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Autore: _Lightning_    06/05/2019    7 recensioni
A volte, quando scende in cucina nel cuore della notte per bere un bicchier d’acqua, il reattore sembra rilucere nella penombra e occhieggiare dalla mensola. Non dura mai più di un istante, e osserva a lungo il congegno metallico in cerca dell’azzurro, senza mai trovarlo.
[Post-Endgame // What if? // Missing Moments // PoV Pepper]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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Fermarsi

 
 
 
 
I
 
 
 
“You were my one, you were my one
When all has been said, all has been done
You were my one, you were my one
Now I am left reaching above me”


 
 
Pepper si è sorpresa di se stessa, quando ha deciso di tenerlo.

L’aveva osservato ondeggiare sulla corona di fiori che solcava le onde placide del lago, mandando sporadici luccichii metallici sotto il sole splendente che scaldava i loro vestiti scuri. Sarebbe affondato entro fine giornata, inghiottito dall’acqua verdastra. Aveva detto sottovoce a Rhodey che, dopo la cerimonia, avrebbe voluto recuperarlo. Lui aveva annuito senza chiedere nulla, cingendole le spalle in un gesto che offriva e cercava conforto.

Qualche ora dopo, dopo aver affidato Morgan a Happy ed essere rimasta sola sul piccolo molo ad osservare quella barchetta floreale, aveva visto il reattore sollevarsi, lambito da scie rossastre, e fluttuare dolcemente sull’acqua fino a posarsi tra le sue mani. Aveva incrociato gli occhi ancora scarlatti di Wanda, rivolgendole un piccolo sorriso di ringraziamento incrinato dal suo stesso dolore. Poi era tornata a fissare quel cilindro metallico, che ricordava molto più pesante, come se si fosse dimezzato.

Anche adesso, con Morgan addormentata sulle sue gambe e la testa ancora vuota, continua a stringerlo, ormai inerte. Ne ricorda il lieve calore, quando era ancora incastonato nel petto di Tony, ricorda la sua luce tenue che gli illuminava il sorriso tra le lenzuola, e ricorda il modo in cui ci picchiettava sopra le dita quando era assorto nei suoi pensieri. Ricorda l’ultimo sfarfallio d’azzurro che lo ha illuminato prima di spegnersi davanti ai suoi occhi e sotto il suo tocco, lasciandolo infine riposare, dopo aver messo per l’ultima volta il mondo al di sopra di chi amava e chi amava al di sopra di se stesso. Dovrebbe odiare quel congegno e tutto ciò che rappresenta.

Lascia scorrere le lacrime che non sono arrivate fino ad ora, nel silenzio buio di una casa vuota per metà, ma non riesce ad essere arrabbiata con Tony. Non ci riesce perché il motivo per cui l’ha perso è esattamente quello che l’ha spinta a rimanergli accanto per quasi vent’anni, e non avrebbe saputo amarlo e perderlo in nessun altro modo se non così. Se non facendo la cosa giusta.

Stringe il reattore con forza, soffocando i singhiozzi per non svegliare Morgan, e il metallo rimane freddo tra le sue mani.
 

 
 
II
 
 
 
“I’ve been afraid
Don't wanna fade out of my body
I’ve been astray

Barely awake, floating above me”
 
 

Il primo mese sembra scorrere via come un orologio mal tarato, con giornate a volte eterne, a volte fulminee.

Morgan le illumina il mattino col primo sorriso e le assicura una buonanotte con l’ultimo, e le impedisce di pensare troppo trascinandola in esplorazioni in riva al lago e missioni segrete in soffitta. Happy e Rhodey passano spesso a fare visita e le accompagnano volentieri a fare compere e commissioni nella città vicina, e Peter si ferma da loro ogni finesettimana, e una volta è Morgan a trascorrerlo dai Parker a New York. May la invita sempre, ma si trova a voler rifiutare, anche se parlano a lungo e spesso al telefono quando i ragazzi già dormono.

Quando è sola riguarda l’ultimo messaggio di Tony più volte, molte più di quante dovrebbe, ma sempre senza audio. Fissa il suo volto, solcato da un accenno di quel solito sorriso un po’ sghembo e sicuro di sé, e immagina di udire altre parole, a costruire semplici e banali chiacchiere quotidiane che teme di dimenticare. Una sola volta usa l’armatura di Rescue, ma è costretta ad atterrare dopo pochi minuti di volo, scossa dal pianto. Le sembra che Tony viva anche lì dentro, in ogni placca e giuntura progettata e saldata da lui stesso per lei, per proteggerla, ed è come ricevere una versione robotica del suo abbraccio che amplifica soltanto il vuoto.

Pepper lo percepisce espandersi giorno dopo giorno. Prima era un foro di proiettile appena sotto il cuore, lancinante da mozzare il respiro solo quando i suoi occhi trovavano la forma circolare del reattore sopra la mensola del lavello. Poi il dolore si è fatto più sordo e ovattato, ma è arrivato permeare ogni sua fibra e scaturire da tutto ciò che la circonda: dalla poltrona sempre libera di fronte al camino alla postazione informatica ormai impolverata. Anche gli occhi di Morgan, di quel castano profondo e più scuro di quello di Tony, si fanno spesso pensierosi, e inizia a chiederle quando tornerà papà. Glielo spiega con dolcezza, cercando però di non illuderla, ma nel suo mondo infantile il concetto di morte sembra essere ancora temporaneo. Fa sì con la testa e conclude che papà è comunque sempre lì.

Pepper le dà ragione, e quel pensiero tampona la ferita quel tanto che basta per sorridere e raccontarle un’altra fiaba su Iron Man prima di addormentarsi, permettendole di ignorare il cuscino intonso sull’altro lato del letto.

 
 
 
III


 
“Didn't you know
You were the home, you were the only?
Where did you go? Where did you go? Where did you go?

Come back to me
 

 
Non fa incubi, ma spesso non riesce a dormire.

A volte, quando scende in cucina nel cuore della notte per bere un bicchier d’acqua, il reattore sembra rilucere d’azzurro nella penombra e occhieggiare dalla mensola, forse per un qualche gioco di rifrazione causato dalla luna che filtra dalla finestra, o dalla lampadina del frigorifero, o da chissà cos’altro – non sa spiegarlo, e vuole credere che neanche Tony ne sarebbe in grado. Non dura mai più di un istante, e quando volta il capo si trova sempre a fissare un cuore spento e a leggere le parole che ha fatto incidere tanti anni prima. Osserva a lungo il congegno metallico in cerca dell’azzurro, senza mai trovarlo.

Ma continua a scendere in cucina, nel buio, anche quando non ha davvero sete.

 
 
 
IV
 

 
“Covered in grey, what can I say?
I've been a zombie
I'm feeling like I've been locked

In a grave”
 
 
La casa è ingannevole, piena di scricchiolii e cigolii, di legno rumoroso che si assesta, di rami che grattano sulle finestre e pigne che rimbalzano sul tetto, di spifferi che sussurrano tra gli interstizi. È facile immaginarvi un fruscio di passi, l’acciottolio di stoviglie nel lavello, le note di una canzone mormorata tra le labbra, un tramestio metallico in garage, una risata sommessa. A volte alza la testa di punto in bianco e si guarda attorno con un’eco nelle orecchie e un’ombra ai margini degli occhi, ma la casa è immobile, silenziosa, e sembra farsi beffe dei suoi tentativi di riempirla. A volte le manca Malibu – no, non Malibu – ma sa che la villa le sembrerebbe ancora più vuota e che la risacca costante rischierebbe di tramutarsi in una voce amata.

Morgan riesce a colmare vuoti e silenzi meglio di lei, e ha smesso di rimproverarla quando fa troppo baccano o lascia in giro i suoi giochi e i suoi disegni. A volte non li rimette a posto per giorni, così da poter cercare con lo sguardo quei piccoli sprazzi di colore, esattamente come cerca la camicia a quadri abbandonata da mesi sullo schienale del divano, o il set di cacciaviti posato sulla penisola come un soprammobile, o il bagnoschiuma al muschio bianco che si costringe a non usare troppo spesso. Crede ancora che prima o poi vedrà quella camicia sull’asse da stiro, o i cacciaviti sparsi attorno a un congegno smontato per metà, o il bagnoschiuma vuoto nel cestino.

Ci crede a lungo. Ci crede meno quando infine Morgan si arrabbia e piange chiedendole perché papà non torna, ci crede meno quando lo stormire basso delle foglie smette di mormorarle parole conosciute, ci crede meno quando le camicie e le magliette iniziano a profumare solo di detersivo alla lavanda, ci crede meno quando, sentendo il rombo lontano di un aereo, realizza che non lo sentirà diventare più forte fino ad atterrare in giardino con un clangore metallico.
Ci crede finché, un giorno di fine maggio1, non posa una foto di Peter e Morgan che ridono all’acquapark sulla mensola, a coprire il reattore.
 

 
 
V
 
 
 
“Time goes by and still I'm stuck on you
Well, time goes by, and still I’m stuck on you
As time goes by, as time goes by
Oh, time goes by, and still I’m stuck on you”
 
 
 
È una serata afosa di inizio agosto, di quelle che le fanno rimpiangere la terrazza battuta dalla brezza oceanica di Malibu.

Qui l’aria è ferma, stagnante, quasi liquida da respirare, ma Pepper rimane seduta sul primo gradino del portico in legno, con un libro in mano e la lampadina da lettura appuntata sulle pagine. Poggia il mento sulla mano e il gomito sulle ginocchia ripiegate, seguendo con gli occhi Morgan che saltella nell’erba alta e cerca di acchiappare le lucciole con un barattolo, facendo schizzar via grilli spaventati ad ogni passo. Il loro frinire incessante si mescola a quello più insistente di una cicala solitaria e al placido sciabordio del lago, con la risata limpida della bambina che sovrasta di tanto in tanto quel sottofondo dolce. Ogni tanto smette di correre e si volta verso di lei, scrutandola con occhi bruni e attenti, quasi fosse lei ad avere il compito di controllarla e non viceversa, poi riprende a giocare serena. Pepper sorride nel ricondurre quell’atteggiamento protettivo a Tony, e nel ricordarlo le sembra che un pezzo mancante si incastri perfettamente in quell’istantanea estiva, completandola.

Abbassa lo sguardo fattosi un po’ lucido e controlla l’orologio, concludendo che l’ora della nanna è passata da un pezzo, per Morgan, ma le concede ancora dieci minuti per scorrazzare nel prato prima di richiamarla, farle liberare le lucciole che ha catturato e indirizzarla in bagno per lavarsi prima di andare a letto. Lei protesta un po’, mettendo su quel broncio firmato Stark2 che le fa aggrottare le sopracciglia e storcere un angolo della bocca col capo appena inclinato, ma alla fine obbedisce, rientrando in casa con passo pesante e un po’ teatrale.

Pepper sospira tra sé, per poi spegnere la lampadina e chiudere il libro. Passare la giornata al Complesso per il compleanno di Peter3 l’ha stancata, mentre Morgan sembra ancora dotata di un’energia inesauribile che la costringerà ad almeno due storie della buonanotte prima di vederla crollare.

Si alza, con un’ultima occhiata distratta ai dintorni bui punteggiati dalle lucciole, e tra gli sciami di luce dorata coglie un brillio azzurrino. Si arresta sul portico, con un dito tra le pagine del libro e un piede già rivolto verso la soglia, ma quello, prevedibilmente, è svanito. Comprime le labbra per quell’ennesimo scherzo crudele della propria mente, ma prima di poter voltare le spalle lo vede di nuovo. E rimane lì, a ondeggiare sospeso nel buio.

Pepper sente il proprio cuore mancare distintamente un colpo, col silenzio che le riecheggia enorme nel petto. Il libro cade a terra con un tonfo quando vede quel lumicino colorato avvicinarsi, accompagnato da un fruscio di passi tra l’erba secca, e poi da una sagoma appena delineata nell’ombra, che diventa riconoscibile quando l’uomo entra nel flebile cono di luce della finestra sul retro. Sta con la testa un po’ chinata e i pollici nelle tasche, mentre Pepper è congelata al suo posto, con le mani a coprire la bocca e gli occhi sgranati che non riescono a mettere a fuoco ciò che vedono. Poi lui alza lo sguardo verso di lei e sorride appena, fermandosi a un paio di passi dal portico.

«Ehi, Pep,» esordisce, visibilmente impacciato, per poi fare una smorfia colpevole quando lei non riesce a reagire, assordata dal rombo del suo stesso sangue. «Scusa, hai ragione: sono in ritardo come al solito.»

Se Pepper vivesse ancora nel mondo che considerava normale, privo di supereroi e alieni e dèi e portali e viaggi nel tempo e magia, concluderebbe che quella sia un’allucinazione, e di aver infine perso il senno. Ma non vive più in quel mondo ormai da molti anni, e quindi asseconda l’impulso di scendere di corsa gli scalini e gettargli le braccia al collo, scoppiando in lacrime nel sentire il corpo di Tony vivo e reale sotto il suo tocco, e il suo respiro, e il battito forte del suo cuore.

Prima che lui possa stringerla, gli preme di scatto una mano sul petto per scostarlo da sé, colta da una repentina diffidenza, da una mano viscida e gelida che vorrebbe frantumare la gioia pronta a infiammarle il petto. Vede i suoi grandi occhi scuri farsi confusi nel vedersi respinto, ma non gli dà tempo di replicare: senza proferir parola, gli alza bruscamente la maglietta sull’addome.

«Pepper?» protesta spiazzato lui, corrugando le sopracciglia, ma lei lo ignora anche se la sua voce così vicina, bassa e soffice come ricorda, le fa tremare di nuovo il cuore.

Lo sfregio che gli ha inferto Thanos è lì sul suo fianco, esattamente nel punto giusto; solleva ancora la maglietta e il reattore è quello nuovo, ancorato sulla sua pelle a coprire il segno del primo. Non è abbastanza, così gli inclina il viso con due dita premute sulla mandibola, cercando con gli occhi la cicatrice sul ponte del naso e trovandola, netta e inequivocabile a vista e tatto, e poi quella più sbiadita sullo zigomo sinistro, invisibile se non sapendo dove guardare.

«Ehi, ehi,» sussurra a quel punto Tony, accostandosi a lei e cercando invano di calmare i suoi gesti frenetici. «Sono io. Sono io, lo so che è assurdo e che non ci credi, ma sono io,» ripete in un soffio, e Pepper gli prende il volto tra le mani, con quelle di lui che le stringono appena i polsi.

Nelle sue iridi nocciola, quella minuscola pagliuzza più scura vicino alla pupilla destra è esattamente dove dovrebbe essere, così come il neo sul lato del collo. Pepper sente le mani che iniziano a tremarle incontrollate, e la vista così appannata che il mondo attorno a lei sembra agitarsi sott’acqua, ma fa un ultimo sforzo e scende a prendere quelle grandi di Tony, girandole ed esaminando i suoi palmi: trova gli stessi calletti causati dalle troppe ore in laboratorio, la stessa cicatrice sul polso che le ha raccontato di essersi fatto col saldatore da bambino.

Pepper strizza gli occhi assieme alle dita di Tony, e si sente mancare la terra sotto i piedi, oppure la sente di nuovo per la prima volta dopo un anno.

«Tony, oddio,» le esce infine in un singulto strozzato, prima di circondargli il busto con le braccia e stringerlo di nuovo a sé con tutta la forza che ha, più forte di quando avrebbe voluto stringerlo di ritorno dall’Afghanistan, più forte di quando era sopravvissuto a New York, di quando era tornato dalla Sokovia e dalla Siberia, più forte di quando era tornato da Titano e da qualunque altro posto avesse cercato di portarglielo via per sempre.

Lui la avvolge di rimando, accogliendola sul proprio petto illuminato di azzurro. Le posa un bacio sulla tempia, poi un altro e un altro ancora, mentre lei non riesce a sentire nient’altro se non il suo calore e il profumo che credeva di non poter mai più richiamare alla memoria. Tiene l’orecchio premuto sul suo torace e ascolta il suo flusso vitale, quel coro di sangue che scorre, battiti cardiaci e respiri che risuona musicale dentro di lei.

«Come… come…» cerca di articolare, ma le parole non le escono, vengono spezzate dai singulti e si perdono sulla stoffa umida della maglietta di Tony.

Lo sente sorridere, con un piccolo sbuffo che le accarezza i capelli.

«Suvvia, signorina Potts, non è la cosa più strana che mi ha visto fare,» dice, scostandosi e asciugandole con dita gentili le lacrime che continuano a scorrere, inarrestabili.

Lei libera una risata sottile e spezzata, più nel vedere il suo volto sorridente che per l’affermazione in sé. Gli accarezza una guancia, un gesto che per un anno aveva incontrato solo il vuoto sterile di un ologramma, e le sembra di non aver mai fatto nulla di più bello in vita sua. Ormai non riesce più a contenere il sorriso che si è fatto strada sul suo volto, e sa di avere un aspetto distrutto, che le occhiaie sono evidenti sulla sua pelle chiara, che i capelli non sono più così lunghi come un anno e mezzo fa, e che è dimagrita visibilmente, ma quando la bacia lo fa come se non fosse passato neanche un istante dall’ultima volta che l’ha vista, o forse come se non la vedesse anche lui dall’equivalente di un secolo.

Quando si separano si aggrappa alle sue spalle, sentendo le gambe come burro e pronte a cedere sotto di lei; si appoggia a lui, contando i battiti del suo cuore e scacciando la paura di sentirlo fermarsi di nuovo.

«Morgan dov’è?» chiede lui, sottovoce, e con una traccia d’apprensione appena percettibile.

«A letto, spero, ma ne dubito,» replica lei, con un sorriso, e sente la risatina di Tony che gli scuote il petto, prima di farsi silenzioso.

«E… e gli altri dovrebbero…» Tony esita, parla in generale cercando di diluire il suo interesse, ma Pepper riconosce nel suo sguardo il dolore sordo che l’ha accompagnato per cinque anni. «Il ragazzino è…»

«Sta bene,» gli conferma, e vede il suo labbro tremare per un istante come il suo sospiro e gli occhi che si fanno liquidi. «Sta bene, ma gli manchi tantissimo. Mi sei mancato tantissimo,» aggiunge, tornando a stringerlo per avere un’altra conferma che tutto ciò sta accadendo, è reale; e forse è pazza e non lo è, ma non le importa.

Lui non risponde, ma la stringe con più forza di prima, come in cerca di un appiglio stabile. Lo sente scostare brevemente un braccio da lei per cercare qualcosa in tasca.

«Per rispondere al come…» dice, sollevando un oggetto tra loro.

È una provetta familiare, colma di un liquido rosso vivo. Pepper si asciuga gli occhi, tirando piano sul col naso mentre cerca di ricomporre i pezzi che aveva già intuito.

«Ok,» dice, con voce un po’ roca. «Capisco il come teorico, ma in pratica quando... e soprattutto chi…»

«L’uomo fuori dal tempo mi ha ceduto il titolo,» sorride furbetto lui, spostando il peso da un piede all’altro. «Mi ha dato qualche dritta utile,» conclude vago, storcendo il naso a quell’ammissione.

«Ma… Steve è qui,» ribatte Pepper, corrugando le sopracciglia. «E non è lo Steve che ricordi, probabilmente, ora è…»

«È finalmente diventato un nonnetto, lo so,» sogghigna invece lui, sorprendendola. «Diciamo che ha fatto un pit-stop da me prima di tornare da voi,» dice, facendole l’occhiolino.

Pepper si fa improvvisamente seria, con un campanello d’allarme che le squilla nelle orecchie.

«Aspetta, con “prima” intendi…» si interrompe, con le parole che le si incastrano in gola, e vede gli occhi di Tony farsi un poco più tristi.

«Prima di vincere,» le conferma piano lui. «Si è presentato di nascosto al Complesso e mi ha spiegato tutto. Quindi prima di partire ho registrato il… il messaggio che probabilmente avete già visto,» conclude, con un sorriso amaro.

«Lo sapevi,» sussurra Pepper, incredula, con un misto di shock, orgoglio e profonda tristezza che le invade le membra e le fa scendere altre due lacrime solitarie sulle guance nel ricordare quello stesso volto morente di fronte a lei, che le era parso inspiegabilmente sereno.

«Lo so anche adesso,» replica lui, sfiorandole le nocche con le labbra. «So cosa deve accadere. Non il come, né il quando, anche se è già accaduto, e non devo saperlo. Ma so che sarà inevitabile se voglio avere tutto questo, adesso,» scandisce lui, lentamente, senza vacillare.

Le sorride, e non c’è traccia di paura nei suoi occhi.

Pepper ritrova lo sguardo che l’ha accompagnata per anni, quello che sopperiva ai tanti non detti, alle parole superflue e a quelle di troppo; quello che la sera, incrociandolo per pochi secondi, le faceva capire se si sarebbero addormentati sul divano coccolando Morgan tra loro due mentre guardavano un cartone animato, o se si sarebbero trovati ad avanzare da soli a tentoni verso la camera da letto, ridacchiando sottovoce tra un bacio e l’altro.

Pepper si accosta di nuovo a lui, poggiando la fronte contro la sua, e Tony prende a ondeggiare piano sul posto, nell’accenno di un ballo. Le lucciole continuano a sciamare pigre attorno a loro, forse attratte dall’insolita luce che si sprigiona dal petto di Tony, e i puntini luminosi giocano sui loro volti vicini.

«Per quanto…?» quella domanda le sfugge prima di poterla frenare, e rimane sospesa nell’aria estiva.

Tony scuote la testa contro la sua, interrompendola sul nascere. Pepper esita, per poi annuire di rimando, accettando quel silenzio. Sa che ha ragione a non volerlo rivelare: non potrebbe mai vivere serenamente con la prospettiva di una data precisa da temere, per quanto lontana.

«Basterà,» mormora infine Tony, posandole un bacio sulla guancia a ricordarle che staranno bene.

Pepper sorride appena e si stringe a lui, allontanandosi dal futuro e dal passato per immergersi nel presente, l’unico tempo che adesso conta davvero.



 
Fine
 







Tony è nervoso, quando si accosta alla porta di Morgan.

Osserva i pallidi fiorellini rosa dipinti sul legno chiaro, con la mano ancora sul pomello e un groppo in gola. Per lei è passato più di un anno, e le sue dita tremano sulla superficie lucida della maniglia. Sente una lieve pressione sulla schiena e guarda di fianco a sé, incontrando gli occhi incoraggianti e ancora lucidi di Pepper.

Inspira a fondo e spinge con delicatezza la porta senza far cigolare i cardini. Si affaccia timoroso dallo spiraglio, nella stanza illuminata da una luce soffusa, e individua subito la testolina bruna che sbuca dalle coperte.

Un sorriso raggiante si fa strada sul suo volto.

«Morgan?»

C’è un attimo di sospeso, meravigliato silenzio, il tempo di un respiro trattenuto e subito liberato con gioia:

«… papà!»

 

 
 



Note al testo:

1Non ho specificato la data, ma Tony è nato il 29 maggio, quindi...
2Tale padre, tale figlia-> broncio.
3Il compleanno di Peter è canonicamente il 10 agosto.



Note Dell'Autrice:

Salve, cari Lettori <3
Avevo creduto di poter accettare quello che è successo in Endgame... e in un certo senso l'ho fatto, anche se a fatica. Ma una parte di me continua a pensare a quanto Tony si sarebbe meritato una vita serena, felice, circondato dai suoi affetti trovati o riconquistati. E gliel'ho voluta dare, almeno in parte e in un modo un po' contorto <3
Mi rendo conto che la questione dei viaggi nel tempo può essere molto confusionaria, letta così, e visto che i Russo hanno fatto la paraculata bricconata di spiegare tutto nelle interviste (inclusa la timeline di Cap), seguo il loro esempio-> [spiegone] cliccate qui per i dettagli tecnici, così non intaso le note ;) Riempire di tecnicismi il testo avrebbe detratto dal momento, a parer mio, di qui la scelta di rimanere sul vago.

La canzone che dà il titolo alla storia e che la accompagna è Stuck degli Imagine Dragons <3
Ah, e quella scena alla fine? È presa esattamente da dove pensate e ho pianto come una fontana mentre la scrivevo con la scena vera in testa. Sì, la Pixar si nutre delle mie lacrime e Monsters&co. è il mio tallone d'Achille.

Sperando che abbiate gradito questa piccola immersione nel fluffangst più totale, spero che lascerete un commento per farmi sapere cosa ne pensate <3
Un grazie speciale ad _Atlas_, che come al solito ha sopportato i miei scleri pre-pubblicazione più deliranti del solito causa viaggi nel tempo :')
[EDIT] E grazie anche a T612, che ha scritto la splendida La vie en rose, che si ricollega a questa fornendo qualche coordinata temporale in più riguardo al primo e vero "Uomo fuori dal tempo". È stato un piacere far combaciare i nostri headcanon :')

Alla prossima, in chissà quale linea temporale,

-Light-
 
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie altrove, anche se creditate e anche con link all'originale su EFP, né quella a rielaborarne passaggi, concetti o trarne ispirazione in qualsivoglia modo senza mio consenso esplicito.

©_Lightning_

©Marvel
   
 
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