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Autore: Anya_tara    27/05/2019    1 recensioni
Quegli occhi rossi che la scrutano attentamente, vigili come quelli di un predatore la mettono a disagio.
Infila una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre quello riprende a mangiare come nulla fosse.
Lei non ha più fame. Ma si sforza comunque di continuare a cenare, anche perché non vuole dargli questa soddisfazione.
Non gli permetterà di metterla in difficoltà, a nessun costo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono passati in tanti a trovarla.
I suoi amici.
Ran e Ryukyu che le hanno portato un enorme cesto di frutta.
I suoi genitori.
Deku. Con Melissa, che l’ha abbracciata e a cui Ochaco ha detto grazie, perché senza quel braccialetto probabilmente non sarebbe uscita viva da lì.
E’ stata contenta di vederli felici.
E Scarlet con Aruimi e Ishiwara. Che le hanno detto che Bakugō si è licenziato, ha piantato l’agenzia quella sera stessa e non si è più fatto vedere.
Nemmeno da lei.
Dopo aver varcato quella soglia, dieci giorni prima, non è più tornato.
Così Uraraka ha capito che tocca a lei fare il primo passo.
Appena esce dall’ospedale, va da lui.
Si fida.
Non le farà del male. Non potrebbe, neanche se lo volesse.
La sua stessa natura glielo impedirebbe.
Al massimo potrebbe mandarla via. E anche se si sente andare il cuore in frantumi al solo pensiero, deve rischiare.
Bussa. << Sì, un attimo >>. Apre la porta senza nemmeno vedere chi è, volta subito le spalle. << Aspetta che ti prendo i soldi. Sono sempre i soliti, no? >>.
<< Ciao, Bakugō >>.
Lui si gira finalmente, resta con la giacca a mezz’aria in una mano, il portafogli nell’altra.
Ha l’espressione confusa di chi non se l’aspettava.
Le fa tenerezza. << Pensavo … fosse il padrone di casa. Oggi scade l’affitto, uh. Ma è pure probabile che non venga, tanto settimana prossima sbaracco e lo pago quando gli ridò le chiavi >>.
Ochaco si dà un’occhiata intorno. In effetti ci sono scatole un po’ ovunque. << Hai … trovato qualcosa di meglio? >>.
<< No, per niente >>. Fa una smrofia amara. << Torno dai miei >>.
<< Ah ah >>. L’aveva supposto. Se non ha più un lavoro, al momento, non ha di che mantenersi e quindi è costretto a fare quella scelta.
Anche se Scarlet le è parsa alquanto … affettuosa, nel dirle che se avesse voluto tornare, la porta era sempre aperta. E anche i suoi colleghi le erano sembrati … bendisposti verso quell’ipotesi.
Cos’era successo, che aveva cambiato tanto l’opinione che avevano di lui? << Tu che ci fai qui? >>, le chiede poi, rimettendo a posto giacca e portafogli.
<< Mi hanno dimessa oggi >>.
<< Sì, questo lo vedo >>.
Non l’ha invitata ad entrare.
Ma che cavolo. Nemmeno lei l’ha invitato ad entrarle in testa, nel cuore.
Però l’ha fatto comunque.
Non può incazzarsi se lei lo fa con la sua casa. Tanto più che tra poco non lo sarà più. << Volevo parlare con te >>, annuncia venendo avanti e chiudendo la porta.
Di riflesso, lui va all’acquaio e inizia a lavare i piatti.
Contrariamente al suo solito non le propone di sedersi, non le offre nulla.
Vuole che se ne vada in fretta.
E se Ochaco lo conosce quanto immagina, adesso, sa anche perché.
<< Nessuno te lo vieta >>, ribatte Bakugō senza voltarsi, impilando le tazze sul ripiano.
<< Voglio che mi ascolti. E che mi guardi in faccia >>.
Lui sbuffa, chiude l’acqua. Si asciuga le mani semplicemente facendo evaporare l’umidità dai palmi. Si gira e incrocia le braccia al petto. << Contenta? >>.
Ochaco sospira brevemente. << Senti … io ho sbagliato. Avrei dovuto dirtelo subito, che io … e Midoriya … avevamo rotto. Ma quando sono arrivata qui d’un tratto ho avuto paura. Temevo pensassi … fosse per ripicca, perché volevo vendicarmi, prendermi una rivincita. Ma non è così. Io … io non so perché … è successo. Ma è successo. E quando Izuku mi ha detto … che … insomma, che si era reso conto … di non … provare quel che credeva per me, ho capito che … che … oddio >>. Inspira, serra le manine in due piccoli pugni, che farebbero sorridere se non sapesse quanto sanno picchiare duro. << Che ero sollevata. Che … potevo essere libera senza dovermi far carico di spezzargli il cuore, perché … perché … volevo … stare con te >>. E’ tutta rossa, gli occhioni lucidi, ma non esita. << Scusami, Bakugō >>.
Vedendo che lui non accenna a dire, o fare nulla si avvicina, deglutisce a forza. Uno di quei piccoli pugni si apre come i petali di un fiore, si tende verso il suo braccio come quella sera.
Katsuki rimane fermo a fissarla, guarda appena di sfuggita le dita che gli stringono il polso. << E quindi ora cosa vuoi da me, Uraraka? >>, sbotta in tono non duro, ma amaro.
Lei sgrana ancora di più gli occhi. E’ incredula. Esterrefatta. << Io non ho fatto nulla per salvarti, anzi, ti ho solo messa in casini ancora peggiori. Se non ci fosse stato … Deku, saresti finita male. E io non avrei potuto fare niente >>.
<< E questo cosa c’entra? Katsuki non … >>. Si morde un labbro, improvvisamente conscia di averlo chiamato per nome.
Dura solo un istante. Ormai è andata, non può rimangiarselo e neanche vorrebbe. << Non ho bisogno di un uomo che mi protegga. Non sono fragile, ricordi? Sono una Hero, non una fanciulla indifesa. Mi ero già liberata quando sei arrivato tu, ed ero pronta a spaccare il culo a chiunque si fosse messo in mezzo tra me e la via d’uscita >>.
<< Avevi i pollici fratturati … >>.
<< Sta’ zitto e fammi finire, per favore >>, lo interrompe di rimando. << Non mi occorre un babysitter, io voglio un uomo che mi stringa a sé e mi faccia volare più in alto di quanto riesca io col mio quirk. Voglio un uomo che stia al mio fianco, soprattutto la notte, quando torno a casa. Che mi abbracci, mi baci e mi dica che si fida di me, che sa che quando esco da quella porta tornerò sana e salva anche senza di lui e questo non sia un problema. Capisci? Non voglio un cavalier servente. Io voglio te >>. Si tende, piano, sulla punta dei piedi.
Lui resta immobile, la fissa con occhi vacui mentre gli sfiora le labbra con le proprie.  
Ma Ochaco non abbassa i suoi. Nemmeno mentre torna giù, guardando quegli occhi scarlatti riprendere lentamente vita, luce, aprirsi stupiti e metterla a fuoco, per davvero, finalmente. << Io … voglio te, Katsuki >>.
D’un tratto si ridesta. Le prende il volto tra le mani e le cattura le labbra, premendovi sopra le sue. Con forza, senza risparmiarle nulla.
E poi gliele schiude, infilandovi dentro la lingua. Saccheggiandole l’interno della bocca fin negli angoli più remoti; ma Ochaco non resta immobile a trattenere il fiato mentre sente il fuoco inondarle le vene, no: si solleva di nuovo sulla punta dei piedi e gli porta le manine dietro la nuca, attirandolo a sé con altrettanta veemenza.
Quando si staccano hanno entrambi il fiato corto. Le guance in fiamme.
<< Katsuki … >>, sussurra morbidamente lei accarezzandogli l’arco della mascella.
 
Cazzo.
Brucia. La bocca gli brucia, è stato un impulso insopprimibile e adesso, farsi indietro è difficile come voler spegnere un incendio con la benzina.
Fa per lasciarla andare, anche se gli costa. Ha fatto un passo falso, avrebbe dovuto essere più razionale, ora gli brucia il sangue dentro le vene, solo a quel lieve assaggio di lei si è infiammato e … << … non dobbiamo per forza aspettare che torni a casa dalla ronda, sai? >>, continua Ochaco, in tono di invito.
<< Oh, Cristo >>. La afferra per i fianchi e la tira su, a sedere sul tavolo. Le allarga le cosce e si pianta nel mezzo, stringendole le ginocchia ai propri fianchi, smaniando per sentirla quanto più vicina possibile.
Lei gli carpisce l’orlo della maglia, alzandogliela sulla schiena e incistandovi le piccole unghie affilate nella pelle. Basta tanto così a fargli perdere del tutto il senno, slacciarle con foga la zip della felpa e tuffarsi nel soffice spiraglio candido scoperto dalla gola alla sommità dei seni.
Se non si dà una calmata, la divorerà. Ma non riesce a trattenersi, l’istinto gli urla in testa quasi fosse un territorio da marchiare, una preda da ghermire e far sua, subito, senza indugio.
Non riesce nemmeno a pensare ch’è stata dimessa solo poco fa.
Ochaco ansima, s’inarca all’indietro per dargli più spazio di manovra. Si regge con una mano al bordo del tavolo, l’altra è ancora saldamente artigliata alla sua spalla sinistra.
Appena le morde un seno la sente sussultare. Lo succhia attraverso il sottile strato di pizzo, poi infila le dita e lo abbassa rivelando il piccolo capezzolo rosato, irto contro l’areola vellutata.
Vi passa intorno la lingua, prima di mordicchiarlo con cautela, per poi riprendere a succhiarlo con delicatezza, fino a farla gemere e graffiargli il collo. La sdraia sul tavolo scivolando sull’addome piatto, tra i muscoli guizzanti ma affusolati che spiccano tra i fianchi morbidi mentre le sfila i pantaloni.
E lei non lo ferma. Anzi. Alza il bacino per permettergli di liberarla.
L’odore caldo e fragrante del suo sesso in boccio sotto gli slip gli dà al cervello. Scende a baciarle l’interno di una gamba fino alla caviglia soltanto per avere il tempo di riprendere un certo vago controllo prima di fiondarsi lì come un selvaggio, senza alcuna premura.
Ma appena risale fino all’attaccatura dell’inguine è impossibile resistere. Porta lì la bocca, muovendola contro la stoffa leggera e bagnata.
Le gambe snelle e tornite gli si chiudono intorno alla testa. Non ha nessuna remora, Uraraka: non lo teme, non si preoccupa e cazzo, gli piace. Gli piace da morire, soprattutto quando porta le dita sulla sommità del suo cranio, trattenendolo contro di sé.
Non ha nessuna paura di chiedere ciò che vuole. D’altronde, per parafrasare Kirishima, è una donna con le palle: ovviamente metaforiche, perché ciò che sta assaporando adesso è dolcissimo nettare, inequivocabilmente femminile.
Dolce e forte. La donna giusta per lui.
L’unica che abbia mai desiderato.
<< Katsuki … >>. Il suo nome sulle labbra di lei è una preghiera spezzata, lo riempie di brama quasi animale; d’impulso afferra l’orlo delle mutandine e gliele tira via dalle gambe con una sola mano, mentre l’altra le scosta la gamba per permettergli di esplorarla più a fondo, più da vicino.
E’ in fiamme, laggiù.
Lo sono entrambi.
E’ bellissima. Delicata e perfetta, come i boccioli delle peonie. Morbidi petali rosati, dal cuore umido e lucente di rugiada.
Malgrado la fame la lambisce appena, a fior di labbra. La sente tremare sotto di sé e lo fa ancora, stavolta insinuando la lingua nel mezzo. Si sofferma più a lungo, baciandola come ha fatto con la sua bocca, con ardente desiderio ma attento a non gualcirla.
I suoi gemiti soffocati sono meravigliosi. Si dimentica di tutto mentre la assapora, la mano la sfiora e si insinua tra le pieghe bagnate.
Non può trattenersi più di così, o esploderà.
Sono anni che aspetta questo istante senza sapere se sarebbe mai arrivato.
Le dona un ultimo lieve tocco mentre slaccia i jeans, li abbassa quanto basta: non ha il tempo né la pazienza di spogliarsi adesso; poi se la serra addosso puntandola contro il bordo del tavolo, anche se gran parte del suo lieve peso è retto da lui. Altrimenti chissà dove andranno a finire: quelle fragili assi – sì, loro lo sono senza dubbio- non sopporterebbero.
E si fa strada in lei. Lentamente, ma inesorabilmente. Le rinfodera dentro il proprio sesso come fosse stata creata apposta per avvolgerlo, mentre le unghie di Ochaco gli incidono le spalle e si tende tutta, davvero come un fiore in cerca della luce.
Quando arriva in fondo si ferma un istante a riprendere fiato, e controllo.
Anche se non è per niente facile.  
E’ stretta. Dio, quanto è stretta, è una morsa sulla sua carne, gli fa venire una vertigine tremenda, tanto che a stento riesce a tenersi in piedi.
Il tavolo diventa improvvisamente superfluo. Con una spinta della mano lo allontana e tenendola contro di sé la mette giù, sul pavimento, sollevandole una gamba e portandosi il piede sulla spalla.
Oh, porca miseria. Quando affonda di nuovo gli pare di sentirla aprirsi fino all’anima per lui. In quel gemito roco, pieno, che fa vibrare entrambi fin nei più intimi recessi dei loro esseri fusi in uno soltanto.
Si china ancora su di lei, ingabbiandola con le mani accanto alla testa, tra i capelli sparsi, scintillanti di quel caldo castano dai riflessi dorati.
Ma non gli basta. Vuole ancora qualcosa, da Ochaco.
La mano torna dietro la sua schiena inarcata, l’altra dietro la nuca e la tira su, a sedere sul suo grembo.
Uraraka gli posa la testa sulla spalla, il suo respiro è rovente sulla pelle della gola. Gli cinge le spalle e immediatamente, inizia a muoversi sopra di lui, che si tiene con una mano per terra.
Scivola lenta, ma a fondo. Strappando muti gemiti di gola ad entrambi, che si perdono e si sfilano tra le loro bocche avvinte, scambiandosi aria e calore.
Sembra sul punto di piangere quando la guarda negli occhi. Il suo bel viso si contrae, ad ogni spinta che riceve dal basso lei risponde con una contraria e lo fa impazzire, non gli concede tregua e sente montare in entrambi le fitte dentro, inequivocabili, del culmine.
Stringe i denti. Deve farcela, deve tenere duro almeno finché non …
<< Katsuki! >>. La sua carne si serra intorno a quella di lui, una morsa ritmica e pulsante che gli risucchia via la lucidità, strappandogli il cuore dal petto e il fuoco liquido dell’orgasmo dai lombi.
Riesce appena a metterla giù, sfilarsi rapidamente. Le rimane sospeso sopra, ansimante, a guardarla come la vedesse per la prima volta.
Le braccia però non lo reggono più. Le si sdraia accanto, voltandosi su un fianco.
Ochaco fa altrettanto, guardandolo coi suoi occhioni, il volto ancora arrossato dalla vampa della passione. Ha un sorriso appena accennato, bellissimo. << Grazie … >>, sussurra, la voce ridotta ad un filo sottile.
<< Mhmm >>. Le accarezza la guancia, fissandola pensieroso.
Si sente un po’ a disagio, in realtà. Perché di sicuro lei si aspetta di sentirsi dire qualcosa di tenero, romantico e … ecco, non è che sia proprio un asso in questo, lui.
Ma per bello che sia quel silenzio dopo l’amore, non gli pare giusto protrarlo.
Così apre la bocca. Ma quel che ne viene fuori non è proprio il massimo. << Avremmo dovuto fare più attenzione. Non sono sicuro di aver fatto in tempo >>.
<< Oh. Dici per … >>.
<< Uh. Già >>.
<< Non importa. Io … te lo darei volentieri >>, mormora convinta. Poi notando la sua espressione sconvolta aggiunge:  << Cioè … se tu lo volessi >>.
Bakugō continua a guardarla a bocca aperta. << E sennò? >>.
<< Altrimenti me ne prenderei cura io soltanto. Non farei mai del male ad una creatura innocente >>. Il suo sguardo è fiero, mentre lo dice. << Tanto meno se tua >>.
Cazzo. Che femmina. Quella sua determinazione lo fa sciogliere ed eccitare insieme, quanto il sapore della sua pelle, della sua carne. << Con un po’ di fortuna non è una decisione che dovremmo prendere adesso >>, dice, sorridendo. << Tanto più che … non penso di essere proprio tanto segnata da restare incinta la prima volta … >>. Si raddrizza a sedere, tirando su i capelli. I seni si sollevano sul torso scolpito, coi piccoli capezzoli ancora irti che sembrano invitare le sue dita a stuzzicarli di nuovo.
Basterebbe poco così per riaccendergli il sangue nelle vene, se non si fosse ghiacciato di colpo.
Lo stupore di Bakugō si fa shock. << Che hai detto? >>.
<< Che … non penso di … cioè, insomma, so che è possibile, però >>.
<< Era la prima volta? >>.
Lei annuisce, con semplicità. << Sì >>.
<< Oh, merda. Merda, merda … >>.
<< Katsuki, che c’è che non va? >>.
<< Non pensavo fossi … così. Ancora. Cazzo >>. Si rimette a sedere anche lui, si tira su.
Si sente improvvisamente troppo nudo. Davanti ad una ragazza innocente che ha … ha …
Ma che cazzo aveva nel cervello quel nerd di merda?
Più buon senso di lui, probabilmente. << Cambia qualcosa? Io lo volevo. Tu lo volevi. E’ stato fantastico, quindi che c’è che non va? >>.
<< Avrei … avrei dovuto andarci più piano. Ecco >>, mugugna infine mettendo il broncio, nemmeno fosse stato lui a ricevere un torto. 
Ochaco sorride ancora. Lascia andare i capelli che stava provando a tenere raccolti, impresa impossibile dacché sono leggermente umidi di sudore; si rimette in piedi, nuda, bellissima. << Io non voglio andare piano >>. Lo afferra per la nuca attirandoselo nuovamente addosso.
E’ così irresistibile, nella sua brama innocente.
La stringe tra le braccia, forte, la tira su allacciandosi le sue gambe ai fianchi e la porta in camera.
Sa di dover aspettare prima di essere pronto a ricominciare, almeno un po’.
Ma lei no.
Ed è questo tutto quello che importa.
 
 
 
 
 
 
   
 
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