre, notando quel velo di tristezza oscurare gli occhi di Camus.

Voi… voi avete una famiglia? E siete anche un fratello maggiore?!”

Avevo e lo ero… il passato non esiste più, Isaac, rivive nei nostri ricordi, ma nulla di oltre...”

Ma i sentimenti, quelli li viviamo ancora se solo ci pensiamo...”

E’ vero, ma ciò non cambia che il passato e il presente si trovino in due connotazioni esistenziali diverse… una non è più, non può essere cambiata, l’altra invece è ciò da cui traiamo la forza per combattere, ed è proprio quest’attimo perso tra lo spazio e il tempo infinitamente più grande di noi che ci deve dare la forza di agire e reagire!”

Isaac continuava a fissarlo incredulo, mentre lo vide avvicinarsi per posare una mano sulla sua spalla.

Se serve per spronarti, richiama i ricordi della tua famiglia e adoperali per impedire che a qualcun altro sia decretata la fine che purtroppo è stata inferta a loro; ma non farti mai imbrigliare dalle emozioni, sii anzi tu a imbrigliare loro… - gli sorrise con un velo di dolcezza – Mi hai compreso, ragazzo? Non permettere a questa ondata di distruzione di soggiogare anche a te, abbassandoti al livello delle bestie che hanno ucciso la tua famiglia. Sii la ragione che detta giustizia, non la rabbia che rischia di portarsi dietro anche tutto ciò che vi è di bello e meraviglioso in questo mondo!” gli consigliò, franco, facendo per allontanarsi.

Maestro, io...”

Non sapeva nemmeno cosa dire, forse che sentiva di non esserne in grado, che ci avrebbe provato, o cos’altro? Inaspettatamente però Camus gli sorrise con affetto, voltandosi verso di lui.

Non voglio che il tuo potenziale sia sprecato, Isaac… potrai essere certamente uno dei migliori Cavalieri di Atena che il Santuario abbia mai avuto, se solo imparerai a controllarti. Io credo in te, so che ci riuscirai, sei forte! – gli disse, orgoglioso, e il cuore di Isaac accelerò di colpo, fiero – Ti aspetto all’isba con Hyoga, prenditi pure il tempo necessario per schiarirti le idee e per riportare il tuo stato alla calma di un lago cristallino. Ti aspetterò vigile fintanto che non farai ritorno!” concluse, andandosene.

 

 

* * *

 

 

5 ottobre 2011, sera

 

 

Apro pigramente gli occhi, cullata da una piacevole sensazione di torpore che permane malgrado il mio lento cammino verso il risveglio. Non riesco a mettere subito a fuoco i dintorni, ma la prima cosa che avverto, ancora prima dei suoni, dei colori e dei profumi, è la calda coperta che mi avvolge e mi copre completamente ad eccezione del viso, incassato fra le due braccia che tengo davanti ad esso come istinto di protezione, più o meno come farebbe un gatto. Focalizzo l’attenzione sul plaid rosso delicatamente adagiato su di me, non rammentando di averlo preso io per coprirmi. Qualcuno me lo deve aver messo sopra con enorme cura.

Mi giro in posizione supina, iniziando a rammentare i fatti accaduti prima di addormentarmi. Ora ricordo! Stavamo cenando quaggiù in cucina, parlando del più e del meno. Eravamo io, Michela, Francesca, Hyoga e ovviamente Camus, ricordo di essermi sentita felice perché pareva di essere in una famiglia quando, alla sera, tutti tornano dalle proprie faccende per passare un po’ di tempo insieme. E poi… e poi ricordo di aver provato una forte sensazione di stanchezza, ero enormemente contenta, quasi commossa, eppure… eppure mi sono coricata sul divano, stremata, anzi, forse ero proprio così esausta perché era da un po’ che non mi distendevo così, non ci ho messo quindi molto a crollare nei meandri nascosti del sonno.

Un acciottolio di stoviglie attira la mia attenzione verso la cucina. Impiego un po’ a definire concretamente la figura girata di spalle impiegata a lavare i piatti. E’ avvolta dalla penombra, ma quella cascata di capelli che gli scendono elegantemente sulla schiena, la riconoscerei tra mille.

Provo l’istinto di chiamarlo, ma mi trattengo, preferendo contemplarlo senza disturbarlo. Sta passando freneticamente un panno per asciugare i piatti, deve aver quasi finito ormai, mi sarebbe piaciuto aiutarlo, visto che, stante i membri di questa casa, le posate e le stoviglie non devono essere di certo poche. Eppure, ne sono sicura, conoscendolo, avrà garbatamente rifiutato le proposte di aiuto dalle mie amiche e di Hyoga, abituato così com’è a badare agli altri e fare da solo. Che testone!

Ora lo vedo riporre i piatti nell’apposito scaffale, alzando il braccio destro sopra di sé per riporre tutto in ordine. Indossa ancora la maglietta chiara scollata sul petto e i consueti jeans, gli stessi che ha indossato oggi. Non credo abbia ancora riposato un attimo, non voglio che si stanchi così tanto per noi.

Eppure starei ore e ore a guardarlo, a vedere i suoi movimenti scrupolosi ed eleganti… in questi mesi c’è stato poco tempo per rifiatare, adesso che ne abbiamo occasione, vorrei che questo momento durasse per sempre; vorrei che questa pace e serenità che avverto in questo attimo della mia vita, ora che l’ho ritrovato, si perpetuasse all’infinito.

“Fratellino…” lo chiamo con dolcezza, appena mi accorgo che ha finito i suoi lavori. Per esemplificare le mie intenzioni di averlo vicino, compio un movimento, del tutto intenzionata ad alzarmi per abbracciarlo, ma Camus, dopo avermi inquadrato (e aver inquadrato le mie intenzioni) mi blocca seduta stante con un gesto della mano, indicandomi, senza usare le parole, che non c’è bisogno di fare sforzi inutili, che verrà lui.

Infatti poco dopo, facendo il giro del tavolo da dove prende qualcosa che non distinguo, si siede a bordo del divano, scostandomi dolcemente alcuni ciuffi dalla fronte, che avverto sudata. La febbre non è del tutto passata, sta scendendo, ma non è passata, anche per questo ho così tanta sonnolenza.

Mi sorride con dolcezza ma non fiata, al contrario mio, che ho il forte desiderio di parlargli.

“Cam… so che sei abituato a fare da solo, ma davvero non vorrei che ti stessi affaticando troppo. Non chiedi mai l’aiuto di nessuno!” lo rimprovero bonariamente, porgendogli la mano con l’evidente intenzione di prendere la sua e ricoricandomi subito dopo. Lui, lesto, me la afferra, accarezzandola con il pollice, più o meno come si fa con il petalo di un fiore.

“Sono abituato ad agire così, come hai detto tu stessa, non è per scarsa fiducia nei vostri confronti, so bene che anzi siete perfettamente in grado di salvarmi la vita… lo avete fatto! - mi sussurra con dolcezza, vezzeggiandomi il viso con la mano libera – Ma desidero con tutto me stesso fare le cose che facevo prima, ritornare quello di prima! So che non sarà completamente possibile, ci sono momenti che ho ancora male alle ferite, e altri in cui mi sento debole, proprio per questo mi comporto così. Cerca di capirmi, sorellina mia...”

Annuisco meccanicamente, rattristata. Effettivamente non è guarito completamente, le ferite non sono risanate del tutto, non lo saranno mai… per un uomo, anzi, un ragazzo, perché per me così è, abituato ad arrangiarsi sempre con tutte le sue forze non deve essere affatto facile.

Mi rilasso sensibilmente, sentendomi la testa pesante, se questa dannata febbre lasciasse il mio corpo sarebbe anche l’ora, anche io voglio recuperare il tempo perso, non ne posso più di fare la bella addormentata che si riposa mentre gli altri lavorano o si allenano. Anche io devo recuperare il tempo perduto!

La mano di Camus indugia per diversi attimi sulla mia fronte, soppesando la mia temperatura corporea, poi lo avverto sbottonarmi un poco il pigiama (eh sì, sono arrivati i nuovi indumenti per la notte, per il giorno dobbiamo aspettare che la febbre mi passi, così potremo rinnovare il nostro guardaroba, yuppie!!!), passandosi tra le mani il termometro che aveva precedentemente preso dal tavolo.

“Direi che è arrivato il momento di misurarla” mi dice, gli occhi luminosi e le labbra distese. Io annuisco nuovamente, prendendo l’oggetto e infilandomelo sotto l’ascella senza tante cerimonie. Rimaniamo dunque così, io con il braccio sopra il petto per tenere fermo l’affarino e la mano di Camus posata sopra la mia in un gesto tenero e affettuoso che mi fa sentire al sicuro.

Certo che anche mio fratello è molto cambiato in questi mesi! Si è ampliamento sciolto di più verso i rapporti umani, soprattutto con me, ma anche con le altre e i compagni Cavalieri d’Oro. Certo, ha sempre difficoltà ad esprimere le sue emozioni ma ha fatto degli immensi passi avanti. Sono così contenta! Con me è diventato molto più espansivo, non che prima fosse anaffettivo, eh, ma ero sempre io a dover ricercare un contatto tra noi; contatto che lui fino all’ultimo rigettava, bloccato com’era nella sua corazza a protezione verso il mondo. Ora invece è anche lui ad avvertire il bisogno di sentirmi vicina e di farsi sentire vicino, lo capisco ben da quei due meravigliosi occhi blu che splendono di luce propria.

C’è anche la questione che, lo avverto, mi reputa ‘piccola’, più piccola di quanto in realtà non sia. Non è a causa della minorità, né una questione di poca fiducia, bensì il percepirmi ai suoi occhi come uno scricciolo; uno scricciolo da proteggere con tutto sé stesso. Non può che farmi piacere questo e farmi sentirmi al sicuro. Qualunque cosa accadrà, sarò sempre la sua sorellina, non importa se passeranno decenni, questo non cambierà mai e poi, mi riscalda il cuore!

“Cosa stai pensando con quegli occhietti trasognati?” mi chiede dolcemente lui, notando la mia espressione luminosa.

“Che ti voglio bene, Cam, e… che vorrei essere come te, da grande!”

“Marta… avrai sicuramente altri esempi migliori che diventare come me, per esempio nostra madre o, non so… altri!” ribatte, ma il suo sguardo brilla come di consueto.

Nego con la testa, tornando poi a guardarlo.

“No, vorrei essere proprio come te, così come lo voleva Isaa...” mormoro, ma mi blocco immediatamente nello scorgere il suo sguardo dolente. Passo falso, ohibò, devo stare attenta a nominare l’allievo perduto con così tanta leggerezza. Stavolta sono stata discretamente insensibile ma… il sogno sembrava così bello ed emozionante che non vorrei mai dimenticarmelo.

“Scusami, Cam...”

“No, figurati… sono consapevole che lui non ci sia più, ma ogni volta che ci penso, o che viene nominato, non posso evitare la consueta fitta al petto, devi averla percepita dal mio sguardo, vero? - mi chiede, sorridendo amaramente. Io annuisco, cupa – E così hai fatto un altro sogno, eh? Continuo a provare una sensazione agrodolce al solo pensiero di poterti far soffrire con cose che non appartengono neanche a te!”

“No, invece… sono proprio questi sogni che mi permettono di vedere con sempre maggior chiarezza la strada che voglio percorrere...” ribatto, rimarcando fermezza nella mia voce e nei miei occhi.

“E sarebbe?”

Prendo un profondo respiro, stringendo la mano a pugno. In fondo, già in passato, quando ancora zampettavo per la Valbrevenna, ero consapevole del percorso che volevo seguire; un percorso che passava da me al tutto e viceversa. Anche Mario, il nonno di Stefano, almanaccava su quella cosa lì, sulla melodia del tutto, sulla melodia della...

“Cam, ti prego, insegnamelo! Insegnami come percepire la melodia della neve!” dico tutto di un fiato, fremendo visibilmente. Camus si blocca seduta stante, spalancando le palpebre in un’emozione particolarmente tangibile.

Prendo un profondo respiro, desiderosa di spiegarmi meglio.

“E’ da quando sono piccola che, in certi momenti della mia vita, avverto il suono delle fronde degli alberi, del ruscello, degli animali… sono vere e proprie voci, mi parlano, ma io non le riesco a comprendere. Quando ero bambina credevo di essere matta, proprio per questo mi isolavo dagli altri, preferendo il contatto con la natura al loro… - racconto, mentre vedo Camus, ancora un poco scosso, che, con gesto gentile, mi scosta la maglia del pigiama per riprendere il termometro – Credevo di essere matta sì, ma ora ho visto dai sogni che anche tu sei in grado di percepire qualcosa di superiore, forse anche di dialogare con lui… puoi dunque insegnarmi? Non so cosa sia la melodia della neve, ne parlava anche Mario, il nonno di Stevin, quando ero piccola, non ho idea di come si manifesti, ma intuisco che sia tutto collegato, vero? La pioggia che scroscia nelle brutte giornale, l’acqua che scorre, rinfrancando gli alberi e permettendo la vita… tutto questo non è altro che neve trasmutata, vero? Lassù, nelle fitte nubi, parte tutto da un fiocco di neve ghiacciato che, cadendo, a seconda della temperatura, cambia di aspetto, vero?” chiedo conferma, sempre più emozionata dal poter parlare con qualcuno di questo grande segreto.

“La tua temperatura corporea è assestata a 37.5 gradi, entro domani dovrebbe essere passato tutto!” afferma per tutta risposta lui, squadrando il termometro con un velo di incertezza.

“Camus!!!” lo richiamo, non intenzionata a mollare l’osso. L’interpellato sospira, tornando a guardarmi.

“Hai ragione tu, la tua intenzione è giusta: è tutto collegato!” asserisce solo, alzandosi in piedi per posare il termometro e andarmi a prendere una tachipirina.

Lo guardo allontanarsi, una nota dolente nei miei occhi e nella mia trachea. E’ chiaro che non ne voglia parlare, ma perché? Così come il Potere della Creazione, che anche questa sia una maledizione invece che un dono? Eppure è così bello… voglio credere alle parole di Isaac, alle parole della gente del villaggio che mio fratello deve aver aiutato negli anni dell’addestramento e degli allievi… so per certo che ha salvato molte vite, molte delle quali proprio in Siberia, laggiù deve essere trattato come una sorta di sciamano, di medico, non mi meraviglia che lo abbiano tratteggiato come un dio sceso in terra. Avrà senz’altro aiutato i bambini a nascere, lenito le ferite, curato le persone; so altresì che è in grado di formare un essere animato con le sue stesse mani, l’ho visto nell’uccellino, anche se lo sforzo è stato eccessivo. Io desiderio diventare come lui, allo stesso modo in cui lo desiderava Isaac!

“Non mi reputi all’altezza di diventare sciamano come te? Forse hai ragione, ma ci vorrei almeno provare, fratellino… è la strada che ho scelto di percorrere, la tua stessa strada!” pigolo, affranta, osservando il lampadario spento sopra di me.

Poco dopo Camus ritorna con un bicchiere, contenente la consueta porcheria biancastra per abbassare la febbre, in mano. Continua a non dire niente ma sento le sue parole in gola che attendono solo il via libera per uscire. Lo vedo sedersi accanto a me, passandomi il medicinale, che trangugio senza esitazione. Un brivido mi scorre lungo la schiena al palesarsi di nuovo di quell’orrendo sapore che contraddistingue la tachipirina. Tossicchio leggermente, cercando di non mostrare l’espressione di disgusto che mi deve aver avvolta. Camus attende che mi ricomponga prima di tornare al discorso precedente.

“Marta… non fraintendermi! Non è per il reputarti un’incapace che esito, tutt’altro! Anzi, secondo me ci sei fin troppo portata… è proprio questo che mi spaventa!”

Lo guardo senza capire, un po’ scettica. Tuttavia rimango in religioso silenzio.

“Hai un intuito eccezionale, piccola mia, e sei un essere speciale… non è assolutamente da tutti avvertire l’immenso fin dalla più tenera età, tu invece, oltre a sentire le voci della natura, hai già intuito l’immane correlazione che c’è tra le piccole cose e l’infinito, in altre parole, la melodia della neve!” mi spiega, scuro in volto.

“Cam… non capisco, cosa…?”

“E’ come hai detto tu, tutto parte da un singolo fiocco di neve ghiacciato, proprio lassù, nelle nuvole… il ciclo inizia dal piccolo… - continua lui, cercando le parole giuste – Essere a contatto con questo, percepire la melodia della neve… significa essere in contatto con questa enorme entità che permea il nostro mondo, significa disvelare la vita medesima, toglierle insomma il velo e... se disveli la vita...” la frase rimane in sospeso, perdendosi nella stanza, ma tale frase silente mi trafigge in pieno petto, facendomi comprendere perfettamente.

“… disveli anche la morte!” esclamo, rabbrividendo. Automaticamente le mie mani arpionano la coperta, trasmettendomi una fitta subitanea.

Camus annuisce meccanicamente, mentre mi prende e mi stringe la mano tra le sue, partecipe del mio stato.

“E’ un dolore difficilmente sopportabile… alcune cose rimangono belle, nella nostra esistenza, perché incerte… questo ci permette di immaginarci qualcosa di migliore per noi, per i nostri cari. Si può pensare che ci sia qualcosa di oltre, dopo aver chiuso gli occhi da questo mondo, questo ci fa sperare e continuare a vivere, ma… - si prende una breve pausa carica di tensione – se si attinge alla verità, se si toglie il velo, scoprendo la realtà delle cose, anche la speranza può languire, agonizzando per un breve istante prima di morire… e vivere senza più la speranza non è neanche più vita, ma pura sopravvivenza.”

Tremo convulsamente, soppesando quelle parole che, pur pronunciate con dolcezza, sono davvero terribili. Ne capisco il significato concreto, ed è il motivo per cui sto esitando così tanto adesso. Sono davvero pronta a questo?

“Marta… - concretizza il mio pensiero Camus – Tu sei pronta a rischiare così tanto per percepire la melodia della neve? Saresti in grado di arrivare in fondo, o rinunceresti prima? La vita è un dono, piccola mia, viverla non trovando risposta a tutte le domande che abbiamo è il modo migliore per assaporarla. Prenditi il tempo che vuoi per decidere, in caso affermativo, sono pronto ad indicarti la via dello sciamano per poi percorrerla insieme...” asserisce, accarezzandomi dolcemente il volto e sorridendomi.

Annuisco tiepidamente. La paura è nei miei occhi, mio fratello la avverte distintamente nonostante i miei tentativi di mascherarla. Proprio per questo vedo nelle sue intenzioni l’impulso ad abbracciarmi per darmi un po’ di conforto, per non farmi sentire sola in quell’universo di dubbi, ma un repentino rumore di passi che scendono giù velocemente le scale, ci coglie impreparati, allertando i nostri sensi.

Dall’entrata che conduce alle camere al piano superiore, vedo sbucare un trafelato Hyoga che quasi, non controllando pienamente i suoi movimenti, cozza contro lo stipite della porta.

“Maestro! Maestro!!!” grida, completamente fuori di sé dal panico, fa una fatica tremenda a parlare, anche se sta provando a controllarsi. Tutto inutile!

“Per amor di Atena, Hyoga! Cosa sta succedendo?”

“MICHELA! Michela è presa da un incubo, piange, si dimena… ma non riesco a svegliarla. Ci ho provato, Maestro, ma...”

Automaticamente mi alzo in piedi, frastornata, presagendo la gravità della situazione.

“Accidenti, Hyoga, potevi avvertirmi prima!” esclama Camus, teso all’inverosimile, scattando in avanti in direzione delle camere seguito dall’allievo, ancora sconvolto, che ripete ritmicamente un: “Maestro, io… ho tentato, ma… ma...”

Senza indugiare oltre, li seguo, ancora un po’ traballante sulle gambe, nondimeno non posso certo starmene adagiata mollemente su un divano ora che so che una delle mie migliori amiche sta male.

Arrivo nella camera della mia amica con il fiato corto, rendendomi nitidamente conto che la situazione è molto grave: Michela ha il respiro tremendamente aritmico e si divincola nel sonno, nonostante i ripetuti richiami di mio fratello che prova anche a scrollarla, tutto inutile, sembra quasi imprigionata da un incubo atroce che le impedisce il risveglio, una sorta di paralisi del sonno. Do una veloce occhiata a Hyoga non sapendo che fare, lo vedo fremere spaurito, i pugni chiusi ma molli, l’espressione incredula e densa di preoccupazione. Sembra del tutto impotente.

“Hyoga, da quanto è in queste condizioni?” domanda Camus, guardando l’allievo, sembra apparente calmo, ma la curva delle sue sopracciglia, la linea delle sue labbra e le pieghe della pelle sulla sua fronte, tradiscono una certa paura.

“Maestro, io… noi… stavamo dormendo… insieme… Ad un certo punto ho avvertito una presenza strana e sinistra e mi sono ridestato immediatamente, guidato dall’istinto, ma Michela ha continuato a dormire e, poco dopo, ha cominciata ad agitarsi nel sonno – spiega Hyoga, in evidente stato di disagio – Ho provato a svegliarla, ma sembrava in coma e… e… Cosa le sta succedendo adesso?!?” esclama, nell’esatto momento in cui la sua fidanzata prende a gridare dal nulla, come se stesse soffrendo.

“Maledizione!” impreca Camus tra sé e sé, poggiando una mano sopra la fronte di Michela, nonostante le difficoltà di tenerla ferma con il braccio sinistro, visto i suoi movimenti repentini e per nulla scontati. Ingoio a vuoto, intuendo che mio fratello ha un piano per la testa, di difficile attuazione però, visto gli spasmi della mia amica.

“Cosa sta succedendo?!?” esclama Francesca, appena sopraggiunta, avendo avvertito le urla della sua amica più piccola. Hyoga ed io taciamo, tesi come non mai.

Tutto di un tratto, le difficoltà di mio fratello mi sono limpidamente chiare in mente, come averle percepite io medesima: se Michela non sta ferma, lui non ha facoltà di sondare il suo inconscio e scacciare via l’intruso, perché di intruso si tratta, in più non deve essere affatto facile operare in condizioni simili, perché avverte una sorta di pressione schiacciargli le mani, minando alla sua concentrazione.

Automaticamente mi muovo nella sua direzione ma dall’altra parte del letto, inginocchiandomi al fianco della mia amica, poco prima di tenerla ferma alla ben meglio. Nel momento esatto in cui le mia dita entrano in contatto con lei, avverto effettivamente una leggera scossa attraversarmi le braccia e il busto; scossa che si propaga a tutto il corpo direttamente proporzionalmente alla durata della mia azione medesima, ovvero quella di trattenerla.

“Marta!!!” mi richiama Camus, preoccupato dalla mia espressione sofferente.

“N-non badare a me, Cam, fai quello che devi senza curarti di chi ti sta intorno. Questa leggera scarica elettrica è nulla in confronto a quello che ho avvertito quando eri tu a stare male! – lo rassicuro, sforzandomi di sorridergli, malgrado l’occhio destro, più socchiuso dell’altro, ben si adatti agli spasmi che, passando dal corpo di Michela, raggiungono anche il mio – Non esitare, fratellino, solo tu puoi fermare questa cosa!”

“Va bene, grazie, piccola mia...” dice solo lui, annuendo brevemente prima di posare nuovamente la mano sulla fronte della mia amica e chiudere gli occhi, espandendo il suo cosmo dorato.

Sorrido di rimando, soddisfatta di riuscire finalmente ad essergli utile, anziché un peso, e torno a concentrarmi sotto di me.

Francesca intanto si mette sul chi vive, cercando sostegno nello sguardo del Cigno, che tuttavia sembra destabilizzato da quello spettacolo ancora incomprensibile per lui.

“Hyoga! - lo riscuote la mia amica più grande, posandogli una mano sulla spalla – Rimani con noi, ok? E’ fattibile che qualcosa uscirà dal corpo di Michela quando questa operazione sarà completata, se ciò avviene tu unisci il tuo colpo al mio per attaccarlo, intesi?!”

“Q-qualcosa dal corpo di Michela? - ripete sgomento il Cigno – Va bene, sarò con voi!” afferma tuttavia, recuperando il controllo, posizionandosi meglio.

Nel frattempo un brusio sommesso, quasi un suono gutturale, mi giunge alle orecchie. Capisco appartenere a mio fratello, in questo momento non dissimile da Shaka che, in determinati ambiti, riesce a produrre la stessa vibrazione proveniente dalla gola. Lo guardo ammirata, non capendo totalmente cosa stia facendo, ma ho fiducia in lui e aspetto, tenendo ferma Michela con tutte le mie forze.

Poi accade qualcosa di inaspettato e improvviso, vedo mio fratello spalancare improvvisamente gli occhi, colpendo lo sterno della sua allieva più piccola con un movimento secco del polso flesso, in modo che le dita cozzino proprio con il corpo esanime sottostante. Il gesto è talmente inaspettato che, nel medesimo momento, mollo la presa su di lei, finendo seduta a terra per lo shock. Il movimento è stato quasi brutale , cosa cavolo…?!

“Camus!!!” lo chiamo, sinceramente sconvolta nel vedere ancora le sue dita premere su Michela in quella maniera. Anche Francesca e Hyoga sono allibiti.

“Non preoccuparti… era l’unica maniera per risolvere la situazione, so cosa ho rischiato, ma ho dosato il mio potere” ci spiega lui, raddrizzando la schiena e liberando l’allieva più piccola, ora di nuovo tranquilla e serena.

La fisso incredula, mentre Hyoga e Francesca si avvicinano a letto. Dalle loro facce percepisco che condividano il mio stesso stato emotivo di profondo shock.

“Ma cosa… cosa avete fatto, Maestro?” si fa coraggio Hyoga, prendendo delicatamente la mano della sua fidanzata per accarezzarla.

“Tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro, Hyoga, perché Milo ha fatto lo stesso con te nella Battaglia delle Dodici Case per bloccare l’emorragia causata dalla Cuspide Scarlatta – comincia pratico mio fratello, scrutando l’allievo con profondi occhi blu – Sto parlando degli shinoten!”

“Ma Michela non aveva una emorragia, come…?”

“Infatti, sebbene il punto di pressione sia uguale, questa tecnica ne diverge nitidamente, come il motivo per cui l’ho utilizzata ora”

Rimango a guardarlo, rapita, prestando attenzione alle sue parole. Non so ancora cosa siano questi ‘punti di pressione’, ma pare che si possano utilizzare per aiutare qualcuno in pericolo di vita. Sarà una dote che hanno tutti i Cavalieri d’Oro?! Per questo sono così superiori?

“E sarebbe?” lo interroga ancora l’allievo, lesto ad apprendere.

“Dovevo modificare la frenesia del suo respiro, se non fossi intervenuto in questa maniera avrebbe rischiato di non svegliarsi più...”

La camera viene invasa di esclamazioni di sorpresa e incredulità, mentre, sempre più sconvolti, ci guardiamo vicendevolmente.

“Maestro… non capisco bene cosa significhi questo, né cosa sia successo a Michela, ma… è fuori pericolo adesso, vero?” chiede conferma Hyoga, un’ombra nei suoi occhi.

“Sì, Hyoga, mi hai avvertito in tempo, pertanto sono riuscito ad agire al momento propizio, anche grazie all’intervento di Marta” gli sorride tiepidamente, con affetto. Il Cavaliere del Cigno annuisce meccanicamente, incassando la testa tra le spalle e non proferendo più niente. Lo fa Francesca al posto suo.

“Quel bastardo del Mago, possibile che...”

“No, Fra, stai attenta, non c’entra niente lui! Lo stato di Michela non è dipeso dal nostro nemico principale” la contraddice, una velata paura nel suo sguardo, che contagia anche noi.

“E allora chi…?”

Varypnas...”

Nessun cambiamento di espressione in me e Hyoga, non conoscendo quella particolare parola pronunciata in un soffio. Contrariamente a noi, Francesca sgrana gli occhi, arguendo il misfatto.

“Il demone che causa la paralisi del sonno?!?” prorompe infatti, posandosi una mano sul cuore con apprensione.

Ah, allora avevo visto giusto, Michela era davvero preda di una paralisi del sonno. In ogni caso, è inquietante quello che è accaduto, perché proprio alla mia amica più piccola, poi? NO! Non è così, anche Hyoga stava per cadervi ma è riuscito a ridestarsi prima, interrompendo il contatto. Cosa può significare tutto questo?

Nel frattempo Camus prende a raccontare:

“Sì, in quasi tutte le culture viene trattato di questo essere che, si vocifera, paralizzi la vittima, detta succube, premendo sul suo petto e provocandone l’asfissia, per questo è stato necessario modificare il ritmo della sua respirazione – ci dice, sedendosi stancamente sul bordo del letto – Fuori di metafora mitologica, tale stato è detto allucinazione ipnagogica e accade nell’istante tra il sonno e la veglia, praticamente non si è più in grado di controllare il proprio corpo, sebbene una parte del cervello sia già conscia e quindi ti faccia rendere conto della tua situazione. L’ho provato anche io… so cosa significa...”

Abbasso lo sguardo, tesa. Comprendo a cosa si riferisce mio fratello, in fondo davvero non è dissimile da quello che ha subito con il Mago che, almeno in apparenza, nel suo inconscio agisce in maniera non dissimile, tuttavia questo mostriciattolo deve essere nettamente più debole, perché è sparito senza lasciare traccia.

“Che cosa può significare?” biascico, costernata.

“In numerose culture… - si prende una lunga pausa, sospirando – è un presagio!” dice in un soffio, quasi la velocità di esposizione minasse di meno al suo, nostro, stato.

Stringo con foga i pugni, discostando lo sguardo. Avverto una spiacevole sensazione avvolgermi le membra, quasi di attesa snervante di un qualcosa di inevitabile. Faccio per continuare a parlare, ma la voce di Hyoga mi interrompe.

“Michela!!!” la chiama il Cigno, euforico, nel vedere che si sta risvegliando. Tuttavia nel suo sguardo c’è qualcosa di strano, di sinistro, di non suo. Fa impressione da vedere negli occhi sempre vivaci della mia amica, perché non glielo ho mai visto, perché sembra confermare il mesto presagio tra noi.

Michela è in lacrime, sta piangendo, quel gesto inusuale, da solo, permette a Camus di circondare le spalle dell’allieva con un braccio mentre la suddetta si alza a sedere con enorme fatica.

“Michela...”

“Papà, io...” ma non finisce la frase sconclusionata che i singhiozzi la paralizzano di nuovo. Camus è con lei, non da peso a quella parola, per certi versi, atipica. Perché non li separano che pochi anni di età, perché, in fondo, Michela è alta quanto Hyoga, forse un po’ di più, non ha la struttura di una bambina, né comunque il cervello di una adulta, malgrado il suo corpo già di donna. Eppure né Camus né Michela disdegnano quel nomignolo, perché, in fondo, essere Cavaliere, essere morto per Atena, ha inciso sulla sua dura corazza come non mai. Pesano… sulle sue spalle i quasi ventitré anni pesano come i quaranta, o addirittura i cinquanta, quindi Camus dell’Acquario non rifiuta quel nome un poco altisonante, men che meno in quella situazione.

“Papà, io… - riprende poco dopo Michela, tentando di trattenersi – Io ero… ero morta… morta, capisci?!? Mi avevano colpito al petto, che grondava sangue, sangue mio, sangue fresco… è stato terribile, io… io!!!”

“Michela… era solo un sogno, null’altro! Ti sarai sentita paralizzata, hai avuto paura, ma ora è tutto finito!” la prova a rincuorare lui, abbracciandola.

“No… no! Io morivo, ero morta!!!” singhiozza ancora lei, sempre più disperata. Hyoga, Francesca ed io siamo inermi, non abbiamo neanche più il coraggio di parlare.

“Michela… Michela, ascolta, non permetterò a nessuno di farti del male, mi riesci a sentire? A nessuno!”

La vedo annuire ancora sconvolta, affondando il viso nell’incavo della spalla del maestro e rimanere lì, avvinghiando le proprie dita al tessuto della maglia di Camus in cerca di un disperato appiglio. Mio fratello le accarezza dolcemente i capelli, la paura impressa nei suoi occhi.

“Sì, non ti accadrà nulla… non finché ci sarò io con te!”

 

 

* * *

 

 

10 ottobre 2011, pomeriggio

 

 

“Coraggio, Hyoga, non siamo che all’inizio!” esclamo, colta da una irresistibile frenesia, poco prima di ripartire all’assalto mentre il Cigno, incespicando nei suoi piedi, indietreggia di qualche passo. Non dandogli il tempo di rifiatare, lo incalzo con un corpo a corpo che cela in sé un pizzico di impulsività. Mi sento carica e il mio sangue ribolle, in più il bel tempo che continua a perseverare qui in Grecia non fa che triplicare la mia energia e vitalità. Finalmente sono tornata ai tanto agognati allenamenti, voglio far vedere quanto sono migliorata nella lotta.

“Però, amico! Sembra proprio che tua sorella si sia ripresa piuttosto bene, non trovi?” sento commentare Milo, seduto sotto un ulivo insieme agli altri, posso ben avvertirli. Mio fratello, neanche a dirlo, non fiata, il suo sguardo è su di me, ed è la ragione che stimola il mio animo ad essere così tumultuoso fino all’inverosimile.

Non faccio che addestrarmi dall’alba al tramonto insieme alle mie amiche, più niente e nessuno può distoglierci dai nostri obiettivi. Il mare è ancora tiepido e confortevole, il suono delle onde mi fa da dolce compagno in questa prova. Ci siamo tutte, Francesca, Michela, Sonia, più Hyoga, Milo e ovviamente Camus. Tutte noi abbiamo il forte desiderio di rafforzarci, possiamo dirci inarrestabili.

“In guardia, Hyoga!” ribadisco, con un cipiglio di urgenza, poco prima di lanciare una Polvere di Diamanti che lui frena con l’ausilio del solo palmo. Poco male, mi aspettavo una simile mossa e ho già preso le contromisure. Scattando infatti di lato, lo colgo di sorpresa, prendendolo da dietro e immobilizzandolo, al settimo cielo per essere riuscita nel mio intento. Ma la gioia è di breve durata, infatti Hyoga, riproducendo il Koliso intorno a noi, mi costringe ad allontanarmi per evitare di essere imprigionata tra gli anelli. Non mi do ancora per vinta, prendendo un profondo respiro, scatto di nuovo nella sua direzione, lesta. Hyoga si prepara a ricevermi ma, sorprendentemente, compio un balzo in alto, frastornandolo. Arrivo all’altezza massima raggiungibile da me in questo momento, ovvero circa sette metri rispetto alla mia altezza, compio una capriola in avanti per dare alla mia struttura più slancio e più potere, poco prima di fiondarmi letteralmente contro di lui, il quale, non aspettandoselo, si ritrova ben presto a terra con me sopra; ul mio pugno è sulla sabbia, che si sta congelando, non molto distante dal suo volto, l’altro invece stretto nella morsa di Hyoga che, con la mano libera, ha trattenuto il mio attacco.

“Una doppia Polvere di Diamanti… a tal punto ti sei perfezionata, Marta? - mi chiede lui, ammirato – Ti è bastato così poco tempo per fare tua questa tecnica e riprodurla, non solo in maniera impeccabile, ma addirittura duplice?!”

“Ha poca importanza, biondino, mi sarei aspettata qualcosa di più come risultato, invece sei riuscito a fermarmi, ma al prossimo assalto ce la farò a raggiungerti!” ribatto, un poco delusa da me stessa, alzandomi in piedi per dare modo a Hyoga di prepararsi al nuovo attacco. Tuttavia la voce di Camus raggiunge le mie orecchie.

“Hyoga… è meglio se ti impegni di più, se non vuoi farti sconfiggere...”

Vedo Hyoga alzarsi a sedere e scoccare un’occhiata indecifrabile al suo mentore. Sembra un misto di irritazione e costernazione. Non capisco il loro scambio di sguardi, finché non è il Cigno a parlare.

“Maestro! Mi avete detto voi di dosare le forze con vostra sorella, io ho solo eseguito quanto mi avete ordinato!”

“C-COSA?! E’ la verità, Camus? Hai detto a Hyoga di non mostrarmi il suo reale potenziale? Quindi è solo per questo che ho avuto l’illusione di essermela cavata egregiamente?!” chiedo conferma, ferita da quel discorso. Avrei dovuto immaginarmelo, eppure mi sento offesa.

“L’ho fatto sì… - mi accontenta placido lui, guardandomi con severità – Hyoga è uno dei Cavalieri Leggendari, insieme ai suoi compagni ha compiuto azioni eroiche e sconfitto nemici insidiosi. L’armatura del Cigno, custodita per secoli nel ghiaccio, ha trovato un illustre padrone! Per quanto tu sia forte e abile, Marta, non avresti la benché minima speranza con lui, ecco il motivo della mia richiesta”

Mi faccio scivolare a terra, sedendomi sulla sabbia, più nessuna velleità di combattere. Abbasso automaticamente il capo, davvero affranta, sospirando.

“Avrei dovuto capirlo… non sono io ad essere migliorata così tanto, ma il Cigno ad avermi trattato con tutti i riguardi” sbuffo, mettendo il broncio.

Hyoga vede la mia espressione e, intuendo il mio stato, ricerca un modo per risollevarmi di umore, protraendo maldestramente il braccio nella mia direzione.

“E-ehì, eddai, Marta… non te la sei cavata male, hai comunque lanciato due Polveri di Diamanti insieme, non è assolutamente da tutti, tanto meno farlo in soli pochi mesi di allenamento. Sei la degna sorella del Maestro!”

“Grazie, Hyoga, ma non ci provare, è vano...” bofonchio, prostrata.

Nel frattempo nel gruppetto sotto l’ulivo, sento provenire delle voci.

“Camus… forse dovresti davvero permettere a Marta di mettersi più alla prova, così la limiti e basta e...”

“E quindi cosa dovrei fare, Francesca? Farla combattere contro Hyoga ai massimi livelli, che so ben più forte di lei, oppure con un altro Cavaliere d’Oro, con Death Mask, magari, che non si farebbe scrupoli ad infierire su di lei?!”

“N-no, veramente non è così, lui...”

“Ohi, non vorrete mica riprendere a litigare per questo, vero? Il sole è così caldo, il tempo è magnifico… per favore non battibecchiamo tra noi!” li intercetta Sonia, prima che si riprendano tra loro sull’argomento del Cavaliere del Cancro.

Intanto io, ricacciando indietro il senso di inadeguatezza, mi scrollo dalla veste tutta la sabbia, così come la prostrazione, tornando a concentrarmi sulle mie amiche.

“Michela!!!”

L’interpellata sussulta, rispondendomi con un “siiiii” tutto tremante, poco prima di fissare la sua espressione, un poco frastornata, nella mia.

“Ho deciso: fammi tu da avversaria, tu che dai sempre il massimo!” esclamo, puntandole l’indice contro.

“Co… cosa?!?

“Sì, sì, TU! Dai! Vedrai che saprò congelare le tue fiamme!” le lancio la sfida, sorridendo raggiante. Mi sento iperattiva e carica di potenziale, lo voglio dimostrare a tutti, ancora di più a mio fratello.

Michela annuisce un poco insicura, ma è di nuovo Camus a frapporsi tra me e lei, tra i miei intenti e i suoi intenti.

“Basta così, Marta… hai già dato abbastanza mostra di te oggi!” mi cassa, con un pizzico di alterigia.

“Maestro, mi sono ristabilita da poco, sono nel pieno delle energie, non voglio avere qualcuno che mi tarpi le ali!”

“Le ali te le tarperai da sola se continuerai a non capire i tuoi limiti. Hai avuto un notevole dispendio di energie in questo scontro, fatti dare il cambio con...”

“No! No! No! Voglio rafforzarmi ancora, se preferisci che qualcun altro si alleni con Hyoga fai pure, ma dammi qualcos’altro da fare, ti supplico! Non voglio stare in panciolle!” ribadisco, con sempre più enfasi.

“Non farmi il Cardia della situazione adesso, smetti di impuntarti: hai udito la mia decisione, tornatene seduta sotto l’ulivo e osserva gli altri scontri, puoi imparare anche da quelli!”

Stringo le mani a pugno, frustrata. Perché mio fratello è così indulgente con me? Perché mi impedisce di mostrare il mio reale potenziale? Eppure dai sogni avuti sulla Siberia non era affatto così, con Isaac e Hyoga ci andava giù duro, severo, non aveva importanza se i due bambini fossero stanchi, doveva insegnargli le arti marziali del ghiaccio, per farlo, occorreva sapere resistere ad una sofferenza inimmaginabile; la stessa sofferenza che cerca di evitare a me. Non è giusto, sono forse… inferiore?

Faccio per aprire la bocca e provarci un’ultima volta, impuntandomi per davvero, ma il tipico suono del teletrasporto di Mu attiva i miei sensi. Poco dopo infatti qualcuno si materializza sulla spiaggia, ma non è il Cavaliere dell’Ariete, bensì…

“Kiky!” lo chiamano Milo e Camus all’unisono, meravigliandosi del suo arrivo. Le mie amiche ed io rimaniamo in silenzio a fissarlo, chiedendoci tacitamente cosa sia venuto a fare.

“Mi ha mandato il Grande Mu… - palesa le sue motivazioni il bimbo – Pare che il Sommo Shion abbia indetto una speciale riunione dorata per un qualche tipo di emergenza!”

Camus e Milo si scambiano uno sguardo complice, preoccupato… che la quiete sia forse finita?

“Va bene, arriviamo subito, solo un attimo per...” inizia lo Scorpione, prima di venir interrotto dalla voce acuta del bambino.

“Alla riunione devono espressamente partecipare anche Hyoga e le quattro ragazze, è una proroga che ha deciso il Grande Sacerdote medesimo!”

Quest’ultima frase, se possibile, fa preoccupare ancora di più i due Cavalieri d’Oro che automaticamente fissano le loro espressioni nelle nostre, ovvero ciò che hanno di più caro.

“Se è la volontà di Shion, noi non possiamo far altro che attenerci...” asserisce pragmaticamente Camus, sospirando impercettibilmente.

Pochissimo tempo dopo l’avvertimento di Kiky (si parla forse di una ventina di minuti), varchiamo già la soglia dell’atrio della tredicesima casa, ritrovandoci nuovamente nella sala principale già coronata, da ambo i lati, dai Cavalieri d’Oro, tutti in piedi su due linee, a destra e a sinistra. Sebbene si tratti di persone ormai amiche, una certa soggezione si incanala in noi, non essendo abituate a tutte queste cerimonie. Ci acquattiamo istintivamente, facendoci piccole piccole di fronte all’immensa mole dei nostri compagni tutti ammantati d’oro. Camus e Milo, con indosso le rispettive corazze, ci danno un po’ di coraggio sospingendoci in mezzo alla folla, Hyoga ci segue a ruota. Lo guardo un attimo, vedendolo per la prima volta integralmente rivestito dall’armatura del Cigno, un gingillo non affatto male con l’elmo a forma dell’uccello medesimo come copricapo. E’ bellissima e affascinante, sembra quasi d’argento, oppure è semplicemente il suo irresistibile luccichio a prendermi grazie alla sua singolarità.

In ogni caso, quando Shion entra nella sala i Cavalieri d’Oro posti in circolo flettono le ginocchia in segno di rispetto, lo stesso facciamo noi con il capo in segno di ossequio.

“Grazie a tutti per la vostra presenza qui e scusatemi per aver interrotto bruscamente le vostre faccende, ma la situazione è complicata” incomincia Shion con la solita voce imperiosa ma gentile. Indossa l’elmo del Grande Sacerdote, che gli nasconde il bel volto tra gli innumerevoli ciuffi verdi che lo contraddistinguono. Rimango in silenzio in attesa che vada al sodo.

“Vi starete certamente chiedendo perché abbia fatto venire anche le ragazze, nonché il motivo di questa riunione, ebbene… fatti insoliti stanno accadendo in varie aree del mondo, e tutte sembrano avere un’unica origine, un unico punto di partenza, un’unica zona in cui si stanno suppurando… Questo luogo è l’immediato entroterra di Genova!”

Un brivido mi scorre lungo la schiena, mentre avverto Michela e Francesca, ora frenetiche, produrre esclamazioni di sorpresa. Intorno a noi mormorii confusi, trafelati… niente a che vedere però con la nostra dolente consapevolezza.

“E’ proprio così, amici… a lungo ho aspettato notizie dagli informatori, tutti collegano gli avvenimenti ad un’unica origine, la quale risulta, dalle fonti che abbiamo in nostro possesso, che il tempo stia subendo degli sconvolgimenti… dei grossi sconvolgimenti!”

“Come… come è possibile?” chiede Aiolos, scettico.

“Non lo sappiamo, ma è necessario mandare qualcuno là a controllare. Sempre da questo informatore, pare che alcuni vecchi moribondi siano rinati a nuova forza, interrompendo il processo di morte e anzi ringiovanendo di una quindicina di anni; allo stesso modo sappiamo di bambini nati che però non avevano le sembianze di bambini, bensì di feti, e che quindi sono deceduti appena venuti al mondo...”

“Oh… oh no!” riesco solo a balbettare, portandomi una mano alla bocca e sbarrando gli occhi. Sono sconvolta dalle parole di Shion, sconvolta che un fatto simile possa essere accaduto così vicino a casa mia, in un luogo che significa molto per me. Rabbrividisco.

“N-non è possibile q-questo… è contro natura!” sobbalza Sonia, incredula.

Shion si prende una breve pausa prima di aggiungere il resto, sedendosi stancamente sul trono e massaggiandosi le tempie.

Mi volto in direzione di mio fratello, implorando tacitamente un sostegno che credo possa darmi solo lui. Il suo sguardo caldo è con me, accarezza il mio e, anche se a distante, riesce in parte a tranquillizzarmi.

“Dicevo… ho bisogno di mandare qualcuno là alla ricerca di informazioni, ma con la promessa che non interverrete in alcun modo se doveste incontrare un nemico, intesi? - riprende Shion, teso – Non sappiamo chi, o cosa, possa provocare ciò, un confronto aperto sarebbe troppo pernicioso per voi ed io non voglio perdere nessuno, già troppi spargimenti di sangue sono avvenuti in quest’epoca!”

Vedo tutti i Dorati annuire con la testa, posandosi una mano stretta a pugno sul cuore poco prima di giurare solennemente il loro non intervento.

“Dove si trova questo posto, Grande Sacerdote?” chiede anche Aiolia, pronto già ad intervenire per indagare su un simile fenomeno.

“Il luogo esatto non lo so, ma è nel territorio compreso tra Torriglia e Busalla, con una preminenza di fatti ambigui e inspiegabili avvenuti tra i paesi di Montoggio e Casella...”

A queste ultime parole non posso far a meno di scattare in piedi, reprimendo a forza un grido di terrore, che comunque, pur non palesandosi fuori, si esterna tramite gli occhi vitrei e le labbra spalancate.

“Montoggio e Casella, dite?!? N-no… NO! Sono luoghi a cui sono legata… come… come è possibile?!?” disco spasmodicamente, temendo per le terre che, in età infantile, ho amato così tanto. I miei ricordi… i miei…

“Marta, calmati ora, rimani con noi, intesi? - mi viene a rassicurare Camus, avvolgendo il mio petto con un braccio nel tentativo di farmi sentire la sua presenza – So cosa significa per te, ma ora come non mai devi mantenere il sangue freddo. Risolveremo questa situazione solo non facendoci prendere dalle emozioni!”

Inspiro ed espiro diverse volte, ricercando appoggio anche nei visi, partecipi, di Francesca e Michela, loro sanno cosa rappresenti per me quel posto, vedo i loro occhi dolenti, spauriti e al contempo desiderosi di intervenire in luogo caro anche a loro.

“Marta… mi confermi che conosci la zona?” mi chiede Shion, apparentemente distante.

“Sì… sì! Tra i due paesi ci sono due valli nascoste, quasi selvagge per la natura che ospitano e per essere raggiunte con difficoltà dagli esseri umani, tanto che fino al secolo scorso non avevano una strada asfaltata… - prendo una breve pausa, tesa come una corda di violino – Sto parlando della Valbrevenna e della Valpentemina… le conosco entrambe a fondo!”

“Quanto a fondo, ragazza?”

“E-ecco, i miei nonni avevano preso una casa a Carsi, in Vabrevenna, per concludere in tutta tranquillità la loro vita una volta andati in pensione… - farfuglio, addolorata nel rammentare di loro, Camus mi stringe la mano con forza, sentendo dentro di sé il mio stato – Le conosco a menadito perché ci passavo tutte le estati. Una volta che diventai sufficientemente intraprendente girai per quelle valli, percorrendone i sentieri, scorgendone gli animali e le piante, assaporando tutto di quei luoghi. E’ come se fossero casa mia!”

“Bene… mi hai confermato un sentore che avevo già, ti ringrazio!” risponde, alzandosi nuovamente e dandoci le spalle, come a soffermarsi su un qualcosa prima di esternarlo a noi.

Intanto avverto i miei occhi lucidi, un bruciore permea agli angoli. Sono sinceramente scossa, non avrei mai pensato che in quel luogo potesse succedere qualcosa di così terribile dopo quello accaduto nel 2009… Quel dannato ottobre del 2009, se solo ci penso io… io… NO! Mi ero ripromessa di scacciarlo fuori da me, così come quegli occhi del color del ghiaccio che pure sono sempre stati pregni di gioia per me… Il passato non esiste più, non… non dovrei ancora soffrire così tanto per quei fatti!

“Vivono dentro di te… - asserisce ad un tratto mio fratello, poggiandomi una mano sul petto, lo fisso sorpresa mentre lui, con un sorriso, mi sospinge contro di sé, sfruttando il momento in cui Shion e sovrappensiero – Vivono dentro di te le persone che hai perso, non dimenticarlo mai, piccola mia! Combatti per loro senza paura, non sei sola, non lo sarai mai più!”

Ingoio a vuoto, socchiudendo gli occhi, respirando a pieni polmoni il profumo di abete selvatico di Camus. Ha avvertito le mie emozioni, forse anche i pensieri e, come sempre, con poche, semplici, parole è in grado di raddrizzare tutto, perfino la mia vita.

“Ti voglio bene...” biascico, non facendomi udire dagli altri ma avendo cura che il messaggio venga recepito da lui.

“Anche io!”

Nello stesso momento in cui la frase appena sussurrata da mio fratello arriva dritta al mio cuore, vedo Shion ricomporsi per poi voltarsi nuovamente nella nostra direzione, una strana ombra negli occhi, come di decisione a lungo sofferta ma inevitabile. Senza sapere neanche bene perché, concepisco le sue parole ancora prima di essere pronunciate.

“Non ho altra scelta, ormai… - sussurra tristemente Shion, stringendo i pugni con enfasi - Marta! Francesca! Michela! Sonia! Sarete voi ad indagare in quei luoghi arcani. Vi affido la missione, partirete fra cinque giorni una volta che i preparativi saranno ultimati!” proclama solennemente lui, alzando una mano nella nostra direzione come per benedirci.

Rimango inebetita a guardarlo, lo stesso fanno le mie amiche e i Cavalieri d’Oro, ma nessuna delle espressioni dei presenti è lontanamente simile a quella di Camus, teso e disorientato qui al mio fianco come un bimbo sperduto. Sbatte le palpebre un paio di volte, come a volersi svegliare da una visione, prima di stringere la mano a pugno e tentare di opporsi a questa decisione con tutte forze e le facoltà in suo possesso.

 

 

* * *

 

 

14 ottobre 2011, notte

 

 

Niente, è impossibile dormire decentemente il giorno prima della missione, inutile continuare a provarci, l’impresa è disperata e difficilmente assolvibile, tanto vale andare fuori dal tempio dell’Acquario e respirare a pieni polmoni l’arietta fresca della sera. Sospiro rassegnata, mentre, infilandomi la felpa posta sulla sedia, mi dirigo al piano di sotto con l’evidente intenzione di uscire.

E’ finalmente arrivato il vestiario nuovo, anche se non siamo state noi a sceglierlo ma gli altri Cavalieri d’Oro, ragione per la quale alcuni abiti sono uno scempio, vorrei davvero sapere chi tra i Dorati si sia occupato di questo, anche se ho già qualche idea sui nomi. Poco male, basta coprirsi per la brutta stagione ormai incombente, il resto non conta, anche se le mie amiche si sono lamentate per alcune malaugurate scelte. Non tutto il vestiario è osceno, almeno di questo gli do atto!

Cercando di fare più silenzio possibile, esco dal tempio, soffermandomi un attimo a contemplare il limpido cielo sopra di me in una famigliare sensazione di tutt’uno tra me e il mondo che mi circonda.

Domani è il giorno della missione, la prima, sono tesa come un violino e ho il cuore a mille, ma so che ho ancora un compito da svolgere, devo vedermi con una persona. Ora come mai conosco la mia strada.

Eppure so che dovrei sbrigarmi e poi tornare subito qui, che un minimo devo riposare perché domani mi attende un lungo viaggio da Atene a Genova e poi da Genova verso il suo entroterra, ma malgrado sia ben conscia di questo fattore, sto continuando ottusamente a godermi l’arietta pacifica della notte. E’ così tranquillo qui, all’undicesima casa siamo quasi sulla sommità del monte, se mi espongo dalle scalinate posso vedere tutte le case sottostanti e più in là, dopo gli irti colli, il chiarore della città di Atene. Mi piace il luogo dove vivo, in più l’atmosfera di stasera è stupenda, mi addormenterei qui, all’aperto, ma visto che lo farò già nei prossimi giorni, poiché è stato decretato di campeggiare durante la missione, per stanotte mi gusterò ancora le calde coperte del mio letto.

Socchiudo gli occhi, respirando a pieni polmoni e avvertendo quella stessa aria cristallina penetrare in profondità nel petto, regalandomi una nuova determinazione. Partiremo all’alba, domani, non devo esitare più!

Mentre mi ripeto queste cose mentalmente, avverto dei passi dietro di me, leggeri ma decisi al tempo stesso. Li riconosco ancora prima di udire la sua voce e inavvertitamente sorrido. Certo, la sua presenza può essere un problema, visto i miei propositi ma sono altresì contenta di essere confortata proprio da lui.

“Non riesci a dormire, piccola mia?”

Sorrido tra me e me, voltandomi nella sua direzione. Camus si ferma a pochi passi da me, una leggera ombra scura nei suoi occhi.

“Sì… devo supporre che hai avvertito il mio stato, giusto?”

“Più o meno… - mi risponde, pragmatico – Anche se io stesso, devo ammetterlo, non riesco a prendere sonno...”

Abbasso lo sguardo, tornando a concentrarmi davanti a me. La capacità di provare le emozioni dell’altro è senz’altro una fregatura, c’è poco da fare. Però è altrettanto bellissimo e speciale.

“Marta… avrei preferito non mandare voi ragazze in missione. Non so… non so come possa essere venuta una simile idea al Grande Sacerdote, proprio non capisco! Siete ancora inesperte, giovani… e, per quello che sappiamo, il nemico può arrivare ad alterare il tempo biologico delle persone. E’… è troppo pericoloso!” mi rivela, in tono tremante.

Vorrei tranquillizzarlo ma anche io ho paura, anche io non mi spiego la decisione di Shion, che si è impuntato a mandare noi, nonostante l’opposizione di ben quattro Cavalieri d’Oro… tutto inutile! La missione è nostra e nostra soltanto, anche se abbiamo espressamente l’ordine di limitarci a indagare senza ingaggiare battaglia, in breve, fuggire se dovessimo trovarci in pericolo.

Faccio per voltarmi per guardarlo dritto negli occhi alla ricerca delle parole idonee, ma prima di riuscire a spiccicare parola, vengo avvolta dalle sue braccia e trattenuta contro il suo petto.

Spalanco gli occhi, sorpresa. E’ vero che mio fratello è diventato notevolmente più espansivo in questi ultimi mesi, ma è riuscito comunque a stupirmi.

“C-Camus...”

“E’ un problema, per te, se stiamo un po’ così?” mi chiede imbarazzato, arrossendo. E’ lampante che non sia ancora avvezzo al contatto fisico così spontaneo, il suo corpo è rigido e le parole pronunciate tremolano, eppure è proprio per questo che lo trovo così tenero.

“Fratellino… non c’è bisogno che chiedi il permesso per questo, sai quanto mi piaccia quando ti approcci a me in questa maniera, facendomi sentire la tua presenza rassicurante con un semplice tocco...”

Camus annuisce cupo, affondando il suo viso nei miei capelli, le mani invece sono sulla mia schiena. Io, così premuta contro di lui, posso ben avvertire il suo meraviglioso profumo, nonché i battiti un poco frenetici del suo cuore.

Rimaniamo alcuni secondi in quella posizione, io nettamente più bassa, lui un gigante a mio confronto. Non gli arrivo che al torace, una cosa di per sé abbastanza invidiabile visto che so che è alto 1,84 metri. Significa che in realtà non sono poi così bassa, visto che gli arrivo ADDIRITTURA al petto, però, quando mi abbraccia, mi sento talmente piccola e indifesa che mi farei cullare come una neonata. E’ un’emozione molto intensa.

“Marta… lo sapevo già, ma… non immagini quanto mi costi farvi partecipare a questa missione, lasciarvi andare… ben consapevole che, se accadrà qualcosa, io non potrò fare niente per voi!” continua la sua confessione, quasi soffiando sui miei ciuffi. Automaticamente la mia stretta aumenta.

“Lo so, fratellino, lo so… - lo provo a rassicurare – Ma… ma in questi mesi ci siamo notevolmente rafforzate, sai? Vedrai che non ti deluderemo, pensa a quando siamo tornate qui per prendervi il medicinale per la peste, anche lì tu e Milo non potevate intervenire, ricordi?”

“Sì, ma c’erano Cardia e Dégel con voi, vi avevo espressamente affidato a lui, e… beh, certo, anche volendo non avrei potuto far nient’altro, visto il mio stato!”

“E questa volta ci hai affidato a Hyoga, il tuo allievo prediletto, andrà bene di nuovo, vedrai!”

“Hai ragione, di Hyoga ci si può fidare, gli sono grato per essere intervenuto nella discussione e di essersi offerto di accompagnarvi, ma… ma c’è anche dell’altro...”

Lo fisso interrogativa, aspettando che prosegua la sua confessione, nel farlo, anche il suo sguardo un poco corrucciato è rivolto a me. Poco dopo decide di svuotare completamente il sacco.

“Marta… te ne sarai resa conto anche tu, ma… faccio sempre più fatica a discernere il mio ruolo di maestro da quello di tuo fratello maggiore… So di essere noioso e fin troppo apprensivo, però mi è sempre più impossibile esercitare il distacco con te!”

“Camus...”

“E’ così, sai? Sei grande, non faccio che ripetermelo, eppure per me rimani piccola, anzi piccolissima. So che sei tutt’altro che fragile, conosco bene la tua forza e la tua perseveranza… del resto, sei una testarda, quando ti infili qualcosa in quella testolina non c’è verso di farti demordere, vai avanti per la tua strada, lo so bene… Malgrado questo non riesco, proprio non riesco, a pensare di metterti in una situazione di pericolo, sradicherei via il mondo per impedirti di finire nei guai, sono consapevole che così, come maestro, non faccio altro che danneggiarti irreparabilmente, perché oltre ad essere mia sorella sei anche una mia allieva e non posso tarpare le ali ad una mia discepola!” continua, tutto di un fiato.

Io per tutta risposta lo stringo ancora di più a me, abbisognando di sentirlo vicino; vicino come non mai. Domani partirò, mi continuo a ripetere che andrà tutto bene, ma non sono tranquilla, come potrei esserlo?!?

“Cam, pensi… pensi che per me non sia uguale?! Comprendo bene quello che dici, lo provo io stessa con te e, se non sei forte tu, fratellino, che sei Cavaliere d’Oro, chi altro può esserlo?! Eppure anche io tremo al solo pensiero di quello che ti può succedere in una missione. Se potessi, ti allontanerei dal mondo pericoloso del Santuario e da tutte le sue sciocche leggi, ma è una facoltà che non mi è consentita...” lo provo a rassicurare, nascondendomi ancora di più nel tessuto della sua maglietta. Mio fratello non dice niente, rimane in silenzio mentre, giocherellando con i miei capelli, mi accarezza la testa. Solo poco dopo aggiunge ancora una cosa, come se improvvisamente gli fosse tornato in mente un fatto.

“Uhmpf, quella sputasentenze di Myrto aveva infine ragione, anche se sono riuscito a comprendere pienamente le sue parole solo anni dopo!”

“Come, scusa?” chiedo, non capendo a cosa si riferisca, ma Camus si stacca leggermente da me, guardandomi negli occhi con un misto di dolcezza e malinconia.

“Nulla di rilevante, Marta! - dice solo, accennando due passi indietro per poi contemplare la volta celeste sopra di noi – E’ meravigliosa, nevvero? Da quando sono sopravvissuto alla peste, mi sono trovato sempre più spesso a contemplare l’ambiente intorno a me, non che prima non lo facessi, ma ora è tutto così incredibilmente intenso! Piccola mia, mai come in questo periodo mi sento genuinamente felice di vivere, ed è grazie anche a te se sono arrivato a questo punto! Fin da piccola tu, l’ho ben visto nei sogni, hai amato follemente questo mondo, le creature che lo abitano, il firmamento, l’infinito. E’ come se riuscissi a percepire questa grande forza chiamata esistenza, ed è come se la trasmettessi anche a me in tutta la sua intensità!” confessa ancora, un poco imbarazzato, continuando a sorridere al cielo sopra di lui.

Lo fisso sorpresa e ammirata al tempo stesso, rivedendo in lui il fu Dégel dell’Acquario, stessa essenza, stessa ombra. Qualunque cosa accada loro sono con me, non posso avere paura. Loro sono con me, ed io con loro, proprio per questo devo diventare ancora più forte di così. DEVO!

Ricordandomi della ragione che mi aveva spinto ad alzarmi dal letto, cerco lo sguardo di mio fratello prima di palesare una certa questione.

“Camus… prima che arrivassi avevo pensato di andare a fare una passeggiata nel bosco qui vicino per schiarirmi le idee… - esplico le mie intenzioni, non riuscendo però a non abbassare lo sguardo, conscia di dire una mezza bugia –

Ehm, posso allontanarmi?” chiedo infine, incerta.

Non so se le sue difese siano abbassate, o se, così rilassato dalla nottata limpida, non si ponga il problema, o se ancora si fidi talmente di me che l’idea che io possa compiere una azione che va contro i suoi dettami, non gli passi proprio per la testa, ma mi sorride, accennando con il capo.

“Vai pure, Marta, ma stai attenta, non tornare troppo tardi. Io ti aspetto in cucina!” mi avverte, voltandosi e rientrando nel tempio.

Annuisco solo, fuggendo letteralmente via. Mi sento dannatamente sporca, ma è una cosa che va fatta, ancora di più dopo la sua confessione.

Velocemente sgattaiolo sul sentierino nascosto che porta al bosco. La luna non è piena ma in fase crescente, dona quindi abbastanza luce per destreggiarsi senza torce. Mentre procedono a passo spedito, ho mille congetture per la mente che, per fortuna, mi limitano il senso di colpa nell’aver mentito a mio fratello. In verità il mio scopo non è solo la passeggiata, bensì l’incontro con una certa persone che lui non approverebbe.

Camus… amatissimo fratello che ho ritrovato da pochi mesi. E’ la ragione che mi spinge a lottare e a diventare sempre più forte. Proteggerlo è il mio obiettivo primario; proteggerlo, per evitare che ciò che è accaduto ad inizio luglio si ripeta; proteggerlo, perché non è che un fiocco di neve con un enorme potere, ma pur sempre delicato e fragile come l’elemento che gli è proprio; proteggerlo per strapparlo dalle grinfie del Negromante!

Le mie amiche, con le quali mi sono trovata a convivere in questo mondo, compresa Sonia… anche per loro devo potenziarmi, ne va della loro sicurezza anche se le so abili e capaci. Non permetterò che l’incubo di Michela si realizzi, non farò fare nuovamente tutto a Francesca, obbligandola a trattenere un peso così intenso come è successo nel passato, e sarò una degna amica di Sonia.

Dégel e Seraphina… ancora rinchiusi nel feretro di ghiaccio che li isola da mondo, anche loro devono essere protetti, anche se non scorre più vita in loro. L’ho promesso, non permetterò al bastardo di fare il bello e il cattivo tempo con i loro corpi. Sono irraggiungibili, rimarranno irraggiungibili!

Cardia e poi anche Milo… il primo mi starà guardando da qualche parte, lo so, lo sento! Ho giurato a lui di diventare più forte, lo farò senz’altro. Milo è il suo retaggio, un caro amico, una delle persone più positive che io abbia mai conosciuto, neanche lui sarà mai più solo ad affrontare le parole non dette di mio fratello, a sapere la verità senza poterla dire: se lui può essere il sostegno di tutti, ebbene anche io voglio essere un sostegno per lui!

Infine tutto ciò che di bello c’è in questo mondo… non ho mai nutrito particolare simpatia, particolare filantropia, per desiderare di proteggere l’umanità intera… affatto! Ancora adesso gli ideali di Atena mi sono estranei e non mi sento parte delle sue schiere, ma se così facendo posso salvaguardare il mondo, tutte le meraviglie che contiene, come una Cinciallegra, o una quercia, la pioggia, l’arcobaleno, ecc… beh, allora ben venga confondermi tra di loro per arrivare ai miei obiettivi!

Finalmente raggiungo il luogo prestabilito, soffermandomi proprio sotto le fronde di una roverella che, lentamente, va ingiallendosi. Prendo un profondo respiro, poco prima di alzare lo sguardo determinato e di parlare schiettamente e ad alta voce.

“So che sei qui! Vengo per dirti che accetto la tua proposta!”

Silenzio intorno a me, poi il calpestio delle foglie secche alle mie spalle mi fa capire che la figura si sta avvicinando. Non attendo eventuali domande, vado di getto.

“Camus ha sempre più difficoltà a dividere i due ruoli di maestro e fratello maggiore, lo sapevano già, ma ora ne ho la conferma. Giungo qui per confermarti i miei intenti: se anche tu mi facessi da insegnante, te ne sarei grata!

“Oh-oh! Sei volenterosa, ragazzina, tuttavia hai ben valutato i rischi? Io non sono indulgente come i Cavalieri d’Oro e ancora meno come Camus nei tuoi confronti. Accetti dunque di rischiare la tua vita per diventare più forte?”

“Non ho scelta alcuna… voglio rafforzarmi, per farlo ho bisogno di qualcuno che ci vada giù pesante; un qualcuno come te! Tuttavia anche io ho delle condizioni da sottoporti, la più importante è che non ti chiamerò mai, mai e poi mai, maestro! Camus lo è, tu non lo soppianterai, semplicemente mi darai delle lezioni di sostegno, per così dire, ok?!” ribatto, voltandomi nella sua direzione e sorridendo raggiante.

“Massì, sebbene trovi la tua argomentazione futile, non ho alcun bisogno di essere appellato in questa maniera! Piuttosto... – si prende una breve pausa, ghignando - Come pensi di nasconderlo al tuo caro fratellino? Come pensi che reagirà quando lo verrà a sapere? Già sento il suo cuore spezzarsi in mille frammenti!” mi incalza ancora, quasi spietato.

“Cercherò di nasconderglielo il più a lungo possibile, ma devo farlo, la posta in gioco è troppo alta per tutti noi!” dico, pratica, socchiudendo gli occhi.

“Come preferisci, allora ti accetto come apprendista, ma vedi di non morire subito, intesi? Non ho buona pazienza ed è da tanto che non combatto, potrei decidere di sfogarmi con te, sii quindi pronta!” afferma, ghignando a sua volta, posso ben vederlo da un raggio lunare che mette in risalto il suo monociglio quasi biondo. Perfetto, come si dice: alea iacta est!

Poco dopo riprende a parlare:

“Tuttavia dovrò aspettare ancora un po’, domani hai una missione, giusto?”

Annuisco solamente, pragmatica. Non c’è da fidarsi al cento per cento su di lui, i ricordi non mi sono ancora tornati sul suo conto, occorre prudenza.

“Uhmpf, proprio dei bei modi questo Santuario… nemmeno noi schiere d Hades manderemmo delle novizie in una missione pericolosa come quella affidatavi! – commenta ancora, desideroso di manifestare il suo disappunto – Vedo che, malgrado le belle paroline dei Cavalieri suoi adepti, neanche i metodi di Atena differiscano molto da quelli del Sommo, tutt’altro!”

Sorrido amaramente, ripensando a tutto ciò che hanno dovuto subire Camus e gli altri per difendere la dea. Mio malgrado, mi trovo sempre più in difficoltà a concepire lo schieramento in cui, in linea teorica, dovrei appartenere, troppo estraneo a me. Carne da macello siamo, null’altro, come in tutte le guerre!

“Come darti torto… Rhadamantis della Viverna! - lo chiamo per nome, un poco beffarda, ma è soltanto un bluff – Da che mondo e mondo, la guerra degli altri richiama le sue vittime, povere speranze che si ritrovano in mano ad un manipolo di individui che dispone di loro come vuole. Sta a noi umani scegliere cosa ci sta bene oppure no, decretando così il confine tra l’accettabile e il non accettabile! Arriverà un giorno in cui l’umana specie sarà in grado di decidere da sola e autodeterminarsi senza per forza avere un individuo che lo comanda; fino ad allora combattiamo per ciò in cui crediamo, Rhada!”

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccomi di nuovo qui in procinto di cominciare la terza storia della mia serie principale, qui ne avete il prologo, la long vera e propria arriverà più in là.

Perché ho voluto dividere il prologo dalla storia? Beh, perché intanto, come avete visto, è molto lungo e, in seconda istanza, la terza storia è molto incalzante, una serie di avvenimenti si susseguono in quasi un anno di tempo, segreti verranno chiariti, altri dubbi si formeranno, in un incatenarsi di eventi di diversa natura. Chi legge anche la Sonia’s side story, la storia prequel, possiamo definirla, si sarà accorto che “qualcosa accadrà nel 2012”, qualcosa che porterà alcune strade a dividersi, altre a incrociarsi. Ebbene, “La Melodia della Neve” coprirà proprio questo arco narrativo prima della grande separazione. Spero possiate apprezzare.

Sempre questa terza storia, lo anticipo, vedrà l’ingresso di un nuovo personaggio nel gruppo delle protagoniste e l’entrata di Hyoga nel “gruppo dei piccoli” composto da Marta, Michela, Sonia e Francesca, anche se quest’ultima, essendo una divinità è vista in questa tenuta semplicemente perché i Cavlieri d’Oro e lo stesso Camus soprattutto percepiscono una netta discrepanza tra loro e le “giovani”, sebbene non siano così tanti gli anni di differenza.

Ho voluto accennare, in questo prologo, tutti gli argomenti su cui verterà questa terza storia, sempre più criptica, sempre più misteriosa e… malinconica! Alcuni ovviamente sono ampiamente citati nel prologo medesimo, altri sono un po’ più nascosti e saranno chiariti successivamente.

Che dire, spero continuerete a seguirmi in qualche modo e… Buon viaggio! :)

  
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