Quando muore
qualcuno, agli altri spetta di vivere anche
per lui.
Alessandro Baricco,
Mr. Gwyn
Nelle
giornate di dolore non
dovrebbe essere permesso al sole di splendere. Il cielo dovrebbe essere
grigio,
coperto di nuvole scure e pesanti. Dovrebbe cadere la pioggia e il
vento
dovrebbe soffiare freddo.
Oggi,
invece, non c’è una nuvola
in cielo, il sole risplende in una volta azzurra e limpida e il vento
è placido
e smuove appena le fronde degli alberi.
È
irritante come il meteo si
mostri così beffardo e sprezzante in una giornata come
questa, ma probabilmente
è più giusto così: anche tu, nei
momenti più tragici, ostentavi una calma e una
serenità del tutto fuori luogo.
Quando
trasporteremo la bara nella
zona del mio giardino che ti ho allestito, so che il mio cuore si
spezzerà una
volta di più sentendola così leggera. Non ho
avuto nemmeno il tempo di
recuperare il tuo corpo in frantumi, ti prego, Nat, perdonami.
Perché io non ci
riesco.
Ho
assistito agli ultimi attimi
della tua vita e sono l’ultimo testimone del tuo coraggio, ma
non sono stato in
grado di riportarti a casa, come avresti meritato.
Non
ho potuto portarti dove
saresti stata pianta e onorata da eroe quale sei e ora che, davanti a
una bara
vuota, attorniata di persone vestite di nero che omaggiano la tua foto
sul
legno lucido, mi si chiede di darti l’ultimo saluto, io non
riesco a pensare ad
altro.
Non
ho potuto riportarti a casa.
Ho
scritto un piccolo discorso e
ora lo sto recitando. L’ho imparato a memoria e le mie labbra
si muovono da
sole, ripentendo parole che le mie orecchie non riescono a cogliere.
Lo
sai meglio di me, tra i due
eri tu quella brava a parlare. Se fossi riuscito a buttarmi io da
quella
maledetta montagna, sono certo che avresti composto un elogio molto
più bello
del mio e avresti commosso tutti.
Laura
e i miei figli hanno gli
occhi lucidi. Li vedo stringersi in un abbraccio, mentre evoco il
ricordo della
loro zia preferita. Se sono ancora con qui lo devo solo a te e non hai
avuto
modo di vederli per un’ultima volta!
Steve,
Bucky, Sam, Fury, Wanda,
Thor, Bruce… sono tutti qui nel giardino sul retro della mia
fattoria. Tutta la
famiglia che ti sei costruita in questi anni è qui per te,
meno Tony, ma mi
piace pensare che sia lì con te a commentare con sarcasmo
questo mio discorso
zoppicante.
Pepper
è stata davvero gentile a presentarsi.
Non pensavo che dopo la sua perdita avrebbe retto un secondo funerale
in due
giorni, ma ha dimostrato una grande forza d’animo e ora ti
sta salutando,
assieme a tutti noi.
Scommetto
che non ti saresti aspettata
un funerale dopo la tua dipartita, forse nemmeno lo avresti voluto. Da
buona
spia quale sei, sono certo che avresti voluto andartene in silenzio e
in
solitudine, come i gatti o gli elefanti, ma per questa volta voglio
essere
egoista e permettermi di salutarti come si deve, con fiori e tutto il
resto.
Su
quella maledetta montagna non
me l’hai data vinta, ora è il momento di fare a
modo mio.
Credo
che tu lo debba anche a
tutti gli altri: eri più amata di quanto pensavi e
addolorerebbe tutti se la
tua morte passasse in sordina come un qualunque evento privo di
importanza.
Eri
il collante che ci teneva
assieme e, ora che non ci sei più, una parte di me si sta
sgretolando, come non
è riuscito a fare lo schiocco di Thanos.
Anche
nella mia ora più buia,
quando la rabbia e la sofferenza avevano distrutto la mia natura e
ricostruito
un fantoccio di odio con quei pezzi infranti, tu non hai mai smesso di
cercarmi
e di prenderti cura di me.
Il
sangue dei criminali
sopravvissuti non mi avrebbe restituito la mia famiglia, lo sapevo
molto bene
anche prima che me lo dicessi tu sotto la pioggia che oggi manca, ma
almeno mi
dava uno scopo.
Ora
che un pezzo così importante
della mia vita non c’è più, anche se
uno scopo ce l’ho ancora, vorrei poter
uccidere Thanos di persona cento, mille volte solo per vedere il suo
sangue
gocciolare dalle mie mani e coprire il colore del tuo che si
è sparso sulle
rocce e sulla neve.
Quante
notti passeranno prima che
smetta di vederti precipitare nel vuoto non appena chiudo gli occhi?
Sento
un’incrinatura nella mia
voce e mi schiarisco la gola. Spero che vi stiate divertendo, tu e
Tony, a
prendermi in giro. Vi starò dando un bello spettacolo.
Nat,
mia cara Nat…
Una
foglia di olmo è caduta dall’albero
sotto la cui ombra ci siamo radunati e ora è appoggiata sul
legno della bara,
creando un’ombra sulla patina lucida.
La
mia mente si sta svuotando. Sento
i pensieri e le emozioni scivolare fuori dal mio corpo, ritto davanti
alla
piccola folla radunata attorno alla tua immagine.
Sono
un dannato egoista: dovrei
essere qui per ricordare te e la tua vita, di cui ti è
sempre piaciuto poco
parlare, eppure continuo a pensare solo a me stesso e a come mi sento
senza di
te.
Senza
di te che sei stata la mia
anima gemella, la parte migliore di me e la leva che sollevava il mio
mondo.
Da
quando ti ho conosciuta, in
quel benedetto giorno che ha cambiato le nostre vite, tu sei sempre
stata una
parte di me. Me ne rendo realmente conto solo ora che la tua assenza
occupa
qualunque stanza in cui entro: tu eri, sei il pezzo del puzzle che
dà senso all’immagine.
Se
mi sentissi ora alzeresti gli
occhi al cielo e diresti qualcosa di sagace per confutare le mie
parole, ma ora
non sei qui, perciò si fa a modo mio.
Amo
la mia famiglia con tutto l’amore
di cui sono capace e, se sono tornato sempre da loro, è
stato grazie a te. Se
ho potuto tenere nascosta la sua esistenza agli occhi di un mondo che,
per il
lavoro che facciamo, avrebbe potuto metterla in pericolo, è
stato anche grazie
a te. Se ho potuto anche solo pensare di poter costruire una famiglia,
io, che da
bambino sono cresciuto imparando a rubare, e sono diventato uomo
imparando ad
uccidere, è stato grazie a te.
Più
volte abbiamo toccato il
fondo assieme e assieme ne siamo risaliti. Ora che tu, cadendo, sei
salita più
in alto di tutti, chi tirerà su me?
Il
discorso è finito e la mia
mano, mentre torno al mio posto tra la gente, si stringe attorno a
quella di
mia moglie. La funzione prosegue e a tutti viene data
l’occasione di salutarti
attraverso il vetro che incornicia la tua fotografia.
Perdonami
se non ce l’ho fatta a
guardarti negli occhi: il tuo viso sorridente su un pezzo di carta non
riuscirebbe a cancellare dalla mia memoria la tua immagine nel vuoto.
Eri
così calma da farmi
innervosire. Non hai avuto un tremito. Non ho mai avuto così
paura.
La
bara è leggera sopra la mia
spalla sinistra. Accanto a me Steve sorregge l’altro lato,
mentre Bruce, Bucky,
Sam e Nick si distribuiscono il peso insostenibile di una cassa vuota.
Nessuna
musica ti accompagna
verso la buca nel terreno che ti ho preparato, solo una corona di rose
bianche
avvolge la lapide su cui ho fatto incidere il tuo nome e le tue date.
La
prima manciata di terra
gettata è la mia. Scorre tra le mie dita come i tuoi capelli
sottili quando ti
accarezzavo il viso.
Vorrei
che piovesse, così da non
essere il solo a piangere.
Nota dell’autrice:
Hola
gente!
Non
scrivo da così tanto tempo
che me ne vergogno e spero che sarete clementi con questo brano,
sicuramente un
po’ zoppicante, ma carico di ciò che avrei voluto
vedere alla fine di Avengers: Endgame.
La
morte di Natasha mi ha colpito
nello stomaco più di altri eventi mostrati nel film e ancor
di più che non le
sia stato reso omaggio, in virtù non solo del suo sacrificio
ma anche del suo
ruolo nello S.H.I.E.L.D. e nei Vendicatori.
Detto
ciò, ho scritto questo
brano mettendomi nei panni di Clint Barton (un personaggio che mi
è molto caro,
soprattutto nella versione fumettistica) e tramite lui ho cercato di
dare a Natasha
il commiato che meritava.
Spero
che vi sia piaciuto e che
sarete tolleranti nei confronti del risultato di una tastiera un
po’
arrugginita.
Un
abbraccio,
Lady
Realgar
p.s.
La parte in cui Clint afferma
che da piccolo sia cresciuto imparando a rubare, si riferisce alla sua
origin
story fumettistica, in cui apprende l’uso dell’arco
presso il Circo Tiboldt,
dove il suo maestro, lo Spadaccino, praticava le sue
attività criminali.