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Autore: Luana89    14/05/2019    0 recensioni
Nessuno può dire cosa succede in quel sottile processo di cambiamento tra la persona che eri e la persona che diventi. Nessuno, oltre te, può tracciare la linea immaginaria dell'inferno. Nessuna mappa. Nessuna via indicativa. Sei semplicemente uscito dall'altra parte, e non ti resta che camminare e sperare. In molti provano a scombinarmi i pensieri, a capire cosa ci sia dentro quel lerciume coperto da strati di capelli e ossa. Fottuti idioti. Nessuno entrerà mai nel mio castello. Nessuno ne varcherà mai nemmeno i cancelli. O forse si, forse tu?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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VII


La palla rotolò nella mia direzione, la bloccai fermandola col piede guardando Peter venirmi incontro e fermarsi a pochi metri da me. Ci fissammo in silenzio senza alcuna intenzione di romperlo in favore di parole vuote, il nostro rapporto era sempre stato parecchio strano, al margine di quella linea sottile che separava l’essere fratelli dall’essere nemici, un equilibrio perenne che non avevamo mai oltrepassato.
«Giochi con me?» Mi fissò insistentemente e io sorrisi annuendo, afferrai la palla lanciandogliela e senza alcun fischio d’inizio corremmo lungo quel campetto abbandonato.
Mi lasciai cadere sulla panca togliendo la felpa che usai come asciugamano per il sudore, bevvi avidamente l’acqua ghiacciata respirando affannosamente.
«Sei migliorato.» Peter si accese una sigaretta senza guardarmi.
«No, sei tu a essere peggiorato.» Non avevo bisogno di chiedermi come mai, sapeva sempre come colpirmi e riusciva a farlo maledettamente bene. Chiusi gli occhi senza sapere bene cosa dire, forse perché di parole adatte in realtà non ce ne stavano, ero tornato a farmi come il peggiore dei coglioni e ancora una volta non sapevo come uscirne. «Ho sempre pensato che Alice fosse la medicina per ogni tua malattia, che fosse giusto lasciartela.» Aggrottai la fronte fissandolo come se non capissi dove volesse andare a parare. «Lei mi piaceva, intorno ai diciassette anni.. sai, le cotte da ragazzini. Quando partisti pensai che avrei avuto la mia occasione..»
«Sei un pezzo di merda.» Sputai fuori quelle parole con divertimento misto a gelosia, e lui rise di gusto. Era la prima volta che sentivo quel suono uscire dalla sua bocca.
«Mi è passata quasi subito, Alice è troppo stupida per essere la donna giusta per me.» Inarcai un sopracciglio guardandolo in tralice, voleva farmi incazzare?
«Lei è la persona migliore che conosco.»
«Ho detto stupida, non peggiore, infatti.» Umettò le labbra secche aspirando una boccata dalla sigaretta ormai consumata tra le sue dita annerite. «Ti ama ciecamente, e non si rende conto che quando vedrà affondarti del tutto.. morirà.» Restai in silenzio sentendo un nodo alla gola stringersi sempre più forte, impedendomi quasi di respirare. «Le donne sono tutte convinte di essere ‘’la soluzione’’ per gli uomini che amano, di essere quelle ‘’speciali’’ anche per il peggior reietto della società.. e quando prendono consapevolezza dell’errore, è troppo tardi. Lo ha fatto tua madre, lo ha fatto anche la mia..»
«Parlare con te è sempre..» non riuscivo a trovare un aggettivo adatto per esprimere lo squassante dolore che quelle parole mi causavano. Flettei le dita contenendo la rabbia, le mie vene si ingrossarono illuminate dai fari del campetto.
«Se ho torto puoi sempre dirmelo.» mi fissò con sfida e io capii. Voleva avere torto, lo desiderava ardentemente, voleva gli dicessi che Alice era davvero speciale, che lei mi avrebbe curato, che sarebbe stata il salvagente per me povero naufrago alla deriva. Ma non ci riuscii. E questo che voleva significare?
«Sai, non credo il problema sia Alice.. lei è davvero speciale, è perfetta. Il problema sono io..»
«Sei disposto a cambiare per amore? Perché se non lo sei, dovresti lasciarla andare, lasciala vivere con quel dottore, lasciala vivere in serenità e circondata da un amore non cancerogeno.» Quell’idea per me era semplicemente inconcepibile, pensare di vederla con un altro, di vederle crescere i figli di un altro uomo, il solo pensiero mi mandava al manicomio. «Il giorno in cui sarai in grado di lasciarla andare, senza il tuo fottuto egoismo, allora sarà il giorno in cui l’amerai di più.» Si alzò afferrando la sua felpa madida di sudore, muovendo qualche passo lontano da me.
«Non posso lasciarla andare.. come non posso lasciare andare voi. Ci ho provato, quell’anno a Chicago.. sono tornato in ginocchio strisciando per un perdono che non sono sicuro di aver mai ricevuto.»
«Si perdona sempre qualcuno che ami e che hai pugnalato.» La sua voce sembrò perdersi nella brezza serale, aggrottai la fronte senza capire fissando la sua schiena rigida che continuava ad allontanarsi da me.
«Che cazzo vuoi dire?» Non mi rispose alzando il braccio in segno di saluto, mi sembrò come se la sue spalle si fossero di colpo ingobbite, e i suoi passi strascicati a causa di quel peso mentre restavo lì da solo a chiedermi cosa avrei fatto della mia vita.

 
 
(          ALICE      )
 
 
I miei piedi sembravano non toccare il pavimento quasi volassero, avrei voluto dar la colpa alla mia iperattività cronica ma sapevo che in realtà era tutto merito di Jay. Non ero ancora riuscita a riordinare il flusso dei miei pensieri, a mettere ordine tra le cose successe nel giro di 24 ore. L’unica cosa che ero riuscita a fare era stata ignorare Matthew che cercava in ogni modo di intercettarmi, sapevo di essere una codarda ma non sapevo come affrontarlo, cosa dirgli o come giustificare il mio repentino cambio d’atteggiamento. Non l’avevo mai amato, e non pensavo si aspettasse questo, ma consentirgli di avvicinarsi era stato probabilmente un errore a cui non sapevo come rimediare. Nella mia vita non avevo mai voluto ferire nessuno, anzi era tra le cose che detestavo di più quella. Mi ero sempre mantenuta in equilibrio passando in punta di piedi tra la gente che mi amava e che amavo, cercando sempre con riserbo di non ferire. Ogni anima era simile a un vaso di cristallo per me, non potevo sopportare di vederli linearsi o frantumarsi per causa mia, e seppur Matthew era una conoscenza di ‘’poco conto’’ rispetto ad altre, non riuscivo comunque ad affrontarlo.
Mi sedetti su una barella del pronto soccorso pensando a Jay, lui era il vaso più bello e anche il più distrutto. Come un’opera di inestimabile valore calpestata e abusata che non puoi fare a meno di amare e volere; le mie dita strinsero il bordo soffice del materasso, andai a ritroso con la mente a quella notte che ci aveva visti finalmente uniti e avvinti come fossimo un solo corpo. Una sola anima. Io credevo nel destino, lo avevo sempre fatto. Non era stata una coincidenza per noi incontrarci, quando i nostro occhi si erano incrociati per la prima volta io avevo sentito quella scossa che all’epoca non capii, le mie viscere che si attorcigliavano mentre provavo a farmi notare da quel ragazzino distrutto dentro. Chinai il capo e una lacrima solcò la mia guancia cadendo nel vuoto, fissai la piccola macchiolina umida sui miei jeans. Non v’era niente al mondo che desiderassi più di lui, ma soprattutto desideravo aiutarlo, curare le sue ferite, era un concetto troppo utopico? Troppo romantico? Da classica ragazzina alle prese col primo amore forse? Ma come potevo pensare di aiutarlo, quando sapevo quale profondo segreto gli celassi ormai da anni? Sarebbe stato in grado di capirmi, di perdonarmi? Di ascoltare le mie ragioni, le mie motivazioni?
«Ehi..» la voce familiare di Matthew interruppe il flusso doloroso dei miei pensieri, lo fissai a occhi sbarrati senza sapere cosa dire. «E’ da ieri che ti cerco senza sosta, dove sei finita?» Allungò una mano per toccarmi, mi scostai saltando giù dalla barella afferrando il mio libro di anatomia.
«Mi dispiace, ho avuto molto da fare..» si, moltissimo, a letto con Jay. Perché era così difficile affrontare e deludere la gente, per me?
«Stasera proiettano un vecchio film al cinema, vuoi venire?»
«Senti Matthew.. è un momento difficile questo, penso che dovremmo smettere di vederci..» mi fissai le scarpe racimolando il coraggio a quattro mani, e capii di aver dentro un valore che forse non pensavo di avere.
«Difficile?»
«No. Non è difficile.. è solo che sono innamorata di un’altra persona.» Stavolta lo guardai e vidi la delusione nei suoi occhi scuri, mi dispiaceva ma non provavo alcun senso di colpa. Perché dovevo vergognarmi di un amore che avevo inseguito così a lungo e che finalmente ero riuscita ad afferrare?

 
***
 
Fissai lo spezzatino totalmente bruciato imprecando mentalmente dentro me stessa, avevo invitato Jay a casa mia e avrei voluto cucinare per lui ma come sempre la mia incapacità mi metteva in difficoltà. Non che fossi totalmente una frana nella cucina, ma tendevo un tantino a sopravvalutarmi pensando che sarei riuscita in imprese titaniche come mia madre. Lei si che cucinava divinamente, quando Jay assaggiava i suoi piatti era un continuo sorridere e complimentarsi.
«Che diamine è questo fumo?» Mi voltai spaventata fissando il soggetto dei miei pensieri oscurare lo spazio dell’arco che portava dalla cucina al soggiorno a bocca spalancata.
«Come cavolo sei entrato?» Guardai oltre lui cercando la porta ma il suo sorrisino mi destabilizzò un po’.
«Solo una scema come te poteva usare come codice di riserva la mia data di nascita.» Incrociò le braccia al petto e io mi sentii avvampare, ero stata molto indecisa su quello dovevo ammetterlo. Ma una sera ubriaca avevo finito per dormire sullo zerbino perché perse le chiavi continuavo a inserire il codice sbagliato, e solo la mattina successiva mi ero resa conto di aver digitato per tutta la notte la sua data di nascita. Lo guardai avvicinarsi, pensavo stesse per baciarmi ma il suo viso mi oltrepassò per fissare la pentola annerita.
«Non guardare.» Provai a strattonarlo ma non lo smossi di un millimetro.
«Perché no? Sembra buono..» mi bloccai a fissarlo sgomenta, mi prendeva in giro? Come se non avesse notato il mio sguardo scrollò le spalle iniziando a prendere i piatti per cenare, poggiandoli sulla tavola. Guardai lo spezzatino dentro al mio piatto con disgusto spostando infine gli occhi sulla sua figura, afferrò la forchetta portandone un pezzo alle labbra. Trattenni il respiro mentre masticava e infine mandava giù senza alcuna espressione.
«Vedi? E’ buono.» Continuò a mangiare accanto a me e alla fine mi forzai a prenderne un pezzo e portarlo alle labbra, quando il sapore colpì le mie papille gustative desiderai morire: era disgustoso. Tornai a guardare Jay che mangiava di gusto e iniziai a piangere.
«Sei un bugiardo.» Mi coprii il viso con le mani e lo sentii ridere e afferrarmi per i fianchi costringendomi a sedermi sulle sue cosce.
«Ma dai, è buono comunque perché l’hai preparato tu.» Mi tolse le mani dal viso baciandomi la guancia umida e salata, leccandosi poi le labbra. «Questo è ancora più buono.» Gli diedi una gomitata scherzosa ma una punta di ansia mi colpì improvvisamente: era così bravo a mentire il mio Jay. Così tanto bravo.. come me.


 
 
(          JAY      )
 
 
Le dissi che mi piaceva fare l’amore al buio, che le forme del suo corpo erano ancora più armoniche alla luce della luna, e lei mi credette. Lo faceva sempre in fondo, no? La realtà era ben più misera, al buio i suoi occhi medici non avrebbero visto i lividi sulle mie braccia. Dovevo tornare a bucarmi sui piedi? Quel pensiero mi nauseò, questo mio essere perennemente calcolatore indicava la mia incrollabile natura di bugiardo. Aveva ragione Peter quindi? Dovevo lasciarla andare, e dimostrare così quanto la amavo visto che non riuscivo a farlo in altro modo? Magari con una vita migliore, magari smettendo con quella merda, mettendo la testa a posto, trovandomi un lavoro vero e dandole delle certezze, stabilità. Mi voltai a fissarla, il suo respiro regolare, mi avvicinai respirandola fino a restare senza fiato, era ossigeno puro che mandava in pappa il mio cervello e che allo stesso tempo sembrava tenermi in vita. Ma per quanto ancora? Mi avrebbero trovato in un angolo, con la siringa ancora nel braccio, morto. Quando sarebbe accaduto avrebbe pianto? Si che lo avrebbe fatto, ma la cosa più dolorosa era sapere che non avrebbe maledetto neppure un momento passato insieme a me, che avrebbe comunque rifatto tutto d’accapo. Mi alzai da quel letto come se avessi delle molle, vomitando nel bagno con la porta ben chiusa per paura che mi sentisse. Mi poggiai alle piastrelle coprendo gli occhi con le mani tremanti, ero come un cane rabbioso che continuava a mordersi la coda. Non riuscivo neppure a fare qualcosa per la donna che amavo, per quella ragazza così buona che mi adorava senza remore e senza chiedere mai nulla in cambio.
 
«Più forte Jay, più in alto!» Muoveva le gambe nude con forza, su quell’altalena scalcinata, sembrava volesse toccare il cielo quel giorno.
«Mi stanno per cadere le braccia Alice, se spingo più forte me le spezzerò seriamente.» La sua risata mi coinvolse, mi fissò coi suoi occhi luminosi e chiari.
«Ti curerei io in quel caso, sai.. voglio diventare medico e aiutare le persone come te. Anzi non le persone, ma te.» Inarcai un sopracciglio smettendo di spingere, l’altalena lentamente si fermò e io mi piazzai di fronte a lei inginocchiandomi.
«Ma io non sono malato..» mi carezzò i capelli, aveva quattordici anni.
«Si che lo sei, solo che non riesci a vederlo..»
 
Mi ridestai di colpo sbattendo le palpebre, la luce del sole mi accecò, la sagoma nuda accanto a me adesso mi abbracciava forte continuando a dormire. Non capivo perché avessi fatto quel sogno, perché avessi ricordato proprio quel momento.. o forse si. Forse sapevo bene il perché, semplicemente non volevo ammetterlo. Alice aprì lentamente gli occhi e il suo sorriso provocò una scarica elettrica sul mio petto, il mio cuore sembrava voler esplodere.
«Odio quando mi fissi in questo modo.. sembri rimuginare su tutta la tua vita.» Mi accarezzò la guancia, le afferrai il polso baciandole il palmo della mano profondamente.
«Pensa positivo, non c’è un ricordo in cui tu non ci sei..» l’attirai contro di me per non farle vedere i miei occhi bugiardi, ve n’erano molti di ricordi in cui la sua presenza non mi aveva illuminato e condotto sul cammino corretto.
«Uhm, e sentiamo qual è il tuo preferito?» Sorrisi sornione beccandomi un pizzicotto. «Non dire la nostra prima volta, saresti degradante.»
«Ma perché scusa? Sei stata una vergine molto esperta..» fermai la sua mano prima che mi colpisse, ridendo a crepapelle.
«Ma sei uno stronzo, lo sai? Allora vuoi sapere il mio?» Mi fissò attentamente, era come se mi stesse traendo in trappola.
«Si.»
«Quando ti ho visto uscire dai cancelli della prigione, un uomo nuovo per una vita nuova.» Restai in silenzio frenando la voglia di allontanarmi da lei, provando a modulare il mio respiro.
«Vuoi sapere il mio?»
«No, non voglio.» La sua risposta mi spiazzo, reclinai il capo con sguardo interrogativo. «Non voglio, perché so che il tuo ricordo non mi piacerebbe.. hai sempre avuto un pessimo gusto nello scegliere i momenti insieme.»
«Questo perché non ne getterei via nemmeno uno..»
«Ne sei sicuro?» Sbattei le palpebre e la sua immagine sembrò svanire per un secondo, rovistai nella mia memoria scuotendo il capo.
«Non ne getterei via nessuno.»
«Anche se quel ricordo non esiste ancora?» Non ebbi l’agio di risponderle mi baciò impetuosamente, e sotto le lenzuola dimenticai persino il mio fottuto nome.
 
***
 
«Pensi di riuscire a correre oggi?» Era la trentesima volta che me lo domandava, ed era la trentesima volta che annuivo esasperato.
«Non commetterò alcun errore stavolta..» stavo per dire loro ‘’fidatevi di me’’ ma sapevo quanto sarebbe suonato ridicolo, ed evitai.
«Pensiamo positivo quasi nessuno ha scommesso su di lui stavolta, in giro si è sparsa la voce che ha perso il suo ‘’tocco magico’’.» La voce di Peter era al solito monocorde ma pregna di sarcasmo mentre apriva una lattina di birra sorseggiandola soddisfatto. Storsi le labbra in una smorfia carica di disprezzo, non avevo perso un cazzo, ero ancora quello di prima e quella notte lo avrei dimostrato.
«Dovremmo invitare anche Alice stavolta?» Al suono di quel nome la mia attenzione si fece immediatamente pressante, guardai James curvando le labbra all’insù.
«Cosa stai pensando di dimostrare?»
«Ti caghi in mano di quello scricciolo, magari eviterai di presentarti mezzo morto come l’ultima volta.» Provai a colpirlo con un calcio ma lo schivò abilmente mentre Peter beveva in silenzio.
«Invitala pure, non ho alcun problema.» Non era vero, ne avevo molti più di quanti potessero pensare o contare, ma il mio orgoglio aveva parlato come al solito per me.
 
Avevo come l’impressione che quella sera vi fossero più persone dell’altra volta, aspettavano tutte il mio fracasso? Era divertente vedere come un singolo errore oscurasse i cento successi precedenti, era così anche con le buone azioni in fondo. Una singola buona azione non riusciva a curare le cento sbagliate, ma l’unica azione sbagliata riusciva a contaminare le cento giuste. Era fatto così l’essere umano in fondo, ero così anch’io quindi? Accucciato vicino il muretto fissavo l’auto con la quale avrei corso fumando l’ultima sigaretta prima dell’inizio, Alice mi venne vicino restando in piedi con le mani dietro la schiena.
«Un rispettabile dottorino non dovrebbe venire in posti come questi, non lo sai?» Mi guardò in tralice annuendo con finta accondiscendenza.
«Il rispettabile dottorino sta col peggiore elemento della città, questo la rende un po’ meno rispettabile?» I miei occhi percorsero la sua figura a partire dalle caviglie nude appena sotto i jeans che fasciavano abilmente le sue cosce perfette, finendo con una camicetta che stringeva appena il punto vita sottile e il seno alto e non eccessivo.
«Questo la rende assolutamente una ragazzaccia, la peggiore.» Gettai la cicca con una schicchera precisa, alzandomi e togliendo la polvere dai pantaloni della tuta strappandole poi un bacio a tradimento. «Resta vicino a James, non voglio che ti allontani per nessun motivo.» Le afferrai il mento con due dita stringendolo con eccessiva forza, come a volerle imprimere quel comando senza possibile via di fuga. Provò a divincolarsi ma non glielo permisi, mi fissò con gli occhi lucidi di chi provava dolore ma non voleva darlo a vedere e alla fine annuì. «Brava ragazza..» sorrisi allontanandomi da lei per salire sulla vettura, non fissai nessuno ero solo io e la strada. Una ragazza si mise di fronte a noi, era vestita in maniera troppo appariscente e v’era stato un momento della mia vita in cui quello era il prototipo di donna che avevo collezionato, un album senza fine che avevo ormai relegato in fondo a un cassetto della mia mente.
Le labbra scarlatte si poggiarono al fischietto, tutto tacque finché non sentii il fischio d’inizio e partii senza più alcuna remora. La strada era parzialmente buia, il limitare della vista poteva essere una pesante difficoltà, ma io non mi fermavo di fronte a niente e nessuno; ancora una volta percepii quella sensazione di legame tra me e le auto, qualcosa che non sapevo spiegare come se fossi nato con quel ‘’dono’’. Aumentai la marcia e il tachimetro schizzò in alto e lì restò per tutta la durata della corsa, senza decelerare neppure nelle curve. Stracciai tutti, vinsi a mani basse arrivando con uno scarto di un minuto buono, e quando scesi tra la polvere e il boato mi accolse io riuscivo solo a guardare Alice, James e Peter che mi fissavano da lontano, la prima con occhi terrorizzati e gli altri due con uno sguardo indefinito. Sorrisi sghembo prima che la folla mi accerchiasse e inghiottisse.
 

 
(          ALICE      )
 
 
Temevo di aver perso battiti vitali del mio cuore mentre fissavo quelle auto correre come forsennate, o possedute da una qualche sorta di demonio. Il denaro in fondo era una sottospecie di demone, no? Il pensiero che lui fosse lì dentro, e rischiasse di schiantarsi, rendeva le mie ginocchia molli come gelatina. Unii le mani come se pregassi mentre i miei occhi spaventati fissavano una per una le auto che compievano giri regolari.
«Vincerà lui.» La voce di Peter mi fece quasi sobbalzare, lo guardai annuendo, eravamo amici da così tanti anni. Lo avevo visto praticamente crescere, così come per James.
«Stavolta si..» mi fissò incuriosito, come se le mie parole nascondessero chissà quale significato.
«Che hai, Alice?»
«Nulla, penso semplicemente a quando smetteremo di mentirci a vicenda..» ero sicura che Jay avesse fatto nuovamente qualcosa di sbagliato, ero un medico e me ne sarei accorta con un qualsiasi estraneo figuriamoci con qualcuno che amavo. Semplicemente non volevo accettarlo.
«Perché non inizi tu a dare il buon esempio?» Le sue parole furono simili a uno schiaffo, lo guardai sentendo le labbra tremare dalla voglia di piangere.
«So che forse per te è incredibile o assurdo, ma a volte nella vita vogliamo proteggere qualcosa con tutte le nostre forze.» Sembrò spiazzato dal mio tono rude e terrorizzato al tempo stesso.
«E tu cosa proteggi, Alice? Te o lui?»

 
  
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