Per Wanda e Vis. Amatevi.
I JUST FEEL YOU
Ma il mondo lo sa cosa si prova quando senti da lontano che
qualcuno che ami sta morendo? Io sì. Lui aveva gli occhi
aperti e la bocca
sfregiata. Il petto squarciato e zuppo di sangue. Il mondo lo sa cosa
si prova?
No, Wanda, non lo sa. Oppure ha deciso di dimenticarlo, nel tentativo
di non
impazzire, nella speranza di non implodere su se stesso.
E allora
l’universo sa cosa significa svegliarsi ogni mattina e
sperare di
morire pochi secondi dopo? Svegliarsi e pregare di essere
già morta, di essere
già sepolta. Di essere insieme a lui.
No, non lo sa. Non l’ha mai nemmeno provato. Non sa neppure
quale sia la verità
sul sonno profondo e bianco, divoratore di fobie e di
realtà, dispensatore di
oblio e di disperazione. È soltanto morte apparente. Il
cielo sopra di te
rimarrà indifferente alle domande che gli fai e al dolore
che gli mostri.
Continuerà a scorrere nonostante tu sia ferma. Senti? Si
muove e tu non cadi.
Si apre e tu non ti spezzi. Il pianeta Terra è blu e non
c'è niente che io
possa fare, neanche stasera. Le rocce si sgretolano, il vento trasporta
via i
nostri rottami e il fuoco ci cancella mentre tu sei qui con me. Prova a
sollevare il mento e a sbattere le palpebre. Scoprirai di riuscire
ancora a
respirare. Sei in apnea e il tuo corpo funziona, cigolando a rilento.
In una
nuvola di ghiaccio, in un’ovatta di momentanea falsa quiete,
tu sentirai il tuo
cuore scalciare e chiederti di più. Di più, di
più, ancora di più. È stanco,
vuole di più.
Perché chi è amato è salvo,
ricordalo.
Ricordatelo, Wanda, è fondamentale.
Chi è amato è salvo.
Vorrei tanto che tu
avessi ragione, Vis.
Non aveva potuto dire addio a Pietro, no.
Non aveva potuto abbracciarlo, stringerlo tra le proprie braccia,
respirare il
suo odore. Non aveva potuto rimediare ai propri errori, chiedere scusa,
mostrarsi pentita. Le erano rimaste soltanto delle suppliche urlate a
terra, contro il duro
pavimento, e singhiozzanti balbettii scesi giù dai denti e
dalle labbra. Gocce
di dolore che le avevano gonfiato le vene del collo e stretto il cranio
tramite
corde invisibili e spilli di acciaio. Aveva gridato e si era dimenata.
Aveva
sbattuto i pugni fino a scorticarsi la pelle, fino a bruciare, fino a
diventare
lei stessa l’essenza pura del male e
dell’infelicità, del rimpianto e del tempo
inesorabilmente consumato.
Dio, un’ultima
volta, concedimi solo un’ultima volta di parlargli,
un’ultima
volta. Dio, ti prego, Dio, ascoltami.
Guardarlo negli occhi e dirgli quanto gli voleva bene, quanto lo amava,
quanto
lui fosse importante nella sua vita di ossa, macerie, ombre fuggevoli
cucite
alle dita dei piedi.
Ti scongiuro, Dio, ti
sto scongiurando, ti prego, ti prego, un’ultima parola,
un’ultimo maledetto secondo.
Le immagini del passato le avevano riempito la testa talmente tanto
da farla affogare, da farla strozzare con la sua saliva e il suo pianto
isterico.
Un ultimo secondo, ti
prego, ti supplico. Per favore!
Ma non aveva potuto fare nulla, soltanto gridare e accasciarsi sulle
proprie
ginocchia.
Fatelo smettere, fatelo
smettere, fatelo smettere, per favore!
Questo dolore
è troppo forte, per favore! Basta, basta!
Avevano perso il senso le preghiere - vuote parole tese al vento, alle
mani
chiuse di divinità indifferenti - e il tempo si era
arrotolato su se stesso. La
vita era stata cacciata via dal corpo di Pietro e lui era scomparso,
seguendo
l’ineluttabile destino dei fragili mortali.
Suo fratello l’aveva lasciata sola a maledire il cielo e a
sperare febbrilmente
che il mondo finisse insieme ai suoi occhi spenti, che scomparisse nel
nero e
nel buio. Perché sarebbe stato meglio, perché
avrebbe fatto meno male.
La morte aveva creato nel suo petto una sensazione di abbandono e di
disperazione, di urla agghiaccianti nate dal baratro più
profondo della sua
anima difettata. Pietro era morto e lui non l’avrebbe mai
più consolata, mai più
abbracciata, mai più salvata.
Mai più.
Mai più,
Wanda, mai più.
E lei allora aveva compreso di essere perduta. Smarrita nella paura di
poter
subire nuovamente un tale dolore e una tale perdita - ancora e ancora e ancora
- lei si era chiusa in se stessa. Si era raggomitolata nelle viscere
estreme
del suo spirito spezzato e aveva vissuto anestetizzata alle emozioni
del mondo
che scrutava sospettosa, che scorgeva timorosa.
Fino a quando lui -
nessun altro avrebbe potuto, nessun altro - non
l’aveva
guardata.
Fino a quando lui - c’è
bisogno di un nome? lui, lui, lui non poteva essere
altri se non lui - non l’aveva amata, e niente
era più stato come prima.
Lui aveva cambiato la sua natura per lei - per lei, per lei, per chi altri
lo
avrebbe fatto se non per lei? - e le aveva insegnato in
che modo schiudere
l’anima alla felicità e in che modo sollevare le
palpebre senza vedere forme di
fantasmi all’interno della propria ombra. Le aveva dimostrato
infinite
cangianti verità, le aveva rivelato che le anime dei morti
potevano diventare
un peso nel petto oppure uno schiocco di dita sulla fronte. Che i morti
potevano salvare oppure uccidere. Che potevano liberarla oppure
imprigionarla sotto terra insieme alla loro carne decomposta. Si sorriderà in
eterno congelati in un volto di scheletro che grida oppure si
scuciranno le
labbra alla luce di un niveo Sole?
Le sue parole erano state stupende, i suoi ragionamenti sensati e la
logica dei
suoi discorsi perfetta. Eppure non erano state in grado di far funzionare le
costole rotte
che lei aveva ricucito con la bava delle falene nere e viola. I mesi
avevano iniziato a consumarsi tra giorni e ore trascorse nel bieco
vuoto di lei che non muoveva mai un dito, che non faceva niente altro
se non perdersi in oscuri
propositi, seduta con le gambe penzoloni sul bordo del materasso. Le
giornate
erano sparite, si erano perse in nebulosi ricordi, e Wanda aveva
continuato a
sprofondare nel proprio letto, immobile a osservare i colori del cielo
che non smettevano mai di cambiare. Le sue dita erano sempre tese
fuori dalle lenzuola, quasi a cercare di afferrare gli opachi fumi di
un
fantasma incapace di consolarla e di salvarla da se stessa. La mano
sinistra
aperta e vuota, un palmo bianco riverso su una coperta arancione. In
una notte
qualsiasi i gesti avevano ingoiato le sillabe pronunciate
dall’uscio di una
porta socchiusa e delle dita rosse avevano stretto le sue e non avevano
smesso
di farlo neppure un istante, nonostante gli incubi, le urla e i pianti.
Settantatré notti in cui quell’unico punto fermo
le aveva impedito di
impazzire. Lui aveva scelto di scendere nel baratro profondo in cui lei
si era
sigillata, in cui si era murata viva, e il tocco dei suoi palmi aveva
reso
sopportabile la solitudine a cui si era legata con dorate catene.
E dopo tanto e tanto tempo Wanda aveva capito e aveva accolto, nel
proprio
petto traballante, le parole che lui le aveva sussurrato ogni notte, le
splendide favole che le aveva raccontato all’ombra del
tintinnio di un
carillon.
Pietro, tu esisti, tu
esisti ancora. Non sei una catena attorcigliata alla mia
caviglia, non sei un mattone pesante nella mia testa. Tu sei nel mio
cuore.
Ma davvero lei aveva ancora un cuore? Davvero? Se lo domandava la
mattina,
quando la luce del cielo azzurro rendeva diverso e impalpabile il loro
rapporto
che durante la notte assumeva tutti i colori di uno spettro magico.
Allora
qualcosa si incrinava al centro del suo sterno quando passeggiava in
sua
compagnia, quando si incantava a guardarlo, quando scopriva i suoi
timidi
sguardi accompagnati da un imbarazzato tendersi delle labbra: un
turbinio
sottile e prepotente di sensazioni nate da carezze leggere, baci sulla
guancia,
impossibili balbettii di un computer impacciato, di un sistema
informatico
impregnato di emozioni.
Era diventato
più umano di lei.
Loro si erano scoperti perdutamente innamorati. No? Lui non le aveva
mostrato
come si potesse far l’amore semplicemente guardandosi negli
occhi?
I nostri sguardi si
cercano, si trovano, e allora siamo già l’uno
dentro
l’altra. Io ti sento, Wanda. Io sento solo te.
L’aveva salvata dai suoi demoni, dai suoi mostruosi incubi
che si erano
annidati dentro il suo addome e che avevano tentato di soffocarla nel
sonno e
nella veglia.
Un carillon, una collana, un disegno.
Mani intrecciate, abbracci lunghi intere notti. Le parole, i baci, le
innumerevoli volte che aveva riposato sul suo addome e gli aveva
mormorato
qualcosa all’orecchio. Una nuova città, una nuova
vita, una nuova occasione.
Aveva pianto, una sera, perché si era voltata a cercarlo
nella folla di
Edimburgo e non l’aveva trovato accanto a sé. Le
ossa dello sterno avevano
iniziato a tremare e lui era comparso a stringerle la mano chiusa a
pugno.
Aveva avuto paura - e
se fosse stato tutto un sogno? il delirio bruciante di
una povera folle strega? - di perdere una
felicità talmente profonda da essere
totalizzante.
Aveva nascosto il viso contro il suo cappotto nero e lo aveva pregato
di non
scomparire mai più.
Mai più, Vis,
mai più.
Lui l’aveva abbracciata, aveva respirato il suo odore, e le
aveva promesso che
la loro storia sarebbe stata diversa.
Nessun morto da piangere, nessun corpo da seppellire. Niente di brutto
da dover
sopportare, accasciandosi a terra con il volto deformato dai singhiozzi
e dal
cuore che si sta strappando, dal corpo che si sta spezzando. E la loro
sarebbe
stata una bellissima storia, una stupenda favola di speranza e di
miseria
distillata dalla felicità, di paura sconfitta dal coraggio.
Sarebbe stata
davvero una storia bellissima.
Loro avevano creduto in questo miracolo.
Perché non avrebbero dovuto farlo?
*******
“Wanda. Wanda, è
tempo-“
“No!”, rantolò, e si
posizionò dinanzi a lui.
Pronta a difenderlo, pronta a morire.
“Loro non possono fermarlo, Wanda. Ma noi possiamo.
Guardami!”
Vis le afferrò il braccio, si appese al suo polso e
cercò di reggersi sulle
ginocchia.
“Guardami!”, le ordinò, supplicandola.
Lei si voltò, le labbra aperte e i denti stretti dalla
rabbia e dalla paura
delle parole che lui avrebbe potuto rivolgerle. Parole che sicuramente
le
avrebbe detto, aggrappandosi a lei e alla sua anima disperata che aveva
già
iniziato a dibattersi fino a sporgersi fuori dal suo corpo. Se solo gli
dei non
fossero stati tanto indifferenti alle loro grida di ghiaccio, al loro
sangue,
alla loro cenere. Se
solo gli dei esistessero.
“Tu hai il potere di distruggere la gemma.”
Wanda si divincolò dalla sua stretta come se la stesse
torturando dall’interno,
tagliandole i polmoni a mani nude.
“Smettila.” Ti
prego, smettila, Vis, basta.
“Abbiamo ancora tempo, abbiamo...”
Solo un ultimo secondo,
solo un maledetto ultimo secondo.
“Il nostro tempo è finito, Wanda”.
Glielo disse alla stregua di una favola della buonanotte, la stessa
calma, la
stessa infinita dolcezza. Visione posò la guancia sulla sua
mano e lei capì che
era finita.
Lei capì che era perduta.
Allora cadde a terra e smarrì la ragione.
“No! No, no, no, no! L’avevi promesso, tu non puoi,
tu non puoi morire, no.
No!”
I lamenti muovevano in maniera frenetica il suo petto e i suoi palmi, i
suoi
respiri affannati. Vis le infilò le mani tra i suoi capelli
rossi e cercò il
suo sguardo.
“Lo so che non è giusto. Wanda, lo so che non
è giusto e che non dovresti farlo
tu, chiunque ma non tu, lo so. Ma dobbiamo salvare
l’universo, dobbiamo fermare
Thanos.”
Lei scosse la testa e la scosse ancora, nascondendosi sotto il suo
mento e
parlando sulla sua giugulare.
“Non me ne importa niente. Che muoia metà
universo, che muoia tutto l’universo,
purché tu sia vivo. Almeno tu, ti prego.”
Le labbra tremolarono e le fu impossibile riuscire a parlare senza
balbettare.
“Io so che la Wanda che amo non permetterà mai che
l’universo venga distrutto
per me. Non permetterà mai che venga distrutto da
noi.”
Ti prego, no. Ti prego,
ti prego.
“Non chiedermelo, non farlo.”
Lo abbracciò e si rese conto che il suo corpo non era mai
stato tanto reale,
tanto prezioso, tanto tangibile come in quel momento. Accoglieva il suo
dolore,
il suo egoismo, il suo più cieco terrore e tormento
sciorinato in una litania
di labbra posate su labbra. Con la bocca le baciò le guance
e le ciocche
rossicce.
“Sto già morendo, Wanda. Muoio dopo ogni secondo
che passa, muoio dopo ogni
respiro. Io non riesco più a resistere. Sono qui, a parlarti
e a supplicarti,
solo per te. Ma sto già morendo.”
Aveva cercato di farglielo comprendere, aveva tentato di rivelarglielo,
in ogni
modo possibile: il colpo della lancia era stato fatale, lui non sarebbe
sopravvissuto.
Sarebbe sopravvissuta solo lei, con nessuno al suo fianco, con nessuno
con cui
vivere una vita felice. Inspirò piano e la sua mente si
spaccò in milioni di
pezzi di vetro sporchi di sangue. Espirò veloce e una
decisione irremovibile si
radicò all’interno della sua coscienza. Wanda
sollevò il volto e tentò di
acciuffare, almeno un’ultima volta, la sua immagine celata
dietro una vetrata
di lacrime trattenute.
“Non posso”, esalò, spezzata.
“Sì. Tu puoi”, le rispose, e le
baciò le linee interrotte della mano.
Percepì il cuore scoppiarle nel petto e fu sul punto di
impazzire. Erano le stesse
parole che loro si erano rivolti la prima volta che avevano fatto
l’amore. Lui
aveva creduto di non essere in grado di amarla fisicamente e lei allora
gli
aveva consegnato se stessa. Si era spogliata, aveva gettato via gli
indumenti e
la sua vecchia pelle, il suo più antico dolore.
Aveva condotto le sue mani rosse sul proprio corpo nudo, mosaico di
cocci
incastrati male, sporgenti e sbeccati. Non aveva mai smesso di
ripeterglielo.
Tu puoi tu puoi tu puoi
tu puoi tu puoi.
Era tutto lì, in quel breve scambio di battute: il
sacrificio di entrambi, il
loro passato insieme e tutto quello che ne sarebbe stato del loro
futuro. Anche
i pochi attimi che avrebbero ancora strappato al destino. Il cerchio si
era
chiuso, il tempo si era consumato.
Morirò
guardando il tuo viso, morirò tra le tue braccia. Che sia
tu, soltanto
tu, l’ultimo volto impresso sulle mie pupille.
Wanda si alzò da terra e con le dita gli
accarezzò la bocca aperta che lui
continuava a premerle al centro del palmo della mano destra.
Osservò il loro aggrapparsi, i corpi che si cercavano e che
non riuscivano a
dirsi addio.
Sei l’unico
uomo che abbia mai amato, pensò. Il primo e
l’ultimo.
Si allontanò di pochi passi, le labbra di Vis che ancora le
sfioravano i
polpastrelli, e il braccio riprese a tremarle. Lui sentì le
onde agitate di
quel movimento, delle unghie che gli graffiavano il mento, e seppe cosa
altro
dirle, cosa altro lei temeva.
“Tu non mi farai del male, Wanda. Tu non potresti mai farmi
del male”, le
ricordò, e non abbassò lo sguardo.
Buttò giù la clessidra, gettò via i
giorni che avrebbe potuto vivere ancora.
Delle spirali rosse iniziarono a solleticarle le vene e la pelle. Il
suo cuore
inaridiva e la vita ripudiava, ormai lontana dal granulare scorrere del
tempo
che lei aveva deciso di calpestare.
Se non vivremo insieme,
moriremo insieme. Perché non si può strappare il
cuore
dal petto alla stessa persona, non più di una volta:
è crudele, è disumano.
Io ti amo troppo, te
l’ho mai detto?
Alzò il polso e Vis le lasciò la mano mentre lei
indietreggiava. Wanda mosse le
dita e non successe nulla. Mosse le labbra e non riuscì a
proferire neanche una
sillaba.
Inclinò il capo a sinistra e glielo chiese con gli occhi.
Dimmelo
un’ultima volta, un’ultima volta soltanto.
L’ultima volta, Vis.
E lui lo fece.
“Io sento solo te.”
Anche io, anche io. Non
soffrirai, amore mio. Il mio potere è il tuo, la mia anima
è la tua. Non ti lascerò mai solo, non aver
paura. Apri gli occhi, amore mio.
Amore. Non
vivrò senza di te neppure un giorno, non lo farò.
Abbracciando il tuo
corpo, contemplando il tuo viso, io andrò incontro alla
morte con il sorriso.
"Ti amo, Wanda."
Ti amo, Vis. Aspettami.
Angolo autrice.
Ciao a tutti! Sarò sincera, sono troppo emozionata e non riesco a dire molto. Segnalo soltanto che "Il pianeta Terra è blu e non c'è nulla che io possa fare" non è mia, ma dell'immenso e geniale David Bowie. Ricordate la canzone? Per il resto in questa storia sono presenti tantissimi riferimenti alla mia mini-long "A Survivor". La collana, il carillon, il disegno, le famose settantatré notti e tanto altro... sono il mio canon su loro due. Non è nei fumetti e neppure nei film. E' una mia completa invenzione.
E quindi... spero vi sia piaciuto il testo. Io lo amo e lo odio, come è giusto che sia.
A presto :)