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Autore: T612    09/05/2019    7 recensioni
SPOILER "AVENGERS - ENDGAME"
Dal testo:
Steve si era ritrovato a sorridere al ricordo della puntina del giradischi che grattava contro la superficie di un 33 giri, ballando con Peggy tenendosela stretta tra le braccia mentre le note della “vie en rose” riempivano il soggiorno.
La sua era stata una vita semplicemente meravigliosa.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: io amo il multiverso, è la fiera dell’assurdo ed ora che l’hanno introdotto nell’MCU sono curiosissima di scoprire il come vogliano svilupparlo. Tutto ciò che segue deriva dalla scena finale di Endgame, ho provato ad immaginare come sarebbero andate le cose togliendo il Tesseract e aggiungendo Steve all’equazione che regola l’MCU… avevo bisogno di immaginare/scrivere determinate situazioni, quindi tutto ciò che leggerete da qui in poi si basa sulle mie elucubrazioni mentali, le mie conoscenze sull’intero MCU (fumetti, film e serie tv), i miei headcanon e la magica fonte del Marvel-Wiki (dove gli universi alternativi prosperano su pagine stampate e fan-theory).





 

New York, 2023

 

Steve era consapevole che avrebbe dovuto dormire, ma non riusciva a chiudere occhio in nessun modo, tenuto sveglio da quell'unico pensiero che gli arrovellava il cervello da quelli che ormai erano diventati giorni… stentava a credere che ci fosse seriamente la possibilità concreta di vivere la vita che non aveva vissuto, ritrovandosi a marciare insonne su e giù per la cucina con fare meditabondo, valutando i rischi di sfidare la sorte unicamente per crearsi una realtà su misura in cui egoisticamente desiderava vivere.

Bucky l’aveva sorpreso alle spalle interrompendo i suoi ragionamenti, silenzioso come l’ombra che aveva imparato ad essere, chiedendosi a vicenda perché non riuscissero a dormire… così Steve si era ritrovato a preparare il caffè per entrambi, raggiungendo il fratello sul terrazzo allungandogli una tazza fumante, mentre James spegneva il mozzicone della sigaretta contro il bordo della ringhiera seguendo inconsciamente un'abitudine risalente a quando avevano ancora vent’anni a testa e Steve soffriva d’asma.

Bucky aveva liquidato la sua insonnia accennando ai fantasmi assillanti che continuavano a perseguitarlo impedendogli di dormire più di tre ore filate a notte, sincerandosi dell’umore di Steve, che si era ritrovato a confessare su due piedi e senza esitazioni che non provava più il desiderio di imbracciare lo scudo… perché continuare a reggerne il peso se aveva decretato che la sua ultima guerra si era conclusa?

James aveva sottolineato con immancabile cinismo che la prossima battaglia si nascondeva dietro l’angolo, ma lo conosceva abbastanza bene da sapere cosa lui intendesse dire davvero con quelle parole. Bucky aveva lasciato trasparire un sorriso triste sulle sue labbra, intercettando il suo sguardo e declinando l’offerta di assumersi il peso dello scudo sulle spalle prima che lui potesse proporglielo, suggerendo Sam come persona più indicata per quel compito… scoccandogli uno sguardo carico di sottintesi anticipandolo nuovamente, dichiarando che lui non desiderava seriamente abbandonare lo scudo… semplicemente avrebbe voluto usarlo in un tempo diverso dal loro, molto prima che quel disco di vibranio diventasse l’ultima difesa a contrastare gli orrori dell’universo.

Bucky l’aveva lasciato da solo sul terrazzo, ponendo sulle sue mani la scelta definitiva concedendogli una tacita benedizione, spingendolo ad essere egoista per la prima ed unica volta nella sua vita.

Il giorno dopo, quando l’aveva rivisto davanti alla rampa di salto, suo fratello aveva compreso al volo quale fosse l’epilogo che aveva deciso per se stesso, stringendolo in un abbraccio affermando che gli sarebbe mancato, nonostante sapessero entrambi che quello non era un addio ma un arrivederci.

Steve era salito sulla rampa di salto aspettando il countdown… poi la clessidra si era capovolta ed il mondo non era stato più lo stesso.

 

Londra, 1945

 

Una volta riportato l’ordine nell’universo rimettendo a posto ciò che era stato preso, Steve non aveva utilizzato l’ultima fiala di particelle Pym per tornare a New York, ma aveva invertito la rotta e si era presentato a quell’appuntamento mancato sotto il cielo di Londra, chiedendo all’orchestra di suonare un lento.

Aveva osservato le coppiette felici formarsi in pista accennando i primi passi di danza, scovando Margaret Carter al bancone del pub intenta a scolarsi due dita di scotch appena aveva udito la prima nota di quella che sarebbe dovuta essere la loro canzone.

Il bicchiere si era frantumato a terra in mille pezzi quando Steve si era palesato alle sue spalle, ritrovandosi le dita di Peggy avvinghiate alla sua nuca e lo stampo del suo rossetto rosso sulle labbra… nella sua realtà d’origine la donna aveva trascorso la serata ad ubriacarsi da sola al bancone del pub, ma in quella nuova versione dei fatti la speranza deleteria ed illusoria si era trasformata in una certezza definitiva.

Le aveva offerto un altro scotch, sforzandosi di raccontarle in modo semplice ed esaustivo gli ultimi quindici anni trascorsi riducendo il racconto ai minimi termini, confessando che la versione di Steve che lei conosceva era ancora sepolta nell’Artico, ma che nonostante tutto lui le doveva ancora un ballo.

Aveva stretto Peggy tra le braccia mentre volteggiavano al centro della pista, colmando quel vuoto che lui aveva percepito consapevolmente per undici lunghissimi anni e che lei aveva avuto il tempo di sperimentare solamente per qualche terribile settimana, azzerando l’orologio e sincronizzando il battito del suo cuore alle note suonate dall’orchestra… Steve si era scioccamente illuso di fermarsi giusto il tempo di un ballo, realizzando di aver mentito nuovamente a se stesso scoprendosi incapace di andarsene e di non aver comunque la possibilità di farlo, egoisticamente felice di potersi soffermare per tutta la vita.

Avevano danzato fino a quando le gambe li avevano tenuti in piedi, collassando sugli sgabelli concedendosi il bicchiere della staffa con i piedi doloranti e l’alba che faceva capolino dalla fessura della porta. Howard li aveva raggiunti con il sorgere del sole, preoccupato di dover recuperare una Peggy ubriaca fradicia, reclamando una qualsiasi bottiglia alcolica appena l’aveva riconosciuto, incurante delle prime luci del giorno che facevano capolino dalle imposte.

Avevano siglato un tacito accordo facendo tintinnare i bicchieri in un brindisi, abbandonando senza rimorsi il suo doppio ed il Tesseract nelle profondità dell’Artico, inscenando nei giorni successivi il suo miracoloso ritrovamento dalla presunta tomba di ghiaccio in cui lo credevano confinato, coronando l'inganno riproducendo con precisione maniacale una copia dello scudo in vibranio sepolto nell’oceano.

Erano salpati con la prima nave diretta a New York e, a distanza di qualche settimana, Peggy sfoggiava una fede all'anulare sinistro dividendo con lui una casa a Brooklyn, ballando seguendo la melodia del giradischi che riempiva il soggiorno di note con un vinile diverso ogni sera… per Steve il mondo aveva finalmente iniziato a girare per il verso giusto, con il sorriso sulle labbra mentre si lasciava cullare tra le braccia di Peggy, accompagnato dalle note di quella agognata tranquillità.

 

New York, 1946 1

 

Steve si era fatto assegnare alla squadra operativa dell’SSR tornando a capo degli Howlings Commandos, mentre Peggy spezzava metaforicamente le gambe a chiunque osasse metterle i piedi in testa in ufficio, dando del filo da torcere a Dooley che puntualmente si lamentava con lui dell’operato dell’agente Carter chiedendogli gentilmente di rimetterla in riga, divertendosi a liquidare le obiezioni dell’uomo affermando che non c’era nulla di male nell’avere una donna al comando, suggerendogli di ascoltare gli ordini della moglie al posto di criticarla costantemente e renderle la vita un inferno.

Steve non aveva potuto fare nulla per impedire che Howard finisse in mezzo al mirino dell’SSR per il presunto contrabbando di armi, vivendo sulla propria pelle tutti quei retroscena che aveva sempre sentito vociferare tra i corridoi della Tower e dell’Helicarrier, ritrovandosi con la squadra al completo a seguire gli ordini di Peggy avanzando nella steppa siberiana, fingendo di non ascoltare Dum Dum che decantava lo spirito autoritario della sua signora con il peggior linguaggio da caserma.

Erano riusciti a stanare l’accademia dove era cresciuta la donna che lui conosceva come Yelena Belova2, deducendo che posto fosse dalle manette legate alle testiere dei letti e dalle punte in gesso abbandonate davanti ai muri specchiati, cercando inutilmente una bambina dai capelli rossi e gli occhi verdi tra i corridoi vuoti del palazzo abbandonato.

Steve non aveva potuto evitare la morte Dooley, accorgendosi troppo tardi che il vero nome di Ivchenko era Fennhoff, sfruttando l’errore commesso in proprio favore impedendo che il dottor Faustus3 condividesse la stessa cella di Armin Zola, cancellando dalla storia il famigerato Quaderno Rosso che aveva trasformato suo fratello in uno spietato assassino, augurandosi speranzoso che così facendo il mondo non fosse mai messo a conoscenza del Soldato d’Inverno.

I capi d’accusa contro Howard era crollati la notte stessa in cui Dottie Underwood2 era stata arrestata, eliminando Yelena Belova dalla lista delle probabili minacce, ma scoprendosi impotente di fronte all’evasione della donna e al suo ritorno glorioso in Madre Russia.

Steve si era goduto la falsa tranquillità che si erano concessi, spazzando via momentaneamente tutti i brutti pensieri evitando di anticipare troppo i tempi, lasciandosi trasportare dal flusso degli eventi. Evitava di pensarci portando Peggy a ballare e, in quei momenti di eterna felicità, il resto dei problemi smettevano di avere una qualche importanza.

 

Washington DC, 1949

 

Steve era stato inglobato dalla folla radunatasi davanti al Triskelion, un’espressione fiera sul volto osservando Philips ed Howard mentre tendevano il nastro rosso davanti alla scultura dell’aquila dello SHIELD posizionata all'ingresso, mentre la Direttrice Carter inaugurava la prima sede operativa dell’agenzia con una sforbiciata decisa recidendo il nastro di raso.

Era riuscito a raggiungere Peggy una volta conclusasi la trafila di strette di mano, salvandola dai flash abbaglianti dei fotografi, trascinandola lontano dalla calca di gente, ritrovandosi inconsapevolmente davanti al Muro degli Eroi4.

Steve aveva cercato istintivamente la placca in metallo sulla quale era inciso il nome di James Buchanan Barnes, chiedendosi quante altre targhe dovranno aggiungere negli anni o se toglieranno mai quella del fratello dal monumento ai caduti in servizio, interrogandosi su quanto fosse saggio giocare con la storia seguendo la presunzione di creare un mondo migliore… dopotutto Peggy ed Howard non avevano voluto conoscere la propria sorte per non condizionare le proprie scelte, così Steve si era imposto di non farsi più delle aspettative su ciò che avrebbe dovuto verificarsi, trattenendo negli anni innumerevoli sospiri di sollievo quando gli avvenimenti cambiavano prendendo una piega diversa da quella a lui conosciuta, modificandosi in meglio causando una catena di eventi positivi che si ripercuotevano sulle sorti del mondo.

Steve aveva percepito la mano della moglie farsi strada tra le sue dita, chiedendogli se lui fosse a conoscenza di dove fosse rintanato il loro Sergente disperso in quel preciso momento, ritrovandosi a ricordarle che il Bucky della sua realtà aveva richiesto di venire salvato esclusivamente alle sue condizioni. Dopo quattro anni Steve ricordava ancora l’espressione enigmatica che il fratello gli aveva rivolto, confermando una data precisa con il sorriso sulle labbra, assicurandogli che solamente in quel giorno ci sarebbero state delle circostanze favorevoli e delle buone probabilità che il Soldato d’Inverno non lo uccidesse5.

Bucky aveva parlato di una sorpresa e Steve, protetto dall’ombra rassicurante dell’aquila dello SHIELD, non vedeva l’ora di scoprirla.

 

Mosca, 1956 5

 

Le torri del Cremlino si stagliavano sui vicoli imbiancati di Mosca formando una perfetta immagine da cartolina, Steve avrebbe voluto avere degli acquerelli a portata di mano per tradurre su carta quel paesaggio pittoresco filtrandolo attraverso il suo occhio d’artista, ma in quella fredda notte dicembrina l’unica cosa che gli era stata fornita era uno scudo di vibranio ancorato alla schiena e gli Howlings Commandos che attendevano un suo ordine dall’altro lato del collegamento radio.

Aveva osservato attraverso le lenti del binocolo i capi del KGB varcare le porte del Bol’šoj, scortati e guidati dalla figura autoritaria di Madame B2, constatando con insofferente freddezza che gli anni erano stati clementi con Yelena Belova.

Steve aveva guidato l’assalto decretando la disfatta della Stanza Rossa, mentre un’unità SHIELD portava in salvo gli ospiti disposti in platea e sui palchetti, lasciando spazio di manovra agli Howling per arrestare il Generale Petrovich6, il Colonnello Karpov6 e Madame Belova, permettendogli di raggiungere ed issarsi sul palco riconoscendo il fratello sulla graticcia urlandogli di fermarsi.

Si era sorpreso nel vedere Bucky abbassare il fucile con un‘espressione incredula sul volto, freddando un agente ostile alle sue spalle senza battere ciglio, gridando un ordine in russo ad una persona non meglio identificata inglobata nel caos generale.

Quando la battaglia si era conclusa ed erano state abbassate le armi, James l’aveva raggiunto fermandosi ad un metro di distanza gettando il fucile ai suoi piedi, contrattando i termini della propria salvezza con un inglese sporcato dalla cadenza slava. Steve gli aveva gettato le braccia al collo appena Bucky aveva abbassato la guardia, spiegandogli in meno di dieci parole concise il come ed il perché si trovasse a Mosca in quella data precisa, sorridendo con gli occhi lucidi nel sentirsi stringere in un abbraccio ricambiato invece della fredda morsa mortale che temeva.

James aveva sciolto l’abbraccio patteggiando per una seconda persona, spuntando la breve discussione con espressione fiduciosa e fiera, tendendo la mano e rassicurando la donna che fino a quel momento si era celata nell’ombra gettata dal sipario. Steve aveva avuto il serio timore di essersi dislocato la mascella quando aveva riconosciuto la sfumatura cremisi dei capelli di Natasha, sentendosi messo a giudizio dalla foresta glaciale celata nei suoi occhi, mentre lo squadrava con fare critico ben piantata sul palco con le punte di gesso ai piedi e il tutù macchiato di sangue indosso. Aveva tentato di ricomporsi e di darsi un contegno nel vedere quella che sapeva sarebbe diventata la sua migliore amica, stringere saldamente la mano di James come se non esistesse nessun altra certezza al mondo, ascoltando la voce del fratello mentre decretava con tono perentorio che la sua ballerina faceva tassativamente ritorno con loro in America.

Il cargo militare era decollato diretto a New York con due spie sovietiche innocue a bordo, mentre gli Howlings festeggiavano il recupero del Sergente creduto morto sotto lo sguardo diffidente di Natalia Romanova, che si stringeva al braccio destro di James come se ritenesse irreale quella salvezza tempestiva e per questo si mostrasse restia a crederla effettiva.

Steve aveva sorriso nel vedersi concretizzare in realtà quella speranza recondita, accogliendo la sorpresa con inaspettato ottimismo, fiducioso che privando i nemici delle loro due armi migliori forse poteva concedersi di pregare per un futuro un po’ più roseo per tutti loro. Si era crogiolato in quella provvisoria sicurezza mentre l’alba faceva capolino sullo skyline di New York, con il fratello ritrovato a fianco e l’incombenza di una Romanoff da gestire in suolo americano, decretando che la sua seconda occasione non poteva essere più sbalorditiva.

 

Malibù, 1962 7

 

Steve reputava estremamente noioso presenziare agli eventi pubblici, imponendosi di sorridere ai fotografi anche e soprattutto quando non ne aveva voglia, racimolando e facendo sfoggio della propria pazienza conservativa, mentre Peggy si destreggiava tra le fila di agenti e sottoposti che acclamavano la Direttrice a gran voce nonostante si trovassero a Malibù per presenziare ad una noiosissima festa aziendale delle Stark Industries.

Era in quei momenti che Steve invidiava il fratello e le sue spericolate missioni sotto copertura, sorridendo al pensiero di saperlo da qualche parte in giro per il mondo affiancato da Natasha, muovendosi entrambi nell’ombra dello SHIELD e condividendo occasionalmente un tetto sicuro situato tra i vicoli sperduti di Parigi.

Steve si consolava che nel corso degli ultimi eventi pubblici gli era stato fornito un degno spettacolo d’intrattenimento, registrando mentalmente tutti i risvolti della telenovela in corso, per poi scherzarci sopra con Peggy in privato riportandole gli sviluppi con fedele cronaca impeccabile. Si divertivano entrambi come due ragazzini nel deridere le fallimentari imprese eroiche di Howard, scommettendo sottobanco in quanto tempo si sarebbe stancato di corteggiare la spumeggiante signorina Carbonell o se quest’ultima si sarebbe mai rassegnata ad accettare quel famoso invito a cena che a distanza di mesi aveva assunto connotazione quasi mitologica.

Steve era stato raggiunto dalla moglie vedendosi offrire un calice di vino, brindando a quella vita che entrambi non pensavano di avere l’occasione di vivere, cimentandosi nel commento in tempo reale dello spettacolo in corso.

Maria si era presentata alla festa a braccetto con Obadiah Stane, a fronte di tale sviluppo Steve protendeva ingenuamente per una rivalsa dello spirito autoconservativo della donna, diversamente da Peggy che parteggiava per la classica dinamica di gelosia e tentazione che evidentemente stava dando i suoi frutti, considerati gli sguardi di Howard nascosti dietro al bicchiere di scotch che venivano ricambiati dalle occhiate di finta sufficienza inflittagli di Maria.

Steve si sentiva onorato di essere testimone consapevole del bagno d’umiltà di Howard Stark, affascinato da quelle dinamiche inedite che vedevano un genio di fama internazionale ridursi ad uno zerbino di fronte all’unica donna che non cedeva al suo fascino facendosi desiderare.

A fine serata Howard era riuscito nell’ardua impresa di strapparle il numero di telefono, vantandosi della conquista sentendosi l’uomo più fortunato della Terra e Steve, nonostante conoscesse gli eventi ma era insicuro che quella fosse la fatidica sera del misfatto, aveva chiuso le scommesse ritrovandosi a spendere un patrimonio portando fuori a cena Peggy, che aveva incassato la ricompensa strafogandosi con il dessert con un sorriso soddisfatto sulle labbra.

Steve doveva ammettere che gli anni ‘60, tralasciando i cambiamenti e la vita mondiale in fermento, si stavano rivelando una inaspettata conquista.

 

New York, 1969

 

Sarah Carter-Rogers8 ha a malapena tre anni ed aveva appena abbandonato i pennarelli colorati sul tappeto in favore dello schermo del televisore, dipingendosi sul viso un’espressione di stupefacente meraviglia.

Sua figlia tace, limitandosi ad indicargli lo schermo come se stentasse a credere alle immagini in bianco e nero che documentano l'allunaggio, a differenza di Michael8 che, alla veneranda età di cinque anni, non smetteva di parlare concitato annunciando alla madre con largo anticipo che lui da grande voleva fare l’astronauta.

Peggy ride e gli da corda scoccandogli uno sguardo divertito, mentre la piccola gli si arrampica sulle sue gambe strattonandolo per la camicia chiedendogli a gran voce se lui è mai stato sullo spazio. Steve si ritrova a sorridere, glissando su quella verità che non può permettersi di raccontare a nessuno, affermando che lui era il tipo di persona che preferiva restare con i piedi ben ancorati a terra.

Entrambi i bambini l’avevano contraddetto, portando in antitesi le mirabolanti avventure di Star Trek che avevano intravisto in TV, mentre Steve si mordeva la lingua e li lasciava fantasticare su quella visione pacifica della galassia, mentre un brivido freddo come lo spazio siderale che aveva avuto l’infelice occasione di sperimentare sulla propria pelle gli fa tremare la spina dorsale, ricordandogli che nessuna delle creature intergalattiche che lui aveva avuto la sfortuna di incontrare era lontanamente innocua come Spock.

Steve scuote la testa reprimendo quelle immagini a cui non pensava da più di una ventina d’anni scompigliando i capelli biondi di Michael, ringraziando mentalmente la sua buona stella per tutte quelle preziosissime banalità concesse.

L’ultimo decennio era paragonabile ad una corsa rocambolesca ad alta velocità che l’aveva visto inciampare in un paio di punti, ritrovandosi a scendere a patti con tutti quei compromessi ed incidenti che avrebbe voluto e potuto evitare, scoprendosi impotente al destino già scritto.

Steve aveva fissato sgomento i notiziari che documentavano la sparatoria a Dallas9, ascoltando la voce di Bucky mentre gli spiegava dall’altro capo del telefono che il grilletto era stato inevitabilmente premuto da un altro Soldato d’Inverno. Si era ritrovato a firmare i documenti per legalizzare l’Operazione Paperclip10 con un sorriso tirato sulle labbra, accettando la consapevolezza che era merito anche di Armin Zola e Wernher von Braun se Armstrong e compagni avevano messo piede sulla Luna, concedendosi di tirare un sospiro di sollievo solo nel ‘67 quando sia Zola che Vanko erano stati deportati in un gulag in Siberia dove non potevano più fare del male a nessuno.

A ridosso dei favolosi anni ‘70, Steve aveva accolto con incomparabile sorpresa i primi capelli bianchi, rincorrendo i suoi due figli in giardino con il sorriso sulle labbra scoprendo e sperimentando le gioie di essere genitore. Ovviamente i bambini gli avevano dato del filo da torcere, dando puntualmente retta solamente allo zio Bucky, in quelle rare volte che riusciva a trascinare Natasha a Brooklyn degnandoli di una visita, o allo zio Howard, che tornava ogni volta da Los Angeles con il bagagliaio dell’auto ricolmo di giocattoli.

Si sorprendeva ogni volta a ridere sotto i baffi quando quest’ultimo, che accusava i primi segni della vecchiaia, si rigirava la fede al dito blaterando di retaggio e figli, esprimendo il nebuloso desiderio di una bambina nella speranza che in quel caso ci fossero meno probabilità che crescesse a sua immagine e somiglianza. Steve annuiva in risposta con la miglior faccia da poker che conosceva, iniziando a contare silenziosamente i giorni che mancavano al grande annuncio, godendosi gli ultimi mesi di quieto vivere che gli erano stati concessi prima che il cataclisma ambulante di Stark Jr si abbattesse su di loro annullando tutti i buoni propositi di Howard… sperava che in quella nuova realtà dei fatti a Tony fosse concessa un’infanzia, alimentando quella flebile speranza perché dopo aver visto per innumerevoli volte la storia mutare in meglio, forse anche quel dettaglio faceva parte dei cambiamenti in positivo che lui aveva preposto per il mondo.

 

Queens, 1974

 

Come Steve aveva ipotizzato Tony era un micro-uragano in movimento, un bambino con una spiccata intelligenza divertita che calcava già le orme dell’uomo che lui ricordava.

Non aveva potuto fare nulla per correggere il comportamento paterno di Howard, nonostante dopo quattro anni tentasse ancora di lanciare un qualche suggerimento velato quando incrociava l’uomo nei corridoi dello SHIELD, oppure quando interrompeva le lavate di capo incappando per sbaglio in mezzo ad una delle tante strigliate testimoniate dai muri di casa Stark.

Nell’ultimo anno si era prodigato per ridurre al minimo le liti in vista dell’organizzazione stressante della fiera, proponendosi di fare da babysitter più volte del necessario, perciò non si era sorpreso più di tanto quando Howard gli aveva fatto recapitare a casa l’invito per la Stark Expo, allegato in un post-scriptum la richiesta di badare alla piccola canaglia mentre lui e Maria inauguravano l’esposizione universale, assolvendo l’onere dei padroni di casa aggirandosi tra i vari padiglioni stringendo una fila interminabile di mani.

Peggy si era chiamata d’accordo ed aveva accettato la richiesta su due piedi senza battere ciglio, così la sera dell’apertura Steve era stato costretto a farsi crescere gli occhi anche dietro la testa per non perdere tutti e tre i bambini in mezzo alla calca di gente, grato che il fratello e Natasha si fossero presi le ferie dall’agenzia per presenziare al grande evento, ritrovandosi volente o nolente a dare una mano.

La situazione non era poi così ingestibile come si era prefigurato, considerato che Michael e Sarah avevano approfittato per l’intera serata dei gettoni gratuiti alle giostre sbandierando il tesserino rilasciato dallo zio, rimpinzandosi di zucchero filato sotto lo sguardo di Peggy, facendo da spola tra le montagne russe, gli autoscontri e la ruota panoramica. Ad un certo punto della serata Steve aveva intercettato con lo sguardo Bucky e suo figlio mentre si sfidavano a colpi di fucile a pallini al tiro a segno, sotto lo sguardo divertito di Natasha che, appoggiata alla colonnina di ferro, aveva già accatastati ai piedi tre peluche diversi formato large ed evidentemente era in attesa del quarto. Non aveva avuto il tempo di analizzare la scena che sua moglie si era fatta strada tra la folla sbucando di punto in bianco, scaricandogli in braccio un Tony iperattivo e raggiungendo loro figlia sfidandola agli autoscontri, mentre la piccola peste appena consegnatogli aveva iniziato a dimenarsi pretendendo a gran voce di vedere le invenzioni presentate alla fiera, così lui era finito per sospirare ed accontentarlo senza opporre troppa resistenza.

Steve aveva scoperto con genuina sorpresa di essere stato eletto “zio migliore dell’intero mondo” appena Tony aveva compiuto due anni, tramutandosi nel bersaglio consapevole di infiniti sproloqui spaccatimpani ed istituito a difesa fisica d’eccellenza contro le urla esasperate di Howard… ritrovandosi a non dare tutti i torti a quest’ultimo biasimandolo più del dovuto, soprattutto quando ospitava Tony per casa e la piccola peste dava accidentalmente fuoco a qualcosa o frantumava i soprammobili per sbaglio.

Probabilmente Stark Jr era l’unico bambino nell’intera fiera ad essere seriamente interessato alle invenzioni esposte, tenendo il naso schiacciato contro le teche, appannando il vetro con il fiato e lasciandoci impresse le impronte delle mani. Quando non gli concedeva di sgambettare a terra, si arrampicava diligentemente sulle sue spalle per vedere oltre la massa brulicante di persone, spiegandogli con voce acuta ed energica come funzionavano i marchingegni più semplici, parlando con una serietà che mal si sposava con la sua età effettiva, soprattutto se considerato che –a distanza di anni e reduce di una capatina dal futuro– Steve continuava a non capirci assolutamente niente di meccanica e robotica, ma sorrideva e annuiva come se ogni parola pronunciata dal bambino fosse di fondamentale importanza.

Tony si era placato solo una volta raggiunto il plastico della Città del Futuro, osservando con genuina meraviglia quel mondo microscopico fatto di plastica, metallo e cartone, permettendogli di intravedere nei suoi occhi quella scintilla primitiva che celava l’intuizione alla soluzione al rompicapo, mentre Steve si chiedeva tra sé e sé in quanti anni quel bambino prodigio avrebbe raggiunto la scoperta più determinante della sua vita.

Steve aveva dovuto prenderlo di nuovo in braccio per impedirgli di mettersi a smontare il plastico in mezzo al padiglione, mettendosi in marcia cercando Howard o Maria in mezzo alla calca, mentre Tony continuava a sbirciare i vari stand da sopra la sua spalla aggrappandosi alla sua nuca… alla fine la sua era solamente una intelligenza che si divertiva e Steve, fin quando gli era possibile, voleva salvaguardare quella piccola peste dai mostri spaventosi che si nascondevano dentro il suo armadio.

Ormai aveva smesso di chiedersi da anni il perché dietro a tutto quello che faceva, se era mosso dall’affetto quasi paterno per il bambino che stava imparando a conoscere o se agiva in memoria dell’uomo che era stato… convincendosi che, nel suo egoismo, stava ritagliando una possibilità di salvezza per tutti loro.

 

Brooklyn, 1989

 

Steve aveva accompagnato Peggy al funerale di Janet van Dyne, c’era stata solo una breve cerimonia perché non c’era nessun corpo da seppellire, intravedendo Hank Pym seduto in prima fila mentre stringeva la mano alla figlia in lacrime… nella nuova realtà dei fatti la cosa più strana mai creata in laboratorio restava ancora lui, ma ciò non escludeva che il campo della ricerca scientifica dovesse limitarsi ad una soglia invalicabile, lui si assicurava semplicemente che non si manifestassero mai incidenti della portata catastrofica di Hulk o di Ultron.

Tuttavia Steve non riusciva a capire perché al mondo esistesse un Capitan America o un Ant Man, ma allo stesso tempo gli ingegneri e gli scienziati di tutto il mondo non fossero ancora stati in grado di inventare dei pneumatici che non slittassero sull’asfalto bagnato… Steve trovava comprensibile la morte naturale o violenta, ma faceva ancora fatica ad accettare la morte casuale o priva di logica.

A qualche mese dalle dimissioni di Hank dal Triskelion, Harrison e Amanda Carter11 erano morti in un incidente stradale schiantandosi sul ciglio della strada per colpa dell’asfalto bagnato, lasciando la figlia sedicenne sola al mondo, unica abitante di un'enorme casa in Virginia.

Inizialmente l’idea era stata quella di ospitarla come soluzione temporanea, giusto il tempo necessario per organizzarsi sul da farsi, ma dopo aver appurato che la famiglia materna non aveva nessun interesse o volontà di badare alla nipote, Sharon Carter era finita per vivere sotto l’ala protettrice di Peggy. Steve si era ritrovato a fare i conti con la futura Agente 13 e con tutto ciò che tale realizzazione implicava, eliminando istantaneamente il ricordo lontano di un vago imbarazzo quando l’adolescente in questione aveva dichiarato il suo odio verso il mondo sbattendo, letteralmente e metaforicamente, una porta in faccia a tutti loro.

Nei sette mesi successivi l’aveva vista cambiare colore di capelli cinque volte prima di convertirsi nuovamente ad un corto caschetto biondo dalle spalle, tentando di far fronte al lutto subìto passando le serate ad ubriacarsi in compagnia di Tony, che di ritorno dal collegio per le vacanze invernali e volendo evitare i genitori in piena rivolta adolescenziale, si era ritrovato a dividere la camera degli ospiti con una adolescente altrettanto incazzata, ovviando al problema dell’improvvisa invasione trascinando Sharon per locali fino al sorgere del sole

Steve chiudeva un occhio limitandosi a lasciare il flacone di aspirine sopra al tavolo in cucina, consapevole di non poter cambiare radicalmente l’indole di un genio e della sua compagna di sventure, a differenza di Peggy che spesso e volentieri li aspettava sveglia e strepitava alle sei del mattino colpendoli alla nuca con il giornale arrotolato.

Non sapeva se era merito del fatto che Tony fosse ritornato in collegio o se fosse perché Peggy aveva portato Sharon al poligono mettendole tra le mani la sua Colt 45 carica per sfogarsi, seguendo dei metodi educativi poco ortodossi, ma a distanza di un paio di mesi la ragazzina scontrosa che avevano accolto in casa era cambiata assumendo gradualmente le sembianze di quell’Agente 13 che lui ricordava.

Con il passare dei giorni Steve aveva dovuto fare i conti con i primissimi acciacchi della vecchiaia, ovviamente non rimpiangeva i suoi eterni trent’anni, ma si illudeva di sentirsi di nuovo giovane ogni volta che i ragazzi tornavano per le vacanze istituendo casa Carter-Rogers come quartiere generale. Si era rassegnato da tempo immemore al fatto che la musica del giradischi venisse messa in secondo piano dai resoconti di Michael sulla temeraria Carol Danvers e su quante volte la ragazza si impuntasse per fargli mangiare la polvere all’accademia militare, mettendo in disordine i bozzetti della sorella da presentare per il corso d’arte all’NYU, attirando le ire di Sarah che lo minacciava brandendo le sue matite appuntite come coltelli da lancio, mentre i dispetti e i litigi bonari tra Tony e Sharon rimbombavano tra le mura domestiche in una costante cacofonia di suoni, annullando piacevolmente il silenzio per qualche settimana.

Steve con l’andare degli anni, soprattutto quando il corso della storia subiva dei forti scossoni sottolineando la profonda differenza con la sua realtà d’origine, si ritrovava troppo spesso a pensare a quanto quella variante idilliaca del mondo fosse un'occasione sprecata ed andata persa in mezzo agli innumerevoli errori di valutazione… ma forse non tutto era irrecuperabile, forse tra le pieghe del tempo c’era ancora un lieto fine e una qualche speranza per più di qualcuno di loro di loro.

 

New York, 1991

 

Il Natale del 1991 era stato un impensabile sorpresa a cui Steve si era rifiutato di credere fino a quando non ne aveva avuto l’inconfutabile certezza.

Il blocco sovietico era caduto come previsto, l’HYDRA era stata stanata molto prima che avesse l’occasione di riformarsi, eliminando le minacce alla fonte come se non fossero mai esistite e la vita per loro procedeva con noiosissima tranquillità.

Steve trovava surreale mettere piede in casa Stark e vederla addobbata a festa e brulicante di vita, il 16 dicembre eclissato ad una vecchia istantanea silenziosa, sbiadita e fredda dimenticata nel tempo, mentre i presenti seduti a tavola sorridevano e scherzavano con i padroni di casa, felicemente inconsapevoli di ciò che sarebbe potuto essere e fortunatamente non era.

A fine serata Howard se ne stava seduto a capotavola blaterando del suo odio verso la neve, rigirando le due dita di scotch nel bicchiere con fare distratto mentre discuteva di politica, baseball e scartoffie con James, che si rollava le sigarette spargendo il tabacco sul tavolo mentre Natasha lo rimproverava bonariamente per fumarne troppe, il sorriso sulle labbra mentre si aggirava tra i corridoi di casa Stark ormai accettata come una di famiglia. Steve si beava di quella piccola bolla di luminosa felicità, stringendo Peggy tra le braccia ballando a piedi scalzi sul tappeto seguendo le note del pianoforte suonate da Maria, mentre i ragazzi bisticciavano davanti all’albero addobbato litigandosi i pacchetti regalo con nessuna preoccupazione al mondo se non l’addestramento in caserma, la laurea, il prossimo esame al MIT e il reclutamento all’accademia dello SHIELD.

Per Steve quella era una sensazione inconsueta, l’opportunità di vederli crescere con la consapevolezza che non dovranno mai affrontare le minacce intergalattiche che sapeva si aggiravano indisturbate nello spazio, permettendosi di sprecare le giornate senza rimorsi ascoltando la melodia di un giradischi dalla puntina usurata.

Era stata una stranezza piacevole l’essere stato testimone dei capelli castani della moglie che avevano iniziato a striarsi lentamente di bianco, di aver avuto la possibilità di segnare quelle quattro tacche colorate sullo stipite della porta che si erano rincorse in altezza anno dopo anno, mentre la certezza rassicurante che non ci sarebbero mai stati sacrifici raccapriccianti o rischi fatali a minacciarli gli conciliava un sonno senza incubi.

La neve aveva continuato a scendere fuori dalla finestra, coprendo i davanzali e i marciapiedi con inesorabile lentezza, mentre le carole suonavano lungo le strade ricordando a tutti che il Natale significava calore e famiglia e Steve, che segretamente temeva che nonostante tutti i suoi sforzi il dicembre del ‘91 si trasformasse nuovamente in un mese da dimenticare, non poteva fare a meno di stringere Peggy tra le braccia e sorridere felice.

 

Londra, 2008

 

Erano anni ormai che lui e Peggy avevano consegnato le dimissioni al Triskelion, ritirandosi nel verde della campagna inglese, lontani dalla vita caotica della metropoli lasciando l’impero nelle mani fidate di Nick Fury, che dal ‘95 assolveva egregiamente il suo dovere all’ombra dell’aquila dello SHIELD, forse con qualche paranoia e segreto in meno di quelli che Steve ricordava.

Il lascito della prima generazione veniva portato avanti da sangue più giovane del loro, mentre il mondo continuava a scrutare il cielo limpido senza nessuna preoccupazione per la testa, inconsapevoli della protezione data loro dall’ombra dello scudo che da decenni li nascondeva agli orrori del cosmo.

Steve aveva raggiunto i novant’anni continuando a dimostrarne sempre una ventina in meno, soffiando sulle candeline circondato da figli e nipoti, mentre dall’altra parte dell’oceano il cielo si illuminava a giorno con i fuochi d’artificio per celebrare il 4 luglio.

Howard aveva sollevato la cornetta da Santa Monica appositamente per fargli gli auguri, sorridendo quando aveva percepito la voce di Maria in sottofondo che rimproverava il marito per aver mescolato di nuovo l’alcol con le pastiglie per il cuore. A distanza di qualche ora era giunta una videochiamata via Skype da parte di Natasha, che vantava ottant’anni sulle spalle dimostrandone appena cinquanta, facendogli gli auguri per poi girare la fotocamera ed inquadrare James che lo salutava dal terrazzo con la Torre Eiffel ben visibile sullo sfondo. Il fratello gli aveva augurato buon compleanno facendogli il saluto militare con le dita di metallo, per poi ravvivarsi i capelli brizzolati con un gesto distratto della mano, mentre con l’altra si spupazzava Liho12 che, con l’indifferenza tipica dei gatti, continuava a giocherellare con il posacenere insensibile alle coccole del padrone.

Michael e Sarah erano tornati da New York per l’occasione, portandosi dietro fidanzata, marito e figli come non succedeva ormai da anni, mentre Steve si era sorpreso nel vedere un taxi in arrivo dall’aeroporto frenare sul vialetto di casa facendo scendere Sharon, di ritorno da Washington DC con la carica di 13 sulle spalle, che aveva approfittato del Jet privato di Tony per passare a dare un saluto, mentre quest’ultimo aveva colto l’occasione per presentare agli zii adottivi la neo-fidanzata, facendo spuntare un sorriso genuino sul volto di Steve quando Pepper gli aveva teso la mano sorridendo imbarazzata.

Era stato al momento del dolce che Steve aveva trovato il coraggio di chiedere a Tony come procedesse il lavoro alle Industries, cercando una conferma ai sospetti sul Jericho, nonostante sapesse da anni che Howard aveva liquidato Stane consegnato le chiavi del regno al figlio.

Tony aveva scherzato con immancabile sarcasmo ribadendo che stava diventando vecchio e che doveva trovare il modo per restare aggiornato sui tempi, confermandogli che negli ultimi mesi la sezione armamenti aveva avuto un drastico ridimensionamento e che, sistemando l’ufficio del padre durante il trasloco nella sede di Los Angeles, aveva avuto un’intuizione interessante rispolverando il vecchio plastico della Città del Futuro.

Il nipote aveva affermato di essere elettrizzato all’idea del dove l’avrebbe condotto la scoperta e Steve, consapevole che dagli Stark ci si poteva aspettare solo meraviglie, attendeva fiducioso e scalpitante il giorno in cui Tony avrebbe raggiunto la soluzione a quel rompicapo rivoluzionando il mondo.

 

New York, 2012

 

Steve aveva avuto la conferma che tutti i suoi sforzi non erano stati fatti invano quando nessun Dio degli Inganni era giunto a fare visita ai terrestri, per qualche sorta di miracolo il cielo non si era squarciato riversando un’intera armata aliena sopra i grattacieli di New York, accantonandone definitivamente il terribile ricordo permettendosi di tirare il primo vero respiro di sollievo da oltre sessant’anni a quella parte.

Il suo era un universo in pace, una creazione idilliaca su misura dove le Gemme dell’Infinito erano solo un ricordo sbiadito sepolto in fondo all’oceano.

Il suo era l’universo nel quale gli era stata concessa una seconda occasione, un posto infinitamente migliore dove gli echi di una guerra estranea non si erano mai verificati, dove i legami fraterni e familiari non erano mai stati spezzati oppure avevano avuto il tempo e il modo per risaldarsi, dove la cosa più spaventosa che poteva capitargli era assistere impotente al lento ed inevitabile deterioramento della memoria di Peggy.

Steve aveva stravolto la propria vita in meglio, rivoluzionando di conseguenza anche quella di tutti coloro che aveva intorno, concedendo una salvezza ed elemosinando una speranza a chi, nella sua realtà, non ne aveva mai avuta alcuna.

I suoi due figli si erano creati una famiglia, tornavano a casa per le feste e chiamavano ogni tanto, mentre Sharon portava avanti l’eredità di famiglia eseguendo gli ordini diretti di Maria Hill e di Nick Fury, scalando la vetta puntando ai vertici con la fierezza dei Carter e la tempra dei Rogers.

Suo fratello era stato sepolto a Parigi, era morto alle sue condizioni sapendo di essere amato, lasciando il mondo con lo stesso spirito con cui l’aveva calcato: combattendo per ciò in cui credeva, procurandosi un enfisema polmonare letale e guadagnandosi la soddisfazione di essere riuscito a trascinare all’altare la rossa per cui aveva perso la testa sopra i tetti innevati di Mosca13. Natasha lo chiamava ancora ogni tanto, Steve era felice che lei avesse avuto l’occasione di vivere la vita che le era stata negata, spendendo i giorni restanti ad ammirare il sole scomparire oltre l’orizzonte mentre Lhio12 le dormiva in grembo facendole le fusa.

L’infarto aveva stroncato la vita di Howard un paio d’anni prima, la moglie l’aveva seguito nel giro di poco tempo e, per quanto Steve ne sapeva, Tony si assicurava che ci fossero sempre dei fiori freschi davanti alle lapidi di Santa Monica.

Steve era stato invitato al suo matrimonio quando, dopo un po’ di tentennamenti ma comunque in anticipo sui tempi di sette anni, Tony era riuscito a farsi coraggio e trascinare Pepper all’altare senza che un qualunque imprevisto intergalattico gli mettesse i bastoni tra le ruote come spesso era accaduto in passato.

A distanza di tre anni dalle nozze, Steve sorrideva ogni volta che la piccola peste rubava il cellulare al padre inviandogli le richieste di videochiamata su Skype di nascosto, trovandosi di fronte al sorriso luminoso di Morgan, mentre ascoltava il brontolio bonario di Tony in sottofondo. Era in quei momenti che Steve si ritrovava a pensare con sempre più frequenza che nella sua realtà, a cui prima o poi avrebbe fatto inevitabilmente ritorno, quel piccolo cataclisma iperattivo, una degna Stark di terza generazione fatta e finita, avrebbe dovuto affrontare la fatidica soglia dei sei anni senza avere il padre al suo fianco… decretando che dopo aver posto rimedio a moltissime cose, probabilmente il tentare di garantire la felicità della pronipote anche nel suo universo d’origine non avrebbe turbato più di tanto l’equilibrio del cosmo, ipotizzando che forse il suo poteva considerarsi il lascito definitivo e l’occasione mancata per rimettere ufficialmente tutte le cose al loro posto.

Anni dopo, il giorno in cui Peggy si era addormentata e non si era svegliata mai più, Steve aveva salutato per l’ultima volta figli e nipoti prima di raggiungere San Francisco alla ricerca di Hank Pym... in tutti quegli anni regalati aveva conservato il GPS temporale progettato da Tony, decretando che fosse giunta l’ora di fare ritorno a casa, recuperando un paio di fiale rossastre in più premeditando un’ultima modifica.

Aveva chiuso gli occhi davanti a quel sogno ad occhi aperti costruito su misura, attivando l’orologio, aprendo l’ennesima breccia tra le pieghe del multiverso e del tempo… la clessidra si era ribaltata di nuovo tornando alla posizione d’origine, facendo ritorno a casa consapevole che gli ultimi settant’anni erano stati un regalo targato Stark, decretando che fosse giunto il momento di ricambiare il favore14.

 

New York, 2023

 

Quando Steve riappare davanti al Complesso, sono passati appena dieci secondi da quando la sua versione trentenne è scomparsa nel portale quantico. Si lascia cadere sulla panchina in attesa che qualcuno lo noti e lo raggiunga, osservando il vento soffiare increspando leggermente la superficie del lago, mentre la voce di Sam alle sue spalle chiede esagitata a Bruce dove lui sia finito.

Steve prova un moto di nostalgia immotivata alla base dello stomaco nel sentire le due voci battibeccare in lontananza, nell’altra realtà aveva avuto modo di parlare con entrambi gli uomini solo un paio di volte in occasioni molto diverse da quelle in cui si erano inizialmente conosciuti, percependo il richiamo sollevato del fratello quando l’aveva finalmente notato, ottenendo la tacita conferma che tutto fosse andato per il verso giusto.

Bucky era rimasto in disparte, ancora convinto della scelta proferita qualche ora prima –ma percepita da Steve come una dichiarazione espressa decenni addietro ed ironicamente confermata a distanza di anni anche dall’altra versione del fratello– permettendo a Sam di raggiungerlo al suo posto.

Gli aveva consegnato lo scudo con un sorriso rassicurante sulle labbra, memore del giorno di quasi trent’anni prima in cui gliel’aveva ceduto la prima volta, consapevole a priori che ne avrebbe fatto nuovamente un ottimo lavoro, augurandosi silenziosamente che le cose procedessero al meglio per tutti loro, concedendosi di pensare fiducioso alle modifiche marginali che aveva attuato prima del ritorno definitivo, correzioni volte a risolvere anche le ultime cose lasciate in sospeso14.

Sam, tra le altre cose, gli aveva chiesto se la sua fosse stata una bella vita… Steve si era ritrovato a sorridere al ricordo della puntina del giradischi che grattava contro la superficie di un 33 giri, ballando con Peggy tenendosela stretta tra le braccia mentre le note della “vie en rose” riempivano il soggiorno.

La sua era stata una vita semplicemente meravigliosa.






 

Note
 

  1. Riferimenti alla trama della prima stagione di Agent Carter: Peggy lavora all’SSR alle dipendenze del Capo Dooley (vi ricordo che gli anni ‘50 e il maschilismo sono una cosa sola) e il KGB inizia a dare i primi problemi con le allieve della Stanza Rossa, incastrando Howard per vendita illegale di armi di distruzione di massa.

  2. Yelena Belova è una delle tante Vedove Nere che prestano servizio alla Stanza Rossa, lei e Natasha sono semplicemente le più famose. Dottie non è Yelena, per logica e cronologia, considerate la coincidenza dei due personaggi come una mia licenza poetica.

  3. Dottor Faustus, mentalista in grado di convincerti a fare qualunque cosa semplicemente parlando senza aiuto di ipnosi. Nel finale di stagione di “Agent Carter” viene rinchiuso nella cella di Armin Zola e lavorano insieme al Quaderno Rosso ereditato da Karpov per la programmazione del Soldato d’Inverno.

  4. Muro degli eroi, visibile nella 1x12 di “Agents of SHIELD”, celebra tutti gli agenti caduti in servizio e viene aggiornato aggiungendo man mano le targhe commemorative. C’è un monumento del genere in ogni sede operativa, il primo costruito risale al ‘49 con la fondazione del Triskelion a Washington DC.

  5. Il mio headcanon per eccellenza: Bucky Barnes ha avuto una relazione clandestina con Natasha Romanoff (classe 1928), grazie a lei recupera buona parte della propria memoria, vengono scoperti e separati il giorno dopo la missione al Bol’šoj con la cancellazione dei ricordi di entrambi.

  6. Il Colonnello Karpov è il proprietario del Soldato d’Inverno e possessore del Quaderno Rosso, Ivan Petrovich è il padre adottivo di Natasha e capo della Stanza Rossa.

  7. Headcanon che si rifà al poco di fumetti che so sul frangente Howard Stark/Maria Carbonell.

  8. Mio headcanon, per quanto riguarda i nomi: Sarah era la madre di Steve, Michael era il fratello maggiore di Peggy (morto durante la guerra, quello che gli procura il lavoro all’SSR).

  9. In Terra-616 Bucky è il responsabile dell'assassinio di JFK.

  10. Operazione Paperclip: citata in TWS, lo SHIELD recluta scienziati/ingegneri nazisti per la corsa allo spazio, punto di “rinascita” per l’HYDRA.

  11. La famiglia Carter è una questione complessa, inizialmente nei comics Sharon era la sorella minore di Peggy, successivamente sono state convertite in zia-nipote. In “Agent Carter” Harrison viene segnalato come il padre di Peg, mentre nei film da TWS in poi viene considerato come il fratello, io mi rifaccio a quest’ultima versione dei fatti.

  12. Il gatto nero randagio che Natasha adotta nei comics.

  13. Nell’universo “Ultimate” Bucky non diventa mai il Soldato d’Inverno, si vive la sua vita tranquilla e muore di enfisema polmonare a causa del suo smodato tabagismo.

  14. I riferimenti del caso sono stati gentilmente offerti da _Lightning_ in “Fermarsi”. Senza volerlo mi ha fornito il completamento perfetto alle “questioni in sospeso” citate, consideratelo una sorta di spin-off collegato.



 

Commento dalla regia
 

ALLORA:
Dovete sapere che io immaginavo/speravo/pregavo esattamente per quel finale per Steve dal lontano 2011, quindi buona parte di queste teorie mi frullavano per la testa da molto prima che mi dessero una conferma cinematografica.
In parte avevo bisogno io per prima di immaginare una versione così “rose e fiori”, ma in parte è effettivamente la versione verosimile di come sarebbero andate le cose se il Tesseract non fosse mai stato recuperato.

Provo a spiegarvelo in modo semplice:
Nella 5x12 di “Agents of SHIELD” ci spiegano che è colpa dell’HYDRA e dei suoi contatti con la “Confederazione Intergalattica” se Thanos ha messo gli occhi sulla Terra scoprendo la collocazione delle Gemme dell’Infinito, quindi se il Tesseract non viene mai recuperato l’HYDRA non può vantarsi di averlo, eliminando automaticamente il problema Thanos (che vagherà nello spazio fino alla fine dei suoi giorni senza conoscerne la collocazione definitiva), allo stesso tempo se viene impedito all’HYDRA di “rinascere” si cancellano i vari incidenti con KGB, ROXXON, KRONAS, STRIKE, AIM, MADOK ed OSCORP eliminando in tronco tutti i supereroi che acquisiscono i poteri tramite le stesse… e avanti così con reazioni a catena.
[Volendo spudoratamente ignorare i Guardiani della Galassia, Pantera Nera e gli X-men, che per forza di cose loro esistono lo stesso e tenendo ovviamente a mente che Steve, Bucky e Nat subiscono comunque l’invecchiamento rallentato perché nel ‘45 avevano già tutti e tre il siero in circolo nel sangue.]
Detto questo, concludo ringraziando di cuore _Lightning_ per aver inconsapevolmente fornito la perfetta controparte scritta al mio What If? <3
Spero che il mio delirio mentale sia stato di vostro gradimento, qualunque commento/opinione è ben accetto!
_T

   
 
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