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Autore: Sylphs    28/03/2019    4 recensioni
Inghilterra, primi anni del Novecento.
Irene Lancaster e suo padre George, reduci dalla perdita della signora Lancaster, decidono di trasferirsi ad Heather Ville, uno sperduto cottage di campagna, e di rimanervi durante il periodo del lutto, isolati dal mondo e speranzosi di trovare sollievo nella natura incontaminata. Irene, però, si rende presto conto che la residenza non è affatto disabitata come si credeva, ma che anzi tra i corridoi e le stanze si aggira una presenza misteriosa che in poco tempo si mette in contatto con lei... chi è il sardonico e inquietante R? Un fantasma o un essere umano? Spinta dalla sua ingenuità e dalla sua insoddisfazione, la ragazza si lascia trascinare in un legame oscuro che la fa precipitare in un baratro di follia da cui è sempre più difficile sfuggire.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~PROLOGO

 


Non c’era altra luce che quella debole e aranciata delle candele, sparse come occhi invadenti per tutto il vasto salone da ballo. Un refolo della gelida, impietosa aria notturna filtrava dalla lunga e stretta finestra socchiusa, increspando le tende, facendo ondeggiare le fiammelle in una danza ipnotica e solleticando la schiena nuda di Irene, come se dita di ghiaccio le zampettassero sulla spina dorsale. In qualsiasi altra circostanza, sarebbe rabbrividita, ma tra le braccia forti e bollenti del suo cavaliere il freddo non era capace di nuocerle e non incrinò il suo sorriso sognante.
Lui la strinse di più, guidandola in una piroetta che gonfiò la gonna del suo abito come la vela di una barca, e sussurrò parole che colarono languide sulla sua pelle.
“Hai ancora paura?”
La domanda era gentile, ma la ragazza captò in essa un’urgenza, un timore, che le sciolse il cuore in una cascata di commozione e sollecitudine.
“No” lo rassicurò, convinta. “Di cosa dovrei avere paura?”
Un sorriso sbocciò anche sulle labbra del suo cavaliere, rendendo il suo volto più bello e più luminoso che mai. Le mancò il fiato, e con foga si disse che una bellezza simile, nei suoi diciotto anni di vita, non l’aveva contemplata mai, e che avrebbe potuto squagliarle le retine per quant’era abbagliante. Ogni più piccolo tratto del viso del suo amato era perfettamente cesellato, come se fosse stato scolpito dagli angeli del paradiso, i folti capelli neri come penne di corvo che si stagliavano netti sul candore scandinavo della carnagione e sull’azzurro penetrante, rapace delle iridi fisse su di lei. C’era un desiderio famelico, disperato in quello sguardo, il desiderio di un moribondo al cospetto di una sorgente d’acqua, che l’atterriva e l’eccitava insieme, e il tocco delle mani affusolate che le cingevano i fianchi imbrigliava una sotterranea corrente di fuoco dietro una delicatezza esemplare, carica di riguardo.
Era possessivo, ma dolce, vorace, ma dubbioso, come se si aspettasse in qualsiasi momento che lei potesse svanire, o respingerlo.
Solo un pazzo, però, sarebbe fuggito da un luogo così traboccante di meraviglie, dall’abbraccio avvolgente di un uomo impastato nell’avvenenza e nella luce.
Tutto, intorno a Irene, splendeva di un’opulenza dorata e sontuosa, il pavimento di marmo su cui lei e il suo cavaliere danzavano, stretti l’uno all’altra, i complicati affreschi sulle pareti che raffiguravano fiori di ogni forma, colore e dimensione, aggrovigliati in un intreccio variopinto e alternati ad una selva di foglie verde smeraldo e rovi serpeggianti, il soffitto che si inclinava in un’elegante cupola lignea, i tendaggi di broccato ocra che cascavano in pieghe abbondanti. La musica si diffondeva in un crescendo di note fiammeggianti e non riusciva a capire da dove provenisse, ma le scorreva impetuosa nelle vene, riempiendola di un fervore che le faceva girare la testa e annodare le viscere.
La voce morbida del suo cavaliere si infilò in quello scenario di perfezione: “Potresti considerare di rimanere qui con me… per sempre?”
Quelle ultime due parole, “per sempre”, arrivarono insieme ad un altro spiffero e Irene si sentì assalire da una lievissima titubanza, da un senso di avviso appena accennato, ma quell’emozione sgradevole sfumò all’istante quando il suo cavaliere la sollevò da terra senza alcuna fatica e la fece volteggiare. I suoi lunghi capelli biondi si librarono come onde su una baia increspata e la scivolosa, attillata seta bianca del vestito fluttuò. Era felice di indossare nuovamente il bianco, di sentirsi spregiudicata e sensuale, di avere la sensazione calda e avvolgente di essere al posto giusto e nel momento giusto.
“Io… non saprei” emise una risatina briosa, per espellere le ultime stille di disagio che ancora la pungolavano. “Forse”.
Gli occhi azzurri che affondavano nei suoi brillarono alla luce delle candele come gemme sepolte sul fondo dell’oceano: “Qui non conosceresti né infelicità, né noia, né frustrazione. Qui non ti mancherebbe mai nulla, e dietro ogni porta troveresti un’avventura. Non è ciò che desideri?”
Sì, era ciò che desiderava, e, cosa ancor più importante, desiderava lui.
Incantata, alzò una mano e la posò sulla pelle candida, liscia e vellutata del suo cavaliere. Lui si irrigidì, fremette di una fitta insopprimibile di riluttanza e timore, ma le permise di toccarlo e Irene gli accarezzò la guancia, non trovandola affatto dissimile, per consistenza, dal tessuto del suo abito.
“Sei talmente bello…” mormorò con struggimento.
Le sembrò che un lampo di amarezza incupisse gli splendidi lineamenti: “Mia madre… diceva la stessa cosa”.
“E questo ti intristisce tanto?” lo provocò Irene con sottile ironia.
“Allora quelle lusinghe non fecero la differenza” il tono del suo cavaliere era sordo, le sillabe come gocce di piombo. “Ma stanotte… stanotte tu potresti salvarmi”.
“Come?”
Bruscamente, lui smise di ballare e la sospinse con gentilezza contro una delle pareti riccamente dipinte. Irene percepì il freddo della vernice contro le vertebre esposte e si stupì che al tatto risultasse tanto ruvida, frastagliata e pungente. A vederla era liscia e oleosa, come se fosse stata appena versata, i quattro iris color neve su cui stava adagiata scintillanti e vivaci, ma la sua pelle si lamentò per un fastidio e un pizzicore crescenti.
Quelle impressioni si dileguarono dalla sua mente non appena il suo cavaliere si chinò, portando la faccia vicinissima alla sua: “Mi ami, Irene?” di nuovo quell’urgenza da animale, quel bisogno feroce e supplichevole. “Dì soltanto che mi ami, e tutto questo sarà nostro. Tutta la solitudine, tutto il… marcio resteranno alle nostre spalle”.
La ragazza tremò per la brama che aveva di lui, della sua bocca, del suo fiato, della ricchezza fiabesca del suo palazzo gotico che le prometteva di rifugiarsi in un mondo di fantasia e scacciare una volta per tutte la realtà grigia, squallida, avvilente, come aveva fatto Peter Pan con la sua Isola Che Non C’è. Tra quelle mura non si sarebbe sentita alienata, tra quelle mura la magia sarebbe esistita per loro e li avrebbe protetti, e le bastava pronunciare due parole perché questo avvenisse, mettere in tavola una verità che tanto era già presente.
Schiuse le labbra e scorse la speranza palpitare negli occhi azzurri del suo cavaliere, spalancati su di lei e avidi quanto lei di trasformare il sogno in realtà, la sentì nelle mani forti che stringevano le sue.
“Sì, Irene!” c’era una nota di rauca esultanza nella sua voce che la fece trasalire appena. “Dillo! Tu puoi… puoi andare oltre le apparenze…”
Ricordi oscuri, viscosi, premevano contro un muro spesso come pietra che impediva loro di emergere, e d’altro canto, Irene non voleva che emergessero. Voleva restare nel salone da ballo luminescente, tra le braccia del bellissimo cavaliere, sotto il suo sguardo affamato che la spingeva a sentirsi donna. Erano ad un passo dal lieto fine, come in tutte le favole che si rispettino, e stava a lei. Doveva ignorare il soffio gelato che si insinuava dalla finestra semiaperta e le portava alle narici un sentore di putredine e decomposizione, bandire le sollecitazioni esterne, concentrarsi sul tocco dell’uomo, sulla passione che le bruciava nel basso ventre, sulla necessità di essere sua.
Thomas… Stephan… papà…
Presenze spettrali che si dibattevano oltre il muro mentale dietro il quale le aveva rinchiuse, che non erano abbastanza pregnanti da soverchiare il fascino irreale del suo cavaliere. Tornò a sorridere, con un sospiro lieve, e passò le dita tra i suoi capelli neri e soffici, indugiò sulla sua fresca nuca.
“Io…” bisbigliò. “Io ti…”
Corrugò la fronte.
C’era forse qualcuno che la invocava, la cui voce sgraziata irrompeva nella sala trasportata dal vento?
Fece per volgersi verso l’imposta, ma il suo cavaliere la trattenne e la costrinse a guardarlo di nuovo, a scontrarsi con l’immagine vibrante della sua perfezione.
“Dillo!” la implorava, la comandava, mentre fiamme si sprigionavano dal suo sguardo di moribondo che intravede uno scampo all’orizzonte. “Irene, dillo… ti prego!”
Il modo che aveva di pronunciare il suo nome, cullandolo, come se fosse il più sublime dei suoni, una fonte di delizie e di calore, l’avvinse, ma c’era qualcun altro che gridava la stessa parola, e con non minore intensità.
“Irene! Non farlo! Non farlo!”

Angolo autrice: c’era una volta una ragazzina di quindici anni che, durante un breve viaggio a Londra, assistette ad una rappresentazione de “Il Fantasma dell’Opera” di Andrew Lloyd Webber e se ne innamorò perdutamente. Ordinò immediatamente il romanzo da cui il musical era stato tratto e divorò anche quello in poche ore, pur considerando davvero valide solo alcune parti (e quasi tutte con Erik come protagonista). Decise, in preda all’incantamento, di scribacchiare una storia che si ispirasse a quella di Leroux e partorì il primo “Follia d’amore e d’oscurità”, che avrebbe postato su efp alcuni anni più tardi. Dieci anni dopo quel viaggio a Londra e quell’esperimento di scrittura, la ragazzina, diventata una vecchia venticinquenne, si è messa in testa di realizzare una versione 2.0, cercando di correggere i palesi difetti e le gigantesche ingenuità che impregnavano la stesura originaria, di ampliare le parti che erano state accennate e poi abbandonate a se stesse, di fornire una struttura, alla trama, che sia più solida, più realistica, più accurata… più matura. Non sa se ne sarà in grado, ma ha voluto mettersi alla prova. Per chi già conosce “Follia d’amore e d’oscurità”, dunque, vi troverete davanti una versione che riprende quella precedente ma, fondamentalmente, la ritocca e soprattutto la espande, e che spero tanto vorrete leggere per darmi il vostro parere come faceste in passato. Per chi invece si approccia a qualcosa di sconosciuto, benvenuti!
Come già detto, mi ispiro a “Il Fantasma dell’Opera”, alla favola de “La Bella e la Bestia” e anche al “Ritratto di Dorian Gray”. I capitoli dovrebbero arrivare a cadenza settimanale salvo imprevisti. Lascerò su efp la prima stesura perché sono troppo, troppo affezionata alle recensioni che ho ricevuto, e perché anche se era poco più che il delirio di una fungirl esaltata con ben poca voglia di soffermarsi sul dettaglio e semplicemente la necessità impellente di raccontare una passione assai poco convenzionale, non rinnego niente di quello che ero e anzi trovo giusto mostrarmi nei miei cambiamenti. Spero tanto che qualcuno passerà di qui a lasciarmi un parere, o anche una critica spietatissima.
Au revoir,
Sylphs

  
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