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Autore: Urban BlackWolf    25/05/2019    3 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Tempesta

 

Al bing Usagi sorrise prendendo il cellulare. Sapeva chi fosse e alla conferma visiva gongolò come un cucciolo accarezzato sul pancino. Il suo Mamoru non latitava, non dimenticava mai d’inviarle anche solo un semplice messaggio per farle sapere quanto la pensasse. Quanto ci tenesse a lei. E anche in quell’afosa mattina d’estate, puntuale, era apparso al cuore della sua biondina come un cavaliere dall’armatura scintillante pronto a tirarle su il morale per l’ennesima cattiveria scaturita dal cuore avvizzito di quella Strega del Nord che era sua sorella. Una nuova lite. Un nuovo divieto.

Il tempo delle feste serali stava entrando nel vivo e la piccola di casa Tenou non capiva proprio perché, pur sgobbando tutti i giorni della settimana, non potesse svagarsi almeno il sabato sera. O per meglio dire, lo aveva capito benissimo, ma proprio per questo lungi da lei accettarlo! Mai e poi mai avrebbe lasciato ad Haruka l’ultima parola sulla sua storia con Mamoru e, mai e poi mai, le avrebbe permesso d’intralciarla in quel rapporto, avesse dovuto fare una scelta per portarlo avanti.

Rispondendo con smile e cuoricini vari, la ragazza tornò a fissare il computer riflettendo sull’enorme fortuna di avere accanto un uomo come il suo. Il bello del loro rapporto era che pur conoscendo tutte le fragilità e l’immaturità che Usagi ancora dimostrava per via della giovane età, lui l’amasse comunque, anzi, da quando si erano messi insieme sembrava che Kiba non avesse occhi che per lei nonostante il fascino lo portasse ad avere intorno un copioso ronzio femminile. La spronava, la coccolava, le suggeriva, guidandola a suo modo attraverso il periodo dell’adolescenza, ascoltandola nei limiti di un lavoro sfiancante come il loro e provando spesso e volentieri a disinnescarne l’astio che la biondina nutriva nei confronti della rigidità dimostrata dalla sorella. Ma era solo una questione di tempo, un anno per l’esattezza e al raggiungimento della maggiore età, lei sarebbe scappata dalla masseria di famiglia a gambe levate.

Stiracchiandosi la schiena tornò a digitare velocemente le lettere sulla tastiera quando il vecchio fax dimenticato al lato della stampante su una delle mensole della libreria, iniziò a vibrare provocandole un brivido. Il tempo di quei macchinari era passato da un pezzo, ma in assenza di ripetitori che garantissero una connessione stabile, era l’unico mezzo di comunicazione affidabile dove far passare tutte le comunicazioni urgenti, soprattutto quelle preziosissime sul tempo.

Usagi fissò il foglio uscire scattoso dal carrello e dopo un sospiro si alzò dalla sua scrivania per andare a prenderlo. L’intestazione in capo non lasciava dubbi; Istituto Meteorologico Nazionale.

“Porca miseria, quando ci segnalano qualcosa non sono mai belle notizie.” Disse prendendolo tra le mani.

E di fatti il grafico allegato confermava i suoi timori. Correndo al telefono fece il numero del fisso di casa sperando di trovarci qualcuno.

“Tenou…” Sentì dalla parte opposta del cavo.

“Haru…”

“Usa che c’è? Problemi?”

“E’ appena arrivato un avviso dell’I.M.N. Sembra che un fronte d’aria fredda si stia avvicinando.”

“Quanto fredda?” Chiese trattenendo il fiato.

“Vicino allo zero…”

“Merda… Quanto tempo abbiamo?”

Leggendo velocemente la prima delle due pagine, la minore rispose frenetica. “Meno di sei ore… Haru, che facciamo? - Ma dall’altra parte della cornetta il silenzio. - Haru?”

“Un attimo!… Sto pensando!” Un’esplosione d’adrenalina e la donna vide tutto nero per una frazione di secondo.

“Haruka…” La sorella cercò il contatto lamentosa.

Respirando a fondo per dominare il panico, la bionda agì. “Allora... intanto mandami la mappa meteo, poi inizia a chiudere tutto! Avverti gli operatori presenti in sede di spegnere l’interruttore generale baipassando solo il blocco dei silos. Una volta chiuse le porte fai andare via tutti e torna immediatamente a casa.”

“Ok…” Obbedì con poca convinzione tanto che la maggiore si vide costretta a spronarla rendendo più duro il timbro.

“Hai capito Usa!? Te la senti? Mina non c’è e devi pensarci tu!”

In moto Haruka non ci avrebbe messo niente per arrivare al ciclo di produzione, ma in tutta onestà la notizia della possibile nascita di un violento temporale la costringeva a non perdere tempo. In più credeva nelle capacità della piccola di casa e quella poteva essere l’occasione per sensibilizzarla sulle responsabilità che la loro attività richiedeva.

“Va bene Haru…, ci penso io.”

“Perfetto! Fai attenzione e torna prima che puoi. A… Usa… Non preoccuparti d’accordo? Lo sappiamo tutti come sono i temporali estivi, no? Magari è tutto fumo e niente arrosto.”

“Speriamo.. Faccio presto.” Concluse sentendo la linea interrompersi mentre, come se stesse vivendo una scena al rallentatore, posava la cornetta sul corpo grigio del telefono dell’ufficio fissando apaticamente la foto dei suoi genitori che teneva come un amuleto sulla sua scrivania.

 

 

Michiru lo vedeva dappertutto. Che si trattasse dei dintorni dell’azienda o al pub dove la famiglia Tenou era solita andare nelle sere del fine settimana, non faceva differenza, tanto che ormai la cosa stava assumendo contorni inquietanti. E non poteva sfogarsi con nessuno. Non poteva certo dire di vedere il suo ex compagno spuntare fuori ad ogni dove come il più classico dei fantasmi scespiriani. I suoi capelli corvini, i suoi occhi scuri come pozze di petrolio, il suo sorrisetto poco rassicurante. No, non poteva e pur se non avvezza a parlare di se con terzi, il sapere a priori di non poterlo fare la faceva sentire sola e confusa, regalandole dopo ogni apparizione un profondo senso d’ansia.

Abbandonando la foglia di vite che stava tenendo nella destra strinse le labbra inalando ossigeno caldo. Quel posto riusciva comunque a regalarle anche sprazzi di una serenità che a causa della vita frenetica da musicista non aveva da tempo. Certo, la situazione famigliare delle sorelle Tenou non era delle più tranquille, con Minako che a causa sua aveva deciso di trasferirsi per qualche tempo da Yaten ed Haruka sul piede di guerra al solo pensiero che la piccola Usagi potesse stare con un uomo con quasi il doppio dei suoi anni. In più non serviva un mago delle finanze per capire che l’azienda stesse vivendo un momento difficile e che sul raccolto autunnale si puntasse tutto. Eppure quegli odori, quei sapori, quei colori e quelle persone, tutte, inclusa Minako Tenou, erano talmente veri e semplici che difficilmente avrebbe potuto trovarli nel suo ambiente.

Cercherò di dare sempre il massimo. Glielo devo, pensò Kaiou investita da un’improvvisa folata di vento e terra.

Coprendosi gli occhi aspettò che passasse guardando di soppiatto il cielo lattiginoso. Una delle tante bolle di calore che non accennava ad allentare la morsa, ma che di contrappasso prometteva un vino formidabile.

“Grappoli piccoli, uva succosa.” Affermò sicura dirigendosi verso le scale in pietra che coprivano il dislivello che dalla Prima portavano al retro della masseria.

La Prima rappresentava il lembo di terra che Michiru era solita vedere dall'affaccio della sua camera e che dallo stesso nome, rappresentava la prima vigna da dov’era partito tutto, quella mano gentile che sembrava difendere dalle fondamenta gran parte dell’attività e che, pur dando pochissimo vino, era l’indicatore della bontà e della qualità di ogni annata.

Non appena aveva un po’ di tempo le piaceva camminare su e giù per quei tralci nodosi. Chiudendo gli occhi cercava di captare con l’olfatto le varie sfumature odorose che correvano lungo i viticci. Quando Haruka l’aveva portata nella cantina, le aveva fatto assaggiare del vino chiedendole cosa ne pensasse e lei, pur non essendo del ramo, aveva cercato parole del tipo; corposo per il rosso e abboccato per il bianco.

“E no Michiru, così sono buoni tutti. Cerca di andare oltre.”

“Cosa intendi?” Si era difesa.

Ma ben presto lo aveva capito e lo aveva fatto proprio camminando su quel piccolo spicchio schiacciato tra un boschetto di castagni e le pietre inverdite dal muschio del muro che sorreggeva il giardino sul retro della masseria.

La fragranza della terra umida di rugiada che saliva dal bosco ad ogni alba, i funghi tra le radici degli alberi, i licheni sui sassi, le campanelle e i ranuncoli odorosi. Era incredibile, ma Michiru aveva ritrovato tutto questo in ogni singolo sorso consumato nei pasti, nel legno delle botti lasciate ad asciugare al sole dopo il lavaggio, fin dentro la sua camera da letto, tanto che una volta fattolo notare alla bionda, quest’ultima se l’era guardata con un misto d’orgoglioso compiacimento.

“Ora si, va meglio! Sai, amo l’odore del vino al pari di quello della benzina.” Le aveva confessato e notando quanto stridessero quei due aromi erano scoppiate a ridere finalmente complici.

A Michiru iniziava a piacere quel rapporto. Haruka era una persona estremamente affascinante, sia per il carattere complesso, sia dal punto di vista puramente fisico. Tutte e tre le sorelle Tenou erano state dotate dalla natura di visi graziosi dai corpi agili e ben proporzionati, ma la vena androgina propria della maggiore le rendeva ancor più giustizia. Di tanto in tanto a Michiru capitava di soffermarsi a guardarla scoprendo ogni volta un qualcosa di nuovo, che fosse una vertigine in più all’attaccatura dei capelli lasciati ribelli, un neo sulle spalle quasi sempre nude, una ruga d’espressione quando metteva su il cipiglio della concentrazione o un versetto mentre sgranocchiava qualcosa di zuccheroso. Aveva scoperto come Haruka amasse mischiare il dolce con il salato o l’odore del fumo delle braciolate serali appiccicato ai vestiti. Come la sua apparente rudezza fosse un chiaro sintomo di un’innata timidezza e quanto quest’ultima stridesse con il sorriso guascone dalle fossette impertinenti che stampava sulle labbra dopo aver puntato qualche bella ragazza. Già, Michiru aveva anche saputo dell’ultima storia avuta dalla bionda con una certa Bravery e perciò della sua comprovata omosessualità.

Lo scegliere di essere se stessa fregandosene del giudizio degli altri deve aver reso complicata la vita di Haruka, pensò iniziando a salire i gradini. Non che la notizia avesse particolarmente scioccato una Kaiou abituata a conoscenze di ogni tipo, ma per assurdo che fosse, quel microcosmo che era la provincia, sembrava più propenso all’accettazione di un rapporto apparentemente squilibrato come quello tra Usagi e Mamoru Kiba rispetto alle tendenze saffiche di una donna. Ed era anche per questo che Haruka era una solitaria. Prima d’imparare a sfruttare la sua altezza e la forza che aveva nelle braccia, era stata oggetto di scherno per gran parte degli anni scolastici.

Michiru si fermò a metà della salita voltando il busto verso i campi. La bellezza della natura cozzava in maniera stridente con la chiusura mentale di molti abitanti della zona. Lei stessa, la prima volta che era stata accompagnata in città dalla bionda per delle compere, aveva ricevuto occhiatine divertite e sorrisetti che l’esperienza le aveva insegnato a riconoscere come falsi ed ipocriti.

“Pensano tutti che tu sia la mia nuova fiamma. Mi dispiace.” Aveva detto sorseggiando il caffè che stavano prendendo sedute al bar della piazza centrale.

“Non importa. Non sono mai stata un tipo che presta attenzione a ciò che la gente può pensare di me.” Aveva risposto mentendo.

Si, perché se da una parte l’essere scambiata per l’amichetta di turno della bionda non le arrecava alcun disturbo, dall’altra sapeva benissimo quanto Minako avesse detto il vero; Michiru Kaiou era sempre stata solo apparenza.

Fino alla sua entrata in casa Tenou, tutta la sua vita aveva ruotato intorno ad un susseguirsi di scene teatrali imparate ad arte per piacere agli altri. Tutta. Sin da quel giorno di marzo, quando al compimento del suo settimo compleanno aveva accidentalmente scoperto di essere stata adottata. Da quel momento e per tutti i giorni avvenire, il suo obbiettivo era diventato la perfezione, inconsciamente indotta dalla gratitudine verso il padre e la madre che l’avevano comunque sempre amata, ma anche dalla paura di poterli deludere. Così alla voglia di primeggiare già insita in un carattere di per se molto competitivo, si era aggiunta la necessità di piacere al prossimo, di essere un esempio di compostezza, eleganza, bravura, in ogni situazione e per tutto, fosse questo l’obbligo scolastico o la passione musicale. Forse il lasciarsi corteggiare da Seiya era stata l’unica vera scelta d’impulso fatta senza riflettere, una sorta di ribellione alla scarsa fiducia che suo padre aveva dimostrato sin da subito nei confronti del giovane Kou. Un’avversione cancellata in men che non si dita dalla destrezza che il compagno aveva avuto nell’ammaliare la sua famiglia.

A passo lento, un piede dopo l’altro, Michiru continuò a salire i gradini avvertendo un caldo asfissiante. Arrivata in cima si passò il dorso della destra sulla fronte imperlata di sudore.

“Anche se sono solo le dieci già non si respira.” Sentenziò appena in tempo per vedere Haruka aprire il cancelletto semi nascosto dal muro d’edera che divideva la strada dallo spiazzo privato dove Kaiou poteva accedere dall’esterno alla sua camera.

“Michiru! Ho bisogno di te. Muoviti!” Urlò per poi sparire così com’era apparsa.

Allargando le braccia l’altra obbedì uscendo per ritrovarsi davanti ad una donna piuttosto agitata.

“Che succede?!” Ma invece di una risposta ricevette una squadrata da capo a piedi.

Serrando la mascella ad Haruka venne spontaneo chiederle se fosse normale vestirsi così.

“E’ solo un vestito e precisamente quello che mi hai aiutato a scegliere l’altro giorno e che secondo il tuo modesto parere mi stava così bene.” Punzecchiò leggermente orgogliosa.

“Credevo l’avresti usato per uscire, non per lavorare.”

“Mi avevi detto che oggi sarei dovuta restare a casa ad aspettare il fornitore del gasolio.”

“E giustamente volevi accoglierlo in gonna.”

“Lo volevo accogliere vestita decentemente, ecco tutto! - Mimò due virgolette a mezz'aria. - Comunque se serve non ci metto niente a cambiarmi.” Concluse indicando con il pollice il cancelletto smaltato.

“No…” E non riuscì a dire altro rimanendo ferma con gli occhi incollati alla stoffa blu che le fasciava leggermente fianchi e petto.

“Ma cosa ti prende?”

Scuotendo la testa la bionda tornò in se. “Non abbiamo molto tempo. Un fronte d’aria fredda sta puntando dritto dritto su di noi e con molta probabilità finirà per schiacciare al suolo la bolla di calore che sta stazionando da giorni sulla zona. Questo sicuramente innescherà un potente temporale. In questi casi dobbiamo pensare prima di tutto alla sicurezza avvertendo tutti gli operatori che sono fuori di rientrare e poi a mettere al riparo i mezzi.”

“E le viti?”

“Le bombe d’acqua non mi preoccupano. Abbiamo un’eccellente sistema di drenaggio, ma per la grandine il discorso è diverso.”

“I suoi chicchi sono come proiettili.”

“Già.”

“Siamo sicure che colpirà proprio noi? So che in questi casi non è detto che piova da per tutto.”

Iniziando a camminare Haruka le diede ragione ribadendo però la necessità di prepararsi al peggio.

“Con la radio chiamerò tutti al rientro. Tu pensa alla rimessa. - Fermandosi le mise le mani sulle spalle fissandola negli occhi. - Michiru… ogni porta, finestra e cancello deve essere chiuso. Appena torno inchioderò con le assi le aperture che non hanno gli scuri, ma fino a quel momento ci devi pensare tu. Mi raccomando. Un’altra cosa; Usagi è alla cantina, ma se non dovesse rientrare entro l’ora di pranzo ti prego di chiamarla. Se non dovesse essere raggiungibile al cellulare ha il cerca persone sempre con se. I numeri sono vicino al telefono del mio studio.” Concluse prendendo un grosso mazzo di chiavi dalla tasca anteriore dei kombat verdi per lasciandoglielo nelle mani.

“E tu dove vai?!”

“A casa di Yaten! Ci serve Minako. Non ci metterò molto.” Così dicendo iniziò a correre verso il fuoristrada di famiglia.

 

 

Ringraziando la fruttivendola e prendendo il resto, Minako tornò a camminare tra i banchi affollati del mercato rionale. Anche se la dimensione provinciale le stava stretta, le era sempre piaciuta quell’atmosfera colorata fatta di voci e sorrisi mesciuti alle fragranze del basilico fresco e delle spezie, dei fiori e del pane appena sfornato. Un po’ meno sopportava l’odore della carne e del pesce crudi, ma in sostanza bastava starne alla larga per evitare i conati che erano soliti stritolarle lo stomaco sin da bambina.

Era trascorsa quasi una settimana dal suo alterco con la forestiera e al conseguente allontanamento da casa, ed iniziava a chiedersi quando Haruka sarebbe venuta a piagnucolarle sulla spalla chiedendole di tornare a darle una mano. Non era la prima volta che succedeva. In un altro paio d'occasioni le due sorelle avevano discusso spingendo la più giovane ad andarsene. Allora però non stava ancora con il suo Yaten ed il bivaccare sul divano dell’amica di turno non era durato che pochi giorni. Questa volta era diverso. Lei lo era. La vita di coppia le piaceva, era appagante su tutti i fronti, la rilassava permettendole di tornare ad avere dei ritagli di tempo solo per se che altrimenti a casa non aveva. Stando fuori tutto il giorno, del suo ragazzo prendeva solo il meglio ed una volta finito di rassettargli la casa e cucinargli i pasti, Minako si sentiva libera come se stesse vivendo una vacanza.

Portandosi il sacchetto sopra la testa si stiracchiò uscendo dall’ombra del portico. Fermandosi ad osservare il cielo aggrottò le sopracciglia chiare. Non mi piace. C’è aria da temporale, pensò incupendosi di colpo. Per quanti sforzi potesse fare e per quanta colpa addossasse alla maggiore per aver accolto quella Michiru in casa, a Minako pesava lo stare con il cuore arrabbiato. Amava le sue sorelle. TUTTE le sue sorelle.

“Sarà il caso che chiami almeno Usa. Tanto per sapere se quella grande zucca gialla gonfia d’aria le abbia ancora imposto la castità del fine settimana.”

“Minako!” Scattando il collo a destra se la vide fronte strada.

Occhiali da sole a celare un viso poco rassicurante, quella stessa zucca gialla se ne stava ad aspettarla bellamente appoggiata al cofano della loro auto a braccia conserte, mimando più la figura di un boss della mala che quella di una giovane donna.

Oltrepassando la carreggiata la minore si fece forte nel sentirsi ancora il coltello dalla parte del manico. “Che fai, mi spii?!” Inquisì venendo parzialmente coperta dal rumore del traffico.

“Lungi da me, ma… - Alzando lo sguardo al cielo la invitò a guardarlo con attenzione. - … sono sicurissima che sai già del perché sia qui.”

“Che palle Haru… “ Sbuffò con rassegnata indolenza.

“Che palle un cazzo!” Sibilò l’altra a denti stretti tirando fuori dalla tasca posteriore la mappa meteo inviatale da Usagi.

Sventolandogliela in faccia la costrinse ad aprire il foglio ripiegato.

“Non ci vuole un esperto… Giusto Mina?!”

La sorella sbiancò mentre gli occhi correvano alle frecce che mostravano come la direzione presa dalle linee ondulate blu scuro della bassa pressione puntassero al rosso della vasta sacca di calore che stava stazionando sopra la provincia. “Caspita se è grande…” E bastò quel grafico a riportare a casa il suo spirito di dedizione.

“Se come penso butterà giù grandine, tutto il lavoro di un inverno potrebbe andare a puttane nel giro di due ore.”

Restituendole il foglio Minako la guardò complice, ma ancora sulle sue. “Se dovesse accadere, ne io, ne te potremmo fermare la cosa, perciò che diavolo vuoi!?”

Haruka sospirò quasi con rabbia. Le pesava quello che stava per chiederle. “Ho bisogno di te. Anche solo di saperti a casa.”

Accarezzandole allora lieve una guancia con l’indice, l’altra sentì di colpo il nervosismo scemare. “Da troppo tempo stai gestendo l’azienda da sola Haru. Per quanto possiamo cercare di aiutarti, non sarà mai come averla al tuo fianco. Ci hai imposto di non parlarne mai, ma lo so io come lo sa Usa che ti manca da morire. Perché non provi a contattarla e a farla torn…”

“No!” Scattando da un lato il viso la maggiore mandò un’imprecazione spezzando la dolcezza del momento.

Voltandosi ed afferrando la cromatura della maniglia aprì lo sportello intimandole di salire e stare zitta. “Non dire assurdità e muoviti! Lo sai che con me questo discorso non lo devi fare!”

 

 

Ci vollero meno di due ore perché il cielo da biancastro iniziasse a tingersi di un caratteristico azzurrino e all’orizzonte le prime nuvole montassero come cavalloni velati. Usagi si sporse dal davanzale arpionandolo con le dita. Guardando quella specie di panna montata socchiuse gli occhi tornando ad elencare mentalmente le azioni appena compiute. Aveva adempiuto ad ogni singolo ordine impartitole dalla sorella facendo tutto con cura. Ora, alla luce di quanto stava vedendo arrivare, non restava altro che chiudere la cantina e tornare a casa.

Stirando le labbra si sentì intimamente soddisfatta di se. Questa volta Haruka non avrebbe avuto nulla da ridire. Serrando scuri e vetri bloccò la serratura e prendendo la borsa iniziò ad afferrare cose a caso dal piano della scrivania.

“Tenou, ci sei?” Sentì giù da basso distraendosi.

“Si, andate pure, qui finisco io.” Urlò uscendo e richiudendosi la porta alle spalle.

“Sei sicura?” Le chiese uno dei due tecnici rimasti per aiutarla.

“Si, grazie. Non so se domani apriremo, ma sicuramente Haruka ve lo farà sapere.” Sporgendosi dalla balaustra in acciaio del ballatoio li vide vicino la reception.

“Va bene. Allora aspettiamo comunicazioni.” Salutando uscirono per dirigersi alle rispettive auto ferme sul piazzale antistante.

Guardando l’ambiente rimasto deserto la ragazza avvertì un brivido correrle lungo la schiena ed affrettando il passo scese le scale chiavi alla mano. Inserì l’allarme, uscì dalla grande vetrata a due ante chiudendola a quattro mandate ed a passo svelto imboccò la strada sterrata che portava alla masseria discendendo la collina direzione fondo valle.

Il vento iniziò ad alzarsi a circa metà del percorso ed una volta arrivata al bivio per i terreni dei Kiba, guardò il ponticello domandandosi a che punto fosse il suo Mamoru con i preparativi per il temporale. Fu un attimo e portandosi una mano alla bocca la ragazza dilatò gli occhi ricordando.

“O Dio… Il loro fax potrebbe essere ancora rotto!”

“Non ne posso più di questo aggeggio! Possibile che dobbiamo ancora affidarci alla tecnologia obsoleta degli anni novanta?” Si era sfogato lui proprio la mattina precedente.

Se non dovessero averlo riparato è probabile che non abbiano ricevuto alcuna comunicazione dell’I.M.N.! Pensò cercando il suo cellulare nella borsa e non trovandolo perchè bellamente dimenticato con il cerca persone sul piano della scrivania, iniziò a correre come una furia.

In quello stesso momento una contrariata Kaiou abbandonò la cornetta guardando dalla finestra davanti a lei la luce esterna farsi improvvisamente meno brillante. Le prime nuvole stavano rapidamente coprendo il cielo ed ormai superata ampiamente la mezza, di Usagi nessuna traccia. Iniziava a preoccuparsi.

“Accidenti, perché non rispondi?”

Sospirando riprovò anche al fisso del suo ufficio non ottenendo nulla di diverso. “Ma dove sei?! - Si chiese allungando il cavo per sbirciare dai vetri le foglie sbattute dal vento. - Sta diventando tutto nero. Sarà il caso che le vada incontro.”

Afferrando un ombrello e mettendosi delle comode calosce, Michiru uscì dalla porta sul retro della cucina proprio mentre il fuoristrada di Haruka faceva ritorno con un carico di assi che si erano fermate a prendere lungo la strada.

“Appena in tempo. Guarda che cielo.” Disse Mina aprendo la portiera.

“Yaten dovrebbe aver già messo all’asciutto i macchinari. Vai a controllare, io intanto inizio ad inchiodare queste.”

“Ok. Non appena lo trovo veniamo a darti una mano.” Lasciandola scaricare le assi prese lungo la strada corse verso il grande spazio coperto dov’erano soliti parcheggiare i veicoli da lavoro.

 

 

Il ticchettio prodotto dallo scuotersi del pennone con il cavo metallico dove una bandiera arancio e verde sanciva l’inizio dei terreni che Mamoru era riuscito ad acquistare qualche mese prima dal padre, l’accompagnò fino a vedere la sagoma dell’uomo abbarbicarsi su di un pendio mentre sgassava sul suo quad. Sbracciandosi e gridandone il nome ne attirò l’attenzione vedendolo cambiare strada per puntare verso di lei.

“Usa!” Urlò a sua volta alzandosi in piedi sulla pedana.

“Ciao amore!”

“Perché sei qui?!” Spegnendo per togliersi poi il casco da cross l’accolse tra le braccia lasciandole un bacio sulle labbra.

“C’è un allarme meteo!”

“Quelli della Cooperativa mi hanno appena avvertito.”

“Volevo accertarmi che lo sapessi. Mi sono ricordata del vostro fax rotto solamente a metà strada, altrimenti ti avrei fatto uno squillo. Ho anche scordato il cellulare in ufficio!”

Stringendosela forte le confessò quanto fosse stato un bene. “Sia benedetta la tua testolina sempre tanto distratta! Era da domenica che non ti vedevo.”

“Ma sei tutto solo? E gli altri dove sono?”

“Ad aiutare mio padre. Ha il quadruplo dei miei terreni… Non posso essere egoista.”

Usagi se l’abbracciò di rimando offrendo le sue giovani braccia. "Posso rimanere con te?"

“Ma le tue sorelle?”

“Ho già adempiuto ai miei compiti. E poi c’è Yaten con loro, tranquillo.”

“Allora va bene. Dai Sali, avvertiremo Haruka non appena tornati a casa.”

Calzatole il casco in testa, aspettò che salisse e una volta avvertite le sue mani alla vita, partì mentre le prime gocce iniziavano a cadere.

 

 

Il telaio dell’ombrello non durò molto. Forzato già dopo le prime raffiche, si piegò irreparabilmente a metà della salita tanto che Michiru lo chiuse abbandonandolo al lato della porta vetrata della cantina una volta trovatala chiusa.

“Avremmo dovuto incontrarci lungo la strada. Con molta probabilità Usagi si sarà fatta accompagnare in macchina da qualcuno.” Ipotizzò voltando l’angolo per dare un’occhiata.

Non le piacevano i posti deserti e con quel tempo, la luce sempre più scarsa, l’ululato del vento tra le fronde e dei tuoni in lontananza, quella che ai suoi occhi era una bellissima struttura, ora le sembrava lo scenario di un thriller.

Meglio tornare, pensò capendo con un brivido quanto la temperatura stesse rapidamente scendendo ed iniziando a correre lungo il declivio sperò di riuscire ad arrivare alla masseria prima di bagnarsi completamente. Non vi riuscì. Proprio verso il bivio per i terreni dei Kiba, più o meno dove si era fermata la stessa Usagi, uno scroscio la colpì violento.

“Ma porca miseria!” Urlò cercando inutilmente di ripararsi il viso con una mano per riuscire quanto meno a vedere la strada. Ed invece vide lui.

Inchiodandosi con il respiro mozzato nella gola, lo scorse proprio dalla parte opposta del ponte, seduto su un quad nero con in dosso pantaloni e giubbotto imbottito dello stesso colore.

“Seiya…” Allibita fece due passi in avanti per guardarlo meglio non capacitandosi della cosa.

Portava un casco, ma la visiera era alzata e non lasciava dubbi. Quegli occhi scuri erano i suoi. Quel codino adagiato sulle spalle era il suo. Allora non era stato il frutto della sua immaginazione. Lo aveva visto davvero!

“Seiya…” Chiamò questa volta usando tutta la voce che aveva, ma lui partì e a Michiru non rimase che inseguirlo passando il ponte.

“Aspetta!”

 

 

Scrollando le mani all’aria, Haruka si guardò la camicia a scacchi grigi che come una seconda pelle le stava fasciando il petto. “Ci saremo anche bagnati, ma abbiamo fatto un lavorone ragazzi!”

Richiudendo la porta d’ingresso Minako la fulminò con lo sguardo mentre Yaten prendeva a riderle dietro. “Sarà sorella, ma io ho bisogno di una doccia!”

“Anche io!” Si accodò il ragazzo mentre si toglievano le scarpe.

“Si, ma non nello stesso bagno!” Sottolineò la bionda finalmente un poco più rilassata.

“Uuuu… quanto siamo pignoli. Dai Mina, sbrighiamoci. Ho una fame… Haru mi presteresti qualcosa?”

“Nell’armadio al piano di sopra troverai tutto quello che ti serve. Mina ci pensi tu?”

“Si, ma togliti quella roba fradicia… Sei indecente!” Scherzò venendo raggiunta sulle scale da uno Yaten compiacente.

“No, no, che se la tenga. E’ un bel vedere…”

“Tu zitto e fila via!”

“Ha ragione Mina… Sono uno schianto." Abbandonando i calzini zuppi al lato della porta, la maggiore sogghignò andando verso la cucina convinta di trovarci Usagi, Michiru ed un piatto sostanzioso con il quale tacitarle lo stomaco.

Ragazze, ci siete?” Ma affacciandosi non trovò nessuno, anzi, non c’era neanche l’ombra di un qualcosa di cucinato.

“Ma dai…” Borbottò prima di andare a bussare alla stanza della forestiera.

“Michiru? - Non avendo risposta iniziò a spazientirsi. - Usa è al piano di sopra?”

“No.” Sentì dal corridoio puntando al suo studio e li, in bella mostra sopra la sua scrivania accanto al telefono, un messaggio di Kaiou che l’avvertiva della sua intenzione di passare alla cantina per prendere una Usagi in netto ritardo.

Un tuono e la bionda strinse il foglietto nel pugno schizzando verso la porta di casa.

Minako non la vide neanche uscire. Sentì solo lo sbattersi violento dell’anta dell’ingresso ed un paio di minuti dopo il rombo di una moto allontanarsi verso la valle sottostante.

 

 

Visto la pericolosità sempre dimostrata da quello che sembrava un innocuo torrente, ma che alimentato a monte da altri corsi d'acqua, spesso e volentieri si trasformava in un vero e proprio turbine liquido, il ponte tra le due case vinicole era stato dotato di sbarre, una per argine, collegate mediante sensori ad una palina idrometrica piantata a qualche chilometro di distanza. Una volta superata la soglia di sicurezza, questa inviava un segnale d’allarme facendo abbassare in automatico le aste metalliche. Era un sistema ingegnoso, anche se così facendo l’unico cordone ombelicale che collegava le aziende veniva momentaneamente reciso.

Michiru l’oltrepassò senza neanche rendersene conto. “Seiya!”

Imboccata la salita si fermò ansimando per la corsa incurvando la schiena arpionarsi con le mani le ginocchia. Doveva capire, sapere. Anche se le sembrava la cosa più assurda del mondo. Possibile si trattasse di lui?! Possibile che l’avesse trovata in un posto dove non c’era neanche l’ombra di un ripetitore?! E perché allora non era venuto a parlarle giocando invece al gatto col topo? Cosa stava succedendo?!

“Ti vuoi fermare!” Urlò serrando occhi e pugni.

Ed in effetti arrivato sulla sommità della collina, il quad si fermò e l’uomo prese a fissarla dal casco.

Con il petto cadenzato dalla velocità dei respiri, Michiru scosse la testa provando a riprendere un po’ d'ossigeno quando un fulmine impressionante e pericolosamente vicino saettò nel torrente seguito da un boato assordante. Spaventata si coprì le orecchie accovacciandosi tra i rivoli d’acqua nati tutti intorno a lei.

Non appena riaprì gli occhi il mezzo e il suo proprietario erano scomparsi. Avvertì nell’aria il rombo del motore fondersi con il suono dello scrosciare della pioggia e di un secondo mezzo che stava sopraggiungendo alle sue spalle. Voltandosi vide una delle moto da cross delle sorelle Tenou riconoscendo la figura di Haruka tagliare in tutta velocità la battuta del ponte. Un ultimo sguardo al punto dove l’uomo in nero si era fermato per poi girarsi definitivamente verso la bionda.

“Che stai facendo qui?! Dov’è Usa?” Inquisì non riuscendo a capire il perché avesse sconfinato nella proprietà dei Kiba.

Non sapendo come giustificarsi, Michiru ammise solamente di non aver trovato la ragazza. “La cantina è chiusa. Credo abbia accettato uno strappo da qualcuno.”

“Probabile. Ma non devi stare qui. - Ne convenne facendo fatica a tenere in equilibrio la moto. - Mettiti il casco di Mina e torniamo a casa prima di rimanere impantanate.”

Ancora notevolmente scossa, la forestiera lo prese guardandola frastornata. “Dimmi Haruka, il dispositivo di localizzazione presente sotto la mia Mercedes è ancora attivo?”

“Cosa?”

“Ti prego… E’ importante.”

“No! Quando sei andata fuori strada si è staccato.”

Allora Seiya non può avermi rintracciata, pensò mentre il suono acuto di una sirena iniziava a diffondersi per tutta la valle. Non capendo guardò Haruka scattare la testa in direzione del torrente.

Le due paline metalliche bianche e rosse poste a protezione delle sponde stavano iniziando ad abbassarsi. Evidentemente il letto non era più in sicurezza.

“Cazzo il ponte! Porca puttana Michiru muoviti. Sali, dai!”

Ubbidendo l’altra s’infilò il casco e con qualche difficoltà a causa della gonna bagnata riuscì ad inforcare la sella.

“Tieniti ben stretta!” E la voce si perse nell’ennesimo tuono.

La terra resa viscosa dalla pioggia, il peso della moto e la velocità con la quale le sbarre si stavano chiudendo, impedirono alle due di passare dalla parte opposta. Haruka imprecò frenando la moto a meno di un metro dal greto.

“E adesso? - Chiese Michiru indicando la strada sterrata che portava alla masseria dei Kiba. - Non possiamo fare altro che passare per le vigne dei tuoi vicini per poi prendere la Provinciale e tornare a casa facendo il giro largo.”

Ma la bionda sembrò non ascoltare. La cosa non era fattibile e non soltanto perché così facendo si sarebbe ritrovata a dovere un favore al padre di Mamoru o al figlio stesso, ma conoscendo i ripidi sterrati che solcavano le loro vigne, sapeva che con il terreno in quelle condizioni neanche una moto potente come la sua avrebbe potuto farcela.

“Siamo troppo pesanti! Finiremo con l'impantanarci rimanendo a piedi esposte ai fulmini. No! Ho un’idea migliore. Reggiti!”

Dando gas la bionda puntò il muso del mezzo ad una sporgenza che si trovava a circa una ventina di metri dopo il ponte. Era un ammasso roccioso che con il passare degli anni era stato talmente eroso dalla forza del torrente da formare come una sorta di trampolino. Sin da ragazzina lei e Mamoru lo avevano scelto per le loro folli sfide, scendendo a tutta velocità dalla collina dei Kiba con le loro BMX per poi fermarsi a pochi centimetri dal bordo. Un gioco di coraggio talmente idiota che un giorno aveva finito per sfuggirgli di mano vedendo Haruka saltare il letto del torrente per andarsi a schiantare dalla parte opposta. Un braccio rotto, parecchie ammaccature e la bici da buttare, ma quella botta d’adrenalina le era servita per capire quanto bella fosse l’ebbrezza del librarsi in volo ed una volta imparato come atterrare, aveva finito per non usare neanche più il ponte.

“Michiru adesso devi chiudere gli occhi e stringerti forte a me. Intesi?!” Disse una volta valutata la distanza ed aver colto un gran boccone d’aria.

“Cosa vuoi fare?!”

“Tu fidati e chiudi gli occhi!” Rassicurò serrando per una frazione di secondo la sua destra sopra quella con la quale l’altra le stava stringendo la vita, poi arpionando il manubrio dalla gomma fradicia cercò il grip migliore e partì ingranando la marcia scodando verso il greto.

 

 

Mamoru guardò con soddisfazione la lampadina accesa penzolare dal soffitto stuccato di fresco. “Funziona!” Giubilò permettendo alla biondina di entrare in quello che era a tutti gli effetti l’ingresso.

“O amore, è bellissima! Sta venendo proprio bene!”

“Già! Sono molto contento. E pensare che quando ho comprato questo posto mio padre mi ha riso in faccia. Il settembre scorso era solo un mezzo rudere. Adesso con il nuovo tetto e l’allaccio della corrente, inizia ad assomigliare ad una casa vera.”

“La nostra casa.” Osò lei sentendo le braccia dell’uomo avvolgerla da dietro.

“Esatto! La nostra. Appena gli operai finiranno d’istallare il riscaldamento e i nuovi infissi, potrò trasferirmi ed uscire finalmente dall’ombra di mio padre. E quando avrai compiuto diciotto anni… tu verrai a vivere qui.”

Girandosi nell’abbraccio Usagi lo guardò ardente di gioia. “Davvero?!”

“Certo! Non era questo che volevamo? Svincolarci dalle nostre rispettive famiglie per poter vivere in pienezza il nostro amore?”

“Ma tuo padre non mi aveva accettata nonostante l’età?”

Sospirando lui l’abbandonò per andare verso il tavolo improvvisato dove gli operai erano soliti mangiare. “Lui si, anche se fa ancora fatica nel capire come possa aver declinato la corte di una delle donne più ricche della Provincia. Ma tua sorella no e lo sai che non voglio assolutamente essere la causa dei vostri continui litigi.”

Prendendo una felpa gliela porse invitandola a raggiungerlo. “Se vedrà che facciamo sul serio sono sicuro che si convincerà del nostro rapporto e non ti asfissierà più.”

Momoru amava talmente quella ragazza che avrebbe fatto qualunque cosa per vivere con lei, anche andare contro suo padre. E così era successo. Gli aveva forzato la mano rinunciando ad un matrimonio combinato con una donna che lo attirava si, ma che non gli faceva battere il cuore, lavorando come un cane per potersi permettere d'acquistare dal genitore qualche ettaro e quel piccolo casolare fatto di sassi e legno, sperando capisse quanto le sue intenzioni nei confronti di Usagi Tenou fossero concrete. Alla fine il vecchio Kiba aveva dovuto arrendersi all’evidenza di quel legame. Ma Haruka era diversa. Le famiglie lo erano. Mamoru era un uomo fatto che sapeva cosa volere dalla vita, che aveva viaggiato andando a prendersi negli Stati Uniti i master necessari per portare avanti il sogno di vigneti totalmente biologici, mentre Usagi era solo una ragazzina inesperta ancora impegnata con il liceo.

“Mia sorella è testarda e possessiva. Non credo basterà questa casa per convincerla della nostra buona fede.”

“Dai tempo al tempo Usa e fidati. Non voglio che tu debba trovarti a scegliere tra me e la tua famiglia, perciò farò di tutto per convincerla che nonostante la differenza d’età l’amore che nutro per te è sincero.”

Un brivido le squassò la pelle. Non sapeva se dipendesse dal vento freddo che il temporale aveva portato con se o da quelle parole cariche d’amore e speranza, ma quando lui si avvicinò per scaldarla, lo accolse felice e grata baciandolo come solo un’adolescente consapevole del suo cuore sa fare. Con ardore e voluttà.

“Senti, dovremmo andare, bagnarci ancora un po’ per riuscire ad arrivare alla masseria e chiamare le tue sorelle per dirgli che ti fermerai da noi fino alla fine del temporale.”

“Non c’è fretta…” La sua idea era un’altra e lo mise in chiaro iniziando a slacciarsi lentamente la camicetta.

 

 

Non aveva chiusi gli occhi. Non era una vigliacca ed aveva sempre cercato di affrontare la vita guardandola bene in faccia. Ed anche questa volta Michiru non si era smentita ed indomita, o quasi, aveva guardato la linea del declivio avvicinarsi sempre più pensando che fosse proprio da Haruka compiere una follia del genere. Serrando la mascella si era stretta alla sua vita talmente forte da riuscire ad artigliarle la pelle con le dita prima di avvertire le ruote della moto staccarsi dal suolo ed una potente folata d’aria investirle in pieno. Era riuscita a sbirciare tra le pieghe del suo terrore i vortici d’acqua marrone sotto di loro, mentre il fragore della corrente le impediva quasi di pensare. Aveva trattenuto il respiro per tutta la durata del salto sentendo all’atterraggio il contraccolpo prodotto dal terreno con la ruota posteriore irradiarsi lungo tutta la colonna vertebrale. Infine si era svuotata i polmoni cacciando fuori l’aria mentre il grido liberatorio della bionda prendeva a riecheggiarle nelle orecchie ovattate dalla spugna del rivestimento del casco.

La difficoltà più grande non era stato il santo in se, quanto quella di mantenere in equilibrio la moto domandola sulla viscosità del terreno una volta atterrate dalla parte opposta. “Michi tutto a posto?!” Urlò Tenou fermandosi.

“Credo… di… si.” E tornò a respirare liberamente.

“Sei stata brava! Ora torniamo a casa.” Ma prima di ripartire si concesse di sfiorarle la pelle ghiacciata dell’avambraccio destro.

Riuscirono ad arrivare alla masseria un quarto d’ora più tardi. Entrando nel silos lasciato colpevolmente aperto, Haruka parcheggiò accanto alla Mercedes lasciando a Michiru il tempo di scendere. La sentì tremare leggermente e si scusò per aver compiuto un’azione tanto pericolosa.

“Spero tu capisca che passare per il torrente era l’unico modo di tornare.” Disse sguainando il cavalletto per togliersi poi il casco. Era esausta.

Con la stoffa del suo bel vestitino blu incollata addosso, le calosce riempite d’acqua fino alle caviglie, un freddo assurdo a squassarla, Kaiou si guardò il seno turgido provando improvvisamente vergogna. “Ora come ora non so neanche come mi chiamo.”

“Allora siamo in due.” Sfotté l’altra stemperando con una risata l’imbarazzo di quella eccitantissima visione.

Forzando gli occhi ad andare altrove si avvicinò al portone certa che la buriana fosse in procinto di calmarsi, ma una volta lasciata passare Michiru e chiusa la serratura, il cielo la smentì mandando giù chicchi di grandine grossi come noci.

 

 

Sospirò sentendo nell’anima una pesantezza ed uno sconforto che raramente aveva provato prima. Soppesando nel palmo il giovane grappolo quasi del tutto divorato dal maltempo, cercò di non piangere. Non poteva crollare. Lei era il capofamiglia, l’ancora alla quale le due sorelle potevano e dovevano appoggiarsi con incondizionata fiducia nei momenti difficili come quello. La resa non era contemplata. Non sarebbe stato da Haruka Tenou lo scorarsi, il cedere, l’abbattersi sotto il peso della vita. Eppure nell’angolo più profondo del suo io sapeva che il coraggio stava scivolando via, proprio come aveva fatto la terra intorno alle radici delle sue vigne. Sapeva che sarebbe crollata come i rami degli alberi del castagneto che si apriva sotto la sua adorata casa. Sapeva che questa volta non ce l’avrebbe fatta da sola.

Sola. Già, Haruka si sentiva ed era sola. Minako aveva al suo fianco un salice come Yaten, che si piegava, si lasciava trasportare dal vento, si adattava alle circostanze e proprio per questo era resiliente, tenace, caparbio. Usagi aveva Mamoru, ed anche se era difficilissimo per lei accettare quell’amore, se la faceva infuriare il viso che alle volte la sorellina metteva su come la più matura delle donne, come a voler dire; guardami, sono io che ho un rapporto duraturo e non tu, non era certo tanto ottusa da non vedere come l’uomo fosse per lei una roccia, un totem granitico pronto a proteggerla in qualsiasi circostanza. E lei, l’indomita bionda, che in fondo aveva sempre sorriso dell’amore allontanandosene scientemente al primo sentore di vincolo, su chi avrebbe potuto contare ora per superare indenne quella devastazione?!

Se soltanto non fossi scappata via lasciandomi questo fardello, ora avremmo potuto affrontarla insieme questa cosa, maledì sentendosi persa, perché Minako aveva ragione e nonostante tutto, nonostante quella che continuava a vedere come una fuga, nonostante il rancore per quell’abbandono, sentiva di provare ancora affetto per lei.

“Questa volta non ci rialzeremo tanto facilmente.” Si disse lasciando il grappolo tornando a camminare lungo il filare mani nelle tasche.

Il temporale che si era scatenato tre giorni prima era stato quasi apocalittico e c’era chi aveva subito anche danni peggiori dei loro, come il vecchio Kiba, la cui casa aveva visto il tetto scoperchiato quasi fino all’orditura, o il centro abitato più vicino, completamente tagliato fuori dal mondo da una frana che aveva occupato parte della Provinciale. Coltivazioni, strutture, ricoveri. Praticamente ogni attività aveva subito almeno un danno, lieve o pesante che fosse.

Ma si poteva perdere una copertura, un capanno, anche un mezzo agricolo, ma le viti no, le viti erano il motore di un’attività come la loro e ritrovarsele danneggiate equivaleva ad azzerare tutto il resto. Se le cantine della zona erano colossi in grado di poter tenere a bilancio un anno negativo, per i Tenou il discorso si faceva inevitabilmente più complicato. Non era certo la prima grandinata che colpiva quella zona. Nubi cariche di pioggia si sarebbero sempre addensate all’orizzonte, faceva parte del gioco, come la siccità o le malattie funginee, ma da una decina d’anni i periodi di buon raccolto stavano diventando sempre più rari e una piccola casa vinicola non poteva non pensare al fallimento.

Sedendosi sul primo gradino della scala che portava al retro della masseria alzò il viso al sole serrando gli occhi. E adesso cosa m’invento?! Come possiamo uscirne?

Avevano perso circa la metà del raccolto e con i debiti che avevano accumulato negli anni passati e la banca che non concedeva loro altri prestiti, Haruka non sapeva proprio cosa fare.

Arpionandosi la testa con le mani poggiò i gomiti alle ginocchia rimanendo immobile a pensare per minuti, fino a quando una voce non la raggiunse da dietro.

“Haruka…”

“Michi! Mi hai fatto prendere un colpo!” Si difese sperando di non essere apparsa agli occhi della donna tanto patetica come invece stava apparendo ai suoi.

Ma Kaiou era dotata di una sottile sensibilità. Tenou le piaceva, era una brava ragazza, onesta, leale e avrebbe tanto voluto fare qualcosa per lei senza però invadere i suoi spazi e sembrare un’impicciona.

“Scusami. Tutto bene?” Chiese accovacciandosi accanto alla sua spalla.

“Potrebbe andare meglio.”

Si fissarono. I loro visi vicinissimi, poi la forestiera distolse lo sguardo puntandolo ai filari della Prima.

“Volevo chiederti di venire con me al Pub questa sera, così…, tanto per distrarti un po’.”

La voce afona della bionda la colpì dilatandole il cuore. “No… Grazie.”

“Sei sicura? Sono tre giorni che cerchi di star dietro a tutto dormendo pochissimo. Te la meriti una pinta.”

Haruka sorrise tristemente. Avrebbe dovuto vedere gran parte dei figli dei viticoltori della zona e proprio non le andava di essere compatita.

“Lo sai che mi sono già arrivate due offerte d’acquisto? Per quanto piccola la cantina dei Tenou fa gola a molti sciacalli!”

“E tu?”

“E io cosa?!”

“Intendi vendere?”

Stancamente la bionda si rimise in piedi seguita dall’altra. “Non vorrei, credimi, ma se non trovo i soldi necessari per ripianare il bilancio…” Lasciò cadere.

“Non puoi arrenderti! Ci sarà pur qualcosa da fare!”

“Certo! Una fideiussione aggiungendo debiti ai debiti. Peccato che non abbia nessuno che garantisca per me! - E ci andò giù pesante anche se non avrebbe mai voluto con lei. - Cosa credi che non ci abbia già provato?! Di non aver bussato a centomila porte prima di oggi?! Ma il mio nome non ha più credito, perché devo ancora estinguere il mutuo che accesero i miei trent’anni fa per comprare questo posto. Perciò non venirmi a dire di non arrendermi! Non puoi neanche lontanamente immaginare come mi stia sentendo adesso!”

“Non volevo offenderti Tenou. Cercavo solamente di starti vicina.”

E il tono pacato che la donna usò ebbe il potere di spezzarle i nervi ancora di più. “Be…, grazie tante, ma non sono affari tuoi!”

A quelle parole il respiro di Kaiou morì e desolata si rese conto di avere calpestato l’orgoglio della bionda e di avere azzerato in quello scambio di battute, tutta la strada compiuta fino a quel momento per avvicinarsi a lei. In effetti non poteva capire, perché era sempre stata circondata dal lusso e dal denaro. Forse non aveva usato il tatto che sapeva di possedere, ma con la storia di Seiya stava perdendo lucidità. Non aggiungendo altro che l’ennesima scusa, prese la strada della salita con l’intenzione di lasciare l'altra sola con i suoi pensieri.

Stringendo i pugni Haruka scattò raggiungendola e bloccandola per un braccio la costrinse a fermarsi. “Aspetta Michi! Io… Scusa, non volevo prendermela con te che tanto stai faticando per aiutarci, ma devo già giustificarmi con Mina e con me stessa… Non prendertela a male. Ho un carattere di merda, lo so.”

Cosa diamine stava facendo!? Si stava scusando con una perfetta sconosciuta? Per giunta una donna che possedeva un’auto che valeva tre volte la sua migliore macchina agricola. Teneva forse al suo giudizio? Alla sua considerazione?

Kaiou riuscì a sorprenderla ancora una volta perché scambiato con lei un nuovo sguardo, le sorrise piegando la testa leggermente da un lato. “Mi piace sai, quando mi chiami Michi.”

Sbattendo le palpebre Tenou ebbe la sensazione di essersi presa un pugno in pieno stomaco mentre si lasciava accarezzare la pelle della spalla.

“Vedrai Haruka, in qualche modo ce la farai. Ne sono sicura.”

Michiru, pensò non riuscendo a dar vita alla voce. Erano così dolci le sue parole, così profondamente carico il blu dei suoi occhi, così morbido il suo sorriso, che improvvisamente avvertì la gola serrarsi e gli occhi pizzicare e se non fosse stato per Yaten che la chiamava dal parapetto in pietra sopra di loro, con molta probabilità avrebbe finito per esporsi e piangerle davanti.

“Hei capo! Vieni su.”

Facendogli cenno di stare calmo si affiancò alla forestiera salendo speditamente la scala ed una volta arrivate in cima lo vide tutto agitato indicarle lo spiazzo sul fronte.

“Perché sbraiti tanto?! Non ti avevo detto di portar via di detriti con la benna del…”

Una macchina verde scuro si era ferma a qualche metro dal portone di casa. La portiera lato guidatore aperta. Minako con la schiena scossa dai singulti abbracciata al collo di una giovane donna di qualche anno più grande ed Usagi poco oltre, a stropicciarsi gli occhi bagnati dalle lacrime. La scena si dilatò nel suo cervello come una deflagrazione violentissima.

“E’ tornata.” Disse pianissimo sgranando gli occhi.

 

 

 

Note: Scusate il ritardo, ma pur avendo il tempo ho incolpevolmente latitato. Non riesco a concentrarmi e a scrivere ciò che vorrei. Credo che il mio stile ne stia risentendo. Come faccio sempre, cercherò di correggere una volta pubblicato.

Volevo rendere questo capitolo un tantino movimentato. Siete abituate a ben altro, ma non so se ho raggiunto il mio scopo. Qualche salto, una mezza apocalisse, un paio di colpi di scena, qualche domanda del tipo; chi diavolo è il centauro misterioso che ha visto Kaiou? Si tratta davvero di Seiya e di un suo giochetto mentale bene architettato? E questa fantomatica donna presente nella vita di Haruka? Ma nulla di più.

Confido nel nuovo personaggio che sta per entrare in scena e nella bastardaggine dei parenti di Mamoru.

Ciauuu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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