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Autore: fervens_gelu_    17/05/2019    0 recensioni
Un sonnifero di troppo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se c’è ancora qualcosa si chiama assenza
 
 
Era un dolore sordo quello che accompagnava Roberto, un dolore che a volte si spezzava con una violenza disumana all’interno del cuore, fino a colpire i polmoni, fino a farli sanguinare. Un dolore forse incapace di essere ascoltato da chi gli era accanto.

Aveva una madre assente, spesso indaffarata, era infermiera in un piccolo ospedale di periferia e gli orari massacranti a cui era sottoposta non le permettevano di trovare quel po’ di tempo necessario per dialogare con suo figlio. L’unica traccia di suo padre era quella cornice d’argento che si trovava sul comodino, spesso tracimante di polvere; si chiamava Massimo. Senza fratelli né sorelle, Roberto aveva perso il ragazzo da qualche giorno per colpa di un infarto dovuto a uno sforzo eccessivo sul campo da calcio.

Questa era la vita di Roberto, una vita vuota, il suo corpo era solo il telaio bianco che teneva in piedi questo strazio, uno strazio che durava da tempo. Ma la verità è che quella sera Roberto aveva deciso di farla finita, aveva pianificato tutto nei minimi particolari dopo la morte di Giovanni e nessuno gli avrebbe impedito di portare a termine quell’ultimo sforzo, dopo una vita che era stata fatta solo di fatiche e coercizioni per farsi volere bene dalla madre, per farsi volere bene forse, in piccola parte, nemmeno lui sa da chi, forse da un padre che non aveva mai conosciuto ma che da qualche parte lo aspettava e lo pensava, forse da un essere superiore, da un dio o chissà cos’altro, che gli avrebbe dato l’ok, se solo avesse rispettato i piani che a un giovane ragazzo come lui sembravano i più normali, i più confacenti. Questo, almeno, prima di incontrare Giovanni, i suoi occhi, quelle labbra, i suoi capelli che lo avevano incantato dal primo giorno che lo aveva visto fare educazione fisica.

5A vs 5G, di certo non poteva dimenticare quella sfida, il cuore in gola non appena si strinsero la mano alla fine della partita, le braccia forti di Giovanni quando schiacciava, quel sorriso furbo che a volte lo faceva desistere dal ricevere il pallone dopo la battuta. Avrebbe voluto farlo vincere a tavolino, lo avrebbe guardato estasiato fare un punto dopo l’altro, mentre i muscoli si flettevano, mentre lo sguardo si concentrava sull’obiettivo. Tutto era sfumato nella mente, forse per colpa di quel sonnifero di troppo che aveva deciso di prendere l'indomani per farla finita, forse perché non mangiava niente di solido da due giorni, forse perché era questo quello che gli si scatenava dentro al petto e dentro la testa non appena pensava a Giovanni. Lo pensava dentro a una tomba, ma pur sempre con gli scarpini e la maglia della squadra locale, magari senza pantaloncini, così da poterselo ricordare meglio. Così da potersi ricordare meglio quando il suo membro, durante le notti di stelle vibranti di passione, si ergeva di fronte alle sue labbra rosee. 

Tutto era così sfumato, in realtà, perché i ricordi correvano veloci, talmente veloci, con una prepotenza di chi sa che si non sarebbe più risvegliato. Ricordi che bisognava assaporare lì per lì, senza troppi antipasti, ricordi che per lui erano solo da legare con un filo indissolubile al calciatore più bravo della squadra, perché erano gli stessi che avevano colorato d’arancio la sua tela: il primo appuntamento e i due gelati al limone che sgocciolavano sulle scarpe di Roberto facendo ridere a crepapelle Giovanni, le mani che si intrecciavano e si avvinghiavano non appena passavano sotto un ponte, poiché al centro, vicino alla Chiesa sarebbe apparso per loro disdicevole. E in fondo nessuno sapeva di quella che sarebbe divenuta da lì a poco l’unica relazione di Giovanni. I baci al mare, quando la marea sembrava volesse trascinarsi le ossa dei ragazzi negli abissi, per conservare lì quell’incontro prezioso, poi i finti pomeriggi di studio; Roberto che era una scheggia in chimica, Giovanni si sapeva dimenare ben poco in qualsiasi materia, ma accettava sempre di buon grado l’aiuto del suo ragazzo.

Un rapporto durato poco, molto forte, stroncato facilmente da un colpo al cuore durante la partita della domenica. Roberto lo era andato a vedere, ricorda di averlo visto esultare per il suo ultimo goal, poi più niente, il grigio lo aveva posseduto, il nero inghiottito, l’arancio del mare andato a coccolare un’altra coppia, qualcuno che forse lo meritava più di loro.
 
Ora vedeva i cassetti sempre più annebbiati, la luce della lampada sul comodino come se volesse scomparire, il fioco lume che lo teneva con gli occhi ancora aperti erano gli occhi di Giovanni che immaginava sorridenti, mentre dava un calcio al pallone, o mentre lo baciava delicatamente sulla fronte. Ma il posto in questa vita, per uno come lui, che non aveva mai avuto amici, che non aveva potuto vantare l’amore di una madre e tantomeno di un padre, non c’era. A Roberto sembrava giusto così, era giusto che tutto scomparisse, che tutto si risolvesse con quella morte premeditata; Roberto si sarebbe tolto d’intralcio, sarebbe scomparso, si sarebbe fatto polvere invisibile, non sarebbe mancato a nessuno.

Quel dolore che fino ad allora era stato sordo sembrava trasformarsi in un vero dolore, un dolore che a tratti squarciava il cielo.

Ma poi più niente, i sorrisi dei ricordi tramutati in una smorfia, le gambe e le braccia non più rigide si irradiavano sul lenzuolo come in un’opera d’arte neoclassica. La corsa in ospedale della madre, gli sforzi incessanti dei medici, i pianti che dilaniavano le mura bianche e fredde erano come ultrasuoni che volevano negare una verità. Anche da quella Chiesa che aveva visto sbocciare un amore una piccola crepa di pianto sembrava ricostruirsi sulla facciata, un fumo nero sembrava addensarsi all’orizzonte, la marea sembrava stesse fagocitando solo qualche pezzo di plastica. Nessun pianto, nessun silenzio, nessun rumore, nessun colore avrebbe riportato in vita qualcuno che in vita era stato considerato morto da chiunque. I pianti a scuola erano ricorrenti, eppure tutti sapevano che tra Giovanni e Roberto fosse nato qualcosa di speciale e nessuno aveva provato ad aiutare Roberto in quei giorni di cieco vivere. La madre piangeva tanto, piangeva qualcuno che però non conosceva realmente. Non le era rimasto più nessuno.

Solo il mare ricordava qualcosa, ma lo dimenticava in quell’attimo in cui l’arancione incontrava il cielo, dove ogni cosa sembrava immobile, perché era in quel momento che la 5G chiedeva la rivincita alla 5A, all’insaputa di tutti.














Nota dell'autore: ho scritto questo piccolo raccontino (ci ho messo il rinforzo perché sì, è davvero breve)  poiché colto da una leggerissima ispirazione. Anche se mi chiedo, ispirazione di che? Alla fine ammazzo sempre un po' tutti, la cosa non mi è nuova, ma proprio per niente, e non lo sarà nemmeno per chi avrà letto qualche altro mio racconto qui su efp, sicuramente di gran lunga più ispirato rispetto a questo. Non pubblico a caso il racconto oggi, dato che proprio oggi, 17 maggio, è la giornata contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia. Mi dispiace aver solo sfiorato l'argomento, che spero sia comunque sottinteso in almeno qualche passaggio, ma tutta questa verve per scrivere qualcosa di impegnato e magari a lieto fine a quanto pare non ce l'ho. Un abbraccio a chi anche solo leggerà!
   
 
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