Il sindaco Reginald Mills sedeva alla
sua scrivania nell'ufficio del municipio, esaminando alcune carte con
aria annoiata. Non aveva mai sopportato la burocrazia: probabilmente
le scartoffie rappresentavano l'unico svantaggio della sua carica di
uomo più potente della città, oltre naturalmente al fatto di
doversi occupare dei tediosi problemi degli abitanti di Storybrooke
che venivano da lui a lamentarsi per ogni inezia, pretendendo una
soluzione, come se Reginald avesse il tempo di risolvere le loro
piccole beghe.
E così, tra un sortilegio e l'altro,
tra un nemico da sconfiggere e un reame da salvare, il sindaco si
barcamenava tra le incombenze (e le molte scocciature) dell'ordinaria
amministrazione che il suo ruolo comportava.
Oneri e onori. Non era forse così che
si diceva?
Reginald impugnò la stilografica ed
appose un'ultima elegante firma svolazzante sul modulo che aveva
davanti per poi archiviarlo con un sospiro di sollievo che si tramutò
in un gemito quando l'uomo si rese conto di essere solo a metà di
quel noiosissimo compito, perché una pila di schede alta quanto una
delle torri del suo castello nella Foresta Incantata sembrava
scrutarlo minacciosamente dall'altro lato della scrivania,
aspettandolo al varco. Non aveva idea di quanto tempo gli ci sarebbe
voluto per passare al vaglio tutte quelle maledette carte, ma di
certo non sarebbe mai riuscito a terminare il lavoro in tempo per
l'ora di pranzo, il che era una gran seccatura perché aveva promesso
ad Emmanuel che si sarebbero visti da lui per mangiare qualcosa
insieme e poi, magari... fare dell'altro.
Ultimamente era davvero un'impresa
trovare un momento per incontrarsi in tutta tranquillità: quando non
erano entrambi impegnati a spezzare sortilegi e a combattere il
cattivo di turno, il Salvatore si dedicava al suo lavoro di sceriffo
insieme al padre David, mentre Reginald sbrigava le sue mansioni di
sindaco, senza contare il fatto che la loro relazione non si poteva
definire esattamente di dominio pubblico e tale sarebbe dovuta
rimanere. Dio solo sapeva che scandalo sarebbe scoppiato a
Storybrooke se il loro amore fosse venuto alla luce! A Reginald
venivano i brividi al solo pensiero, anche se, sotto sotto e in
alcuni rari momenti di follia, l'idea di rivelare tutto lo stuzzicava
non poco anche solo per il gusto di assistere alle reazioni
eterogenee dei suoi concittadini. Probabilmente per i più intuitivi
e sensibili non sarebbe stata una gran sorpresa, tuttavia, per la
maggior parte della città, si sarebbe trattato del pettegolezzo del
secolo!
Le labbra sottili e scolpite di
Reginald si distesero in un sogghigno diabolico mentre cercava di
figurarsi la delusione sgomenta delle molte ragazze che sbavavano
dietro allo sceriffo e cercavano di attirare la sua attenzione,
fallendo miseramente ad ogni tentativo.
Ma Emmanuel si era sempre opposto
all'ipotesi di rendere pubblica la loro storia, di fare “coming
out”, come si usava dire, inoltre l'eccitazione derivante dalla
segretezza aggiungeva quel tocco di pepe e adrenalina che non
dispiaceva per niente a nessuno dei due.
Non che il loro rapporto mancasse di
pepe, in realtà, ma il fatto di non uscire allo scoperto rendeva la
faccenda particolarmente elettrizzante e i loro fugaci incontri
ancora più passionali e intensi proprio in virtù della rarità con
cui avvenivano.
Reginald lanciò un'occhiata torva al
plico di fogli che gli avrebbe rovinato l'appuntamento in pausa
pranzo con Emmanuel; a malincuore, fece per prendere il cellulare e
avvisarlo che avrebbero dovuto rimandare quando un'inconfondibile
sagoma massiccia comparve dietro il vetro smerigliato della porta e
il Salvatore in persona entrò nel suo ufficio con un sorriso svagato
e la stessa disinvoltura che avrebbe usato nel varcare la porta di
casa propria.
Reginald ripose il telefono e,
ignorando il tuffo al cuore che la vista di Emmanuel gli aveva
provocato, si lasciò andare contro lo schienale della sedia
incrociando le braccia al petto e accavallando le gambe, scrutando
seriamente l'uomo di fronte a sé. - Non si usa più bussare, Signor
Swan? E che ne è dell'incantesimo di respingimento che avevo
lanciato sulla porta? -
- Oh, quello! - fece lo sceriffo
agitando una mano come per scacciare una mosca molesta. - Forse
avrebbe potuto tenere fuori qualche nano fischiettante o i miei cari
genitori, ma non poteva certo funzionare con me. Aggirarlo è stato
un gioco da ragazzi, o forse... volevi che riuscissi ad entrare?
Perché, scusa se te lo dico Reginald, ma non mi sembra che tu ti sia
impegnato particolarmente nello scagliare quell'incantesimo da
quattro soldi. -
Reginald sostenne lo sguardo insinuante
di Emmanuel senza che il suo piglio fintamente infastidito vacillasse
sotto l'influsso di quell'adorabile sorrisetto beffardo e pieno di
promesse.
Era un gioco che facevano spesso:
Emmanuel punzecchiava Reginald e lui si fingeva irritato mettendo su
un atteggiamento distaccato e formale.
Il sindaco approfittò di quell'attimo
di silenzio per ammirare lo sceriffo con tutta calma perché,
nonostante conoscesse alla perfezione la sua fisionomia e ogni
singolo tratto del suo corpo, quell'attività era sempre fonte di
estremo piacere: Emmanuel Swan era un uomo prossimo ai trent'anni,
alto e prestante con due spalle notevoli ma sempre pronte ad
accogliere dolcemente il profilo del suo volto quando vi si
appoggiava a mo' di cuscino, aveva gli occhi verde chiaro come sua
madre e i capelli spettinati color dell'oro che gli incorniciavano il
bel viso dal mento un po' squadrato ricoperto da un'ispida barbetta
bionda che gli faceva il solletico ogni volta che le loro bocche
s'incontravano.
Indossava una giacca di pelle bordeaux,
dei jeans neri, particolarmente attillati per la gioia del sindaco, e
un paio di anfibi stringati ormai logori che avevano visto tempi
migliori ma che Emmanuel si rifiutava categoricamente di sostituire.
La stella di metallo a sei punte, il distintivo che lo identificava
come sceriffo di Storybrooke, brillava dalla cintura come ammiccando
sfacciatamente verso Reginald per attirare la sua attenzione proprio
su quella zona.
- Come mai sei qui? Perché immagino ci
sia una ragione ben precisa per questa tua irruzione nel mio ufficio.
-
Emmanuel si finse offeso. - Ma che
accoglienza calorosa! E io che avevo solo voglia di vederti.
Bell'ingrato che sei, Regg. -
Regg. Il sindaco detestava quel
diminutivo e sapeva perfettamente che lo sceriffo vi faceva
deliberatamente ricorso quando voleva prenderlo in giro o provocarlo.
- Non è ingratitudine, Emmanuel. È
che ti conosco e so sempre quando hai in mente qualcosa. -
Lentamente, Reginald si alzò dalla
poltrona da ufficio di pelle nera che avrebbe potuto rivaleggiare con
quella del Presidente nella Stanza Ovale a Washington, fece mezzo
giro della scrivania e si mise mezzo seduto, una gamba poggiata a
terra e l'altra lasciata a penzolare nel vuoto, le mani bianche e
curate in grembo una sull'altra.
Emmanuel si passò rapidamente la
lingua sulle labbra, godendosi la visione del suo innamorato:
Reginald aveva la pelle chiarissima, quasi diafana, che contrastava
meravigliosamente con i suoi occhi bruni e con i capelli corvini. Era
più basso e più esile di Emmanuel ma la sua corporatura longilinea
e proporzionata gli conferiva una classe innata e disinvolta che il
Salvatore, nonostante le sue origini regali, non possedeva e che
veniva esaltata dal fatto che il sindaco vestisse sempre con completi
giacca e cravatta di alta sartoria. Quella mattina, aveva optato per
una suit antracite con la giacca abbottonata per metà, camicia
bianca immacolata e una cravatta nera e sottile che, Emmanuel notò
con piacere, era stata allentata e lasciava intravedere parte del
collo di Reginald, mettendone in evidenza la sporgenza del pomo
d'Adamo.
- In realtà, - riprese lo sceriffo,
senza smettere di mangiarsi il sindaco con occhi avidi, - stavo
andando in centrale e quando sono passato davanti al municipio ho
avuto come una sensazione, uno strano presagio. -
Reginald sollevò un sopracciglio. - Un
presagio, eh? Di che genere, sentiamo. -
- Del genere che stavi per darmi buca e
annullare il nostro appuntamento di oggi. -
- Ma davvero? - Reginald rimase
impassibile; era sempre stato bravo a dissimulare i propri sentimenti
nonostante Emmanuel riuscisse a leggergli dentro con sorprendente
chiarezza come se, per lui solo, la sua anima fosse un libro aperto.
- Oh sì, mio caro. E allora ho pensato
di anticiparti e venire a trovarti quassù di persona per accertarmi
che non stessi per tirarmi un bidone. -
Reginald si strinse nelle spalle. - E
se anche fosse? Che cosa avresti intenzione di fare? Arrestarmi? -
Gli occhi di Emmanuel scintillarono di
malizia. - Per quanto l'idea di metterti delle manette ai polsi non
mi dispiaccia per niente, avevo pensato a qualcosa di più discreto
che far finire dietro le sbarre nientemeno che il sindaco della
città. -
- Discreto? - ripeté Reginald,
cercando di dominare l'eccitazione nella propria voce. Conosceva bene
lo sguardo che Emmanuel gli stava rivolgendo in quel momento e aveva
l'impressione che di lì a poco sarebbe avvenuto qualcosa di
decisamente piacevole... anche se, forse, non proprio conveniente.
Lo sceriffo annuì e fece schioccare le
dita; la porta d'ingresso dell'ufficio si chiuse di scatto e venne
sigillata dalla magia.
- Ecco, così nessuno potrà venire a
disturbarci. -
Con un movimento fulmineo, lo sceriffo
raggiunse il sindaco, ancora seduto sulla scrivania, e premette le
sue labbra su quelle di lui. Reginald gemette, circondò il biondo
con le gambe e le sue mani s'insinuarono con urgenza sotto la giacca
e la maglietta di Emmanuel, posandosi sugli addominali caldi e
scolpiti del giovane.
Nel frattempo, lo sceriffo gli aveva
tolto la cravatta e sbottonato la camicia fino all'altezza dello
sterno, senza curarsi troppo del fatto che un paio di bottoni fossero
saltati via dalle cuciture. Il petto nudo di Reginald si alzava e
abbassava in sincro con il ritmo del suo respiro ansimante.
Le sue mani si spostarono sulla schiena
di Emmanuel, dopodiché scivolarono sotto i jeans e le sue dita
afferrarono le natiche dello sceriffo spingendo il suo corpo ancora
di più contro il proprio.
- È una delle cose che mi sono sempre
piaciute di te. - sussurrò lo sceriffo all'orecchio del sindaco
facendogli il solletico con la barba, - Non perdi tempo e punti
dritto a quello che vuoi. -
- Sì, - replicò Reginald con voce
lasciva, - E in genere ottengo sempre ciò che voglio. -
- E, dimmi, Maestà... che cosa vuoi
adesso? -
Per tutta risposta, il sindaco affondò
le unghie nei glutei di Emmanuel che gli scoccò uno sguardo ardente
e distese le labbra in un sogghigno ironico. - La mia spada è al
vostro servizio, mio re. -
Circa venti minuti più tardi,
l'ufficio del sindaco era irriconoscibile.
Pareva che il tornado che aveva portato
Dorothy a Oz si fosse abbattuto sull'intera stanza: il pavimento di
marmo era ricoperto di fogli e articoli di cancelleria, la poltrona
presidenziale era rovesciata a terra, i quadri e le stampe alle
pareti erano tutti storti e la scrivania aveva diverse ammaccature in
più punti.
Emmanuel e Reginald erano sdraiati a
terra abbracciati e completamente nudi, avvolti in una tenda
damascata che era stata accidentalmente strappata dalla finestra. I
loro vestiti giacevano in un angolo, dimenticati dai loro proprietari
troppo occupati l'uno dall'altro nell'impresa comune di demolire
l'ufficio.
- Sai, signor Swan... se questo è il
risultato, forse dovrei pensare di darti buca più spesso. -