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Autore: Iryael    19/05/2019    2 recensioni
Ratchet racconta in prima persona l’esperienza della DreadZone: l'arrivo, la finta libertà dei gladiatori, le giornate scandite dai combattimenti, la fuga.
«All'inizio mi rifiutai di capire che quel che pensavo dei gladiatori, in realtà, era l'immagine che i mass-media vendevano agli spettatori. Ma il mio rifiuto non durò a lungo: bastarono pochi giorni a farmi aprire gli occhi.
Non esisteva paragone migliore del circo: noi gladiatori eravamo le fiere; mentre gli Sterminatori, le brillanti stelle dello spettacolo, erano domatori che si alternavano sulla pista dell'Arena.
Poi c'era lui, Gleeman Vox. Lui che aveva l'abito rosso del presentatore e coordinava la baracca, guadagnando sulla nostra pelle.
Fama, soldi e belle ragazze erano la nostra gabbia dorata. Quella vera, esplosiva, ce l'avevamo chiusa al collo.
Aprire gli occhi mi fece incazzare di brutto.
Nessun circo poteva permettersi di tenere un drago in gabbia. E loro - Vox e compagnia - l'avrebbero capito presto.»

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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Big Al, Clank, Gleeman Vox, Nuovo Personaggio (Takami Kinomiya), Ratchet] [Probabile OOC]
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 13 ]
Ripago Rop'roc e Al mi minaccia
(Io ODIO i lunedì)
 
Presente. Sempre 20 Febbraio 5408-PF
Metropolis, attico del Khelith Building
 
«Le dicevo: ci volle una settimana perché mi riprendessi.» disse Ratchet. «A quel punto, però, eravamo già rientrati alla stazione spaziale.»
Riklis fece una smorfia contrariata. «Ma aveva parlato di punti extra! Su Catacrom!»
La coda ondeggiò nervosamente contro l’ecopelle del divano mentre il lombax, dopo aver chiuso di scatto la bocca, si rese conto di aver confuso due settimane ben distinte.
«Allora?» incalzò lo xarthar.
«Ho sbagliato.» ammise. «I punti extra su Catacrom li abbiamo presi, ma in un altro momento.»
«Piuttosto comodo dire così, adesso. In aula sarebbe stato un passo falso parecchio brutto.»
«Ma non siamo in aula. Sono passati otto anni e per di più non sto manco usando l’estrattore mnemonico.» rimbeccò. «Si rilassi; adesso le spiego. Si ricorda della bomba che piazzammo su richiesta di Ran’jio?»
Lo xarthar annuì. Il fatto che una richiesta simile fosse uscita dalla bocca di un sacerdote l’aveva intrigato da subito.
«Per noi non ebbe conseguenze perché esplose molto dopo la fine della nostra gara...» andò avanti Ratchet «Ma non ho dubbi che il “circuito che sminchia il controllo delle armature” fosse una scusa per manipolarci.»
«In che senso?»
«Il goal, a un primo impatto, era una colonna di luce fra terra e cielo. Saltato il meccanismo, secondo lei, quale fu la prima cosa che cambiò?»
Quella era facile. «Niente più colonna di luce, suppongo.»
«Bling! Risposta esatta!» la coda batté due volte contro il divano. Il tono si fece più serio. «Dopodiché, un battaglione alla volta, un esercito di finti semôke arrivò dalle colline vicine e trascinò i miscredenti di Vox in una bolgia.»
Lo xarthar avvicinò appena le sopracciglia, insicuro di aver capito.
«Era un segnale? È questo che vuole dire?»
«Io e gli altri crediamo di sì. Pensiamo anche che fosse premeditato. Non era possibile, altrimenti, che così tanti combattenti arrivassero in così poco tempo. Erano organizzati ed erano abituati alla guerra coi soldati DreadZone. Per di più ogni caduto robotico aveva una possibilità di diventare un corpo per i finti semôke, e quindi portare armi di ultima generazione alla loro causa. Mi creda quando dico che hanno ridefinito il concetto di massacro.» Attimo di silenzio. «Infatti nei giorni dopo nessuno poté accedere alle gare accessorie perché bisognava stabilizzare la pista. Vox fece spedire il suo esercito, le squadre di tutti i Rivendicatori e addirittura gli Sterminatori – quelli veri, non i cloni per lo spettacolo – e nonostante tutto ci volle tempo per riportare l’area sotto controllo. Ecco perché, al di là che Takami era un budino e io ero k.o., non cercammo punti extra in quel momento.»
 
Ci sono momenti in cui il discorso si spegne naturalmente. Quello ne fu un esempio. La voce si spense nel silenzio del salone e in quello dei pensieri dell’avvocato, che non rispose. Rimase seduto, immobile, con le gambe incrociate e una mano attorno al mento, immerso nella valutazione di quanto aveva sentito.
Era deluso, non poteva negarlo. E si chiedeva – dato il modo in cui l’altro aveva ritrattato – se piuttosto avesse mentito per nascondere qualcos’altro.
Alla fine schioccò la lingua e fissò Ratchet dritto negli occhi. «C’è un modo per verificarlo?»
Il lombax scrollò le spalle. «Non ne sono sicuro... ma Vox vendeva tutto ciò che poteva vendere. Provi a controllare se ne fece uno show.»
«E se non ci fosse nulla?»
Le orecchie di Ratchet si abbassarono. Lo sguardo assunse un ché di minaccioso e la coda batté nervosamente contro il divano. «Allora la porterò su Catacrom e la farò maledire da Ran’jio in persona.»
Lo xarthar alzò un sopracciglio, rendendo in qualche modo il suo volto ancora più affilato.
«Però.» commentò, ammirando la prontezza del suo interlocutore. «Drastico ma efficace. Quasi quasi ci conto.» E sorrise; i denti affilati in mostra come quando, in aula, aveva appena guadagnato qualcosa dall’avversario.
* * * * * *
Passato. 2 Novembre 5401-PF
Stazione spaziale DreadZone
 
Il primo ricordo di dopo che mi ripresi è una seduta di gruppo. Non dal medico, ovviamente: l’infermeria era pericolosa quasi quanto l’arena. Eravamo noi del team DarkStar, sparpagliati nella mia cella, a parlare di Chaos. Proprio della donna di fumo, già.
Clank non si era dimenticato delle parole che Takami aveva pronunciato all’inizio della gara e aveva chiesto spiegazioni. Big Al disse che aveva motivi suoi per volere spiegazioni. A me tornava bene perché non volevo segreti fra noi. E quindi eccoci lì.
Certo, Al aveva il muso e Takami stava asserragliata sulla branda più alta, ma almeno erano disposti a parlarsi. Anzi, fu proprio lui a cominciare.
«Tagliamo corto. Chi è Chaos?»
Dal tono si capiva che non avrebbe tollerato risposte evasive. Takami, però, non era intenzionata a dargliene. «È un4 t0ksâm4.» disse, suonando a tratti acutissima e a tratti cupissima. Il collare, che dalla gara non era stato riparato, era peggiorato.
Le sopracciglia di Al si avvicinarono, disegnando una ruga verticale. «È la sua specie?»
«Sì.»
Clank emise una specie di “hm” a bocca chiusa. Al non gli badò. «Mai sentita. Cos’altro sai di lei?»
«N0n h4 un4 f0rm4 pr3c1s4... È fum0.»
«Fumo?» s’intromise Clank, disorientato. «Vuoi dire che non ha una massa corporea ben definita?»
«C0s’è un4 m4ss4 c0rp0r34?»
«È l’insieme delle membra di una persona. In un organico sono l’apparato muscolo-scheletrico, quello cardiovascolare, quello respiratorio–»
«Clank.» lo interruppi, notando una bolla di confusione sulla faccia della bambina. «Falla semplice.»
«Oh.» la testa dell’antenna lampeggiò un paio di volte. «Parlo del corpo, Takami. Come può non averlo di una forma precisa?»
Le guance le si fecero più rosse. «N0n... N0n v0l3v0 d1r3 qu3st0. È ch3 può pr3nd3r3 l4 f0rm4 ch3 vuol3, sol0 ch3 ult1m4m3nt3 pr3f3r1sc3 f4r3 l’um4n4. P3rò d1 fum0». Notando che la spiegazione non aveva sortito l’effetto sperato, la piccola si giocò l’ultima carta. «Anch3 R4tch3t e 1l s1gn0r Al l’h4nn0 v1st4, p0ss0n0 d1rt3l0 4nch3 l0r0.»
Io e Al ci scambiammo un’occhiata sorpresa. Probabilmente pensammo anche la stessa frase: sul serio?
Clank ci studiò attentamente. E pose la domanda che avevo appena pensato.
Io e Al confermammo.
«E anche per voi era un’umana di fumo?» insisté Clank.
Ripensai al gazebo, al tavolino e alla mano affusolata con cui aveva creato e fulminato il mio simulacro. «Sì.» mormorai semplicemente.
«Vero. Inquietante». Il tono di Al era schifato.
«Quindi figura slanciata, due braccia, due gambe... quante dita per mano?»
Al scosse la testa. «Non ho guardato.»
«Cinque.» risposi con sicurezza.
«E 0gn1 t4nt0 s1 f4 cr3sc3r3 l3 4l1. Du3 4l1 gr4nd1, c0m3 qu3ll3 d1 B4ttl3-H4wk. P3rò l3 0di4.» aggiunse Takami. «D1c3 ch3 p3r 1 t0ksâm3 s0n0 un s3gn0 d1 d3b0l3zz4.»
Momento di silenzio. Che diavolo significavano le ali? Le odiava perché modellarle era difficile? Erano un modo per depistare i sospetti sulla sua identità? O le odiava perché era la forma umana ad essere il depistaggio e quindi erano indizi rivelatori?
«Che altro sai di lei?» domandò Clank.
Takami fece segno di pensarci su. Poi, col suo sintetizzatore impazzito, rivelò: «Ch3 vi3n3 d4l T3öm4 Lôjs3.»
Passarono altri secondi di silenzio. Io mi feci più attento. Dove diavolo era quel posto? Al invece si fece scettico, mentre Clank si fece assente. Immaginai che avesse lanciato una ricerca nei database. Immaginai bene.
«Strano, non ho toponimi corrispondenti nelle mie mappe.» disse, tornato presente. «Sai dirmi in quale galassia si trova?»
«N0n cr3d0 ch3 è 1n qu4lch3 g4l4ss14.»
«Questo non è possibile.» intervenne Al. «Se è un pianeta, allora è per forza in una galassia. E non credo proprio che Vox abbia esplorato galassie esterne.»
Altro secondo di silenzio.
«...D1r3 p14n0 è ugu4l3 a d1r3 p14n3t4?»
Non c’era retorica nella sua domanda. E neppure ironia. Stava davvero chiedendo se fossero sinonimi.
Il lumino sull’antenna del mio amico prese a lampeggiare di colpo più intensamente.
«Sono due cose diverse. Perché lo chiedi?»
«N0n l’h0 c4p1t0 t4nt0 b3n3 qu4nd0 m3 l’h4 sp13g4t0, m4 s0 ch3 c’3ntr4 c0l n0m3. T3öm4 Lôjs3 1n P4nskâr4 Vu0l D1r3 P14n0 S4cr0.»
«Panskâra? Sei sicura?»
Lei annuì. «Tutt1 1 t0ksâm3 p4rl4n0 p4nskâr4.»
«Ma il panskâra è un dialetto morto da moltissimo tempo. Non può conoscerlo.»
Il petto le si gonfiò d’aria e la sentimmo espirare a lungo, quasi come se sbuffasse. Poi, con voce decisa ma segnata dal guasto, ripeté: «Tutt1 1 t0ksâm3 p4rl4n0 p4nskâr4 . È l4 l0r0 l1ngu4.»
Il tono era quello di chi non torna indietro, ma tutto il resto del corpo trasmetteva disagio: le mani nascoste, lo sguardo basso, la schiena curva. Le costava fatica contraddire Clank; tanto più che quando tornò a guardarlo il tono si fece più tremolante.
«S0n0 st4t1 l0ro 4 1ns3gn4rc3l0 4ll’1n1z10 d31 t3mp1. È l4 l1ngu4 p1ù 4nt1c4. È l4 m4mm4 d1 tutt3 qu3ll3 ch3 c0n0sc14m0. È p3r qu3st0 ch3 l4 c4p1sc0n0 tutt1.»
A ben pensarci non avevo avuto alcuna difficoltà a capire i discorsi di Ran’jio o dei fratelli Rab. Be’, per Ran’jio potevo ipotizzare che fosse per via della gioventù dell’armatura... ma che dire della congrega che avevo trovato in fondo alla spirale discendente? Mascherina e quell’altro erano pezzi da museo.
«Ho alcune iscrizioni nel database. Non si direbbero così comprensibili.» insisté Clank.
«È p3rché l’3ff3tt0 v4l3 s0l0 c0n l3 p4r0l3 p4rl4t3. Lo scr1tt0 è d1ff1c1l3: l3 l3tt3r3 s1 s0m1gl14n0 tutt3. P3rò tutt1 1 f1nt1 s3môk3 p4rl4v4n0 p4nskâr4.»
«Puoi provarlo?» sfidò Al. In contemporanea Clank domandò: «Cos’è un finto semôke?»
Takami fissò prima uno e poi l’altro. L’espressione di Al s’indurì. Senza dubbio aspettava che lei ammettesse di non poter rispondere alla sua provocazione.
La piccola incassò la testa nelle spalle e spostò lo sguardo su di me. Si morse il labbro: prima indecisa, poi mesta. E ci stupì con gli effetti speciali.
«Qu1 4 Dr34dZ0n3 l1 ch14m4n0 z0mb13 r0b0t. M4 n0n s0n0 v3r1 z0mb13! Ch40s m1 h4 sp13g4t0 ch3 1n r34ltà...»
* * * * * *
La conversazione, dopo quel momento, diventò un labirinto di domande. La spiegazione in panskâra – perché fu in quel dialetto che parlò per tutta la pappardella sull’incantesimo sbagliato e i templi sigilli – ci destabilizzò su più livelli.
Il primo: come diavolo faceva Takami a parlare un dialetto morto? Chi era Chaos per poterglielo insegnare, se (a detta di Clank) neanche gli archeolinguisti erano riusciti a ricostruirlo?
Il secondo: anche ammettendo che il suo panskâra fosse un falso, com’era possibile che una lingua sconosciuta fosse comprensibile al primo ascolto?
Il terzo: che razza di specie erano i toksâme, che secondo Clank non esistevano su nessun database?
Il quarto: magia e incantesimi. Sul serio nel 5401 Post Federazione si poteva parlare di magia e incantesimi? Era blasfemia scientifica. Eppure il magimessaggio di Ran’jio l’avevo visto e pure toccato. E non era per certo un ologramma.
Infine il quinto, che però era un indovinello solo mio: il marchio sulla mano sinistra. Il “dono” di Chaos; quello che, secondo lei, mi avrebbe impedito di schiattare folgorato. Di quello non avevo parlato con gli altri. C’era già confusione a sufficienza per aggiungere altri argomenti; tanto più che tutti (io compreso) ritenevamo il problema superato con la w.a.v.e di Rop’roc. La stessa che, in quel momento, pesava nella mia mano.
Non mi vergogno ad ammettere che ad un certo punto la usai come via di fuga. All’epoca ero di vedute più strette e la 6-538, per il mio raziocinio, si era fatta intollerabilmente piena di argomentazioni assurde. Così avevo lasciato la cella con due idee in testa: schiarire i pensieri e saldare il debito contratto con la spalla di Conundrum Dynamo.
Prima di Catacrom l’idea di un debito mi aveva fatto storcere la bocca. L’avevo accettato perché c’era un conto alla rovescia e perché di mezzo c’era Clank, che ha giudizio da vendere. Però un terzo dei punti era un prezzo decisamente salato. Per questo avevo fatto il possibile, con la mia squadra, per poter dare indietro quella w.a.v.e quanto prima.
E quanto prima era giunto.
Raggiunsi il Padiglione 5 – quello dei VIPs – e camminai guardandomi intorno. C’ero passato qualche volta, ma non mi ero mai preso il tempo di scuriosare. Quella volta lo feci. C’erano poche telecamere, c’era la moquette e le porte erano di una fattura ben più civile dei nostri portelloni da hangar. Agli angoli dei corridoi c’erano anche dei vasi di fiori! Che dire: sembrava un albergo.
Rop’roc viveva lì. La porta della cella aveva il suo nome serigrafato in oro, come il caravan di Clank agli studios. Bussai.
Non avevo un’idea precisa di chi mi avrebbe aperto, ma vedere un blarg mi prese in contropiede. Dalla rovina di Drek non ne avevo incrociati molti.
Il tipo alzò un sopracciglio. Mi squadrò testa-piedi e ritorno. Eravamo alti uguali e vestivamo la stessa tuta grigia, ma gli inserti sulle sue spalle erano blu. Significava che era un livello Crociato, ossia che aveva sconfitto gli avatar di due Sterminatori. Credo che fu vedermi spalline color ruggine a fargli brillare una luce di compiacimento negli occhi.
«Shì?» domandò, il tono indolente di chi sapeva già la risposta.
«Devo parlare con Rop’roc.»
Un sorriso calcolatore gli comparve sul volto. Si fece da parte con un movimento fluido e con un gesto del braccio accennò alla stanza. «Entra pure.»
Quando cominciai il passo mi ricordai – come un flash improvviso – che non era una cosa furba. Avevo già un piede in aria a quel punto. Anche se sembrai un cretino, lo ripoggiai al di qua dell’uscio.
Rop’roc alzò di nuovo il sopracciglio. «Allora, entri o no?»
Presi il collare fra pollice e indice e lo sollevai leggermente. «E prendermi la punizione? Grazie, facciamo un’altra volta.»
Il blarg sembrò irritarsi per la mia reazione. La mano che indicava l’interno cadde lungo il fianco e il tono si fece stizzito. «Entra e non farmi perdere tempo, nevezh! Non c’è shcossha qui!»
* * * * * *
La cella era un salotto decente. Niente divani o poltrone, ma un tavolo di vetro con sedie in pelle. Ma soprattutto: niente scossa, niente avvisi, niente di niente.
Sul tavolo c’erano un’arma smontata, pezzi di ricambio e olio per la pulizia. Rop’roc e io sedemmo e lasciai la w.a.v.e ai margini di quella piccola nebulosa di pezzi sparsi.
«Ho shentito parlare di te, asshasshino di Shkìosh. Con ciò che dicono è facile dimenticare che shei un novellino.»
Ah! Ma allora la dislalìa non l’avevo immaginata! E quella di Kau Silvestro, nientemeno! [1]
«Spero che siano voci interessanti.» affermai, complice; la smorfia resa genuina dal paragone con quel vecchio personaggio che tanto apprezzavo. Quanto all’argomento: avevo già raccontato la mia versione a tutti quelli che si erano degnati di ascoltarmi, e avevo capito che comunque non sarebbe cambiato nulla nelle balle che mormoravano. Tanto valeva ascoltare cosa dicevano e riderne.
«Molto interesshanti. Come shei riushito a inculcare una parola d’ordine che accendesshe le abilità della tua shpalla?»
Sul serio era così evidente che quella fosse una parola d’ordine?
Feci spallucce. «Ho avuto fortuna.»
Anche perché non gliele avevo inculcate io. Che lei le avesse già: quella era stata la nostra fortuna.
«Veramente io intendevo il metodo ushato.»
A quel punto allungai un sorriso un po’ sbruffone. «Vuoi mettere le briglie al tuo Eroe?»
Rop’roc ridacchiò. «Chisshà, magari a Dynamo piacerebbe anche.» e lasciò cadere l’argomento. «Piuttoshto, per prima: mi ha shtupito che la tua umana non ti abbia detto della “flesshibilità” della shcossa.»
«Colpa mia. Le ho dato altro su cui concentrarsi.»
Lui annuì come se avesse capito tutto, poi mise su un tono condiscendente. «Comunque nel padiglione cinque shono gli inquilini che shelgono a chi applicare la regola della shcossha. Shai che shfiga per i miei affari she nesshuno potesshe entrare qui.»
Fui io a fare una smorfia simile alla sua. «È un vantaggio che viene con l’armatura blu?»
«Viene perché ho firmato un contratto con Vox. Shono un gladiatore professhionishta adessho. Ma shono anche filantropo. Come possho aiutarti?»
«Già fatto.» e accennai alla massa informe di stoffa scura. «Sono venuto a pagare il debito.»
Il blarg spostò la w.a.v.e con cura, stando attento a non farla scontrare coi pezzi dell’arma sventrata, e l’aprì davanti a sé. Per alcuni istanti ci fu silenzio, mentre coi polpastrelli saggiava il tessuto come un sarto esperto.
«Di shicuro l’hai ushata.» Allontanò la mano e osservò un residuo scuro sulle punte delle dita. «Fino al shuo ultimo briciolo di potenziale, anche: gli elettrodi shono bruciati.»
La mia prima reazione fu di sorpresa. Non me n’ero accorto affatto... e pareva proprio che neanche i miei amici se ne fossero accorti. Ma quando si era bruciata? Nel combattimento coi fratelli Rab? Con la schienata tremenda post landstalker? Sotto il Muro delle Formiche?
Rividi in un istante le scariche piovute dalla cupola di Takami. Se avessi scommesso, avrei detto di averla bruciata lì. «È stata molto utile.» commentai semplicemente.
Dopo poco smise di rimirare la circuiteria e posò la tuta. «E me la vuoi rendere?»
Lo lasciai aspettare la risposta. Gentile o meno, ero certo di non dover fornire spiegazioni a riguardo. Lui, però, mangiò la foglia e rilanciò: «Shono certo che potremmo trovare un accordo per la manutenzione che non shia troppo onerosho, she lo deshideri. Non shono lo shtrozzino che gli invidioshi dicono.»
Mi rimbalzò in mente il costo del nostro nolo e ammirai la sua faccia tosta.
«È un’offerta generosa, ma ora non posso permettermela. Dopo che avrò pagato il nolo mi resteranno punti giusto per un carico completo di munizioni.»
L’arma più abbordabile era il decimator, ma volevano 15.000 punti. Noi non arrivavamo a 14.000. E avrei dovuto darne un terzo alla sanguisuga con cui parlavo.
Alzò un sopracciglio. «Eppure shapevo di una maggiorazione degli introiti...»
Intendeva quella promessa da Basher? Era sfumata dopo la morte di Skìos, quando l’avevo mandato a cagare. Mi strinsi nelle spalle. «Ti hanno detto male. Al momento siamo io, la mia squadra e le nostre forze.»
Come previsto Rop’roc non ribatté. Non subito. Strinse le labbra e si chiuse a pensare la mossa successiva, ma non ci mise molto. Capii dalla sua smorfia di aver vinto quella battaglia verbale. Subito dopo, a darmi conferma materializzò un tablet e me lo mise davanti. «Mettici una mano shopra... shenza guanto, per favore.» disse, asciutto. «Computer, avvia procedura di pagamento.»
L’attrezzo riconobbe la sua voce e si attivò. Si collegò alla Sala Classifiche, poi mi scannerizzò la mano e arrivò al mio conto. Poche istruzioni dopo vidi la cifra calare sotto i 10.000.
«Perfetto, direi che rimane sholo una cosha da fare.»
Non mi risultava. Fu la mia diffidenza che chiese un cauto: «Sarebbe?»
Rop’roc alzò una mano e mi fece ciao ciao. «È shtato un piacere fare affari con voi. Shpero di rishentirvi.»
«Sì, è stato un piacere.» risposi alzandomi. Ma spero di non ripetere.
Lo guardai riprendere in mano un pezzo d’arma e un panno macchiato d’olio, poi mi decisi a voltargli le spalle. Quella era fatta, mi dissi mentre mi avvicinavo alla porta.
«T’vara dai
Il mio collare fece click – il click metallico della spoletta rimossa dalla granata.
Sgranai gli occhi.
Oh mer–!!
* * * * * *
Eh?
Il collare ticchettava come un cronografo. Avevo la pelle d’oca, il cuore in gola e il dorso della mano sinistra che pizzicava.
Avevo pensato... – no, “pensato” no, era stata una specie di intuizione istintiva. Avevo “intuito” che il collare stesse per esplodere. Mi ero gettato a terra. E probabilmente avevo anche urlato, a giudicare da come Rop’roc mi stava guardando. Le sopracciglia tirate su, gli occhi sgranati, la bocca mezza aperta. Era allibito.
La sua reazione però arrivò prima della mia.
«T’vara shek!» il suo tono era scandalizzato. In quel momento la pelle d’oca sparì e il collare smise di fare rumore. «Ma shei impazzito?»
Non riuscii a rispondere subito. Dovetti tirare il fiato due o tre volte prima di riuscire a mettere insieme una frase.
«Cos’era... quello?»
«Ma quello cosha?»
«Quel click...»
Scosse la testa. «Non c’è shtato nesshun click.»
Lo fissai, stralunato.
«Forshe dovreshti andare in infermeria. I nanobot mal calibrati a volte danno allucinazioni.»
* * * * * *
Dopo quella magra figura lasciai la cella di Rop’roc. Mi tuffai nei corridoi e li percorsi a passi svelti senza badare a niente e a nessuno. Però non seguii il suo consiglio; non mi diressi all’infermeria. Io ero certo di aver sentito quel click, solo che non sapevo ancora come spiegarlo.
Forse, se ne parlo con gli altri...
Mi venne in mente quale fosse l’argomento al momento della mia uscita. Avranno finito con quella pazza, no?
Lo speravo, ma allo stesso tempo non ci credevo troppo. Per questo, quando rientrai nella 6-538 e li trovai ancora lì a parlare, non mi stupii più di tanto. Più che altro, vedendo Takami contro l’angolo in fondo, Clank sulla branda con lei e Al che puntava minacciosamente un dito contro di loro, intuii che il tono si fosse scaldato di nuovo.
«Allora, hai fatto?» mi fece, brusco.
Fu il tono, credo. Isterico, velenoso e irritante. Mi indispose con efficacia chirurgica.
«In effetti no. Secondo la lista devo ancora tirarti la testa fuori dal culo.»
Le porte della cella ricominciarono a muoversi, stavolta per chiudersi. Fronteggiai lo sguardo di Al per tutto il tempo che servì ai battenti per tornare a essere una parete. Guardai in faccia la sua sorpresa, il suo sconcerto, le sfumature della rabbia tingergli la faccia...
«Io avrei la testa nel culo?»
Spalancai le braccia. «Guardaci. Siamo noi, siamo soli e non siamo i favoriti del torneo. E tu cosa fai? Smonti la squadra!»
«Lei!» e indicò la branda alta a tutto braccio. «Guardala bene, Ratchet! Non ha fatto altro che metterti in pericolo e confonderci! E tu parli così a me?»
«Takami ha i suoi limiti–»
«TI HA UCCISO, te lo ricordi?!»
«ERA SUICIDIO, GENIO!»
Forse esagerai, ma ero sinceramente stufo di vederlo con quell’atteggiamento. Così, stufo di mio e innervosito dal suo tono, infierii: «IO ti ho dato la patch e IO ho chiamato quel pandemonio! E lo SAI! Sai benissimo che in quel momento rispondeva a un ordine preciso, ecco perché ti dico che hai la testa nel culo!»
Calò il silenzio. Un silenzio duro, reso ancor più ostile dalla rabbia.
«Se vuoi dare la colpa a qualcuno» insistei ancora «allora dalla a me, che mi sono fidato di Basher, o dalla al grande ChronoPath, che nonostante la sua grandezza non ha visto la trappola dentro cui mi sono ficcato!»
«Ero contrario a quella patch, infatti!»
«Ma l’hai installata! Mettila come vuoi, ma questo ti fa colpevole quanto me e Basher! E prendertela con Takami, che è stata un mezzo e non una causa, è un insulto all’intelligenza!»
«Sei TU che insulti l’intelligenza! E lo fai con la sua difesa ostinata!» digrignò i denti, la faccia ormai completamente rossa. «Non solo è totalmente incapace, ma sente le voci! Delira! E ti ostini a seguirla come fosse l’oracolo!»
«Nient’affatto!»
«Lei NON È un cucciolo da salvare! È una trappola mortale da cui guardarsi COSTANTEMENTE! E dopo oggi sono ancora più convinto che due robot sarebbero più sicuri e meglio gestibili di lei!»
Mi sembrava di urlare contro un estraneo. Quello non era Al... non era neanche l’ombra della sua persona gentile. «Ma ti senti parlare?!»
«Sono due settimane che mi sento dire, pensare e preoccupare! E tutto quel che ne ricavo è sentirmi dire che sragiono!»
Abbassai le orecchie. Lui mi puntò il dito contro.
«Serve una squadra più sicura, Ratchet. E se non ci vuoi pensare tu, lo farò io.»
* * * * * *
Quando Al lasciò la cella – e non ci volle molto – finii per fissare la porta mulinando la coda. Diamine.
«Non proprio la vostra massima espressione, devo dire.» commentò Clank. Le orecchie, sentendolo, sobbalzarono.
Mi ero dimenticato che nella stanza fossimo in quattro. Mi voltai immediatamente verso la branda più alta. Clank era amareggiato; Takami invece aveva la stessa espressione scossa di quando avevo raggiunto lei e Clank nel compattatore. Un attimo dopo saltò giù dalla branda e si avvicinò alla porta. Credendo che volesse seguire Al la fermai con una mano sul braccio. «Lascialo perdere. È meglio farlo sbollire.»
Lei scosse la testa e mi mostrò il braccio sinistro, dov’era tornato a campeggiare il bracciale tecnologico.
 
Non voglio seguirlo.
 
«E allora dove vai?»
 
Non lo so. Ma non riesco a stare qui.
 
La capii. Per alcuni non è facile mostrare noncuranza dopo aver assistito a una litigata. E io e Al non avevamo certo mostrato la nostra faccia migliore!
«Mi dispiace per la scenata. Siamo molto meglio di così.» dissi, punto dalla vergogna.
Lei annuì, poi abbassò lo sguardo.
 
Non ti scusare con me. È una regola, ricordi?
 
Storsi il naso, insofferente alla fedeltà verso quella cavolata.
 
E poi sono io che ho sbagliato tutto. Ho chiesto a Chaos di parlare a tutti perché non volevo che ti prendevano per matto, ma alla fine vi ho fatto litigare. Lei me l’aveva detto che non serviva, ma ho insistito! E poi ho usato il panskâra anche se lei non vuole e anche se sapevo che ti faceva paura sentirlo ancora!
 
Ah, ecco perché mi aveva fissato così a lungo prima di rispondere ad Al.
 
Pensavo che usandolo la situazione si calmava... ma è finita malissimo.
La squadra è rotta, Chaos è arrabbiata e io lo so che è colpa mia. Devo fare qualcosa. Devo pensare a qualcosa. Ma qui non ci riesco, qui mi sento solo in colpa!
 
Il tonfo ci colse alla sprovvista. Secco, come due pugni picchiati sul muro. Io e Takami ci girammo verso il tavolino e scoprimmo che Clank vi era atterrato sopra.
Saltando direttamente dalla branda.
Non che la distanza fosse immensa, ma non era da lui. Ecco perché si guadagnò due domande inespresse (che notò ed evitò con molta noncuranza).
«La squadra non è rotta.» disse invece. «Lo sarebbe se andassimo ognuno in una direzione diversa.»
«Che – per carità – è l’ultima cosa che ci serve.» e tornai a rivolgermi alla bambina. «Sì, quel dialetto mi dà i brividi, e col collare guasto era davvero tremendo.»
 
Scusami.
 
«Però capisco che era l’unico modo per uscire dal discorso in maniera pulita. Solo: non parlarlo mai più. O almeno avvisami prima di farlo.»
«Che facciamo con Al?» domandò Clank. «Non vorrei che commettesse una sciocchezza.»
Scossi la testa. «Lasciamolo sbollire.» ripetei. «Andargli dietro lo convincerebbe d’aver ragione.»
E poi cos’avrebbe potuto fare? L’ufficio del personale rispondeva a Vox e lui aveva già messo in chiaro che Takami sarebbe stato affar nostro.
Lei mi tirò appena la manica, ottenendo in risposta la mia attenzione.
 
Però il signor Al ha ragione su una cosa. Se continui a usare le parole di Basher finirò per ucciderti.
Ti ho dato la tuta di Rop’Roc perché credevo che bastava, ma sbagliavo. Non sei al sicuro neanche con quella.
 
Clank inclinò la testa, l’antenna lampeggiante. «Che vuoi dire?»
Sentii un brivido correre per la schiena mentre il giudizio del blarg mi tornava in mente. Le indicai il tavolino.
«Siediti, per favore. Questa me la devi spiegare.»
Ci ritrovammo così al punto di partenza: seduti ai due fronti del tavolino, con Clank in mezzo. Solo che stavolta feci io la domanda iniziale. «Come lo sai?»
«Ma di cosa parlate?» ci riprese Clank. Lo ragguagliai sul verdetto di Rop’Roc, e la sua reazione fu simile alla mia. «Ma non è possibile! Al ha collegato la w.a.v.e alla consolle... se si fosse bruciata l’avremmo saputo seduta stante!» protestò.
«Eppure gli elettrodi erano bruciacchiati; l’ho visto anch’io. Com’è che l’unica che se n’è accorta è Takami?»
Ci voltammo verso di lei, che incassò la testa nelle spalle.
 
Io... sento la presenza dei circuiti. Quando sono agitata la sento più chiara, anche se non ho l’intenzione. Quando ho sentito che la w.a.v.e non rispondeva più ho capito che l’avevo bruciata.
 
«E quand’è che hai smesso di percepire la tuta?»
Era stato nel combattimento coi fratelli Rab? Sotto il Muro delle Formiche? Con la schienata tremenda post landstalker?
 
A inizio gara funzionava... e anche quando ti ho fatto lo scudo...
Però... credo dal Muro delle Formiche.
 
«Ah! Quando hai fritto la zona!»
Avrei dovuto saperlo. Era il momento più logico dato che avevo chiamato il ruggito. Quella cosa era una roulette – fichissima, ma pur sempre un azzardo – col Tristo Mietitore.
 
No, è stato prima.
È stato prima del ruggito.
 
Clank e io sgranammo gli occhi.
«Prima? Sei sicura?» domandò lui. Takami fece per annuire, e il mio cuore prese a galoppare. Non era vero. Non poteva essere vero. Non poteva essere che tutta la mia protezione dai fulmini scaturisse dal giro di glifi sulla mia mano!
Poi, nonostante il mento già alto e l’azione impostata, Takami si fermò a metà gesto. Fu come se avesse realizzato qualcosa; tornò sui suoi passi e arrossì.
 
Ecco... ero molto agitata. Ricordo di aver sentito i nemici prima del ruggito, ma magari mi sbaglio sulla w.a.v.e. Sicuramente mi sbaglio, altrimenti eri morto come nell’Hiring Show.
 
Ci adocchiò rapida, quasi furtiva.
 
Vi chiedo scusa.
 
E il mio cuore riprese a viaggiare a una velocità normale. Quanto a Clank, lui aveva ancora una tonnellata di domande da farle. Io non avevo voglia di affrontare di nuovo il discorso su Chaos, così mi persi in altre riflessioni. Pensieri sulla w.a.v.e rotta, che se davvero si era rotta prima che chiamassi il ruggito allora mi avrebbe obbligato a ragionare su cosa mi avesse salvato la vita sotto il Muro delle Formiche.
Pensieri sulla sclerata di Al, sulla sua minaccia. Lui era una persona buona, per questo non credevo che avrebbe portato avanti quell’idea assurda. Allo stesso tempo, però, quella sua aggressività lasciava l’amaro.
Pensieri su come la squadra fosse divisa. Non era propriamente vero, ma di sicuro eravamo senza collante. Non andavamo ognun per sé, come aveva detto Clank, ma l’unico motivo per cui non era così era che io, Clank e Al avevamo passato abbastanza cose insieme da non poterci più definire estranei.
Di sicuro urlare non era stato il modo migliore per affrontarlo. Avevo sbagliato e non avevo scuse. Ma sul modo con cui si era comportato ultimamente era lui a non avere scuse.
E che si credeva, che non avrei fatto cambio di Spalla se avessi potuto? Due robot mi avrebbero reso la vita più facile, poco ma sicuro! Per Takami poi avrebbero eliminato tutti i rischi, dato che il gioco dei punti extra era concluso. Sarebbe stato vantaggioso per entrambi, ma c’era stato l’incontro con Vox – quello che secondo lui avrebbe dovuto illuminarmi sull’identità e il potenziale della bambina. Il bastardo era stato chiaro: combattere con me era la sua ultima possibilità. Dopodiché, se non avesse cominciato a usare le sue doti, sarebbe diventata una bocca in meno da sfamare. Non potevo appiedarla... semplicemente non potevo! E se solo Al avesse ricordato quel piccolissimo dettaglio...
 
Spalancai gli occhi, illuminato all’improvviso da un altro “piccolissimo dettaglio”. Gomito sul tavolo, mi coprii la bocca con la mano e cominciai a sentirmi a disagio. Frugai fra i ricordi con una foga che manco alle interrogazioni di Lettere; ma alla fine dovetti arrendermi all’evidenza.
Io agli altri quella cosa non gliel’avevo detta.

[1|⇑] Si tratta nello specifico di sigmatismo (S moscia). Ne esistono diverse forme, ma per Rop'roc immaginate un Gatto Silvestro meno spernacchiante. Per i più curiosi linko la pagina di Wikipedia che contiene un esempio audio: S laterale fricativa alveolare sorda.

 

   
 
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