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Autore: Cress Morlet    15/03/2019    22 recensioni
[Wanda/Visione]
Si sorriderà in eterno congelati in un volto di scheletro che grida oppure si scuciranno le labbra alla luce di un niveo Sole?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Visione, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I Just Feel You

Per Wanda e Vis. Amatevi.

                                                                                 I JUST FEEL YOU






Ma il mondo lo sa cosa si prova quando senti da lontano che qualcuno che ami sta morendo? Io sì. Lui aveva gli occhi aperti e la bocca sfregiata. Il petto squarciato e zuppo di sangue. Il mondo lo sa cosa si prova?


No, Wanda, non lo sa. Oppure ha deciso di dimenticarlo, nel tentativo di non impazzire, nella speranza di non implodere su se stesso.

E allora l’universo sa cosa significa svegliarsi ogni mattina e sperare di morire pochi secondi dopo? Svegliarsi e pregare di essere già morta, di essere già sepolta. Di essere insieme a lui.

No, non lo sa. Non l’ha mai nemmeno provato. Non sa neppure quale sia la verità sul sonno profondo e bianco, divoratore di fobie e di realtà, dispensatore di oblio e di disperazione. È soltanto morte apparente. Il cielo sopra di te rimarrà indifferente alle domande che gli fai e al dolore che gli mostri. Continuerà a scorrere nonostante tu sia ferma. Senti? Si muove e tu non cadi. Si apre e tu non ti spezzi. Il pianeta Terra è blu e non c'è niente che io possa fare, neanche stasera. Le rocce si sgretolano, il vento trasporta via i nostri rottami e il fuoco ci cancella mentre tu sei qui con me. Prova a sollevare il mento e a sbattere le palpebre. Scoprirai di riuscire ancora a respirare. Sei in apnea e il tuo corpo funziona, cigolando a rilento. In una nuvola di ghiaccio, in un’ovatta di momentanea falsa quiete, tu sentirai il tuo cuore scalciare e chiederti di più. Di più, di più, ancora di più. È stanco, vuole di più.
Perché chi è amato è salvo, ricordalo.
Ricordatelo, Wanda, è fondamentale.
Chi è amato è salvo.


Vorrei tanto che tu avessi ragione, Vis.

                                                                                               ********

Non aveva potuto dire addio a Pietro, no.
Non aveva potuto abbracciarlo, stringerlo tra le proprie braccia, respirare il suo odore. Non aveva potuto rimediare ai propri errori, chiedere scusa, mostrarsi pentita. Le erano rimaste soltanto delle suppliche urlate a terra, contro il duro pavimento, e singhiozzanti balbettii scesi giù dai denti e dalle labbra. Gocce di dolore che le avevano gonfiato le vene del collo e stretto il cranio tramite corde invisibili e spilli di acciaio. Aveva gridato e si era dimenata. Aveva sbattuto i pugni fino a scorticarsi la pelle, fino a bruciare, fino a diventare lei stessa l’essenza pura del male e dell’infelicità, del rimpianto e del tempo inesorabilmente consumato.
Dio, un’ultima volta, concedimi solo un’ultima volta di parlargli, un’ultima volta. Dio, ti prego, Dio, ascoltami.
Guardarlo negli occhi e dirgli quanto gli voleva bene, quanto lo amava, quanto lui fosse importante nella sua vita di ossa, macerie, ombre fuggevoli cucite alle dita dei piedi.
Ti scongiuro, Dio, ti sto scongiurando, ti prego, ti prego, un’ultima parola, un’ultimo maledetto secondo.
Le immagini del passato le avevano riempito la testa talmente tanto da farla affogare, da farla strozzare con la sua saliva e il suo pianto isterico.
Un ultimo secondo, ti prego, ti supplico. Per favore!
Ma non aveva potuto fare nulla, soltanto gridare e accasciarsi sulle proprie ginocchia.
Fatelo smettere, fatelo smettere, fatelo smettere, per favore!
Questo dolore è troppo forte, per favore! Basta, basta!
Avevano perso il senso le preghiere - vuote parole tese al vento, alle mani chiuse di divinità indifferenti - e il tempo si era arrotolato su se stesso. La vita era stata cacciata via dal corpo di Pietro e lui era scomparso, seguendo l’ineluttabile destino dei fragili mortali.
Suo fratello l’aveva lasciata sola a maledire il cielo e a sperare febbrilmente che il mondo finisse insieme ai suoi occhi spenti, che scomparisse nel nero e nel buio. Perché sarebbe stato meglio, perché avrebbe fatto meno male.
La morte aveva creato nel suo petto una sensazione di abbandono e di disperazione, di urla agghiaccianti nate dal baratro più profondo della sua anima difettata. Pietro era morto e lui non l’avrebbe mai più consolata, mai più abbracciata, mai più salvata.
Mai più.
Mai più, Wanda, mai più.

E lei allora aveva compreso di essere perduta. Smarrita nella paura di poter subire nuovamente un tale dolore e una tale perdita - ancora e ancora e ancora - lei si era chiusa in se stessa. Si era raggomitolata nelle viscere estreme del suo spirito spezzato e aveva vissuto anestetizzata alle emozioni del mondo che scrutava sospettosa, che scorgeva timorosa.
Fino a quando lui - nessun altro avrebbe potuto, nessun altro - non l’aveva guardata.
Fino a quando lui - c’è bisogno di un nome? lui, lui, lui non poteva essere altri se non lui - non l’aveva amata, e niente era più stato come prima.
Lui aveva cambiato la sua natura per lei - per lei, per lei, per chi altri lo avrebbe fatto se non per lei? - e le aveva insegnato in che modo schiudere l’anima alla felicità e in che modo sollevare le palpebre senza vedere forme di fantasmi all’interno della propria ombra. Le aveva dimostrato infinite cangianti verità, le aveva rivelato che le anime dei morti potevano diventare un peso nel petto oppure uno schiocco di dita sulla fronte. Che i morti potevano salvare oppure uccidere. Che potevano liberarla oppure imprigionarla sotto terra insieme alla loro carne decomposta. Si sorriderà in eterno congelati in un volto di scheletro che grida oppure si scuciranno le labbra alla luce di un niveo Sole?
Le sue parole erano state stupende, i suoi ragionamenti sensati e la logica dei suoi discorsi perfetta. Eppure non erano state in grado di far funzionare le costole rotte che lei aveva ricucito con la bava delle falene nere e viola. I mesi avevano iniziato a consumarsi tra giorni e ore trascorse nel bieco vuoto di lei che non muoveva mai un dito, che non faceva niente altro se non perdersi in oscuri propositi, seduta con le gambe penzoloni sul bordo del materasso. Le giornate erano sparite, si erano perse in nebulosi ricordi, e Wanda aveva continuato a sprofondare nel proprio letto, immobile a osservare i colori del cielo che non smettevano mai di cambiare. Le sue dita erano sempre tese fuori dalle lenzuola, quasi a cercare di afferrare gli opachi fumi di un fantasma incapace di consolarla e di salvarla da se stessa. La mano sinistra aperta e vuota, un palmo bianco riverso su una coperta arancione. In una notte qualsiasi i gesti avevano ingoiato le sillabe pronunciate dall’uscio di una porta socchiusa e delle dita rosse avevano stretto le sue e non avevano smesso di farlo neppure un istante, nonostante gli incubi, le urla e i pianti. Settantatré notti in cui quell’unico punto fermo le aveva impedito di impazzire. Lui aveva scelto di scendere nel baratro profondo in cui lei si era sigillata, in cui si era murata viva, e il tocco dei suoi palmi aveva reso sopportabile la solitudine a cui si era legata con dorate catene.
E dopo tanto e tanto tempo Wanda aveva capito e aveva accolto, nel proprio petto traballante, le parole che lui le aveva sussurrato ogni notte, le splendide favole che le aveva raccontato all’ombra del tintinnio di un carillon.
Pietro, tu esisti, tu esisti ancora. Non sei una catena attorcigliata alla mia caviglia, non sei un mattone pesante nella mia testa. Tu sei nel mio cuore.
Ma davvero lei aveva ancora un cuore? Davvero? Se lo domandava la mattina, quando la luce del cielo azzurro rendeva diverso e impalpabile il loro rapporto che durante la notte assumeva tutti i colori di uno spettro magico. Allora qualcosa si incrinava al centro del suo sterno quando passeggiava in sua compagnia, quando si incantava a guardarlo, quando scopriva i suoi timidi sguardi accompagnati da un imbarazzato tendersi delle labbra: un turbinio sottile e prepotente di sensazioni nate da carezze leggere, baci sulla guancia, impossibili balbettii di un computer impacciato, di un sistema informatico impregnato di emozioni. 
Era diventato più umano di lei.
Loro si erano scoperti perdutamente innamorati. No? Lui non le aveva mostrato come si potesse far l’amore semplicemente guardandosi negli occhi?
I nostri sguardi si cercano, si trovano, e allora siamo già l’uno dentro l’altra. Io ti sento, Wanda. Io sento solo te.
L’aveva salvata dai suoi demoni, dai suoi mostruosi incubi che si erano annidati dentro il suo addome e che avevano tentato di soffocarla nel sonno e nella veglia.
Un carillon, una collana, un disegno.
Mani intrecciate, abbracci lunghi intere notti. Le parole, i baci, le innumerevoli volte che aveva riposato sul suo addome e gli aveva mormorato qualcosa all’orecchio. Una nuova città, una nuova vita, una nuova occasione.
Aveva pianto, una sera, perché si era voltata a cercarlo nella folla di Edimburgo e non l’aveva trovato accanto a sé. Le ossa dello sterno avevano iniziato a tremare e lui era comparso a stringerle la mano chiusa a pugno. Aveva avuto paura - e se fosse stato tutto un sogno? il delirio bruciante di una povera folle strega? - di perdere una felicità talmente profonda da essere totalizzante.
Aveva nascosto il viso contro il suo cappotto nero e lo aveva pregato di non scomparire mai più.
Mai più, Vis, mai più.
Lui l’aveva abbracciata, aveva respirato il suo odore, e le aveva promesso che la loro storia sarebbe stata diversa.
Nessun morto da piangere, nessun corpo da seppellire. Niente di brutto da dover sopportare, accasciandosi a terra con il volto deformato dai singhiozzi e dal cuore che si sta strappando, dal corpo che si sta spezzando. E la loro sarebbe stata una bellissima storia, una stupenda favola di speranza e di miseria distillata dalla felicità, di paura sconfitta dal coraggio. Sarebbe stata davvero una storia bellissima.
Loro avevano creduto in questo miracolo.
Perché non avrebbero dovuto farlo?

                                                                                         *******

“Wanda. Wanda, è tempo-“
“No!”, rantolò, e si posizionò dinanzi a lui.
Pronta a difenderlo, pronta a morire.
“Loro non possono fermarlo, Wanda. Ma noi possiamo. Guardami!”
Vis le afferrò il braccio, si appese al suo polso e cercò di reggersi sulle ginocchia.
“Guardami!”, le ordinò, supplicandola.
Lei si voltò, le labbra aperte e i denti stretti dalla rabbia e dalla paura delle parole che lui avrebbe potuto rivolgerle. Parole che sicuramente le avrebbe detto, aggrappandosi a lei e alla sua anima disperata che aveva già iniziato a dibattersi fino a sporgersi fuori dal suo corpo. Se solo gli dei non fossero stati tanto indifferenti alle loro grida di ghiaccio, al loro sangue, alla loro cenere. Se solo gli dei esistessero.
“Tu hai il potere di distruggere la gemma.”
Wanda si divincolò dalla sua stretta come se la stesse torturando dall’interno, tagliandole i polmoni a mani nude.
“Smettila.” Ti prego, smettila, Vis, basta.
“Abbiamo ancora tempo, abbiamo...”
Solo un ultimo secondo, solo un maledetto ultimo secondo.
“Il nostro tempo è finito, Wanda”.
Glielo disse alla stregua di una favola della buonanotte, la stessa calma, la stessa infinita dolcezza. Visione posò la guancia sulla sua mano e lei capì che era finita.
Lei capì che era perduta.
Allora cadde a terra e smarrì la ragione.
“No! No, no, no, no! L’avevi promesso, tu non puoi, tu non puoi morire, no. No!”
I lamenti muovevano in maniera frenetica il suo petto e i suoi palmi, i suoi respiri affannati. Vis le infilò le mani tra i suoi capelli rossi e cercò il suo sguardo.
“Lo so che non è giusto. Wanda, lo so che non è giusto e che non dovresti farlo tu, chiunque ma non tu, lo so. Ma dobbiamo salvare l’universo, dobbiamo fermare Thanos.”
Lei scosse la testa e la scosse ancora, nascondendosi sotto il suo mento e parlando sulla sua giugulare.
“Non me ne importa niente. Che muoia metà universo, che muoia tutto l’universo, purché tu sia vivo. Almeno tu, ti prego.”
Le labbra tremolarono e le fu impossibile riuscire a parlare senza balbettare.
“Io so che la Wanda che amo non permetterà mai che l’universo venga distrutto per me. Non permetterà mai che venga distrutto da noi.”
Ti prego, no. Ti prego, ti prego.
“Non chiedermelo, non farlo.”
Lo abbracciò e si rese conto che il suo corpo non era mai stato tanto reale, tanto prezioso, tanto tangibile come in quel momento. Accoglieva il suo dolore, il suo egoismo, il suo più cieco terrore e tormento sciorinato in una litania di labbra posate su labbra. Con la bocca le baciò le guance e le ciocche rossicce.
“Sto già morendo, Wanda. Muoio dopo ogni secondo che passa, muoio dopo ogni respiro. Io non riesco più a resistere. Sono qui, a parlarti e a supplicarti, solo per te. Ma sto già morendo.”
Aveva cercato di farglielo comprendere, aveva tentato di rivelarglielo, in ogni modo possibile: il colpo della lancia era stato fatale, lui non sarebbe sopravvissuto.
Sarebbe sopravvissuta solo lei, con nessuno al suo fianco, con nessuno con cui vivere una vita felice. Inspirò piano e la sua mente si spaccò in milioni di pezzi di vetro sporchi di sangue. Espirò veloce e una decisione irremovibile si radicò all’interno della sua coscienza. Wanda sollevò il volto e tentò di acciuffare, almeno un’ultima volta, la sua immagine celata dietro una vetrata di lacrime trattenute.
“Non posso”, esalò, spezzata.
“Sì. Tu puoi”, le rispose, e le baciò le linee interrotte della mano.
Percepì il cuore scoppiarle nel petto e fu sul punto di impazzire. Erano le stesse parole che loro si erano rivolti la prima volta che avevano fatto l’amore. Lui aveva creduto di non essere in grado di amarla fisicamente e lei allora gli aveva consegnato se stessa. Si era spogliata, aveva gettato via gli indumenti e la sua vecchia pelle, il suo più antico dolore.
Aveva condotto le sue mani rosse sul proprio corpo nudo, mosaico di cocci incastrati male, sporgenti e sbeccati. Non aveva mai smesso di ripeterglielo.
Tu puoi tu puoi tu puoi tu puoi tu puoi.
Era tutto lì, in quel breve scambio di battute: il sacrificio di entrambi, il loro passato insieme e tutto quello che ne sarebbe stato del loro futuro. Anche i pochi attimi che avrebbero ancora strappato al destino. Il cerchio si era chiuso, il tempo si era consumato.
Morirò guardando il tuo viso, morirò tra le tue braccia. Che sia tu, soltanto tu, l’ultimo volto impresso sulle mie pupille.
Wanda si alzò da terra e con le dita gli accarezzò la bocca aperta che lui continuava a premerle al centro del palmo della mano destra.
Osservò il loro aggrapparsi, i corpi che si cercavano e che non riuscivano a dirsi addio.
Sei l’unico uomo che abbia mai amato, pensò. Il primo e l’ultimo.
Si allontanò di pochi passi, le labbra di Vis che ancora le sfioravano i polpastrelli, e il braccio riprese a tremarle. Lui sentì le onde agitate di quel movimento, delle unghie che gli graffiavano il mento, e seppe cosa altro dirle, cosa altro lei temeva.
“Tu non mi farai del male, Wanda. Tu non potresti mai farmi del male”, le ricordò, e non abbassò lo sguardo.
Buttò giù la clessidra, gettò via i giorni che avrebbe potuto vivere ancora. Delle spirali rosse iniziarono a solleticarle le vene e la pelle. Il suo cuore inaridiva e la vita ripudiava, ormai lontana dal granulare scorrere del tempo che lei aveva deciso di calpestare.
Se non vivremo insieme, moriremo insieme. Perché non si può strappare il cuore dal petto alla stessa persona, non più di una volta: è crudele, è disumano.
Io ti amo troppo, te l’ho mai detto?
Alzò il polso e Vis le lasciò la mano mentre lei indietreggiava. Wanda mosse le dita e non successe nulla. Mosse le labbra e non riuscì a proferire neanche una sillaba.
Inclinò il capo a sinistra e glielo chiese con gli occhi.
Dimmelo un’ultima volta, un’ultima volta soltanto. L’ultima volta, Vis.
E lui lo fece.
“Io sento solo te.”


Anche io, anche io. Non soffrirai, amore mio. Il mio potere è il tuo, la mia anima è la tua. Non ti lascerò mai solo, non aver paura. Apri gli occhi, amore mio.
Amore. Non vivrò senza di te neppure un giorno, non lo farò. Abbracciando il tuo corpo, contemplando il tuo viso, io andrò incontro alla morte con il sorriso.



"Ti amo, Wanda."
Ti amo, Vis. Aspettami.






Angolo autrice.

Ciao a tutti! Sarò sincera, sono troppo emozionata e non riesco a dire molto. Segnalo soltanto che "Il pianeta Terra è blu e non c'è nulla che io possa fare" non è mia, ma dell'immenso e geniale David Bowie. Ricordate la canzone? Per il resto in questa storia sono presenti tantissimi riferimenti alla mia mini-long "A Survivor". La collana, il carillon, il disegno, le famose settantatré notti e tanto altro... sono il mio canon su loro due. Non è nei fumetti e neppure nei film. E' una mia completa invenzione.
E quindi... spero vi sia piaciuto il testo. Io lo amo e lo odio, come è giusto che sia.
A presto :)
   
 
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